I dizionari Baldini&Castoldi

Tabarro, Il di Giacomo Puccini (1858-1924)
libretto di Giuseppe Adami

Opera in un atto

Prima:
New York, Metropolitan, 14 dicembre 1918

Personaggi:
Michele, padrone del barcone (Bar); Luigi (T), il Tinca (T), il Talpa (B), scaricatori; Giorgetta, moglie di Michele (S); la Frugola, moglie del Talpa (Ms); un venditore di canzonette (T); due amanti (S, T); scaricatori, midinettes



Da molti anni il compositore pensava a tre atti unici da rappresentare in un solo spettacolo teatrale: opere di atmosfera e stili diversi con cui poter toccare i caratteri tragico, lirico e comico. Dapprima (nel 1900) ebbe l’idea di musicare tre ‘quadri’ tratti dalla Commedia dantesca; in seguito, nel 1904, sperò di ricavare tre libretti dai racconti di Maksim Gor’kij, fra i quali preferiva La zattera per il suo tono cupo, ma ancora una volta il progetto andò in fumo. Passati ormai parecchi anni, fu il dramma di Didier Gold La Houppelande a risolvere i dubbi, le incertezze del musicista sulla scelta del soggetto. Esso sarebbe servito per la composizione del primo atto del Trittico , quello passionale e tragico. Puccini cercò la collaborazione di Ferdinando Martini, letterato di fama, e dello stesso commediografo Dario Niccodemi, ma entrambi non realizzarono poi il libretto, che fu infine scritto da Adami. Puccini cominciò a comporre Il tabarro nel 1913, poi interruppe il lavoro per dedicarsi esclusivamente alla scrittura della Rondine e solo alla fine dell’estate 1915 lo riprese, per terminarlo il 25 novembre 1916. Successivamente accompagnò il truce dramma con altre due opere di diverso genere: Suor Angelica e Gianni Schicchi . I tre atti unici ebbero la prima rappresentazione il 14 dicembre 1918, al Metropolitan di New York, diretti da Roberto Moranzoni con esito sostanzialmente positivo, anche se solo Gianni Schicchi fu accolto senza riserve, mentre gli altri due lavori suscitarono qualche perplessità. Vi furono tuttavia dieci chiamate al proscenio per Suor Angelica (che fu criticata dalla stampa), contro le cinque del Tabarro e le otto dello Schicchi . Dopo neppure un mese, l’11 gennaio 1919, il Trittico approdò a Roma (Teatro Costanzi) con la direzione di Gino Marinuzzi. In quel periodo i rapporti tra Toscanini e Puccini erano piuttosto tesi, e tali da non consentire la presenza sul podio del direttore parmense. Il motivo dell’attrito non era soltanto di natura politica, ma riguardava anche Il tabarro : con un aspro giudizio Toscanini condannò apertamente il libretto per il suo «spregevole tono da grand-guignol » e la partitura per la cupa monotonia e per la violenza di un realismo volgare. Puccini rimase talmente offeso che, quando le tre opere furono rappresentate a Londra al Covent Garden, rifiutò la direzione del grande maestro e optò per Gaetano Bavagnoli. Altre rappresentazioni memorabili furono quelle al Teatro Colón di Buenos Aires il 10 luglio 1919, diretta da Tullio Serafin, al Regio di Torino il 25 gennaio 1920, diretta da Ettore Panizza, e alla Scala di Milano il 29 gennaio 1922, sempre con Panizza. Il soggetto da cui fu tratta l’opera, il dramma in un atto La Houppelande di Didier Gold (1910), appartiene al genere nero. Si tratta di un grand-guignol ambientato nei bassifondi di Parigi, sulle rive della Senna. I protagonisti sono degli scaricatori che vivono in uno sfondo sociale di profonda miseria. Il dramma è nel suo insieme assai più violento del Tabarro ; non solo Marcel – Michele nell’opera pucciniana – uccide il rivale in amore, ma anche Gujon, il ‘Tinca’ di Adami e Puccini, si vendica dell’adulterio della moglie pugnalandola. Il librettista Adami mantiene il delitto di cui si macchia il padrone della barca, mentre accenna soltanto all’infelicità coniugale del Tinca, che beve per non uccidere la consorte. Diverso è poi il ‘taglio’ dato alla figura di Giorgetta, che nell’opera appare meno colpevole di quanto non sia nel dramma di Gold. La protagonista non è una predatrice d’amore, ma semplicemente una donna che insegue il suo sogno di felicità per dimenticare un passato di sofferenza; inoltre Adami riesce ad accentuare gli accenni di denuncia sociale contenuti nel dramma originale. Gold rimase così entusiasta dell’opera pucciniana, da diventarne il traduttore per l’edizione francese.

Sulla Senna è ancorato un vecchio barcone da carico, di cui è padrone Michele. Questi, che ha sposato Giorgetta, una parigina di diversi anni più giovane di lui, avverte che l’unione è in crisi e sospetta da troppi indizi che ella, sempre più insofferente e scontrosa nei suoi riguardi, lo tradisca con un altro uomo. Il sospetto si dimostra fondato: Giorgetta è innamorata di Luigi, un giovane scaricatore che si è legato perdutamente a lei e che ogni sera, richiamato dal tenue chiarore di un fiammifero acceso, la raggiunge protetto dall’oscurità. Mentre Giorgetta si ritira nella sua cabina in attesa che il marito la segua e si assopisca, per poi incontrarsi con l’amato, Michele indugia e rimane solo a rimuginare sui suoi sospetti e a immaginare chi, tra i suoi uomini, potrebbe essere l’amante; nel frattempo accende la pipa. Scambiandolo per il segnale convenuto, Luigi sale sulla barca e Michele lo afferra. Lo costringe con violenza a confessare le sue colpe e lo uccide nascondendone il corpo col proprio tabarro. Giorgetta, allarmata dai rumori, sale in coperta e per essere rassicurata; chiede al marito di essere avvolta nel tabarro, come un tempo. Michele lo apre e avvicina la faccia di lei a quella del cadavere di Luigi.

Sia nel libretto sia nella partitura sono specificate le età dei personaggi: Michele ha cinquant’anni, la moglie Giorgetta la metà, l’amante Luigi è appena ventenne. Sono dati importantissimi, perché offrono un movente naturalistico al tradimento nella differenza di età della coppia. Inoltre non bisogna dimenticare che la morte del figlio ha contribuito a sgretolare l’unione; il dolore per la perdita del bambino ha provocato nella madre una reazione di ribellione, di evasione dalle vecchie e scontate cose, per cercare nel futuro, cioè in Luigi, la ragione della sua esistenza. Un altro elemento importante è l’ambientazione: la Senna, che è parte peculiare di Parigi, diventa una realtà drammatica, tangibile momento per momento nella partitura e, come dice Mosco Carner, se nel dramma «resta solo uno sfondo», nell’opera «sembra invadere la scena come una nebbia malefica attraverso la quale si muovono i personaggi». La tristezza greve del fiume accompagna la squallida e faticosa esistenza di questo popolo di vinti, scandisce le loro azioni ripetitive, i loro ritmi di vita sempre uguali, distrugge le loro speranze e i loro sogni come un destino ineluttabile.

Il Tabarro , pur essendo un atto unico, comprende quattro sezioni che possiamo considerare altrettanti piccoli atti. Nelle prime due è abilmente descritto lo stile di vita di questo sottoproletariato parigino, vengono presentati i personaggi che si stagliano sulla scena come delle autentiche macchiette, con i loro caratteri, i loro piccoli desideri, le loro segrete speranze, amarezze e disillusioni, osservandoli nel momento del lavoro frustrante e faticoso, come nell’ora di relax e del riposo, quando una buona bevuta può sollevare gli animi e il suono di un organetto aprire le danze. Il clima leggero di queste prime due parti si contrappone nettamente a quello cupo e disperato delle ultime due. L’atmosfera si definisce precisamente al centro dell’opera, cioè all’inizio della terza sezione, quando è palese all’ascoltatore l’appassionata relazione tra Giorgetta e Luigi. Due brevi intermezzi vocali separano la seconda sezione dalla terza, e questa dall’ultima.

Prima sezione. La barcarola introduttiva dell’orchestra ci propone il tema ‘della Senna’, costituito da bicordi paralleli, che si distendono nelle trentadue battute iniziali. La mancanza di una precisa affermazione della tonalità, che fluttua fra modo misolidio e sol maggiore e la ripetizione ciclica delle figure ostinate dell’accompagnamento, affidato al pizzicato dei contrabbassi, conferiscono un senso arcaico. La prescrizione della partitura di alzare il sipario prima che la musica attacchi sottolinea che il tema del fiume non è un preludio all’azione, ma l’azione stessa. Esso accompagna e si lega profondamente alle esistenze dei personaggi, almeno per tutta la prima parte dell’opera, suscitando nello spettatore una sensazione di realismo, incrementata dall’impiego dei suoni o rumori propri della vita cittadina: il segnale sonoro del rimorchiatore, la cornetta dell’automobile. Al tema della Senna si intreccia il rude canto marinaio degli scaricatori “Se lavoriam senza ardore”. Segue la chanson à boire “Eccola la passata... Ragazzi, si beve” intonata da Luigi: un valzer rustico in tempo classico di 3/4, un tema che solo un’altra volta risentiremo nel corso dell’opera. Esposto in tre diverse tonalità, accompagnato da un’orchestrazione leggerissima e trasparente, rappresenta il momento del brindisi, luogo comune dell’opera, da Traviata a Otello , alla stessa Rondine , fino al “Viva il vino spumeggiante” di Cavalleria rusticana ; ma in questo contesto assume un significato particolare. Il vino diventa l’evasione, l’unico modo per non pensare, il solo piacere che si possono concedere uomini condannati dall’ingiustizia sociale alla miseria (Tinca: «In questo vino affogo i tristi pensieri»; «Fa bene il vino! Si affogano i pensieri di rivolta»). Ai versi di Luigi «Sentirete che artista» gli archi pizzicati accennano il tema ‘dell’amore’ fra lui e Giorgetta, rivelandoci in anticipo la relazione tra i due. Segue il valzer dell’organetto, articolato nella forma del rondò, esposto dai tre flauti accompagnati da tre clarinetti, caratterizzato da un’asprezza politonale dovuta all’urto dell’intervallo di settima maggiore tra il primo e il secondo flauto. Nel valzer sono riconoscibili i temi di due canzoni popolari parigine dell’epoca: Giorgette e La Petit Tonkinaise . La figura e la voce del cantastorie “Primavera, primavera” emergono poi in primo piano; la melodia è accompagnata delicatamente dal suono dell’arpa; egli narra la vicenda di Mimì e un quartetto d’archi cita letteralmente il tema tratto dalla Bohème (è l’unico caso di esplicito autoriferimento, con intento ironico, inserito da Puccini in un suo lavoro, se si esclude il gran numero di spunti tematici attinti dal materiale di opere giovanili od incompiute). La melodia del cantastorie viene ripetuta da un coro di Midinettes (sei soprani) che conclude la pagina.

Seconda sezione. Durante il recitativo d’introduzione della Frugola appaiono alcune sequenze di accordi di sapore stravinskiano; del resto molteplici sono i momenti di quest’opera che ci richiamano l’atmosfera generale di Petruška . I brani che si susseguono nella prima parte della sezione, sia le canzoni intonate dalla Frugola che l’aria di Luigi “Il pane lo guadagno col sudore”, hanno un impianto melodico di natura modale. Quest’ultima è particolarmente interessante per la finezza della scrittura e per l’inconsueto messaggio di denuncia sociale affidata alla vocalità tesa del tenore, che si conclude con un finale a effetto “Piegare il capo ed incurvar la schiena”, sottolineato da improvvisi scatti dell’orchestra: in poche battute, dall’andamento metrico assai irregolare, sono concentrate ben undici differenti indicazioni agogiche. Le canzoni della Frugola invece, condotte ambedue su un andamento ritmico ostinato, sono molto efficaci per la caratterizzazione psicologica del personaggio: una donna stravagante, perennemente intenta a rovistare tra i rifiuti (prima canzone: “Se tu sapessi gli oggetti strani”), una personalità semplice che aspira a piccoli sogni (seconda canzone: “Ho sognato una casetta”) e disposta con rassegnazione ad «Aspettar così la morte ch’è rimedio d’ogni male». Elementi madrigalistici sono riscontrabili nell’episodio successivo, che si articola nella struttura tripartita: l’esposizione del tema ‘della nostalgia’, momento in cui Giorgetta reagisce alla cupa rassegnazione dell’amica, per ricordare la vita esaltante di Parigi fatta «di luci e di lusinghe» e il natio sobborgo di Belleville, dove anche lo stesso Luigi ha abitato, poi la descrizione musicale delle varie situazioni esposte dal testo ‘Alle botteghe che si accendono’, al ‘Bosco di Boulogne’, ai ‘Balli all’aperto’, tutti efficacemente sottolineati dai diversi colori timbrici; infine la ripresa del tema che coincide con l’apice espressivo. Una doppia coda conclude il brano durante il quale si congedano il Talpa e la Frugola. L’intermezzo vocale separa la seconda sezione dalla terza; un sopranino e un tenorino (fuori scena) intonano il tema ‘della Senna’, rievocando l’atmosfera iniziale dell’opera.

Terza sezione. Compare il tema dell’amore, accennato per la prima volta dopo la canzone del vino: una semplice cadenza perfetta in tonalità minore, ostinatamente ripetuta e intervallata da pause che suggeriscono un’atmosfera di sospetto ed esitazione. Questa cellula tematica prorompe con vigore alle parole di Luigi «preferisco morire». Quindi oboi e corni eseguono una rapida scala minore armonica che, riprendendo le parole di Giorgetta, possiamo chiamare ‘della voluttà’. Dopo un appassionato duetto Giorgetta-Luigi (“Hai ragione: è un tormento”), torna il tema ostinato del loro amore. La musica rivela tutta l’ansia dei due amanti clandestini, che rievocano la sensualità dei loro incontri segreti, dominati dalla paura di essere scoperti. Il segnale convenzionale tra i due amanti, il fiammifero acceso, viene suggerito dal suono dell’ottavino. Giorgetta, alle parole «Mi pareva di accendere una stella», anticipa un frammento del tema ‘del tabarro’. Il ritorno della scala ‘della voluttà’ conduce al momento di massima espressione emotiva, sottolineato dal tema ‘dell’amore’ alle parole «Non tremo a vibrare il coltello», che in questo caso si associa a un’immagine di morte, alla gelosia che induce al delitto passionale. Il successivo duetto Michele e Giorgetta “Perché non vai a letto?” presenta una costruzione molto interessante. Come una dolce melodia ripetuta ciclicamente a mo’ di ninna-nanna, modellata sul ritmo ondulante del fiume, si alterna e si fonde con un disegno di figure cromaticamente sinuose, così il ricordo nostalgico dei momenti felici, quando i due coniugi innamorati cullavano insieme con tenerezza il loro bambino, è turbato dall’inquietudine di Michele, che intuisce e teme il tradimento della moglie. Nel corso di questo episodio, alle parole «Vi raccoglievo insieme nel tabarro», compare il tema ‘del tabarro’ medesimo; infine, l’ultima parte del duetto tra i due personaggi è incentrata su un nuovo tema, che diremo ‘della felicità’ prendendo spunto dalle parole di Michele. In un intermezzo vocale, Michele abbandona l’immagine di uomo dolce e nostalgico e con rabbia commenta: «Sgualdrina». Due richiami realistici alla vita: l’arrivederci di due amanti lontani (soprano e tenore) e il segnale della cornetta di una caserma, precedono il grande monologo seguente.

Quarta sezione. È il momento in cui Michele attende silenzioso, per scoprire l’amante della moglie e frattanto passa in rassegna i nomi dei suoi dipendenti. Il tema principale che si ripete più volte nel corso del monologo «Nulla... Silenzio» è quello ‘del tabarro’. Alla frase «Chi?... chi?... forse è il mio sonno» troviamo quello che Mosco Carner chiama «il corale della morte». Nella parte centrale, nell’attimo in cui Michele nomina il nome di Luigi, ricompare il tema dell’amore clandestino fra lo scaricatore e Giorgetta. Il motivo ‘del tabarro’ viene riproposto e trasformato, per un breve interludio strumentale, durante il quale Michele accende la pipa e Luigi, scambiandolo per il segnale luminoso di Giorgetta, balza sulla barca. Nella scena del delitto è sempre il tema del tabarro che guida le figure musicali, mescolato al corale della morte. Il dialogo tra Giorgetta e Michele ripropone il tema dell’amore, finché la grande esplosione del finale dell’opera ci rinnova con violenza il tema del tabarro e del corale della morte. Un delitto conclude quest’opera, come avviene per l’accoppiata verista: Cavalleria Rusticana e Pagliacci . Le tre vicende sono imperniate sul triangolo risolto dal marito tradito, che uccide l’amante. Tuttavia, mentre Alfio e Canio commettono l’omicidio per vendicare il torto subito e recuperare dignità e onore, Michele uccide in preda a un raptus , originato dal tormento per la perdita dell’amore, di quella sola gioia che riusciva a riscattare un’esistenza colma di amarezze, l’unico spiraglio di felicità che una vita miserabile gli poteva concedere.

«La novità di scrittura del Tabarro è l’evidente unitarietà dell’elaborazione formale, dovuta all’adozione di un diverso processo compositivo, che era articolato nelle opere precedenti in un’accavallarsi quasi febbrile dei temi principali e di quelli derivati, e che viene ora disteso su tempi drammaturgici più lunghi e regolari» (Girardi). L’orchestrazione mostra una maggiore semplicità e funzionalità, ora accompagnando delicatamente la voce, ora rinforzando il volume fino a raggiungere la massima sonorità e tensione; in ogni caso occupa sempre una parte di primo piano, perché è in orchestra che si decide l’atmosfera fondamentale del dramma.

m.me.

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