I dizionari Baldini&Castoldi

Kleider machen Leute di Alexander Zemlinsky (1872–1942)
libretto di Leo Feld, da Keller

(L’abito non fa il monaco) Opera in due atti

Prima:
Vienna, Volksoper, 2 dicembre 1910

Personaggi:
Strapinski (T), Böhni (Bar), Nettchen (S)



Il soggetto dell’opera è desunto dalla novella omonima di Gottfried Keller, autore che nei primi anni del nostro secolo fu al centro di un risveglio critico significativo: Hofmannsthal stesso ne lodò la limpidezza narrativa, paragonandola per serenità ed equilibrio allo stile mozartiano e sottintendendo in essa un antidoto alle nevrosi espressionistiche. La riduzione a libretto operata da Leo Feld non convince pienamente per il tono artificioso del linguaggio, e la leziosa enfiagione delle cadenze popolari; il protagonista stesso risulta meno delineato rispetto alla versione originale, perché Feld sceglie di smorzare il lato furbescamente truffaldino del suo temperamento, dipingendolo piuttosto come vittima di una sequenza di equivoci.

Insoddisfatto del proprio mestiere, il sarto Strapinski lascia la nativa Seldwyla e parte per cercare fortuna altrove. Giunto a Goldach viene scambiato per un gentiluomo in grazia della bella stoffa che indossa; nel tentativo di sottrarsi a questo equivoco, Strapinski cerca più volte di fuggire, ma sempre invano. La giovane Nettchen, intanto, da sempre desiderosa di un corteggiatore altolocato, ha respinto definitivamente il pretendente Böhni per legarsi al nobile forestiero. Quando la verità viene a galla e il falso aristocratico è smascherato, Nettchen prende inaspettatamente le sue parti e dichiara di essere intenzionata a sposarlo anche senza blasone.

Questa spiritosa sequela di travestimenti e qui pro quo riannoda le fila della commedia viennese e del teatro mozartiano, aggiungendo all’evoluzione dell’opera comica in lingua tedesca un tassello non trascurabile, che anzi sotto certi aspetti può configurarsi come ponte verso il Rosenkavalier . Allestito in quella Volksoper dove Zemlinsky esercitava la sua attività direttoriale, Kleider machen Leute sarebbe stata prematuramente eclissata proprio dal capolavoro straussiano; ma il garbo del suo tono, intanto, si era fatto ammirare per la ‘serenità aristocratica’ che ne promana. Il linguaggio di Zemlinsky è denso, ma occulta la sua complessità in un respiro scorrevole e in un flusso melodico generoso. Fin dal preludio iniziale, le cui prime note generano un accordo per quarte, è palese l’allargamento armonico che Zemlinsky persegue; il rigore costruttivo, di stampo brahmsiano, trattiene il compositore al di qua del fossato atonale, ma non per questo ne inibisce l’inventiva. Dietro agli estesi ensembles è palpabile il riferimento a Mozart, di cui Zemlinsky aveva diretto numerose opere, curandole sempre con particolare dedizione: soprattutto la quarta scena si riallaccia al teatro mozartiano, senza che per questo la scrittura possa dirsi neoclassica. In una lettera del 1900 ad Alma Schindler, sua allieva e futura moglie di Gustav Mahler, Zemlinsky aveva raccomandato di costruire le scene sulla base di pochi motivi ben caratterizzati, ma anche collegati fra loro, in modo da evitare, con il mutuo intreccio tematico, ogni dispersione e ogni frantumazione strutturale; gli ensembles di Kleider machen Leute sono la realizzazione pratica di questo principio e riescono a coinvolgere tutti i personaggi rendendoli partecipi di una Stimmung comune, senza per questo appiattirli. L’individuazione del registro umoristico nasce dal connubio di melodie patetiche e ritmi vivaci: questa sovrapposizione per contrasto (uno dei principi universali della comicità) serpeggia in tutta l’opera. Va rilevato come il tema del sarto (interessante anche per l’estrema elusività tonale) si trasformi in concomitanza con il travestimento, camuffandosi dietro la maschera signorile di ritmi cavallereschi e valori più nobilmente distesi. L’opera è inoltre intrisa di valzer, a designare l’elegante fatuità con cui il protagonista recita la sua farsa spensierata: il voluto anacronismo neoclassico del riferimento (ancora una volta si pensa al Rosenkavalier ) richiama a pagine schnitzleriane, che inquadrano proprio una Vienna fin du siècle che gioca con aristocratica noncuranza sull’orlo della prossima catastrofe, qui sdrammatizzata nell’ulteriore divertissement dello smascheramento finale.

e.f.

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