Degna delle fantasie più sfrenate d'uno Stroheim o, in via subordinata, d'un von Sternberg (la cui Marlene ci se la immagina benissimo, nei panni di Alma Schindler in Mahier), l'atmosfera che permeava i circoli artistici animanti all'inizio del secolo quella Vienna tranquillamente adagiata nel trionfo della borghesia: in apparenza preoccupata solo di sorridere su tutto e su tutti, ma solo perché, come felicemente sintetizzò Musil, "era ormai priva di muscoli facciali".

In quell'inizio di secolo, dunque, un ventino venne Alexander von Zemlinsky - musicologo indiscusso ma musicista ancora in cerca di definitiva consacrazione - diresse al Musikverein la propria cantata Frühlingsbegrabnis davanti a un'estasiata Alma Schindler. Bellissima e dotata di intelligenza pari solo allo sfrenato egocentrismo, la ventunenne Alma già conosceva tutti (figlia del noto pittore Schindler e figliastra del suo allievo Karl Moll, nella cui casa prese forma l'idea e l'organizzazione materiale della Sezession, il capo carismatico della quale, Klimt, la corteggerà con un'insistenza spezzata solo dall'intervento deciso dei genitori); aveva letto quasi tutto (compiva gli otto anni quando il padre ['introdusse a Goethe, per crescere poi culturalmente sotto la guida incessante del grande ami:o di famiglia Max Burckhard, puntualmente innamorato di lei tra una discussione e l'altra ;oprattutto su Nietzsche); aveva sentito tutto

fortissimo istinto musicale temprato dall'ado-razione per Wagner, aveva già composto oltre :ento Lieder e stava abbozzando un'opera, in

uno sboccio creativo che solo il veto di Mahler i proseguire su quella via saprà inaridire): in

I

primissima fila, insomma, nell'affollata vita cultural-mondana di Vienna.

Molto più sintetica rispetto al ritratto schizzatone da Canetti, e soprattutto priva di perifrasi, Alma nel proprio diario aveva descritto Zemlinski come «un orribile gnomo": ma fece nondimeno il diavolo a quattro per riuscire a entrare - unica donna - nel ristretto e ambitissimo circolo dei suoi allievi, tra i quali c'era gente come Schönberg (che ancora non aveva sposato la sorella di Zemhinsky, Mathilde), Webern, Berg, Korngold; li conobbe tutti, naturalmente, restandone amica nonché sostenitrice morale (e materiale) per tutta la vita. Va da sé che Zemlinsky s'innamorò follemente di lei, complice la musica nel più puro stile Paolo e Francesca, come ancora una volta apprendiamo dallo sconcertante spaccato di psicanalisi sociale che sono i diari di Alma, da lei purtroppo purgati in tarda età: «Stava per suonarmi Tristano, io mi chinai sul pianoforte con le gambe che mi tremavano, e cademmo l'uno nelle braccia dell'altra". Legame tenuto segreto per oltre un anno in ossequio alle convenienze, e dunque ricco di scambi epistolari dai quali emerge una relazione improntata alla sensualità più rovente e audace, ricca di toccamenti i più intimi possibili ma priva del definitivo «fattaccio": tra lui che incalza con domande di matrimonio e lei che dichiara di volere un figlio da lui ma non di sposarlo, e lo esorta a leggere Nietzsche. Lui che continua a darle apprezzatissime lezioni musicali durante le quali il diario registra avances tanto spinte quanto gradite; e lei-che gli racconta (rivolgendosi a un uomo di brutto aspetto, più vecchio di lei, povero e per giunta ebreo turco-sefardita, il cui nome il padre tentò pateticamente di nobilitare col fatidico von) delle numerose proposte di matrimonio rivoltele da uomini come Felix Muhr: giovane, ricchissimo, colto, brillante e nato benissimo.

Legame, inoltre, portato avanti tra lui che tenta d'emergere come musicista riuscendo a far rappresentare all'Opera la sua C'era una volta (e fu l'unico lavoro d'un musicista austriaco contemporaneo personalmente diretto da Mahier), e lei che Mahler lo conosce a cena da amici, apprende come il nuovo balletto di Zemlinsky non gli fosse piaciuto per niente, ma ne perora lo stesso appassionatamente la causa: e due mesi dopo la stampa annuncia il loro fidanzamento ufficiale.

Erano giorni, quelli, in cui Otto Weininger sta-

va dando gli ultimi ritocchi a Sesso e potere,

pubblicato di lì a due anni (gettando nello scandalo tutta Vienna per le teorie della virilità eroica castrata dalla femminilità nel suo duplice - e decadentissimo- aspetto della Madre e della Puttana) giusto in tempo per potersi poi suicidare a ventitré anni: e nell'eventuale campionario d'illustrazioni con cui abbellire tale pubblicazione, una foto che riassumesse la situazione Zemhn-

Il nano - Zemlmnsky

sky-Alma ci sarebbe stata a pennello, così come già pronte ne sarebbero state le didascalie, ricavabii con solo l'imbarazzo della scelta dall'impagabile diario di lei, perfetto caso clinico d'un egocentrismo granitico nutrito di cattive letture, Nietzsche in primo luogo.

Ma qual era lo stato d'animo di Zemlinsky, allorché il fidanzamento di Alma con Mahler interruppe la loro corrispondenza? Non lo si può sapere con certezza, ma non pare difficile intuirlo considerando la sua musica: il bellissimo poema sinfonico Die Seejungfrau, la sirenetta (punta forse la più alta nella lunga galleria di «diversi" uscita dalla fantasia omosessuale di Andersen, nevrotica, fragilissima ma baciata dal dio della poesia), che doveva costituire l'abbozzo per una «Sinfonia della morte" poi non portata avanti; l'opera Der Traumgörge, dove non è difficile scorgere Alma dietro le due figure femminili della principessa idealizzata e della donna condannata per stregoneria e accolta invece da George-Zemlinsky, che riconosce in lei la figura del sogno. E traspare ancor più chiaramente, lo stato d'animo di Zemlinsky, nella ricerca del soggetto che trattasse "d'un uomo sgradevole in relazione con una donna insensibile" da porre al centro della nuova opera progettata all'indomani della morte di Mahler, quando cioè le convenienze potevano permettere il trattare un tema che tutti avrebbero riconosciuto come autobiografico. Il soggetto parve dapprima trovato in Die Gezeichneten, del quale parlò tanto a lungo con Schreker da entusiasmarlo e indurlo a trarne un libretto per se stesso anziché per l'amico: ma infine, dopo la felice parentesi costituita dalla Tragedia fiorentina che di Alma già cominciava a sbozzare l'immagine, il soggetto venne individuato in un altro lavoro - stavolta integralmente compiuto-di Oscar Wilde, Ilcompleanno dell'infanta.

Soggetto che più adatto non avrebbe potuto essere, e ancor più lo divenne nella riduzione librettistica fattane da Georg Klaren: giovane letterato che - non casualmente - stava scrivendo una biografia critica su Otto Weininger, e modellò quindi l'originale wildiano sulle teorie dell'autore di Sesso e carattere. II nano deforme e selvaggio, figlio d'un carbonaio e cresciuto come un animale della foresta, dall'eloquio sommario e frammentato, diviene così una creatura i cui sfarzosi vestiti riflettono i nobilissimi e poetici sentimenti che ne rivestono l'animo,

- sp ressi da eloquio elevato e capacità canore fuori dal comune. E la stessa Infanta che lo riceve in dono, è d'una crudeltà molto meno inconsapevole e raggelata di quanto non sia in Wilde: frutto piuttosto d'intelligenza tanto viva quanto inutile, anzi distruttiva nella corrispondente mancanza di vera umanità, sostituita da compiaciuto e cosciente sadismo, che la spinge a far di tutto affinché il nano (il quale non ha mai visto uno specchio e allorché intravede la
..any-L&nano

propria figura nella lucida superficie del marmo, d'una spada, d'una superficie liquida, la ritiene fuggevole materializzazione d'uno spirito malvagio) capisca d'essere deforme e prenda coscienza di quanto vano sia per lui sperare in un sentimento. La deformità del nano, insomma, come rappresentazione del senso d'inferiorità e della sottostima di sé che sempre coglie l'uomo innamorato di fronte all'oggetto della propria immaginazione erotica: mentre l'Infanta - non più bambina ma non ancora donna - ha in sé una crudeltà talmente naturale da apparire, come appunto Weininger indica allorché parla della puttana racchiusa in nuce in ogni donna, connaturata alla condizione femminile.

Argomento scottante, quindi, come tanto spesso avviene allorché la carne viva d'un sentimento nutrito di sensi e di rancore vuole sublimarsi in creazione poetica: da questo inquietante crogiolo arroventato al fuoco d'uno dei periodi culturalmente più contraddittori ma anche più ricchi conosciuti dalla vecchia Europa, è però uscito capolavoro tra i più assoluti non solo della musica del Novecento, ma della musica in quanto tale.

Innanzitutto, la tensione teatrale stabilita dal libretto è formidabile: l'eventuale conoscenza del retroterra autobiografico essendo quanto mai utile e interessante ma non strettissimamente necessaria davanti alla mirabile compattezza d'una vicenda che narra d'innocenza distrutta, di desiderio dove rovente erotismo e struggimento doloroso si fondono come nel più riuscito dei componimenti decadenti (quelli cui sarebbe ora togliere l'ostracismo a priori affibbiatogli dalla seriosa cultura di matrice adorniano-sinistrorsa che - da noi ma anche altrove, in Europa - l'ha fatta da incontrastata padrona nel dopoguerra), dell'insanabile conflitto tra aspetto esteriore e contenuto umano. Ma soprattutto, la musica che tali versi riveste è di straordinaria fattura.

Ricchezza di colori, naturalmente, a dipingere una rutilante corte spagnola; ma colori tenui, dove l'elemento melodico (piccoli cori femminili su vaghissimi pizzicati d'archi e d'arpa, le danze svolte su melodie di sapore arcaico) ricrea con eleganza di stampo marcatamente liberty l'elemento rinascimentale tanto di moda nella sensibilità neoromantica di fine secolo. Ma se la cornice ambientale è riuscita benissimo, sensazionale è il quadro che essa racchiude: melodie di struggimento addirittura lancinante (Berg, d'altronde, trovava quest'opera «d'una tragicità così tormentosa da essere quasi intollerabile"), come lo stupefatto tema che il corno inglese svolge alzandosi dall'informe brontolio dei fagotti ad accompagnare l'entrata del Nano; timbri freddi e lucenti posti ad avvolgere l'accompagnamento del canto del protagonista, al contrario denso e di colorito marcatamente più scuro; un'adesione canto-testo capace di rivela-

1856

re appieno lo strepitoso talento liederistico di Zemlinsky, restato anch'esso per lungo tempo nell'oblio e che recenti riproposte - anche discografiche, per fortuna - consentono invece di classificare tra le maggiori d'ogni tempo.

L'interpretazione che ditale superba composizione realizza qui James Conlon alla testa della sua ottima orchestra di Colonia, è per fortuna esemplare: tale, comunque, da eclissare del tut, to l'unico precedente, costituito da un'incisione della Koch diretta da Albrecht, cui va solo riconosciuto il merito d'aver riacceso, sia pure fuggevolmente, l'interesse per simile capolavoro. Oltre a tutto, quell'edizione costituiva l'appro.. do discografico dell'allestimento andato in scena ad Amburgo sotto la regia di Adolf Dresen, il quale aveva pesantemente - e inaccettabil mente - alterato il testo e scorciato la musica (oltre un quarto d'ora in meno rispetto a Cons bon), riuscendo ad avvicinarlo di più a Wilde ma con ciò allontanandolo in misura significativa da Zemlinsky.

Una direzione vibratile, tutta tesa ad alleggerire e a chiaroscurare una tela preraffaellita anziché ad accentuare la tragicità d'un olio ispirato a Moreau; a evidenziare una tensione fatta di inquietudine, di dolcezza melanconica via via in' crespata di sgomento e disperazione; a rivestire d'aerea trasparenza, di colori tersi e lumine, scenti gli involi melodici che letteralmente fan' no lievitare una partitura dove la raffinatezza estrema mai scade a maniera, per conservare in vece un'immediatezza drammatica di strepitosa comunicativa. Il perché insomma, nel normale. repertorio teatrale, l'eventuale dittico Tragedia fiorentina III nano non sia normale almeno quam to lo è l'inevitabile Cavalleria / Pagliacci, è cose che -specie ascoltando un'esecuzione di simile livello - risulta francamente incomprensibile. i Per fortuna, poi, una direzione magnifica non viene mortificata ma al contrario esaltata da un cast praticamente perfetto. David Kuebler nod ha quel che si dice un timbro baciato dagli de ma canta molto bene e soprattutto è artista au tentico: il dramma sta tutto nella progressiva presa di coscienza del Nano, e lui sa renderle con proprietà, varietà, fantasia d'accenti tali da disegnare un oscillogramma psicologico di for midabile effetto. La nobiltà un po' distaccata e manierosa delle prime frasi trapassa nella strana, struggente melanconia della canzone "come quella che il sole esala affondando nel mare";

ritratta con estremo acume la tensione sentimentale via via crescente nella scena con l'Infanta (stupenda, in particolare, la frase "non so cose sia l'amore, Principessa, ma se è la paura, allori io ti amo"); è però soprattutto eccezionale Kuebler, nel grande monologo davanti allo specchio, apice il terribile lampo di compren done "E come sono io" che la profonda uma iità d'uno spirito nobile lancia alla deforme im nagine di se stesso contemplata su quella lucz

da superficie di cui lo strumentale rende stupendamente lo scintillare gelido e distaccato.

Molto brava anche Sode Isokoski, che all'Infanta conferisce carnosità insinuante ma tutta di testa, dove l'eleganza fa blocco con la freddezza più ironica e tagliente, specchio di un'intelligenza tanto acuta quanto arida: molto più aderente, in questo modo, alle intenzioni di Zemlinsky così ben intuite da Klaren, allorché fa concludere l'opera con l'Infanta che - nel contemplare il Nano morto di crepacuore davanti alla propria immagine riflessa di cui ha finalmente compreso il significato - esclama "Dio, debbo tornare al ballo!" su di una raffinatissima voluta melodica, l'aridità connessa alla troppo ricercata civiltà svelandosi assai meglio (perché molto più stile-Alma) di quanto non possano le parole di Wilde "La prossima volta che mi fate giocare con qualcuno, procurate non abbia un cuore". Parti minori scelte alla perfezione, registrazione assolutamente esemplare. Unico lieve disappunto, il fatto che i due CD contengano soltanto ottantasette minuti: sarebbe stato molto gentile, penso, includere altra musica di Zemlinsky - la stupenda Sirenetta sarebbe stata scelta ideale anche per allargare ulteriormente la conoscenza d'un autore che sempre più s'impone come tra i maggiori del secolo.

IL CERCHIO DI GESSO

(Der Kreiderkreis)

(opera in tre atti di Kiabund, pseudonimo di Alfred Henschke)

Zurigo 1933

Personaggi: Tschang-Haitang, Mrs. Tschang, Ma, Mrs. Ma, Tschao, Pao

1991 -RenateBehle, Gabriele Schreckenbach, Roland Hermann, Gertrud Ottenthal, Siegfried Lorenz, Reiner Goldberg, orchestra sinfonica di Radio Berlino, direttore Stefan Soltesz

CAPRICCIO (2 CD) ***