LA SIGNORA DELLE CAMELIE

by Alexandre Dumas

LASIG­NO­RADEL­LE­CAMELIEdi­Alexan­dreDu­mas

LA SIG­NO­RA DELLE CAMELIE di Alexan­dre Du­mas.

 

 

 

 

 

 

 

 

      IN­DICE.

 

      Capi­to­lo 1: pag­ina 4.

      Capi­to­lo 2: pag­ina 13.

      Capi­to­lo 3: pag­ina 22.

      Capi­to­lo 4: pag­ina 31.

      Capi­to­lo 5: pag­ina 43.

      Capi­to­lo 6: pag­ina 54.

      Capi­to­lo 7: pag­ina 65.

      Capi­to­lo 8: pag­ina 79.

      Capi­to­lo 9: pag­ina 90.

      Capi­to­lo 10: pag­ina 103.

      Capi­to­lo 11: pag­ina 118.

      Capi­to­lo 12: pag­ina 133.

      Capi­to­lo 13: pag­ina 144.

      Capi­to­lo 14: pag­ina 157.

      Capi­to­lo 15: pag­ina 171.

      Capi­to­lo 16: pag­ina 180.

      Capi­to­lo 17: pag­ina 193.

      Capi­to­lo 18: pag­ina 203.

      Capi­to­lo 19: pag­ina 214.

      Capi­to­lo 20: pag­ina 223.

      Capi­to­lo 21: pag­ina 231.

      Capi­to­lo 22: pag­ina 242.

      Capi­to­lo 23: pag­ina 253.

      Capi­to­lo 24: pag­ina 265.

      Capi­to­lo 25: pag­ina 280.

      Capi­to­lo 26: pag­ina 291.

      Capi­to­lo 27: pag­ina 309.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

      CAPITOLO 1.

 

      Pen­so che non si pos­sano creare dei per­son­ag­gi sen­za aver  stu­di­ato  a

      fon­do  gli  uo­mi­ni,  come non si può par­lare una lin­gua che a pat­to di

      aver­la im­para­ta se­ri­amente.

      Non aven­do an­co­ra rag­giun­to l'età nel­la quale s'in­ven­ta, mi ac­con­tento

      di riferire.

      In­vi­to per­tan­to il  let­tore  a  con­vin­cer­si  del­la  re­altà  di  ques­ta

      sto­ria, di cui tut­ti i per­son­ag­gi, tranne la pro­tag­onista, sono an­co­ra

      vivi.

      Del resto, a Pa­ri­gi molti potreb­bero tes­ti­mo­ni­are la mag­gior parte dei

      fat­ti  che  qui de­scriverò,  e potreb­bero con­fer­mar­li,  se la mia so­la

      tes­ti­mo­ni­an­za  non  fos­se  suf­fi­ciente,   ma,   per  una   par­ti­co­lare

      cir­costan­za,  soltan­to  io  pos­so  nar­rar­li,  per­ché  so­lo a me furono

      con­fi­dati  gli  ul­ti­mi  par­ti­co­lari,   sen­za  i  quali  sarebbe  sta­to

      im­pos­si­bile fornire un rac­con­to in­ter­es­sante e com­pi­uto.

      Ec­co in che mo­do mi furono re­si noti quei fat­ti.  Il 12 mar­zo 1847, in

      rue Laf­fitte,  potei leg­gere un grande man­ifesto gi­al­lo che an­nun­ci­ava

      una  ven­di­ta  all'as­ta  di  mo­bili  e  di  rare cu­riosità.  La ven­di­ta

      avveni­va in se­gui­to al­la morte del pro­pri­etario,  sull'avvi­so non  era

      scrit­to  il  nome del de­fun­to,  ma si dice­va che la ven­di­ta si sarebbe

      tenu­ta il giorno 16,  da mez­zo­giorno alle cinque,  al nu­mero 9 di  rue

      d'Antin.

      Il  man­ifesto  an­nun­ci­ava  in­oltre che il 13 e il 14 si sarebbe po­tu­to

      vis­itare l'ap­par­ta­men­to con i mo­bili.

      Sono sem­pre sta­to un am­atore di ogget­ti rari, e mi riproposi per­ciò di

      non  perdere  l'oc­ca­sione  di  vedere  questi,   e  forse   an­che   di

      ac­quis­tar­li.

      L'in­do­mani,  mi  re­cai  al  nu­mero 9 di rue d'Antin.  Nonos­tante fos­se

      an­co­ra mat­ti­na presto,  l'ap­par­ta­men­to era già in­va­so dai vis­ita­tori e

      an­che  da  vis­ita­tri­ci  che per quan­to vestite di vel­lu­to,  av­volte in

      ca­chemire  e  at­tese  al­la  por­ta  dalle   loro   el­egan­ti   car­rozze,

      con­tem­pla­vano con stu­pore,  e an­che con am­mi­razione, quel lus­so che si

      of­fri­va ai loro oc­chi.  Quell'am­mi­razione e quel­lo stu­pore  mi  furono

      chiari  più tar­di,  quan­do,  guardan­do­mi in­torno,  potei ac­corg­er­mi di

      es­sere nell'abitazione di una man­tenu­ta.

      Ora,  se c'è una cosa che le sig­nore del­la  buona  so­ci­età  desider­ano

      conoscere  -  e  in­fat­ti quelle vis­ita­tri­ci ap­partenevano ap­pun­to al­la

      buona so­ci­età - è pro­prio la casa di quelle donne  il  cui  guardaro­ba

      quo­tid­iano su­pera per fas­to il loro,  e che han­no, come loro e ac­can­to

      a loro,  palchi ris­er­vati all'Opéra e al Théâtre des Ital­iens,  e  che

      sfog­giano,  per le strade di Pa­ri­gi, l'in­so­lente ab­bon­dan­za del­la loro

      bellez­za, dei loro gioiel­li, dei loro scan­dali.

      Colei che vive­va nell'ap­par­ta­men­to mi trova­vo era mor­ta: e  dunque  le

      sig­nore più vir­tu­ose pote­vano fi­nal­mente en­trare fi­no nel­la sua stan­za

      da let­to.

      La  morte  ave­va  pu­rifi­ca­to  l'aria  di  quel­la  splen­di­da  fogna;  e

      d'al­tronde le vis­ita­tri­ci ave­vano come  scusa,  qualo­ra  ce  ne  fos­se

      sta­to  bisog­no,  il  fat­to  di  es­sere venute per una ven­di­ta all'as­ta

      sen­za conoscere il nome del­la padrona di casa.

      Ave­vano let­to un man­ifesto,  e ora vol­evano  vedere  e  scegliere  gli

      ogget­ti  che quel man­ifesto promet­te­va: nul­la di più sem­plice,  il che

      tut­tavia,  non im­pe­di­va loro di  cer­care,  in  mez­zo  a  tutte  quelle

      mer­av­iglie,  le  trac­ce  di quel­la vi­ta dis­so­lu­ta sul­la quale,  cer­to,

      ave­vano udi­to tan­ti strani rac­con­ti.

      Ma purtrop­po i mis­teri er­ano mor­ti con la loro dea; e mal­gra­do la loro

      buona volon­tà,  quelle dame rius­cirono a sco­prire so­lo ciò che era  in

      ven­di­ta  dopo  la morte,  e non ciò che si vede­va quan­do la padrona di

      casa era an­co­ra vi­va.

      Del  resto,  c'era  davvero  di  che  ac­quistare.   L'arreda­men­to  era

      splen­di­do.  Mo­bili  di  Boule  e  in  leg­no di rosa,  vasi cine­si e di

      Sèvres, stat­uette di Sas­so­nia, stoffe di ra­so, vel­lu­ti, mer­let­ti,  non

      man­ca­va niente.

      Io  mi  ag­gi­ra­vo nell'ap­par­ta­men­to,  seguen­do le no­bili cu­riose che mi

      ave­vano pre­ce­du­to.  Esse en­trarono in una stan­za tappez­za­ta di  stoffe

      per­siane,  e  an­ch'io  sta­vo per en­trarvi,  quan­do ne us­cirono quasi a

      pre­cip­izio, sor­ri­den­do come ver­gog­nose di quel­la nuo­va in­tru­sione.

      Il mio deside­rio di en­trare in quel­la stan­za ne fu au­men­ta­to.

      Era lo spoglia­toio,  for­ni­to di og­ni specie  di  stru­men­ti  nei  quali

      pare­va es­ser­si espres­sa al mas­si­mo la prodi­gal­ità del­la de­fun­ta.

      Su  un  grande  tavo­lo  ac­costa­to  al muro,  grande tre pie­di per sei,

      splen­de­vano tut­ti i tesori di  An­coe  e  di  Odi­ot.  Era  pro­prio  una

      mag­nifi­ca collezione,  e fra tut­ti quegli ogget­ti, così in­dis­pens­abili

      a una don­na come quel­la pres­so la quale ci trovava­mo, non ce n'era uno

      che non fos­se d'oro o d'ar­gen­to.

      Tut­tavia quel­la rac­col­ta non pote­va es­sere sta­ta fat­ta che  poco  al­la

      vol­ta, e non era cer­to sta­to un so­lo amore a com­ple­tar­la.

      Io, che non mi scan­dal­iz­za­vo cer­to al­la vista del­lo spoglia­toio di una

      man­tenu­ta, mi di­verti­vo a os­ser­varne i par­ti­co­lari, di qual­si­asi tipo,

      e   mi  ac­cor­si  che  tut­ti  quegli  uten­sili  mirabil­mente  ce­sel­lati

      por­ta­vano mono­gram­mi vari e coro­ne di­verse.

      Guar­da­vo tut­ti quegli ogget­ti,  og­nuno dei quali sig­nifi­ca­va  ai  miei

      oc­chi un pas­so avan­ti del­la pove­ri­na sul­la stra­da del­la pros­ti­tuzione,

      e  mi  an­da­vo  di­cen­do  che  Dio era sta­to mis­eri­cor­dioso ver­so di lei

      poiché  non  ave­va  per­me­sso  che   giungesse   al   soli­to   cas­ti­go,

      con­sen­ten­dole  di morire nel pieno del suo lus­so e del­la sua bellez­za,

      pri­ma  di  conoscere  la  vec­chi­aia,   che  è  la  pri­ma  morte  delle

      cor­ti­giane.

      Che c'è in­fat­ti di più triste del­la vec­chi­aia del vizio,  spe­cial­mente

      nel­la don­na? Es­sa non ha in sé nes­suna dig­nità e non ispi­ra in­ter­esse.

      Quel con­tin­uo pen­tir­si,  non di avere per­cor­so una cat­ti­va stra­da,  ma

      di  avere  sbaglia­to  i  pro­pri  cal­coli  e  di avere mal imp­ie­ga­to il

      pro­prio denaro, è una delle cose più tristi che si pos­sano im­mag­inare.

      Ho conosci­uto un'an­ti­ca pros­ti­tu­ta al­la quale non resta­va del  pas­sato

      che  una  figlia  bel­la  quasi  quan­to  lo era sta­ta lei,  a det­ta dei

      con­tem­po­ranei. Quel­la povera fan­ci­ul­la,  al­la quale la madre non ave­va

      mai  det­to:  “Sei  mia  figlia” se non per or­di­narle di sfamare la sua

      vec­chi­aia come lei  ave­va  sfam­ato  la  sua  in­fanzia,  quel­la  povera

      crea­tu­ra si chia­ma­va Louise,  e,  obbe­den­do a sua madre,  si con­cede­va

      sen­za volon­tà,  sen­za pas­sione,  sen­za  pi­acere,  come  avrebbe  fat­to

      qual­si­asi mestiere che avessero pen­sato di in­seg­narle.

      Il  con­tin­uo  spet­ta­co­lo  del­la cor­ruzione,  del­la cor­ruzione pre­coce,

      al­imen­ta­ta dal­la salute sem­pre pre­caria del­la ragaz­za, ave­va sof­fo­ca­to

      in lei quel­la conoscen­za del bene e del male che forse  Dio  le  ave­va

      da­to ma che nes­suno ave­va pen­sato a svilup­pare.

      Ri­corderò  sem­pre quel­la ragaz­za,  che pas­sa­va sui vi­ali quasi tut­ti i

      giorni al­la stes­sa ora.

      Sua madre l'ac­com­pa­gna­va sem­pre,  con un'as­siduità di una  ve­ra  madre

      che ac­com­pa­gnasse la pro­pria ve­ra figlia.

      Ero molto gio­vane,  a quel tem­po,  e pron­to ad ac­cettare per me stes­so

      la facile morale del mio se­co­lo;  mi ri­cor­do  però  che  la  vista  di

      quel­la scan­dalosa sorveg­lian­za mi ispi­ra­va dis­prez­zo e dis­gus­to.

      Si  ag­giun­ga  che  nes­sun vi­so di vergine avrebbe po­tu­to ri­flet­tere lo

      stes­so sen­ti­men­to di in­no­cen­za,  una sim­ile espres­sione di ma­lin­con­ica

      sof­feren­za.  La  si sarebbe det­ta un'im­mag­ine del­la Rasseg­nazione.  Un

      giorno,  il volto di quel­la fan­ci­ul­la  si  rischiarò.  In  mez­zo  al­la

      cor­ruzione  di  cui sua madre regge­va le fi­la,  sem­brò al­la pec­ca­trice

      che Dio vo­lesse con­ced­er­le la fe­lic­ità.

      E per­ché,  dopo tut­to,  Dio che l'ave­va  cre­ata  sen­za  forza  avrebbe

      dovu­to  las­cia­rla  sen­za  con­for­to,  sot­to  il pe­so do­loroso del­la sua

      vi­ta? Un giorno, dunque, si ac­corse di es­sere in­cin­ta,  e quel­la parte

      di  lei che era ri­mas­ta in­con­tam­ina­ta trasalì di gioia.  L'an­ima umana

      ha una strana ca­pac­ità di eva­sione.

      Louise corse ad an­nun­cia­re al­la madre quel­la no­tizia  che  la  ren­de­va

      così fe­lice.  E' ver­gog­noso dir­lo, ma, d'al­tra parte, noi non fac­ciamo

      qui sfog­gio di im­moral­ità, rac­con­ti­amo un fat­to vero che sarebbe forse

      meglio tacere,  se non fos­si­mo con­vin­ti che  è  nec­es­sario,  a  volte,

      ren­dere no­to il mar­tirio di quegli es­seri che ven­gono con­dan­nati sen­za

      as­coltar­li,  dis­prez­za­ti sen­za giu­di­car­li; è ver­gog­noso, ripeti­amo, ma

      la madre rispose a sua  figlia  che  quel­lo  che  ave­vano  era  ap­pe­na

      suf­fi­ciente per due e che non sarebbe cer­to bas­ta­to per tre; che cer­ti

      bam­bi­ni sono inu­tili e che una gravi­dan­za è tem­po per­so.

      Il giorno dopo, una le­va­trice, che in­dichi­amo qui so­la­mente come am­ica

      del­la  madre,  vis­itò Louise,  che ri­mase qualche giorno a let­to,  per

      ri­alzarsene più pal­li­da e de­bole che mai.

      Tre mesi dopo,  un  uo­mo  ebbe  pietà  di  lei  e  ten­tò  di  guarir­la

      moral­mente e fisi­ca­mente;  ma l'ul­ti­mo colpo era sta­to trop­po grave, e

      Louise morì per le con­seguen­ze dell'abor­to.

      La madre è an­co­ra vi­va: come? So­lo Dio lo sa.

      Ques­ta sto­ria mi era tor­na­ta in mente men­tre  guar­da­vo  i  servizi  da

      to­let­ta  in  ar­gen­to,  e  ave­vo  pas­sato  un  po'  di  tem­po in queste

      ri­fles­sioni,  a quan­to pare­va,  per­ché nell'ap­par­ta­men­to  non  er­ava­mo

      ri­masti che io e un cus­tode che,  sul­la por­ta, vig­ila­va con at­ten­zione

      che non rubassi niente.

      Mi avvic­inai al­lo­ra al brav'uo­mo a cui ispi­ra­vo tim­ori così gravi.

      “Sig­nore”,  gli chiesi,  "potreste dir­mi il  nome  del­la  per­sona  che

      abita­va qui?".

      “Era made­moi­selle Mar­guerite Gau­ti­er”.

      Conosce­vo quel­la ragaz­za di nome e di vista.

      “Come!”, es­cla­mai, “Mar­guerite Gau­ti­er è mor­ta?”.

      “Sì, sig­nore”.

      “Quan­do?”.

      “Da tre set­ti­mane, cre­do”.

      “E come mai per­me­ttono che si vis­iti l'ap­par­ta­men­to?”.

      "I  cred­itori  pen­sano  che  sia  un  mo­do per far salire il prez­zo di

      ven­di­ta. La gente può vedere in an­ticipo quale ef­fet­to fan­no le stoffe

      e i mo­bili; voi capite, questo in­cor­ag­gia all'ac­quis­to".

      “Ave­va dunque deb­iti?”.

      “Oh, sig­nore, una quan­tità!”.

      “Ma la ven­di­ta rius­cirà a co­prir­li?”.

      “Ce ne sarà d'avan­zo”.

      “A chi an­drà il di più, dunque?”.

      “Al­la famiglia”.

      “Ave­va dunque una famiglia?”.

      “Sì”.

      “Gra­zie, sig­nore”.

      Il cus­tode, ras­si­cu­ra­to cir­ca le mie in­ten­zioni,  mi salutò e io me ne

      andai.

      “Pove­ri­na”  dice­vo  tra  me  e me rin­casan­do,  "dev'es­sere mor­ta molto

      tris­te­mente,  per­ché nel suo am­bi­ente si han­no am­ici so­lo a  pat­to  di

      star  bene  in  salute",  e mio mal­gra­do mi impi­eto­si­vo sul­la sorte di

      Mar­guerite Gau­ti­er.

      Questo sem­br­erà ridi­co­lo a molti, ma io ho una im­men­sa com­pas­sione per

      le cor­ti­giane, e non mi sog­no nep­pure di met­ter­la in dis­cus­sione.

      Un  giorno,   men­tre  an­da­vo  al­la  prefet­tura  per  ri­ti­rare  il  mio

      pas­sapor­to,  vi­di in una delle strade adi­acen­ti una ragaz­za trasci­na­ta

      da due gen­dar­mi. Non conosco la col­pa di quel­la ragaz­za, ma pos­so dire

      soltan­to che pi­ange­va a calde lacrime strin­gen­do a sé  un  bam­bi­no  di

      qualche mese dal quale l'ar­resto la sep­ar­ava.

      Da  quel  giorno,  non  ho  mai  più  dis­prez­za­to una don­na al­la pri­ma

      im­pres­sione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

      CAPITOLO 2.

 

      La ven­di­ta era fis­sa­ta per il 16.

      Era sta­to las­ci­ato un giorno d'in­ter­val­lo tra  quel­lo  des­ti­na­to  alle

      vis­ite  e quel­lo dell'as­ta,  per­ché i tappezzieri avessero il tem­po di

      stac­care i parati e le tende.

      Ero ap­pe­na tor­na­to da un vi­ag­gio.  Era  ab­bas­tan­za  nat­urale  che  non

      aves­si  sa­puto  del­la morte di Mar­guerite come di una di quelle gran­di

      no­tizie che gli am­ici si af­fret­tano a  co­mu­ni­care  a  chi  fa  ri­torno

      nel­la cap­itale delle novità.

      Mar­guerite  era  bel­la,  ma  se  così  tan­to  scal­pore sus­ci­ta la vi­ta

      strav­agante di quelle donne,  al­tret­tan­to  poco  ne  sus­ci­ta  la  loro

      morte.

      Sono stelle che tra­mon­tano così come sorsero, sen­za ful­go­re.

      Quan­do  muoiono  in  età  gio­vane,  la  no­tizia del­la loro morte viene

      sa­pu­ta con­tem­po­ranea­mente da tut­ti i  loro  aman­ti,  per­ché  a  Pa­ri­gi

      quasi tut­ti col­oro che sono stati in­ti­mi con una don­na no­ta sono am­ici

      tra di loro;  es­si si scam­biano al­lo­ra qualche ri­cor­do su di lei, e la

      vi­ta di tut­ti con­tin­ua sen­za che l'avven­imen­to la  tur­bi,  fos­se  pure

      con una so­la lacrima.

      Al  giorno d'og­gi,  quan­do si han­no ven­ticinque an­ni,  le lacrime sono

      di­ven­tate una cosa tan­to preziosa da non pot­er  es­sere  con­ces­sa  al­la

      pri­ma venu­ta.

      E' già molto se i gen­itori,  che pagano per es­sere pi­anti,  lo sono in

      ra­gione del­la som­ma spe­sa.

      Quan­to a me, benché il mio mono­gram­ma non si trovasse su nes­suno degli

      ogget­ti di Mar­guerite,  quell'istin­ti­va  in­dul­gen­za,  quel­la  nat­urale

      com­pas­sione che poco fa ho con­fes­sato,  mi face­va ri­flet­tere sul­la sua

      morte più a lun­go, forse, che di quan­to non mer­itasse.

      Mi ri­cor­da­vo di aver in­con­tra­to spes­so Mar­guerite  lun­go  gli  Champs-

      Elysées,  dove  an­da­va  og­ni  giorno,  as­sid­ua­mente,  in  un ca­lessi­no

      az­zur­ro,  tira­to da due splen­di­di cav­al­li bai;  ave­vo no­ta­to in lei un

      por­ta­men­to   poco  co­mune  alle  sue  pari,   che  face­va  risplen­dere

      mag­gior­mente una bellez­za già fuori dell'or­di­nario.

      Quelle  sci­agu­rate  crea­ture,  quan­do  es­cono  di  casa,  sono  sem­pre

      ac­com­pa­gnate non si sa da chi.

      Da­to  nes­sun uo­mo ac­consente a mostrare pub­bli­ca­mente l'amore not­turno

      che ha per loro,  e sic­come esse  odi­ano  la  soli­tu­dine,  si  por­tano

      di­etro o quelle che,  meno for­tu­nate,  non possiedono una car­roz­za,  o

      qual­cu­na  di  quelle  vec­chie  el­egan­tone  di  cui  niente  gius­ti­fi­ca

      l'el­egan­za e alle quali ci si può rivol­gere sen­za scrupoli,  quan­do si

      desidera avere qualche no­tizia su col­oro che ac­com­pa­gnano.

      Ma non era così per Mar­guerite. Ar­riva­va agli Champs-​Elysées sem­pre da

      so­la,  cer­can­do di nascon­der­si il più pos­si­bile  nel­la  sua  car­roz­za,

      d'in­ver­no av­vol­ta in un gran ca­chemire,  d'es­tate vesti­ta con as­so­lu­ta

       so­bri­età;  e benché lun­go la sua passeg­gia­ta  abit­uale  si  trovassero

      per­sone  che conosce­va,  quan­do per ca­so sor­ride­va loro,  quel sor­riso

      era vis­ibile so­lo a queste: una duches­sa non  avrebbe  sor­riso  in  un

      al­tro mo­do.

      Non  passeg­gia­va  mai  dal  rond-​point  fi­no all'im­boc­co degli Champs-

      Elysées,  come le sue col­leghe di al­lo­ra e di og­gi;  i suoi cav­al­li la

      por­ta­vano   rap­ida­mente   al   Bois  e  lì  scen­de­va  dal­la  car­roz­za,

      passeg­gia­va per un'ora,  risali­va nel­la sua vet­tura,  e tor­na­va a casa

      al gran trot­to.

      Tut­ti  questi  par­ti­co­lari,  di cui qualche vol­ta ero sta­to tes­ti­mone,

      sfila­vano da­van­ti al­la mia mente,  e rimpiange­vo la  morte  di  quel­la

      don­na  come  si  può  rimpian­gere  la  to­tale  dis­truzione di un'opera

      d'arte.

      Era,  in­som­ma,  im­pos­si­bile trovare una bellez­za più  af­fasci­nante  di

      quel­la di Mar­guerite.

      Al­ta  e  snel­la,  fin  trop­po,  ave­va  al  mas­si­mo gra­do l'arte di far

      scom­par­ire quel difet­to del­la  natu­ra  con  una  sapi­ente  maniera  di

      ve­stir­si.

      Il  suo  ca­chemire,  lun­go fi­no a ter­ra,  las­ci­ava sfug­gire qua e là i

      larghi “volants” di un vesti­to di se­ta,  e l'am­pio man­icot­to,  in  cui

      nascon­de­va  la  mani  strin­gen­do­lo al pet­to,  era cir­conda­to da pieghe

      così abil­mente dis­poste, che l'oc­chio più es­igente non avrebbe trova­to

      niente da ridire sul con­torno di quelle forme.

      La splen­di­da tes­ta era fat­ta ogget­to di una spe­ciale civet­te­ria.

      Era molto min­uta, e sua madre, come avrebbe det­to De Mus­set,  sem­bra­va

      aver­la  fat­ta  così  per poter­la fare con mag­gior cu­ra.  Met­tete in un

      ovale di in­di­ci­bile grazia  due  oc­chi  neri  or­nati  da  so­prac­ciglia

      dall'ar­co  così  puro  da  sem­brare dis­eg­na­to;  ve­late quegli oc­chi di

      lunghe  ciglia  che,   ab­bas­san­dosi,   om­breg­gi­no  le  guance  rosate;

      trac­ciate  un  na­so  sot­tile,   drit­to,   spir­ituale,  con  le  nar­ici

      leg­ger­mente di­latate da un aneli­to di  vi­ta  sen­suale;  dis­eg­nate  una

      boc­ca re­go­lare, le cui lab­bra si schi­udano dol­cemente su den­ti bianchi

      come  il  lat­te;  col­orite  la pelle col tono vel­lu­ta­to che avvolge le

      pesche non an­co­ra sfio­rate da al­cu­na  mano,  e  avrete  l'im­mag­ine  di

      quel­la tes­ta deliziosa.

      I capel­li neri come il car­bone,  on­du­lati nat­ural­mente, o forse no, si

      di­vide­vano sul­la fronte in due larghe bande,  e si perde­vano di­etro la

      tes­ta,  mostran­do  i  lo­bi  delle  orec­chie  sui  quali brilla­vano due

      dia­man­ti di quat­tro o cin­quemi­la franchi cias­cuno.

      Come  potesse  quel­la  vi­ta  in­ten­sa  las­cia­re  in­tat­ta  sul  vi­so  di

      Mar­guerite  quell'espres­sione  verginale,   quasi  in­fan­tile,  che  lo

      carat­ter­iz­za­va,  è una cosa che dob­bi­amo ac­con­tentar­ci di  con­statare,

      sen­za poter­la com­pren­dere.

      Mar­guerite ave­va un mag­nifi­co ri­trat­to fat­tole da Vi­dal,  il so­lo uo­mo

      il cui pen­nel­lo fos­se sta­to in gra­do di ripro­durne l'as­pet­to.  Dopo la

      sua  morte,  ebbi per qualche giorno a casa mia quel ri­trat­to,  di una

      somiglian­za così stu­pe­facente,  che mi è servi­to a de­scri­vere ciò  per

      cui forse la so­la memo­ria non mi sarebbe bas­ta­ta.

      Al­cu­ni  par­ti­co­lari  li  ho  conosciu­ti  soltan­to  più  tar­di,  ma  li

      riferisco subito per  non  dover­ci  tornare  su,  quan­do  in­izierò  il

      rac­con­to aned­doti­co del­la vi­ta di ques­ta don­na.

      Mar­guerite as­sis­te­va a tutte le prime rap­pre­sen­tazioni,  e trascor­re­va

       le sue ser­ate al teatro o ai bal­li.

      Og­ni vol­ta che si recita­va una nuo­va com­me­dia, si pote­va es­sere si­curi

      di in­con­trar­la,  con tre  cose  che  non  la  las­ci­avano  mai,  e  che

      oc­cu­pa­vano  sem­pre  il  para­pet­to  del  suo  pal­co  di  pri­ma fi­la: il

      bino­co­lo, un sac­chet­to di dol­ci e un maz­zo di camelie.

      Per ven­ticinque giorni del mese le camelie er­ano bianche, e per cinque

      er­ano rosse;  non si è mai conosci­uta la ra­gione di questo cam­bi­amen­to

      di  col­ore,  che  io rac­con­to sen­za saper­lo sp­ie­gare,  e che era sta­to

      no­ta­to an­che dai suoi am­ici e dai fre­quen­ta­tori  abit­uali  dei  teatri

      dove si re­ca­va più spes­so.

      Mar­guerite non era mai sta­ta vista con al­tri fiori che camelie,  tan­to

      che dal­la sua fio­ra­ia, madame Bar­jou, ave­vano fini­to col chia­mar­la "La

      sig­no­ra dalle camelie", e il so­pran­nome le era ri­mas­to.

      Sape­vo in­oltre,  come del resto tut­ti quel­li che a Pa­ri­gi  fre­quen­tano

      un  cer­to am­bi­ente,  che Mar­guerite era sta­ta l'amante dei gio­vani più

      el­egan­ti,  che lei lo  procla­ma­va  con  or­goglio  e  che  es­si  se  ne

      van­ta­vano,   il   che   sig­nifi­ca­va   che  gli  uni  e  l'al­tra  er­ano

      re­cip­ro­ca­mente sod­dis­fat­ti.

      Tut­tavia da cir­ca tre an­ni,  dopo un vi­ag­gio a  Bag­nères,  lei  vive­va

      soltan­to, si dice­va, con un vec­chio duca straniero, enorme­mente ric­co,

      che  ave­va  cer­ca­to  di  al­lon­ta­narla  il più pos­si­bile dal­la sua vi­ta

      pas­sa­ta,  cosa che del resto lei sem­bra­va  aver­gli  per­me­sso  di  buon

      gra­do.

      Ec­co quel­lo che mi fu rac­con­ta­to a tale propos­ito.

      Nel­la pri­mav­era del 1842, Mar­guerite era così de­bole, così di­ver­sa dal

      soli­to,  che i medi­ci le or­di­narono una cu­ra di acque, e lei partì per

      Bag­nères.

      Là,  tra i malati,  c'era la figlia di quel duca,  la quale  non  so­lo

      sof­fri­va  del­la  stes­sa  malat­tia,  ma  ave­va  an­che lo stes­so vi­so di

      Mar­guerite,  al pun­to che si sarebbe po­tu­to pren­der­le per due sorelle.

      Ma  la  duchessi­na era or­mai al­la terza fase del­la tisi,  e morì pochi

      giorni dopo l'ar­ri­vo di Mar­guerite.

      Una mat­ti­na il duca,  ri­mas­to a Bag­nères come si  ri­mane  nel­la  ter­ra

      nel­la  quale ab­bi­amo se­polto una parte di noi stes­si,  vide Mar­guerite

      all'an­go­lo di un viale.

      Gli sem­brò al­lo­ra di ved­er pas­sare l'om­bra di sua figlia  e,  anda­tole

      in­con­tro,  le  prese  le  mani,  la  baciò pi­angen­do e,  sen­za nep­pure

      do­man­dar­le chi fos­se,  sup­plicò che gli fos­se per­me­sso di ved­er­la e di

      amare in lei la vi­va im­mag­ine del­la figlia mor­ta.

      Mar­guerite,  so­la  a  Bag­nères con la cameriera,  non temen­do af­fat­to,

      d'al­tra parte, di com­pro­met­ter­si, ac­cordò al duca quan­to le chiede­va.

      A Bag­nères,  c'er­ano per­sone che  la  conosce­vano  e  che  an­darono  a

      in­for­mare  uf­fi­cial­mente  il duca del­la ve­ra po­sizione di made­moi­selle

      Gau­ti­er. Fu un grave colpo per quel vec­chio,  per­ché la ras­somiglian­za

      con  sua  figlia  fini­va,  ma  era trop­po tar­di.  La gio­vane don­na era

      di­ven­ta­ta in­dis­pens­abile al suo cuore,  e il so­lo  pretesto,  la  so­la

      ra­gione per la quale con­tin­ua­va a vi­vere.

      Non le rivolse al­cun rim­provero, per­ché non ne ave­va il dirit­to, ma le

      chiese  se  si sen­tisse ca­pace di cam­biare la sua vi­ta,  of­fren­dole in

      cam­bio di quel sac­ri­fi­cio tut­ti i com­pen­si che pote­va desider­are.  Lei

      promise.

      Bisogna  dire  che  a  quell'epoca  Mar­guerite,  natu­ra gen­erosa,  era

      am­mala­ta. Il pas­sato le sem­bra­va come una delle prin­ci­pali cause del­la

      sua malat­tia,  e una specie di su­per­stizione la in­dusse a sper­are  che

      Dio  le  avrebbe  las­ci­ato  la  bellez­za e la salute in cam­bio del suo

      pen­ti­men­to e del­la sua con­ver­sione.

       In ef­fet­ti,  la cu­ra delle acque,  le passeg­giate,  il  son­no  che  la

      ris­tora­va dal­la stanchez­za nat­urale, l'ave­vano, al­la fine dell'es­tate,

      quasi rista­bili­ta in salute.

      Il  duca  la  ac­com­pa­gnò  a  Pa­ri­gi,  dove con­tin­uò a vis­itar­la come a

      Bag­nères.

      Questo legame,  di cui nes­suno pote­va conoscere né la ve­ra orig­ine  né

      il vero mo­ti­vo,  sus­citò una grande sen­sazione,  per­ché il duca,  no­to

      per le sue gran­di ric­chezze,  si  face­va  ora  conoscere  per  la  sua

      prodi­gal­ità.  Si cre­dette di ravvis­are la causa di questo at­tac­ca­men­to

      del vec­chio  duca  al­la  gio­vane  don­na  in  una  pas­sione  se­nile  di

      lib­erti­no, co­mune a molti vec­chi da­narosi.

      A  tut­to si pen­sò,  tranne che al­la ver­ità.  Tut­tavia il sen­ti­men­to di

      quel padre per Mar­guerite era di natu­ra così cas­ta,  che  gli  sarebbe

      sem­bra­to  in­ces­tu­oso  og­ni  al­tro  rap­por­to  con  lei  che  non  fos­se

      es­clu­si­va­mente d'af­fet­to,  e mai le rivolse una so­la  paro­la  che  una

      figlia non avrebbe po­tu­to as­coltare.

      Lon­tana  da  noi  l'idea di fare del­la nos­tra pro­tag­onista una per­sona

      di­ver­sa da quel­la che fu in re­altà;  di­re­mo dunque che fi­no  a  quan­do

      ri­mase a Bag­nères,  non le fu dif­fi­cile man­tenere la promes­sa fat­ta al

      duca,  e la man­tenne;  ma ap­pe­na fu tor­na­ta a Pa­ri­gi,  sem­brò a quel­la

      don­na,  abit­ua­ta al­la vi­ta dis­so­lu­ta, ai bal­li, perfi­no alle orge, che

      la soli­tu­dine,  in­ter­rot­ta so­lo di tan­to in  tan­to  dalle  vis­ite  del

      duca,  l'avrebbe fat­ta morire di noia, e gli ar­den­ti ri­cor­di del­la sua

      vi­ta di pri­ma le av­vam­parono in­sieme la tes­ta e il cuore.

      Ag­giungete a questo che Mar­guerite era tor­na­ta  dal  suo  vi­ag­gio  più

      bel­la che mai, che ave­va vent'an­ni, e che la malat­tia, as­so­pi­ta ma non

      vin­ta,  con­tin­ua­va a sus­ci­tar­le desideri feb­brili, quasi sem­pre legati

      alle malat­tie di pet­to.

      Il duca provò quin­di un gran do­lore quan­do i  suoi  am­ici,  sem­pre  in

      ag­gua­to  per  sor­pren­dere  uno  scan­da­lo nel­la vi­ta del­la don­na con la

      quale,  sec­on­do loro,  si an­da­va com­pro­met­ten­do,  gli riv­elarono e gli

      provarono  che  quan­do  era  si­cu­ra che egli non sarebbe anda­to da lei

      riceve­va vis­ite,  e che tali vis­ite si pro­trae­vano  spes­so  fi­no  al­la

      mat­ti­na  dopo.  In­ter­ro­ga­ta,  Mar­guerite  con­fessò  og­ni cosa al duca,

      con­siglian­dogli,  sen­za ris­erve men­tali,  di smet­tere di oc­cu­par­si  di

      lei,  per­ché non si sen­ti­va così forte da man­tenere gli im­peg­ni pre­si,

      e non vol­eva ac­cettare più la gen­erosità di un uo­mo che lei in­gan­na­va.

      Il duca ri­mase ot­to giorni sen­za far­si vedere,  ma non  poté  fare  di

      più,  e,  l'ot­ta­vo giorno,  venne a sup­pli­care Mar­guerite di ricev­er­lo

      an­co­ra, promet­ten­dole che l'avrebbe ac­cetta­ta così com'era, purché gli

      fos­se con­ces­so di fre­quen­tar­la, e giu­ran­dole che,  a cos­to di morirne,

      non  le  avrebbe  mai  ri­volto  un  so­lo rim­provero.  Ec­co a che pun­to

      sta­vano le cose tre mesi dopo  il  ri­torno  di  Mar­guerite,  cioè  nel

      novem­bre o dicem­bre 1842.

 

      CAPITOLO 3.

 

      Il 16, all'una, andai in rue d'Antin.

      Già  dal por­tone si sen­ti­vano gri­dare i ban­di­tori.  L'ap­par­ta­men­to era

      pieno di cu­riosi.

      C'er­ano tutte le più el­egan­ti celebrità del mon­do del vizio, sbir­ci­ate

      di sot­tec­chi da al­cune gran­di dame che ave­vano colto an­co­ra una  vol­ta

      il  pretesto  di  quel­la  ven­di­ta per pot­er vedere da vi­ci­no donne che

      al­tri­men­ti non avreb­bero mai avu­to  oc­ca­sione  di  in­con­trare,  e  che

      forse in­vidi­avano in seg­re­to per i loro fa­cili pi­ac­eri.

      La  duches­sa de F.  sta­va gomi­to a gomi­to con made­moi­selle de A.,  uno

      dei più ma­lin­coni­ci es­em­pi di mod­er­na cor­ti­giana;  la march­esa  de  T.

      es­ita­va nel con­tendere l'ac­quis­to di un mo­bile a madame D., l'adul­tera

      più el­egante e più no­ta del­la nos­tra epoca; il duca d'Y., che a Madrid

      cre­de­vano  si rov­inasse a Pa­ri­gi e che a Pa­ri­gi cre­de­vano si rov­inasse

      a Madrid, e che, al­la fine dei con­ti,  non da­va nep­pure fon­do alle sue

      ren­dite,  chi­ac­chieran­do con madame M., una delle nos­tre più spir­itose

      nar­ra­tri­ci,  che si deg­na di tan­to in tan­to di scri­vere ciò che dice e

      di fir­mare ciò che scrive, scam­bi­ava oc­chi­ate con­fi­den­ziali con madame

      de  N.,  la  bel­la  peri­patet­ica  degli  Champs-​Elysées,  quasi sem­pre

      vesti­ta di rosa o di az­zur­ro,  la cui car­roz­za è tira­ta da due  gran­di

      cav­al­li neri che Tony le ha ven­du­to per diec­im­ila franchi e che lei ha

      pa­ga­to;  made­moi­selle A., in­fine, al­la quale il so­lo in­geg­no frut­ta il

      doppio di quan­to frut­ti alle sig­nore del­la buona so­ci­età la dote, e il

      trip­lo di quel che frut­ta alle al­tre l'amore,  era venu­ta,  nonos­tante

      il fred­do, a fare qualche ac­quis­to, e non era cer­to la meno os­ser­va­ta.

      Potrem­mo con­tin­uare a in­di­care le in­iziali di molte per­sone ri­unite in

      quel  sa­lone,  per­al­tro as­sai stupite di trovar­si in­sieme;  ma avrem­mo

      tim­ore di an­noiare il let­tore.

      Di­ci­amo so­lo che tut­ti er­ano in pre­da a un'al­le­gria  sfre­na­ta,  e  che

      fra  tutte quelle donne che si trova­vano là,  molte ave­vano conosci­uto

      la mor­ta, ma non sem­bra­vano ri­cor­darsene. Si ride­va forte; i ban­di­tori

      gri­da­vano a squar­ci­ago­la;  i mer­can­ti che ave­vano  oc­cu­pa­to  i  banchi

      dis­posti  di fronte ai tavoli di ven­di­ta,  cer­ca­vano in­vano di im­porre

      il silen­zio,  per con­clud­ere in pace i pro­pri af­fari.  Mai ri­unione fu

      più varia e più ru­mor­osa.  Mi in­sin­uai con dis­crezione in mez­zo a quel

      tu­mul­to, e mi rat­tris­ta­va il pen­siero che avveni­va ac­can­to al­la cam­era

      dove era mor­ta la sven­tu­ra­ta,  i cui mo­bili veni­vano posti in  ven­di­ta

      per  pa­gar­ne  i  deb­iti.   Venu­to  per  os­ser­vare  pi­ut­tosto  che  per

      ac­quistare, guar­da­vo le fac­ce dei for­ni­tori che ave­vano vo­lu­to l'as­ta,

      e i cui volti si il­lu­mi­na­vano og­ni vol­ta che un ogget­to  sali­va  a  un

      prez­zo  che  es­si  non avreb­bero sper­ato.  Per­sone dabbene che ave­vano

      spec­ula­to sul­la pros­ti­tuzione di quel­la don­na,  che ave­vano guadag­na­to

      su  di  lei il cen­to per cen­to,  che ave­vano perse­gui­tato con la car­ta

      bol­la­ta gli ul­ti­mi is­tan­ti del­la sua vi­ta, e che veni­vano, dopo la sua

      morte, a rac­cogliere il frut­to dei loro on­esti cal­coli in­sieme con gli

      in­ter­es­si dei  loro  ver­gog­nosi  cred­iti.  Come  ave­vano  ra­gione  gli

      an­tichi, che at­tribuiv­ano lo stes­so Dio ai mer­can­ti e ai ladri! Vesti,

      pel­lic­ce,  gioiel­li,  er­ano  ven­du­ti  con  in­cred­ibile  ra­pid­ità.  Non

      trova­vo niente che mi in­ter­es­sasse,  e as­pet­ta­vo an­co­ra.  A un trat­to,

      udii gri­dare: "Un vol­ume,  per­fet­ta­mente ri­le­ga­to,  col taglio do­ra­to,

      dal tito­lo Manon Lescaut.  Vi sono al­cune pa­role scritte  sul­la  pri­ma

      pag­ina.  Dieci  franchi“.  ”Dod­ici",  disse  una voce dopo un silen­zio

      pi­ut­tosto lun­go. “Quindi­ci”, repli­cai io.  Per­ché mai?  Non lo sape­vo.

      Cer­to per quelle “pa­role scritte”. “Quindi­ci”, ripeté il ban­di­tore.

      “Trenta”,  disse  il  pri­mo  of­fer­ente  con un tono che sem­bra­va vol­er

      scor­ag­gia­re og­ni of­fer­ta suc­ces­si­va.

      L'as­ta di­ven­ta­va una lot­ta.

      “Trentac­inque!”, es­cla­mai con lo stes­so tono.

      “Quar­an­ta”.

      “Cin­quan­ta”.

       “Ses­san­ta”.

      “Cen­to”.

      Con­fes­so che se aves­si vo­lu­to fare  im­pres­sione  ci  sarei  pien­amente

      rius­ci­to,  per­ché  a  ques­ta  mia of­fer­ta si fece un gran silen­zio,  e

      tut­ti mi guardarono per cer­care di capire chi fos­se quel  sig­nore  che

      sem­bra­va così de­ciso a en­trare in pos­ses­so di quel vol­ume.

      Pare­va che il tono da­to al­la mia ul­ti­ma of­fer­ta avesse con­vin­to il mio

      an­tag­onista,  il  quale  preferì  ab­ban­donare  una  lot­ta  che sarebbe

      servi­ta so­lo a far­mi pa­gare quel vol­ume dieci volte il suo prez­zo,  e,

      inchi­nan­dosi, mi disse molto cortese­mente, an­che se un po' in ri­tar­do:

      “Non in­sis­to, sig­nore”.

      Nes­sun al­tro par­lò, e il li­bro mi fu ag­giu­di­ca­to.

      Da­to  che  teme­vo una nuo­va os­ti­nazione al­la quale il mio or­goglio non

      avrebbe forse ce­du­to,  ma che cer­to avrebbe mes­so la mia bor­sa  a  mal

      par­ti­to,  fe­ci reg­is­trare il mio nome e met­tere da parte il li­bro; poi

      me ne andai.  Dovet­ti cer­to dare molto da  pen­sare  a  chi  era  sta­to

      tes­ti­mone  di  quel­la  sce­na e si do­man­da­va sen­za dub­bio a quale scopo

      ave­vo fini­to col pa­gare cen­to franchi un li­bro che avrei po­tu­to  avere

      dovunque per dieci o quindi­ci franchi al mas­si­mo.

      Un'ora dopo mandai a ri­ti­rare il mio ac­quis­to.

      Sul­la pri­ma pag­ina era scrit­ta a pen­na, con grafia el­egante, la ded­ica

      del do­na­tore del li­bro. La ded­ica con­sis­te­va in queste sole pa­role:

 

      MANON A MAR­GUERITE.

      UMIL­TA'.

 

      Era fir­ma­to: Ar­mand Du­val.

      Che sig­nifi­ca­va la paro­la: Umiltà?

      Manon,  seguen­do l'opin­ione di quel sig­nor Ar­mand Du­val ri­conosce­va in

      Mar­guerite una su­pe­ri­or­ità di cor­ruzione o di sen­ti­men­to?

      La sec­on­da in­ter­pre­tazione era cer­to  la  più  verosim­ile,  per­ché  la

      pri­ma  non  sarebbe  sta­ta  al­tro che l'espres­sione di un'im­per­ti­nente

      franchez­za che Mar­guerite non avrebbe mai ac­cetta­ta qualunque fos­se la

      sua opin­ione su se stes­sa.

      Uscii di nuo­vo,  e non mi oc­cu­pai più del li­bro se non la sera  quan­do

      tor­nai a casa.

      Cer­to,  quel­la di Manon Lescaut è una sto­ria com­movente di cui conosco

      og­ni par­ti­co­lare,  ep­pure quel vol­ume,  og­ni vol­ta che mi capi­ta sot­to

      mano, sus­ci­ta in me nuo­va sim­pa­tia; al­lo­ra lo apro per ri­vi­vere per la

      cen­tes­ima  vol­ta  la  sto­ria  dell'eroina  dell'ab­bé  Prévost.  Quel­la

      pro­tag­onista tan­to ve­ra, che mi sem­bra di aver­la conosci­uta. In quelle

      nuove cir­costanze,  il tipo di con­fron­to fat­to tra  lei  e  Mar­guerite

      for­ni­va a quel­la let­tura un'at­trat­ti­va inat­te­sa, e al­la mia in­dul­gen­za

      si  ag­giunse  pietà,  quasi  amore,  per la povera ragaz­za dal­la quale

      ave­vo ered­ita­to il vol­ume. Manon era mor­ta in un de­ser­to,  è vero,  ma

      pur  sem­pre  tra  le brac­cia di un uo­mo che l'ama­va con tutte le forze

      dell'an­ima e che,  dopo mor­ta,  le scavò  la  fos­sa,  la  cosparse  di

      lacrime e vi sep­pel­lì il pro­prio cuore;  men­tre Mar­guerite, pec­ca­trice

      come Manon,  come lei forse pen­ti­ta,  era mor­ta in mez­zo  a  un  lus­so

      fas­toso,  a  vol­er credere a ciò che ave­vo vis­to,  e nel let­to del suo

      pas­sato,  ma an­che in mez­zo al de­ser­to del cuore,  molto più  ari­do  e

      scon­fi­na­to, molto più spi­eta­to di quel­lo nel quale Manon ave­va trova­to

      se­poltura.

      In­fat­ti  Mar­guerite,  come  sep­pi  da al­cu­ni am­ici che conosce­vano gli

      ul­ti­mi avven­imen­ti del­la sua vi­ta,  non ave­va avu­to al  suo  capez­za­le

      nes­sun con­for­to du­rante i due mesi del­la sua lenta e do­lorosa ag­onia.

      Poi,  da Manon e da Mar­guerite il mio pen­siero si sof­fer­ma­va su quelle

      che conosce­vo e che vede­vo in­cam­mi­nar­si,  can­tan­do,  ver­so  una  morte

      sem­pre uguale.

      Po­vere crea­ture!  Se amar­le è male,  il meno che si pos­sa fare è cer­to

      com­pianger­le.  Si com­piange il cieco che non ha mai vis­to la luce  del

      sole,  il sor­do che non ha mai udi­to gli ac­cor­di del­la natu­ra, il mu­to

      che non ha mai espres­so la voce dei suoi sen­ti­men­ti,  e sot­to un fal­so

      pretesto  di pu­dore,  non si vuol com­pian­gere quel­la cecità del cuore,

      quel­la sor­dità dell'an­ima,  quel mutismo del­la co­scien­za  che  ren­dono

      folle la povera af­flit­ta e che la ren­dono,  suo mal­gra­do,  in­ca­pace di

      vedere il bene,  di udire il Sig­nore e di par­lare il  lin­guag­gio  puro

      dell'amore e del­la fede.

      Hugo ha cre­ato “Mar­ion De­lorme”,  Mus­set “Bernerette”, Alexan­dre Du­mas

      “Fer­nande”,  i pen­satori e i po­eti di tut­ti i tem­pi han­no of­fer­to alle

      cor­ti­giane  la  loro  pietà,  e  qualche  vol­ta un uo­mo gen­eroso le ha

      ri­abil­itate col suo amore e an­che col suo nome.  Se in­sis­to  tan­to  su

      questo pun­to è per­ché,  tra quel­li che mi leg­ger­an­no, forse molti sono

      già pron­ti a gettare via questo li­bro,  nel quale  temono  di  trovare

      soltan­to  un'apolo­gia  del vizio e del­la pros­ti­tuzione,  e cer­to l'età

      dell'au­tore con­tribuisce a  mo­ti­vare  un  sim­ile  tim­ore.  Quel­li  che

      pen­sano  così  si  ri­credano,  e con­tin­uino pure a leg­gere,  se è so­lo

      questo tim­ore a trat­ten­er­li.

      Sono sem­plice­mente con­vin­to di questo prin­ci­pio: per la don­na che  non

      è sta­ta ed­uca­ta a dis­tinguere dove sia il bene,  Dio apre quasi sem­pre

      due vie che pos­sono ri­con­durcela; queste vie sono il do­lore e l'amore.

      Sono vie ar­due,  quelle che vi si avven­tu­ra­no si in­san­guinano i pie­di,

      si lac­er­ano le mani, ma al tem­po stes­so las­ciano sui rovi del­la stra­da

      gli  or­na­men­ti del vizio,  e ar­rivano in cima vestite di quel­la nu­dità

      del­la quale non si ar­rossisce da­van­ti al Sig­nore.

      Col­oro che in­con­tra­no queste cor­ag­giose vian­dan­ti,  de­vono aiu­tar­le  e

      dire a tut­ti che le han­no in­con­trate, per­ché riv­elando­lo in­di­cano loro

      la stra­da gius­ta.

      Non  bas­ta  met­tere  sem­plice­mente all'im­boc­co del­la via due cartel­li,

      uno con l'is­crizione “Via del bene”,  l'al­tro con l'avver­ti­men­to  "Via

      del  male“,  e dire a col­oro che si pre­sen­tano: ”Scegli­ete";  bisogna,

      come Cristo,  mostrare i sen­tieri che ri­con­ducono dal­la  sec­on­da  al­la

      pri­ma  quel­li  che  si  er­ano  las­ciati  tentare  dalle  lus­inghe,   e

      so­prat­tut­to non bisogna che gli in­izi di  quel  cam­mi­no  siano  trop­po

      do­lorosi o ap­pa­iano trop­po im­pen­etra­bili.

      Il  cris­tianes­imo  è  pre­sente,  con  la sua mer­av­igliosa parabo­la del

      figli­ol prodi­go, per spronar­ci all'in­dul­gen­za e al per­dono.

      Gesù era pieno d'amore per le ani­me ferite  dalle  pas­sioni  umane,  e

      ama­va  cu­rarne  le ferite es­traen­do dalle ferite stesse l'unguen­to che

      dove­va guarir­le.

      Così Egli disse a Mad­dale­na: "Molto ti sarà per­do­na­to per­ché molto hai

      am­ato". Sub­lime per­dono che dove­va sus­citare una fede sub­lime.

      Per­ché dunque dovrem­mo noi es­sere più sev­eri di Cristo?

      Per­ché,  tenen­do­ci os­ti­nata­mente at­tac­cati  ai  pregiudizi  di  questo

      mon­do  che  si  fa  spi­eta­to  per­ché  lo  si  cre­da  forte,   dovrem­mo

      resp­in­gere,  come lui,  delle ani­me che spes­so san­guinano  per  ferite

      dalle quali,  come dal sangue in­fet­to di un mala­to, si spande tut­to il

      maie del loro pas­sato e che non in­vo­cano che una  mano  am­ica  che  le

      curi e resti­tu­is­ca loro la con­va­lescen­za del cuore?

      E'  al­la  mia  gen­er­azione  che  mi  rivol­go,  a  quel­li  per  i quali

      for­tu­nata­mente le teorie di Voltaire non es­istono più,  a quel­li  che,

      come  me,  si  ren­dono  con­to come l'uman­ità sia im­peg­na­ta da quindi­ci

      an­ni in uno dei suoi più au­daci balzi in  avan­ti.  La  conoscen­za  del

      bene e del male è ac­quisi­ta per sem­pre; si ri­cos­ti­tu­isce la fede, ci è

      resti­tu­ito il rispet­to delle cose sacre, e se il mon­do non è di­ven­ta­to

      del  tut­to  buono è di­ven­ta­to per­lomeno migliore.  Gli sforzi di tut­ti

      gli uo­mi­ni in­tel­li­gen­ti mi­ra­no al­lo stes­so scopo,  e tutte  le  gran­di

      volon­tà  si  ri­al­lac­ciano  al­lo  stes­so prin­ci­pio: siamo buoni,  siamo

      gio­vani, siamo veri! Il male è so­lo van­ità, ab­bi­amo dunque la fierez­za

      del bene, e so­prat­tut­to non dis­pe­ri­amo.  Non dis­prezzi­amo la don­na che

      non è madre,  né figlia, né moglie; non ridu­ci­amo­ci ad ap­prez­zare so­lo

      la famiglia, a es­sere in­dul­gen­ti so­lo ver­so l'ego­is­mo.

      Poiché in cielo si fa più fes­ta per un pec­ca­tore pen­ti­to che per cen­to

      giusti sen­za pec­ca­to, cer­chi­amo dunque di dare gioia al cielo,  che ci

      ver­rà  re­sa mag­gio­ra­ta.  Spar­giamo sul­la nos­tra stra­da l'el­emosi­na del

      nos­tro per­dono per quel­li che i pi­ac­eri ter­reni han­no  per­du­to  e  che

      forse saran­no sal­vati so­lo da una sper­an­za div­ina,  e,  come di­cono le

      vec­chi­ette che con­sigliano uno dei loro rime­di,  se  questo  non  farà

      bene, non nuo­cerà di cer­to.

      Sen­za  dub­bio  de­vo  sem­brare  molto  am­bizioso quan­do pre­tendo di far

      sca­turire  risul­tati  così  gran­di  dal­la  tenue   vi­cen­da   che   sto

      rac­con­tan­do,  ma  io  sono di quel­li che cre­dono che il tut­to stia nel

      poco.  Il bam­bi­no è  pic­co­lo,  ma  rac­chi­ude  l'uo­mo;  il  cervel­lo  è

      lim­ita­to, ma os­pi­ta il pen­siero, l'oc­chio non è che un tut­to, ma co­pre

      le miglia.

 

 

      CAPITOLO 4.

 

      Due   giorni   dopo,   la   ven­di­ta   era   fini­ta.   Ave­va   frut­ta­to

      cen­tocin­quan­tami­la franchi.

      I cred­itori ave­vano di­vi­so fra loro i due terzi, e il resto era anda­to

      al­la famiglia, com­pos­ta da una sorel­la e da un nipoti­no.

      La sorel­la ave­va spalan­ca­to tan­to d'oc­chi quan­do il  no­taio  le  ave­va

      scrit­to  per  an­nun­cia­rle  un'ered­ità  di  cin­quan­tami­la franchi.  Non

      vede­va or­mai sua sorel­la da sei o sette an­ni, dal giorno in cui ques­ta

      era spari­ta sen­za che si fos­se mai po­tu­to conoscere,  né da lei stes­sa

      né  da  nes­sun  al­tro,  il  più  pic­co­lo  par­ti­co­lare  del­la  sua vi­ta

      suc­ces­si­va all'al­lon­tana­men­to.

      Si era dunque pre­cip­ita­ta a Pa­ri­gi,  e grande fu lo  sbalordi­men­to  di

      quel­li  che  conosce­vano  Mar­guerite,  quan­do sep­pero che la sua uni­ca

      erede era una bel­la ragaz­zona di cam­pagna  che  pri­ma  di  al­lo­ra  non

      ave­va mai las­ci­ato il paese.

      Tro­vò un pat­ri­mo­nio fat­to, d'im­provvi­so, sen­za nep­pure sapere da quale

      fonte le venisse quel­la for­tu­na in­sper­ata.

      Tornò,  mi  dis­sero  in se­gui­to,  al suo paese,  ri­cor­dan­do la sorel­la

      mor­ta con  grande  tris­tez­za,  con­for­ta­ta  tut­tavia  dall'impiego  del

      cap­itale al quat­tro e mez­zo per cen­to.

      Tut­ti  questi  avven­imen­ti,  rifer­iti  a  Pa­ri­gi,  cit­tà  madre  del­lo

      scan­da­lo,  sta­vano  già  per  es­sere  di­men­ti­cati,  e  io  stes­so  non

      ri­cor­da­vo quasi più la parte che ave­vo avu­to in quei fat­ti,  quan­do un

      nuo­vo ca­so mi fece conoscere tut­ta la vi­ta di  Mar­guerite  e  mi  rese

      noti  par­ti­co­lari  così  com­moven­ti  da  in­vogliar­mi a scri­vere questo

      li­bro che, in­fat­ti, scri­vo.

      Da tre o quat­tro giorni l'ap­par­ta­men­to,  svuo­ta­to di tut­ti  i  mo­bili,

      che  er­ano  stati  ven­du­ti,  era  sta­to  pos­to in af­fit­to,  quan­do una

      mat­ti­na qual­cuno suonò al­la mia por­ta.

      Il mio do­mes­ti­co,  o meglio il portiere che mi  face­va  da  do­mes­ti­co,

      andò  ad  aprire  e mi portò un bigli­et­to di visi­ta,  di­cen­do­mi che la

      per­sona che gliel'ave­va da­to desider­ava par­lar­mi.

      Die­di un'oc­chi­ata al bigli­et­to e vi lessi queste  due  pa­role:  Ar­mand

      Du­val.

      Cer­cai  di ri­cor­dar­mi dove ave­vo vis­to quel nome,  e mi venne in mente

      la pri­ma pag­ina di Manon Lescaut.

      Che cosa pote­va desider­are da me la per­sona che  ave­va  re­gala­to  quel

      li­bro a Mar­guerite? Dis­si di far en­trare im­me­di­ata­mente il sig­nore che

      as­pet­ta­va.

      Vi­di al­lo­ra un gio­vane bion­do,  al­to, pal­li­do, con un abito da vi­ag­gio

      che sem­bra­va avere in­dos­so da qualche giorno e che  egli  non  si  era

      da­to  la pe­na di spaz­zo­lare ar­rivan­do a Pa­ri­gi,  per­ché era cop­er­to di

      pol­vere.

      Mon­sieur Du­val, molto com­mosso, non fece nes­suno sfor­zo per nascon­dere

      la sua emozione,  e con le lacrime agli oc­chi,  la voce  tre­mante,  mi

      disse:

      "Vi  prego,   sig­nore,  vogli­ate  scusare  la  mia  visi­ta  e  il  mio

      ab­biglia­men­to;  ma a parte il fat­to che tra per­sone gio­vani non  è  il

      ca­so  di fare com­pli­men­ti,  desider­avo tan­to ved­ervi og­gi stes­so,  che

      non mi sono nep­pure con­ces­so il tem­po di scen­dere all'al­ber­go al quale

      ho sped­ito il  mio  bagaglio,  per  cor­rere  subito  da  voi,  temen­do

      tut­tavia, per quan­to sia presto, di non trovarvi in casa".

      Pre­gai  mon­sieur  Du­val di seder­si da­van­ti al fuo­co,  il che egli fece

      tiran­do fuori di tas­ca il faz­zo­let­to col quale nascose per  un  at­ti­mo

      il vi­so.

      “Voi  non  potete capire”,  riprese sospi­ran­do tris­te­mente,  "che cosa

      voglia questo  vis­ita­tore  sconosci­uto,  a  quest'ora,  in  un  sim­ile

      ab­biglia­men­to,  pi­angen­do in questo mo­do.  Ven­go soltan­to,  sig­nore, a

      chiedervi un grande fa­vore".

      “Par­late, sig­nore, sono a vos­tra dis­po­sizione”.

      “Voi avete  as­sis­ti­to  all'as­ta  di  Mar­guerite  Gau­ti­er?”.  A  ques­ta

      paro­la,  l'emozione  che  il  gio­vane  era  rius­ci­to  per un is­tante a

      dom­inare fu più forte di lui,  ed egli fu  ob­bli­ga­to  a  co­prir­si  gli

      oc­chi con le mani.

      “De­vo sem­brarvi ben ridi­co­lo”, ag­giunse, "scusate­mi an­co­ra per questo,

      e cre­dete che non di­men­ticherò mai la pazien­za con la quale vi deg­nate

      di as­coltar­mi".

      “Sig­nore”,  risposi,  "se il fa­vore che,  a quan­to sem­bra,  io sono in

      gra­do di farvi può in qualche mo­do placare il  vostro  do­lore,  dite­mi

      subito  in  che  cosa  pos­so es­servi utile,  e tro­verete in me un uo­mo

      fe­lice di servirvi".

      Il do­lore di mon­sieur Du­val mi ispi­ra­va sim­pa­tia, e a og­ni cos­to avrei

      vo­lu­to far­gli cosa gra­di­ta.

      Egli mi disse al­lo­ra:

      “Voi avete com­per­ato qual­cosa al­la ven­di­ta di Mar­guerite?”.

      “Sì, sig­nore, un li­bro”.

      “Manon Lescaut?”.

      “Ap­pun­to”.

      “Lo avete an­co­ra?”.

      “E' nel­la mia stan­za da let­to”.

      Ar­mand Du­val, a ques­ta no­tizia,  sem­brò soll­eva­to da un gran pe­so e mi

      ringraz­iò  come  se  aves­si  com­in­ci­ato  a  far­gli  un fa­vore soltan­to

      con­ser­van­do quel li­bro.

      Al­lo­ra mi alzai,  andai a pren­dere il li­bro nel­la mia stan­za e  glielo

      con­seg­nai.

      “E'  pro­prio  questo”,  disse  guardan­do  la ded­ica sul fron­te­spizio e

      sfoglian­do qua e là, “è pro­prio questo”.

      E due grosse lacrime cad­dero sulle pagine.

      “Ebbene, sig­nore”, disse alzan­do lo sguar­do ver­so di me e non cer­can­do

      più nep­pure di nascon­der­mi che ave­va pianto e che sta­va  per  pi­an­gere

      di nuo­vo, “tenete molto a questo li­bro?”.

      “Per­ché, sig­nore?”.

      “Per­ché sono venu­to a pre­garvi di ce­der­me­lo”.

      “Per­do­nate  la mia cu­riosità”,  gli risposi,  "ma si­ete dunque voi che

      l'avete re­gala­to a Mar­guerite Gau­ti­er?".

      “Io stes­so”.

      "Al­lo­ra questo li­bro è vostro, sig­nore, ripren­de­te­lo,  sono ben fe­lice

      di poter­velo resti­tuire".

      “Ma”,  riprese Du­val, im­baraz­za­to, "las­ci­ate al­meno che vi resti­tu­is­ca

      la som­ma che avete pa­ga­to per aver­lo".

      "Per­me­ttete­mi di of­frirvelo.  Il prez­zo  di  un  so­lo  vol­ume  in  una

      ven­di­ta del genere è un'in­ezia, e io non mi ri­cor­do neanche più quan­to

      l'ho pa­ga­to".

      “L'avete pa­ga­to cen­to franchi”.

      “E vero”, risposi im­baraz­za­to a mia vol­ta, “come fate a saper­lo?”.

      "E presto det­to, io sper­avo di pot­er ar­rivare a Pa­ri­gi in tem­po per la

      ven­di­ta  di  Mar­guerite,  ma non sono ar­riva­to che sta­mat­ti­na.  Vole­vo

      as­so­lu­ta­mente avere un ogget­to che le fos­se  ap­partenu­to,  e  mi  sono

      pre­cip­ita­to  dal  com­mis­sario  es­ti­ma­tore  a chieder­gli il per­me­sso di

      esam­inare la lista degli ogget­ti ven­du­ti e dei no­mi degli  ac­quiren­ti.

      Ho vis­to che questo li­bro era sta­to com­per­ato da voi,  e ho pen­sato di

      pre­garvi di ce­der­me­lo,  per quan­to la som­ma che avete pa­ga­to mi  ab­bia

      fat­to  temere  che  voi  stes­so  siate  lega­to a quel li­bro da qualche

      ri­cor­do per­son­ale".

      Così par­lan­do,  si vede­va chiara­mente come Ar­mand temesse che  an­ch'io

      aves­si conosci­uto Mar­guerite come l'ave­va conosci­uta lui.

      Mi af­fret­tai per­ciò a ras­si­cu­rar­lo.

      “Non ho conosci­uto made­moi­selle Gau­ti­er che di vista”,  gli dis­si, "la

      sua morte ha prodot­to su di me l'im­pres­sione che sem­pre  la  morte  di

      una  bel­la  don­na pro­duce su un uo­mo a cui face­va pi­acere in­con­trar­la.

      Ho vo­lu­to com­per­are  qual­cosa  all'as­ta  del­la  sua  ro­ba  e  mi  sono

      os­ti­na­to  a  far  alzare  il prez­zo di questo li­bro,  non so neanch'io

      per­ché,  forse per il pi­acere di far in­qui­etare un sig­nore che  vi  si

      ac­cani­va  e  sem­bra­va  sfi­dar­mi  a  com­prar­lo.  Ve  lo  ripeto dunque,

      sig­nore,  questo li­bro è vostro,  e io vi prego an­co­ra  di  ac­cettar­lo

      per­ché  non  l'ab­bi­ate  da  me  come io l'ho avu­to da un ban­di­tore,  e

      per­ché cos­ti­tu­is­ca tra noi il peg­no di una più lun­ga conoscen­za  e  di

      una più in­ti­ma am­icizia".

      “Bene,  sig­nore”, disse Ar­mand ten­den­do­mi la mano e strin­gen­do la mia,

      “ac­cet­to, e per tut­ta la vi­ta vi sarò ri­conoscente”.

      Ave­vo una gran voglia di in­ter­rog­are Ar­mand su Mar­guerite,  per­ché  la

      ded­ica  del  li­bro,  il  vi­ag­gio  del  gio­vane,  il  suo  deside­rio di

      possedere quel vol­ume sti­mola­vano la mia cu­riosità;  ma teme­vo che  se

      aves­si  in­ter­roga­to il mio os­pite avrei avu­to l'aria di aver ri­fi­uta­to

      il suo denaro per con­ser­var­mi il dirit­to  di  im­mis­chiar­mi  nei  fat­ti

      suoi.

      Si  sarebbe  det­to  che  egli mi avesse let­to nel pen­siero,  per­ché mi

      disse:

      “Avete let­to questo li­bro?”.

      “Da cima a fon­do”.

      “Che cosa pen­sate del­la mia ded­ica?”.

      "Ho capi­to subito che ai vostri oc­chi la sven­tu­ra­ta ragaz­za al­la quale

      ded­ica­vate il vol­ume non  ap­partene­va  a  una  cat­ego­ria  co­mune;  non

      vole­vo in­fat­ti vedere in quelle righe un com­pli­men­to ba­nale".

      “E avete ra­gione, sig­nore. Quel­la fan­ci­ul­la era un an­ge­lo”. Pren­dete",

      mi disse, “leggete ques­ta let­tera”.

      E  mi  tese  un foglio che sem­bra­va es­sere sta­to let­to e rilet­to molte

      volte. Lo aprii, ed ec­co quel­lo che vi era scrit­to:

 

      "Mio caro Ar­mand,  ho rice­vu­to la vos­tra let­tera,  vi si­ete con­ser­va­to

      buono e ne ringrazio Id­dio.  Sì,  am­ico mio,  sono am­mala­ta, di una di

      quelle malat­tie che non  per­do­nano;  ma  l'in­ter­es­sa­men­to  che  vo­lete

      an­co­ra  di­mostrar­mi  diminuisce di molto le mie sof­feren­ze.  Cer­to non

      vivrò tan­to a lun­go da pot­er avere il bene di strin­gere la mano che ha

      scrit­to la gen­erosa let­tera che ho ap­pe­na rice­vu­to  e  le  cui  pa­role

      potreb­bero guarir­mi, se qual­cosa an­co­ra potesse guarir­mi. Non vi ve­drò

      più,  per­ché  sono  molto vic­ina al­la morte,  e centi­na­ia di miglia ci

      sep­ara­no.  Povero am­ico!  la vos­tra Mar­guerite di una  vol­ta  è  molto

      cam­bi­ata, ed è forse meglio che voi non la rive­di­ate più pi­ut­tosto che

      la  ve­di­ate  com'è  adesso.  Mi chiedete se vi per­dono;  oh!  di tut­to

      cuore,  am­ico mio,  per­ché il male che mi avete fat­to non era che  una

      pro­va  del  vostro amore.  E' un mese che sono a let­to,  e ten­go tan­to

      al­la vos­tra sti­ma che og­ni giorno scri­vo il di­ario del­la mia vi­ta,  da

      quan­do  ci  siamo  las­ciati  fi­no  a  quan­do  non avrò più la forza di

      scri­vere.

      "Ar­mand, se l'in­ter­esse che mi di­mostrate è sin­cero, al vostro ri­torno

      an­date da Julie Duprat.  Vi con­seg­nerà quel di­ario.  Vi  tro­verete  la

      ra­gione  e la scusa di quan­to è ac­cadu­to tra noi.  Julie è molto buona

      con me; in­sieme par­liamo spes­so di voi,  e quan­do è ar­riva­ta la vos­tra

      let­tera, ab­bi­amo pianto in­sieme, leggen­dola.

      "Nel ca­so in cui non mi aveste da­to vostre no­tizie,  era in­car­ica­ta di

      con­seg­narvi quei fogli al vostro ar­ri­vo in Fran­cia.

       "Non me ne siate gra­to.  Rie­vo­care og­ni giorno i soli  is­tan­ti  fe­li­ci

      del­la mia vi­ta mi fa un gran bene,  e come voi tro­verete nel­la let­tura

      di quel di­ario la gius­ti­fi­cazione del pas­sato,  così  io  tro­vo  nel­lo

      scriver­lo un quo­tid­iano sol­lie­vo.

      "Vor­rei  las­cia­rvi  qual­cosa che mi ri­cor­dasse sem­pre al vostro cuore,

      ma qui tut­to è sot­to se­que­stro, e più niente mi ap­par­tiene.

      "Capite,  am­ico mio?  io sto per morire,  e dal­la mia stan­za da  let­to

      sen­to  nel  sa­lone  i  pas­si  del  cus­tode  che i miei cred­itori han­no

      in­stal­la­to qui per­ché niente sia por­ta­to via e  per­ché  non  mi  resti

      niente nel ca­so che io so­prav­vi­va.  Spe­ri­amo che per vendere as­pet­ti­no

      al­meno la mia fine.

      "Oh! come sono spi­etati gli uo­mi­ni! o pi­ut­tosto, mi sbaglio: è Dio che

      è gius­to e in­flessibile.

      "Ebbene,  amore caro,  ven­ite al­la ven­di­ta del­la mia ro­ba,  e com­prate

      qualche  cosa,  per­ché  se  mai  io nascon­dessi per voi il più pic­co­lo

      ogget­to  e  lo  si  sco­prisse,   sareb­bero  ca­paci  di  ac­cusarvi   di

      sot­trazione di beni pig­no­rati.

      "Com'è triste la vi­ta che las­cio!

      "Come  sarebbe buono il Sig­nore,  se mi per­me­ttesse di rived­ervi pri­ma

      di morire! Con tut­ta prob­abil­ità, ad­dio, am­ico mio; per­do­nate­mi se non

      vi scri­vo più a lun­go,  ma col­oro che sosten­gono di poter­mi guarire mi

      sfinis­cono coi salas­si, e la mia mano si ri­fi­uta di scri­vere oltre.

      Mar­guerite Gau­ti­er".

 

      Le ul­time pa­role er­ano, in­fat­ti, ap­pe­na leg­gi­bili.

      Resti­tuii  la  let­tera ad Ar­mand,  che cer­to l'ave­va rilet­ta nel­la sua

      mente come io l'ave­vo let­ta sul­la car­ta, per­ché ripren­den­dola disse:

      "Chi potrebbe mai credere che è sta­ta una man­tenu­ta a scri­vere  queste

      cose!".

      Com­mosso dai suoi ri­cor­di,  con­tem­plò per qualche is­tante la scrit­tura

      di quel­la let­tera, che in­fine portò alle lab­bra.

      “Quan­do pen­so”, riprese,  "che ques­ta don­na è mor­ta sen­za che io ab­bia

      po­tu­to  rived­er­la,  e  che  non la ve­drò mai più;  quan­do pen­so che ha

      fat­to per me cose che  nep­pure  una  sorel­la  avrebbe  fat­to,  non  so

      per­don­ar­mi di aver­la las­ci­ata morire così.  Mor­ta! mor­ta! e pen­san­do a

      me,   scriven­do  e  pro­nun­cian­do  il  mio  nome,   mia  povera,   cara

      Mar­guerite".

      E Ar­mand, dan­do libero sfo­go ai pen­sieri e alle lacrime, mi strinse la

      mano e pros­eguì:

      "Mi  giu­dichereb­bero  un  bam­bi­no,  se  mi vedessero pi­an­gere così una

      mor­ta come quel­la;  per­ché non sapran­no mai quan­to ho  fat­to  sof­frire

      quel­la  don­na,  come  sono  sta­to crudele,  e come lei è sta­ta buona e

      rasseg­na­ta.  Cre­de­vo che spet­tasse a me per­donarla,  e og­gi mi ritro­vo

      in­deg­no  del  per­dono che mi ac­cor­da.  Oh!  darei dieci an­ni del­la mia

      vi­ta per potere pi­an­gere un'ora ai suoi pie­di".

      E' sem­pre dif­fi­cile con­so­lare un do­lore che non si conosce, e tut­tavia

      io ero pre­so da una così  vi­va  sim­pa­tia  per  quel  gio­vane,  che  mi

      con­fi­da­va  la  sua  pe­na  con tan­ta franchez­za,  che pen­sai che le mie

      pa­role non gli sareb­bero state in­dif­fer­en­ti e gli dis­si:

      "Non avete par­en­ti, am­ici? Sper­ate, cer­cate la loro com­pag­nia, ed es­si

      vi con­sol­er­an­no, per­ché io non pos­so che com­piangervi".

      “E' gius­to”,  rispose alzan­dosi e met­ten­dosi a  passeg­gia­re  a  gran­di

      pas­si per la stan­za,  "io vi an­noio.  Scusate­mi, non ho pen­sato che il

      mio do­lore può im­por­tarvi as­sai poco,  e che vi sto  im­por­tu­nan­do  con

      una cosa che non può e non deve in­ter­es­sarvi per niente".

      "Avete  frain­te­so  il  sen­so  delle  mie  pa­role,  io  sono  a  vos­tra

      dis­po­sizione;  mi dispi­ace so­lo di non es­sere in gra­do di  con­so­larvi.

      Se  la  mia  com­pag­nia e quel­la dei miei am­ici pos­sono dis­trarvi,  se,

      in­som­ma,  avete bisog­no di me per qualunque cosa,  sap­pi­ate  bene  che

      avrò  molto  pi­acere  di  poter­vi  fare  cosa  gra­di­ta“.   ”Scusate­mi,

      scusate­mi“,  disse,  ”il  do­lore  esagera  le  sen­sazioni.  Las­ci­ate­mi

      ri­manere qui an­co­ra per qualche min­uto,  gius­to il tem­po di as­ci­ugar­mi

      gli oc­chi per­ché i cu­riosi del­la stra­da non guardi­no come  una  rar­ità

      questo  gio­van­ot­tone  che  pi­ange.  Voi mi avete re­so ve­ra­mente fe­lice

      dan­do­mi questo li­bro; non saprò mai come mostrarvi la mia ri­conoscen­za

      per quan­to vi de­vo".

      “Ac­cor­dan­do­mi  un  po'  del­la  vos­tra  am­icizia”,   gli  risposi,   "e

      rac­con­tan­do­mi  la  causa  del  vostro do­lore.  A par­lare di ciò che si

      sof­fre si è con­so­lati".

      "Avete ra­gione; ma og­gi ho trop­po bisog­no di pi­an­gere,  e non vi di­rei

      che  pa­role  sen­za  sen­so.  Un giorno,  vi ren­derò partecipe del­la mia

      sto­ria,  e ve­drete se ho ra­gione a rimpian­gere  quel­la  sven­tu­ra­ta.  E

      adesso",   ag­giunse   as­ci­ugan­dosi   an­co­ra  una  vol­ta  gli  oc­chi  e

      guardan­dosi in uno spec­chio,  "dite­mi che non  mi  con­sid­er­ate  trop­po

      scioc­co,  e  per­me­ttete­mi  di tornare a trovarvi".  Lo sguar­do di quel

      gio­vane era buono e dolce, e io fui lì sul pun­to di ab­brac­cia­rlo.

      Quan­to a lui,  i suoi oc­chi ri­com­in­ci­avano a ve­lar­si  di  lacrime;  ma

      vide che me n'ero ac­cor­to, e dis­tolse lo sguar­do.

      “Su”, gli dis­si, “cor­ag­gio!”.

      “Ad­dio”, mi rispose.

      E  facen­do  uno  sfor­zo  in­au­di­to  per non pi­an­gere,  scap­pò,  più che

      us­cire, da casa mia.

      Alzai la ten­da del­la fines­tra, e lo vi­di risalire nel­la car­roz­za

      che l'at­ten­de­va al­la por­ta; ma ap­pe­na vi en­trò,  si sci­olse in lacrime

      e nascose il vi­so nel faz­zo­let­to.

 

 

 

 

 

 

      CAPITOLO 5.

 

      Per qualche tem­po non sen­tii più par­lare di Ar­mand,  ma in com­pen­so ci

      furono molte oc­ca­sioni per par­lare di Mar­guerite.

      Non so se l'ab­bi­ate mai no­ta­to,  ma bas­ta che si  pro­nun­ci  una  vol­ta

      da­van­ti  a  voi  il  nome  di una per­sona che sem­bra­va dovervi restare

      sconosci­uta  o  quan­to  meno  in­dif­fer­ente,  per­ché  una  quan­tità  di

      par­ti­co­lari pren­dano cor­po a poco a poco in­torno a quel nome, e per­ché

      sen­ti­ate  al­lo­ra tut­ti i vostri am­ici par­larvi di cose sulle quali non

      vi ave­vano mai trat­tenu­to pri­ma.

      Sco­prite al­lo­ra che quel­la per­sona quasi vi toc­ca­va,  vi ac­cor­gete che

      è  pas­sa­ta molte volte nel­la vos­tra vi­ta sen­za es­sere no­ta­ta,  trovate

      negli  avven­imen­ti  che  vi  ven­gono   rac­con­tati   una   co­in­ci­den­za,

      un'affinità reale con cer­ti casi del­la vos­tra vi­ta.

      Non era pro­prio questo il ca­so di Mar­guerite, per­ché io l'ave­vo vista,

      in­con­tra­ta  e  conosce­vo il suo as­pet­to e le sue abi­tu­di­ni;  tut­tavia,

      dopo la ven­di­ta il suo nome mi era spes­so giun­to all'orec­chio e, nel­la

      cir­costan­za che ho rac­con­ta­to nel capi­to­lo prece­dente, questo nome era

      lega­to a un do­lore così pro­fon­do,  che il mio  stu­pore  ne  era  sta­to

      ac­cresci­uto, au­men­tan­do la mia cu­riosità.

      Risul­ta­to  di  tut­to  ciò  fu che non avvic­ina­vo più i miei am­ici,  ai

      quali non ave­vo mai par­la­to di Mar­guerite, sen­za chiedere loro:

      “Avete conosci­uto una cer­ta Mar­guerite Gau­ti­er?”.

      “La sig­no­ra dalle camelie?”.

      “Ap­pun­to”.

      “Ec­come!”.

      Questi  “ec­come!”  si  ac­com­pa­gna­vano  a  volte  a  sor­risi  sul   cui

      sig­ni­fi­ca­to sarebbe sta­to im­pos­si­bile avere dub­bi.

      “Ebbene, che tipo di don­na era?”, con­tin­ua­vo.

      “Una buona figli­uo­la”.

      “Tut­to qui?”.

      "Dio mio!  sì,  un po' più di spir­ito e forse un po più di cuore delle

      al­tre".

      “Non sapete niente di pre­ciso su di lei?”.

      “Ha rov­ina­to il barone de G...”.

      “Soltan­to?” .

      “E' sta­ta l'amante del vec­chio duca de...”.

      “Era la sua amante?”.

      “Così si dice: co­munque, le da­va molto denaro”.

      Sem­pre le stesse in­di­cazioni gener­iche.

      Sarei sta­to tut­tavia cu­rioso di sapere qual­cosa  sul­la  re­lazione  tra

      Mar­guerite e Ar­mand.

      Un  giorno  in­con­trai uno di quei tali che vivono sem­pre nell'in­tim­ità

      di quelle donne, e lo in­ter­ro­gai.

      “Conosce­vate Mar­guerite Gau­ti­er?”.

      Mi fu rispos­to col soli­to “ec­come!”.

      “Che tipo di don­na era?”.

      “Una bel­la e buona ragaz­za. La sua morte mi ha da­to un gran do­lore”.

      “Non ave­va un amante che si chia­ma­va Ar­mand Du­val?”.

      “Uno al­to e bion­do?”.

      “Sì”.

      “E' vero”.

      “Chi era questo Ar­mand?”.

      "Un ragaz­zo che ha dis­si­pa­to con lei il poco che ave­va,  cre­do,  e che

      fu ob­bli­ga­to a las­cia­rla. Si dice che ne fos­se paz­za­mente in­namora­to".

      “E lei?”.

      "An­che  lei lo ama­va molto,  sem­pre a quan­to si dice,  ma come pos­sono

      amare quelle ragazze lì.  Non bisogna chiedere loro più dl quel­lo  che

      pos­sono dare".

      “Che ne è di Ar­mand?”.

      "Lo ig­noro.  Lo ab­bi­amo conosci­uto as­sai poco. E' ri­mas­to cinque o sei

      mesi con Mar­guerite,  ma in cam­pagna.  Quan­do lei  è  tor­na­ta,  lui  è

      par­ti­to"

      “E non l'avete più riv­is­to?”.

      “Mai più”.

      Nep­pure io ave­vo riv­is­to Ar­mand.  Com­in­ci­avo a chie­der­mi se, quan­do si

      era pre­sen­ta­to a me,  la re­cente no­tizia del­la morte di Mar­guerite non

      avesse esager­ato il suo amore di un tem­po e quin­di il suo do­lore, e mi

      dice­vo che forse egli ave­va già di­men­ti­ca­to,  in­sieme con la morte, la

      sua promes­sa di tornare a trovar­mi.

      Ques­ta ipote­si sarebbe sta­ta ab­bas­tan­za verosim­ile nei con­fron­ti di un

      al­tro uo­mo, ma nel­la dis­per­azione di Ar­mand c'er­ano stati ac­cen­ti così

      sin­ceri che io,  pas­san­do da un es­tremo all'al­tro,  im­mag­inai  che  il

      do­lore  fos­se  di­ven­ta­to malat­tia,  e che se non ave­vo sue no­tizie era

      per­ché era mala­to e forse an­che mor­to.

      Mio mal­gra­do pen­sa­vo molto a quel gio­vane.

      Forse con questo in­ter­esse ave­va a che fare an­che  un  cer­to  ego­is­mo;

      forse  ave­vo  in­trav­is­to  sot­to  quel  do­lore  una  com­movente  sto­ria

      d'amore,  e forse il mio deside­rio di conoscer­la ave­va una gran  parte

      nel­la pre­oc­cu­pazione causa­ta­mi dal silen­zio di Ar­mand.

      Poiché  Du­val non tor­na­va da me,  mi de­cisi ad an­dare da lui.  Non era

       dif­fi­cile trovare un pretesto, ma sfor­tu­nata­mente non conosce­vo il suo

      in­di­riz­zo,  e nes­suno di quel­li che ave­vo  in­ter­roga­to  era  sta­to  in

      gra­do di in­di­carme­lo.

      Mi  re­cai in rue d'Antin.  Forse il portiere di Mar­guerite sape­va dove

      abitasse Ar­mand.

      Ma il portiere era un al­tro, e lo ig­no­ra­va quan­to me.

      Chiesi al­lo­ra in  quale  cimitero  fos­se  sta­ta  se­pol­ta  made­moi­selle

      Gau­ti­er.

      Era il cimitero di Mont­martre.

      L'aprile  era  tor­na­to,  il tem­po era bel­lo,  le tombe non ave­vano più

      quell'as­pet­to do­loroso e des­ola­to che  dà  loro  l'in­ver­no;  e  in­fine

      face­va  già ab­bas­tan­za cal­do per­ché i vivi si ri­cor­dassero dei mor­ti e

      li an­dassero a trovare.

      Mi re­cai al cimitero,  di­cen­do­mi: "Mi basterà  guardare  la  tom­ba  di

      Mar­guerite per ac­corg­er­mi se il do­lore di Ar­mand du­ra an­co­ra,  e forse

      saprò cosa ne è sta­to di lui".

      En­trai nel padiglione del cus­tode,  e gli chiesi  se  il  22  feb­braio

      fos­se  sta­ta  se­pol­ta  in  quel  cimitero una don­na di nome Mar­guerite

      Gau­ti­er.

      Quel­lo sfogliò il li­brone dove sono seg­nati e nu­merati i no­mi di tut­ti

      col­oro che en­tra­no in quell'ul­ti­mo rifu­gio, e mi rispose che, in­fat­ti,

      il 22 feb­braio,  a mez­zo­giorno,  era sta­ta se­pol­ta una don­na  di  quel

      nome.

      Lo pre­gai al­lo­ra di far­mi ac­com­pa­gnare al­la tom­ba,  per­ché è dif­fi­cile

      oriz­zon­tar­si sen­za gui­da in quel­la cit­tà  di  mor­ti,  che  ha  le  sue

      strade come la cit­tà dei vivi.

      Il   cus­tode  chi­amò  un  gi­ar­diniere  al  quale  diede  le  op­por­tune

      in­di­cazioni. ma questi l'in­ter­ruppe di­cen­do:

      “Lo so, lo so...  oh!  la tom­ba è facil­mente ri­conosci­bile”,  pros­eguì

      ri­volto ver­so di me.

      “Per­ché?”, gli chiesi.

      “Per­ché ha dei fiori molto di­ver­si dalle al­tre tombe”.

      “Si­ete voi a oc­cu­par­vene?”.

      "Sì,  sig­nore,  e vor­rei pro­prio che tut­ti i par­en­ti avessero cu­ra dei

      loro mor­ti come il gio­vane che mi ha rac­co­manda­to quel­la tom­ba".

      Dopo qualche svol­ta il gi­ar­diniere si fer­mò e mi disse:

      “Ec­co­ci”

      Ave­vo in­fat­ti sot­to gli oc­chi un'aiuo­la fiori­ta,  che non  si  sarebbe

      mai det­ta una tom­ba, se non fos­se sta­to per una lapi­de di mar­mo bian­co

      con un nome in­ciso.

      La  lapi­de era sis­tem­ata drit­ta e una ringhiera di fer­ro de­lim­ita­va il

      ter­reno ri­cop­er­to di camelie bianche.

      “Che ne dite?”, chiese il gi­ar­diniere.

      “E' bel­lis­si­mo”.

      “E og­ni vol­ta che una camelia ap­pas­sisce ho l'or­dine di cam­biar­la”.

      “Chi vi ha da­to quest'or­dine?”.

      "Un gio­van­ot­to che ha pianto molto la pri­ma vol­ta che  è  venu­to;  uno

      che  dove­va  aver  avu­to a che fare con la mor­ta sen­za dub­bio,  per­ché

      pare che fos­se una svelta quel­la lì. Di­cono che fos­se mol­ta bel­la.  Il

      sig­nore l'ha conosci­uta?".

      “Si”.

      “Come  quell'al­tro”,   mi  disse  il  gi­ar­diniere  con  un  sor­riset­to

      mal­izioso.

      “No, non le ho nep­pure mai par­la­to”.

      "E ven­ite a trovar­la qui;  è molto gen­tile da parte vos­tra,  per­ché il

      cimitero  non  è  cer­to  af­fol­la­to di gente che viene a trovare quel­la

      poveretta".

      “Non viene dunque mai nes­suno?”.

      “Nes­suno, tranne quel gio­van­ot­to che è venu­to una vol­ta”

      “Una vol­ta so­la?”.

      “Sis­sig­nore”.

      “E non è più tor­na­to?”.

      “No, ma ver­rà al suo ri­torno”.

      “E' dunque par­ti­to?”.

      “Sì”.

      “Sapete per dove?”.

      “E' anda­to, cre­do, dal­la sorel­la di made­moi­selle Gau­ti­er”

       “E che cosa è anda­to a fare?”.

      "E' anda­to a chiedere il  per­me­sso  di  far  riesumare  la  mor­ta  per

      por­tar­la al­trove".

      “Per­ché non la las­cia qui?”.

      "Sapete, sig­nore, og­nuno ha le sue idee sui mor­ti. Noial­tri lo ve­di­amo

       tut­ti i giorni.  Questo ter­reno è sta­to com­pra­to so­lo per cinque an­ni,

      e quel gio­vane vuole una con­ces­sione per­pet­ua e un ter­reno più grande;

      nel­la zona nuo­va sarà più sem­plice".

      “Che cos'è la zona nuo­va?”.

      "I nuovi ter­reni che sono in ven­di­ta adesso a sin­is­tra. Se il cimitero

      fos­se sta­to sem­pre tenu­to come lo è adesso, non ce ne sarebbe un al­tro

      uguale  al  mon­do;   ma  c'è  an­co­ra  molto  da  fare  pri­ma  che  sia

      per­fet­ta­mente come deve es­sere. E poi la gente è così buf­fa".

      “Che vo­lete dire?”.

      "Voglio  dire  che  l'or­goglio  di al­cu­ni du­ra an­che qui.  Così ques­ta

      made­moi­selle Gau­ti­er sem­bra che ab­bia fat­to una vi­ta un  po'  al­le­gra,

      se mi pas­sate l'espres­sione.  Ora la pove­ri­na è mor­ta,  e res­ta di lei

      esat­ta­mente ciò che res­ta di quelle sulle quali non si  ha  niente  da

      ridire e che noi an­naf­fi­amo tut­ti i giorni,  ebbene,  quan­do i par­en­ti

      di quel­li che sono sep­pel­li­ti ac­can­to a lei han­no  sa­puto  di  chi  si

      trat­ta­va,  non si sono mes­si in tes­ta di dire che si sareb­bero op­posti

      a che fos­se mes­sa qui, e che ci dovreb­bero es­sere dei ter­reni sep­arati

      per le donne di quel­la specie, così come per i poveri?  Si è mai vista

      una cosa sim­ile? Li ho squadrati per bene, io; ric­coni che non ven­gono

      a  vis­itare  i  loro mor­ti nem­meno quat­tro volte l'an­no,  por­tan­dosi i

      fiori da loro, e guar­date che fiori! Risparmi­ano sul­la tom­ba di quel­li

      che di­cono di pi­an­gere,  scrivono sulle la­pi­di lacrime che  non  han­no

      mai  ver­sato,  e  poi  fan­no  i  dif­fi­cili in ma­te­ria di vi­ci­na­to.  Mi

      cred­erete,  sig­nore,  io  non  conosce­vo  quel­la  sig­no­ri­na,   non  so

      cos'ab­bia fat­to; ma le voglio bene, a quel­la povera pic­co­la, e ho cu­ra

      di  lei,  e le camelie gliele met­to al gius­to prez­zo.  E' la mia mor­ta

      preferi­ta.  Noial­tri,  sig­nore,  dob­bi­amo ben amar­li i  nos­tri  mor­ti,

      per­ché  siamo  così  oc­cu­pati  che non ab­bi­amo quasi il tem­po di amare

      qual­cos'al­tro".

      Guardai quell'uo­mo, e qual­cuno dei miei let­tori capirà,  sen­za bisog­no

      di sp­ie­gazioni, quale com­mozione provai a quelle pa­role.

      Egli se ne ac­corse di cer­to per­ché con­tin­uò:

      "Di­cono che c'è sta­to chi si è rov­ina­to per quel­la ragaz­za e che ave­va

      degli aman­ti che l'ado­ra­vano;  ebbene, quan­do pen­so che non ce n'è uno

      che ven­ga a por­tar­le un fiore,  questo mi sem­bra stra­no e do­loroso.  E

      an­co­ra ques­ta non ha di che lamen­tar­si,  per­ché ha la sua tom­ba,  e se

      non c'è che una per­sona che si ri­cor­da di lei,  ques­ta lo fa per tut­ti

      gli  al­tri.  Ma ci sono qui delle po­vere ragazze del­la stes­sa specie e

      del­la stes­sa età,  che ven­gono get­tate nel­la fos­sa  co­mune,  e  mi  si

      spez­za  il  cuore  a sen­tir cadere i loro poveri cor­pi nel­la ter­ra.  E

      nes­suno che si oc­cu­pi di loro,  una vol­ta morte!  Non è sem­pre al­le­gro

      il  nos­tro  mestiere,  so­prat­tut­to  finché  ci  res­ta  un  brici­olo di

      sen­ti­men­to. Che vo­lete?  è più forte di me.  Io ho una bel­la figli­uo­la

      di vent'an­ni, e quan­do por­tano qui una mor­ta del­la sua età pen­so a lei

      e,  si  trat­ti  di  una  gran  sig­no­ra  o di una vagabon­da,  non pos­so

      im­pedir­mi di es­sere com­mosso.  Ma cer­to vi sto  an­noian­do  con  queste

      sto­rie,  e  non  è  cer­to per as­coltar­le che si­ete venu­to.  Mi è sta­to

      det­to di con­durvi al­la tom­ba di  made­moi­selle  Gau­ti­er,  e  ci  si­ete;

      pos­so es­servi utile in qualche al­tra cosa?".

      “Conoscete l'in­di­riz­zo di mon­sieur Ar­mand Du­val?” gli do­mandai.

      "Sì,  abi­ta  in  rue...,  al­meno  è lì che sono anda­to a riscuotere il

      prez­zo di tut­ti i fiori che vedete".

      “Gra­zie, am­ico”.

      Get­tai un ul­ti­mo sguar­do su quel­la  tom­ba  fiori­ta,  del­la  quale  mio

      mal­gra­do,  avrei  vo­lu­to  pen­etrare  la  pro­fon­dità per vedere come la

      ter­ra avesse ri­dot­to la  bel­la  crea­tu­ra  che  vi  era  sta­ta  get­ta­ta

      den­tro, e mi al­lon­tanai tris­te­mente.

      “Al­lo­ra vo­lete vedere mon­sieur Du­val?”,  riprese il gi­ar­diniere che mi

      cam­mi­na­va ac­can­to.

      “Sì”.

      "Il fat­to è che sono si­curo  che  non  è  an­co­ra  tor­na­to,  al­tri­men­ti

      l'avrei già vis­to qui".

      “Si­ete dunque con­vin­to che egli non ha di­men­ti­ca­to Mar­guerite?”.

      "Non  so­lo  ne sono con­vin­to,  ma scom­met­terei che il suo deside­rio di

      cam­biar­le tom­ba è il deside­rio di rived­er­la"

      “Come?” .

      "La pri­ma cosa che mi ha det­to ve­nen­do al cimitero è sta­ta: 'Come fare

      per rived­er­la?'. Questo si può fare so­lo cam­bian­do la tom­ba,  e io gli

      ho   sp­ie­ga­to   tutte  le  for­mal­ità  da  os­ser­vare  per  ot­tenere  il

      cam­bi­amen­to,  per­ché dovete sapere che per trasferire i mor­ti  da  una

      tom­ba   all'al­tra  bisogna  ri­conoscer­li,   e  so­lo  la  famiglia  può

      au­tor­iz­zare  ques­ta  op­er­azione,   al­la  quale   deve   as­sis­tere   un

      com­mis­sario  di  polizia.  È  per  ot­tenere  ques­ta au­tor­iz­zazione che

      mon­sieur Du­val è anda­to dal­la sorel­la di made­moi­selle  Gau­ti­er,  e  la

      sua pri­ma visi­ta sarà cer­ta­mente per noi".

      Er­ava­mo  giun­ti  all'in­gres­so  del  cimitero;  ringrazi­ai  di nuo­vo il

      gi­ar­diniere  met­ten­dogli  in  mano   al­cune   mon­ete,   e   mi   re­cai

      all'in­di­riz­zo che mi ave­va da­to.

      Ar­mand non era an­co­ra tor­na­to.

      Gli las­ci­ai un bigli­et­to, pre­gan­do­lo di venir­mi a trovare ap­pe­na fos­se

      ar­riva­to, o di far­mi sapere dove avrei po­tu­to trovar­lo.

      L'in­do­mani  mat­ti­na  ricevet­ti una let­tera di Du­val,  che mi in­for­ma­va

      del suo ri­torno e mi pre­ga­va di pas­sare da casa  sua  ag­giun­gen­do  che

      era stan­chissi­mo e per­ciò gli sarebbe sta­to im­pos­si­bile us­cire.

 

 

 

 

 

      CAPITOLO 6.

 

      Trovai Ar­mand a let­to.

      Ve­den­do­mi,  mi  tese  una  mano che scot­ta­va.  “Avete la feb­bre”,  gli

      dis­si.

      “Non è niente, la stanchez­za di un vi­ag­gio pre­cip­itoso, ec­co tut­to”.

      “Sic­ché si­ete sta­to dal­la sorel­la di Mar­guerite?”.

      “Sì, chi ve l'ha det­to?”.

      “Lo so. Avete ot­tenu­to ciò che desider­avate?”.

      “Sì; ma chi vi ha in­for­ma­to del mio vi­ag­gio e del suo scopo?”.

      “Il gi­ar­diniere del cimitero”.

      “Avete vis­to la tom­ba?”.

      Os­ai ap­pe­na rispon­dere,  per­ché il tono di quel­la frase mi  provò  che

      colui  che l'ave­va pro­nun­ci­ata era sem­pre in pre­da all'emozione di cui

      ero sta­to tes­ti­mo­nio,  e che per  molto  tem­po  an­co­ra  quell'emozione

      sarebbe sta­ta più forte del­la volon­tà,  og­ni vol­ta che il suo pen­siero

      e le pa­role di  qual­cuno  lo  avessero  ri­con­dot­to  su  quel  do­loroso

      ar­go­men­to.

      Mi lim­itai quin­di a rispon­dere con un cen­no del capo.

      “Ne ha avu­to cu­ra?”, con­tin­uò Ar­mand.

      Due  grosse  lacrime  ro­to­larono sulle guance del mala­to,  che girò la

      tes­ta per nascon­der­lo.  Fin­si di non  ved­er­le  e  cer­cai  di  cam­biare

      dis­cor­so.

      “Sono già tre set­ti­mane che si­ete par­ti­to”, gli dis­si.

      Ar­mand si passò una mano sug­li oc­chi e mi rispose:

      “Tre set­ti­mane esat­te”.

      “E' sta­to un vi­ag­gio lun­go”.

       "Oh! Non ho sem­pre vi­ag­gia­to. Sono sta­to am­mala­to per quindi­ci giorni,

      al­tri­men­ti  sarei  tor­na­to  da tem­po;  ma ap­pe­na sono ar­riva­to lag­giù,

      sono sta­to colto dal­la feb­bre e sono sta­to ob­bli­ga­to  a  restarmene  a

      let­to".

      “E si­ete ri­par­ti­to pri­ma di es­sere guar­ito del tut­to”.

      “Se fos­si re­sta­to an­co­ra ot­to giorni in quel paese, ne sarei mor­to”.

      "Ma  ora  che si­ete tor­na­to,  dovete aver cu­ra di voi;  i vostri am­ici

      ver­ran­no a trovarvi, io per pri­mo, se me lo per­me­ttete".

      “Tra due ore sarò alza­to”.

      “Che im­pru­den­za!”.

      “De­vo far­lo”.

      “Che cosa avete dunque di così ur­gente?”.

      “De­vo an­dare dal com­mis­sario di polizia”.

      "Per­ché non in­car­icate qual­cuno di quest'in­comben­za che potrebbe farvi

      am­malare più grave­mente?".

      "E' la so­la cosa che può guarir­mi.  Bisogna che io la ve­da.  Da quan­do

      ho  sa­puto  del­la  sua morte,  e so­prat­tut­to da quan­do ho vis­to la sua

      tom­ba, ho per­so il son­no. Non ri­esco a ren­der­mi con­to che quel­la don­na

      che ho las­ci­ato così gio­vane e  bel­la  è  mor­ta.  Bisogna  che  me  ne

      ac­cer­ti io stes­so. Bisogna che io ve­da quel che Dio ha fat­to di quel­la

      crea­tu­ra  che  ho  tan­to  am­ato,  e  forse  l'or­rore  di  quel­la vista

      sos­ti­tuirà  la  dis­per­azione  del  ri­cor­do;   voi  mi  ac­com­pa­gnerete,

      no?...".

      “Se non vi sarà di pe­so”.

      “Che cosa vi ha det­to la sorel­la?”.

      "Nul­la.  E'  ri­mas­ta molto stupi­ta che un forestiero voglia ac­quistare

       un ter­reno e far costru­ire una tom­ba  per  Mar­guerite,  e  ha  fir­ma­to

      subito l'au­tor­iz­zazione che le chiede­vo".

      "Date­mi  ret­ta,  as­pet­tate  di  es­sere  ben  guar­ito  pri­ma di fare la

      traslazione".

      "Oh,  sarò forte,  state tran­quil­lo.  Del  resto  im­pazz­irei,  se  non

      mettes­si in opera al più presto ques­ta de­ci­sione,  il cui com­pi­men­to è

      di­venu­to una ne­ces­sità per il mio  do­lore.  Vi  giuro  che  non  potrò

      trovare la pace finché non avrò riv­is­to Mar­guerite.  E' forse l'ar­sura

      del­la feb­bre che mi bru­cia, un sog­no del­la mia in­son­nia, un frut­to del

      mio delirio;  ma  doves­si,  dopo  aver  vis­to,  far­mi  trap­pista  come

      mon­sieur de Rancé, io la ve­drò".

      “Capis­co”, dis­si ad Ar­mand, "e sono a vos­tra dis­po­sizione. Avete vis­to

      Julie Duprat?".

      “Sì. L'ho vista il giorno stes­so del mio ri­torno”.

      “Vi ha con­seg­na­to le carte che Mar­guerite le ave­va af­fi­date per voi?”.

      “Ec­cole”.

      Ar­mand  es­trasse  di  sot­to  il  cus­ci­no  un  ro­to­lo,  e  ve lo rim­ise

      im­me­di­ata­mente.

      “Conosco a memo­ria quan­to è scrit­to su questi fogli”,  mi  disse.  "Da

      tre  set­ti­mane  li  ri­leg­go dieci volte al giorno.  Li leg­gerete an­che

      voi,  ma più in là,  quan­do sarò più cal­mo e potrò farvi capire quan­to

      cuore  e quan­to amore siano con­tenu­ti in ques­ta con­fes­sione.  Per ora,

      ho un fa­vore da chiedervi".

      “Quale?”.

      “Avete una car­roz­za ad at­ten­dervi?”.

      “Sì”.

      "Bene, vo­lete pren­dere il mio pas­sapor­to e an­dare a vedere se al fer­mo

      pos­ta ci sono let­tere per me?  Mio padre e mia sorel­la  de­vono  aver­mi

      scrit­to a Pa­ri­gi, e io sono par­ti­to così di fret­ta che non ho avu­to il

      tem­po  di  in­for­marmene  pri­ma del­la parten­za.  Quan­do sarete tor­na­to,

      an­dremo in­sieme ad avver­tire il com­mis­sario di polizia del­la ce­ri­mo­nia

      di do­mani".

      Ar­mand mi con­seg­nò il pas­sapor­to,  e io mi re­cai in  rue  Jean-​Jacques

      Rousseau.

      C'er­ano due let­tere in­di­riz­zate a Du­val; le pre­si e tor­nai in­di­etro.

      Quan­do  ri­en­trai,  trovai  Ar­mand  com­ple­ta­mente  vesti­to  e  pron­to a

      us­cire.

      “Gra­zie”,  mi disse pren­den­do le let­tere.  “Sì”,  sog­giunse dopo  aver

      guarda­to gli in­di­rizzi,  "sì,  sono mio padre e mia sorel­la. Cre­do che

      non ab­biano capi­to la ra­gione del mio silen­zio".

      Aprì le let­tere,  le in­tuì  più  che  leg­ger­le,  per­ché  er­ano  lunghe

      quat­tro pagine cias­cu­na, e in un is­tante le ave­va già rip­ie­gate.

      “An­di­amo”, disse, “rispon­derò do­mani”.

      An­dammo  dal  com­mis­sario  di  polizia,  al  quale  Ar­mand con­seg­nò la

      procu­ra del­la sorel­la di Mar­guerite.

      Il com­mis­sario gli diede a sua vol­ta un  avvi­so  per  il  cus­tode  del

      cimitero;   fu  con­venu­to  che  la  traslazione  avrebbe  avu­to  lu­ogo

      l'in­do­mani mat­ti­na alle dieci,  e che io  sarei  pas­sato  a  pren­der­lo

      un'ora pri­ma, per an­dare in­sieme al cimitero.

      An­ch'io  ero cu­rioso di as­sis­tere a quel­lo spet­ta­co­lo,  e con­fes­so che

      la notte non chiusi oc­chio.

      A giu­di­care dai pen­sieri che mi as­salirono,  dovette  es­sere  una  ben

      lun­ga notte per Ar­mand.

      L'in­do­mani  alle  nove,  quan­do en­trai in casa sua,  era ter­ri­bil­mente

      pal­li­do, ma sem­bra­va cal­mo.

      Mi sor­rise ten­den­do­mi la mano.

      Le can­dele er­ano con­su­mate fi­no in fon­do e,  pri­ma di  us­cire,  Ar­mand

      prese  una  let­tera molto vo­lu­mi­nosa,  in­di­riz­za­ta a suo padre,  nel­la

      quale cer­to gli con­fi­da­va l'an­sia del­la not­ta­ta.

      Mezz'ora dopo ar­rivam­mo a  Mont­martre,  dove  il  com­mis­sario  era  ad

      at­ten­der­ci.

      Ci in­cam­mi­nam­mo lenta­mente ver­so la tom­ba di Mar­guerite.

      Il com­mis­sario ci pre­cede­va,  Ar­mand e io lo seguiv­amo a qualche pas­so

      di dis­tan­za.

      "Di tan­to in tan­to sen­ti­vo tremare con­vul­sa­mente il  brac­cio  del  mio

      com­pag­no, come se bri­vi­di im­provvisi lo per­cor­ressero.

      Al­lo­ra lo guar­da­vo;  egli capi­va il mio sguar­do e mi sor­ride­va,  ma da

      quan­do er­ava­mo us­ci­ti da  casa  sua  non  ave­va­mo  più  scam­bi­ato  una

      paro­la.

      Un  po'  pri­ma  del­la  tom­ba,  Ar­mand  si fer­mò per as­ci­ugar­si il vi­so

      ma­di­do di su­dore.

      Ap­prof­ittai di quel­la sos­ta per ripren­dere fi­ato, per­ché ave­vo an­ch'io

      il cuore stret­to come in una mor­sa.

      Da dove viene il do­loroso  pi­acere  che  si  pro­va  da­van­ti  a  sim­ili

      spet­ta­coli?  Quan­do  ar­rivam­mo al­la tom­ba,  vedem­mo che il gi­ar­diniere

      ave­va tolto tut­ti i vasi di fiori, che la ringhiera di fer­ro era sta­ta

      di­velta e che due uo­mi­ni scav­avano il ter­reno.

      Ar­mand si ap­pog­giò a un al­bero e guardò.

      Tut­ta la sua vi­ta sem­bra­va con­cen­tra­ta negli oc­chi.

      A un trat­to una delle due vanghe sfregò con­tro un sas­so. A quel ru­more

      Ar­mand in­di­etreg­giò come col­pi­to da una scos­sa elet­tri­ca, e mi strinse

      la mano con tan­ta forza da far­mi male.

      Un becchi­no prese una larga pala e vuotò a poco a poco la fos­sa;  poi,

      quan­do  non  vi  furono più che le pietre con le quali si ri­co­prono le

      bare, le get­tò fuori a una a una.

      Io  tene­vo  d'oc­chio  Ar­mand,   per­ché  teme­vo  che  le  emozioni  che

      vis­ibil­mente  si  ac­cav­alla­vano  in lui lo schi­antassero da un mo­men­to

      all'al­tro;  ma egli guar­da­va sem­pre,  con gli oc­chi fis­si e spalan­cati

      come nel­la pazz­ia, men­tre so­lo un leg­gero trem­ito delle guance e delle

      lab­bra mostra­va come egli fos­se in pre­da a una vi­olen­ta crisi ner­vosa.

      Quan­to a me, pos­so dire una cosa so­la, e cioè che mi pen­ti­vo di es­sere

      venu­to.

      Quan­do  la  bara  fu  scop­er­ta  del  tut­to,  il  com­mis­sario  disse ai

      bec­chi­ni:

      “Apritela”.

      Quel­li obbe­dirono,  come se si trat­tasse del­la cosa più  nat­urale  del

      mon­do.

      La bara era di quer­cia, ed es­si si mis­ero a svitare il cop­er­chio.

      L'umid­ità  del­la ter­ra ave­va fat­to ar­rug­ginire le vi­ti,  e ci volle un

      cer­to sfor­zo per sco­prire la bara. Ne uscì un vi­vo fe­tore, mal­gra­do le

      erbe aro­matiche che vi er­ano state poste.

      “Dio mio! Dio mio!”, mor­morò Ar­mand, sem­pre più pal­li­do.

      Gli stes­si bec­chi­ni in­di­etreg­gia­rono.

      Un gran lenzuo­lo bian­co ri­co­pri­va  il  ca­da­vere,  del  quale  las­ci­ava

      in­travedere  le forme.  Il lenzuo­lo ave­va un lem­bo quasi com­ple­ta­mente

      cor­roso, e las­ci­ava scop­er­to un piede del­la mor­ta.

      Prova­vo un sen­so di ma­lessere, e men­tre scri­vo queste righe il ri­cor­do

      di quel­la sce­na mi ap­pare in tut­ta la sua im­po­nente re­altà.

      “Svelti”, disse il com­mis­sario.

      Al­lo­ra uno dei due uo­mi­ni al­lungò  la  mano,  com­in­ciò  a  scu­cire  il

      lenzuo­lo  e,  tiran­do­lo  per un lem­bo,  sco­prì br­us­ca­mente il volto di

      Mar­guerite.

      Tremen­do da vedere, or­ri­bile a de­scriver­si.

      Gli oc­chi non er­ano più che due buchi,  le lab­bra er­ano scom­parse e  i

      den­ti  biancheg­gia­vano  in  due file ser­rate.  I lunghi capel­li neri e

      ari­di er­ano in­col­lati alle tem­pie e nascon­de­vano le  cav­ità  ver­das­tre

      delle  gote;  ep­pure  ri­conob­bi quel vi­so,  quel vi­so bian­co,  roseo e

      fe­lice che ave­vo vis­to tan­to spes­so.

      Ar­mand,  sen­za pot­er dis­togliere  lo  sguar­do  da  quel  volto,  ave­va

      por­ta­to il faz­zo­let­to al­la boc­ca e lo stringe­va tra i den­ti.

      Provai  l'im­pres­sione  di  un  cer­chio  di  fer­ro che mi stringesse la

      tes­ta,  gli oc­chi mi si ve­larono,  le orec­chie mi  ron­za­vano;  in­fine,

      aprii  un  fla­cone  di  sali  che  ave­vo pre­so per og­ni eve­nien­za e ne

      res­pi­rai pro­fon­da­mente il va­pore.

      Nel­lo stordi­men­to, sen­tii il com­mis­sario dire a Du­val:

      “La ri­conoscete?”.

      “Sì”, rispose il gio­vane con voce sor­da.

      “Al­lo­ra, chi­udete e por­tate via”, or­dinò il com­mis­sario.

      I bec­chi­ni las­cia­rono cadere di  nuo­vo  il  lenzuo­lo  sul  vi­so  del­la

      mor­ta,  richiusero  la  bara,  la  pre­sero  cias­cuno  da  un la­to e si

      diressero ver­so il lu­ogo che era sta­to loro in­di­ca­to.

      Ar­mand non si muove­va.  I suoi oc­chi er­ano in­chio­dati a  quel­la  fos­sa

      vuo­ta; era pal­li­do come il ca­da­vere che ave­va­mo vis­to al­lo­ra... pare­va

      piet­ri­fi­ca­to.

      Capii  quel­lo che sarebbe ac­cadu­to quan­do il do­lore,  dimi­nu­ito con lo

      svanire dell'im­pres­sione di quel­la sce­na, non lo avrebbe più sor­ret­to.

      Mi avvic­inai al com­mis­sario.

      “E' an­co­ra nec­es­saria la pre­sen­za  di  questo  sig­nore?”,  gli  chiesi

      in­di­can­do Ar­mand.

      “No”,  mi  rispose,  "e  vi  con­siglio di con­dur­lo via,  per­ché sem­bra

      mala­to".

      “Ven­ite”, dis­si al­lo­ra ad Ar­mand pren­den­do­lo per un brac­cio.

      “Come?”, disse lui guardan­do­mi come se non mi ri­conoscesse.

      “E' fini­to”,  sog­giun­si,  "dob­bi­amo an­darcene,  am­ico mio,  voi  si­ete

      pal­li­do, avete fred­do, finirete con l'uc­cidervi con queste emozioni".

      “Avete  ra­gione,   an­di­amocene”,   rispose  mec­ca­ni­ca­mente,  ma  sen­za

      muover­si. Al­lo­ra lo pre­si per un brac­cio e lo trasci­nai via.

      Si las­ciò con­durre come un bam­bi­no, mor­moran­do so­lo og­ni tan­to:

      “Avete vis­to i suoi oc­chi?”.

      E si volta­va come se quel­la vi­sione lo richia­masse in­di­etro.

      Tut­tavia,  il suo pas­so si fece più mar­ca­to,  sem­bra­va non rius­cisse a

      cam­minare che a sbalzi;  i den­ti gli bat­te­vano,  ave­va le mani gelate,

      men­tre una vi­olen­ta ag­itazione ner­vosa si an­da­va im­padro­nen­do di tut­ta

      la sua per­sona.

      Cer­cai di far­lo par­lare, ma non mi rispose.

      Era ir­rigid­ito, si face­va trascinare.

      Al­la por­ta trovam­mo la car­roz­za. Fi­nal­mente!

      Ap­pe­na vi si fu ac­co­moda­to,  i bri­vi­di au­men­tarono,  ed ebbe un vero e

      pro­prio at­tac­co di nervi, du­rante il quale, per tim­ore di spaven­tar­mi,

      mor­mora­va strin­gen­do­mi la mano:

      “Non è niente, non è niente, ho voglia di pi­an­gere”.

      Sen­ti­vo il suo pet­to gon­fi­ar­si, il sangue gli sali­va agli oc­chi, ma le

      lacrime non us­ci­vano.

      Gli fe­ci res­pi­rare i sali di cui mi ero servi­to pri­ma, e, quan­do fum­mo

      ar­rivati a casa sua, soltan­to i bri­vi­di con­tin­ua­vano.

      Con  l'aiu­to  di un do­mes­ti­co lo misi a let­to,  fe­ci ac­cen­dere un gran

      fuo­co nel­la stan­za,  e  cor­si  a  chia­mare  il  mio  medi­co  al  quale

      rac­con­tai ciò che era suc­ces­so. Egli ac­corse.

      Ar­mand  era  vi­olaceo,   deli­ra­va,   bal­bet­ta­va  pa­role  sen­za  sen­so,

      at­traver­so le  quali  si  dis­tingue­va  chiara­mente  so­lo  il  nome  di

      Mar­guerite.

      “Ebbene?”, chiesi al dot­tore dopo che ebbe esam­ina­to il mala­to.

      "Ebbene,  ha  sem­plice­mente una feb­bre cere­brale,  ed è ben for­tu­na­to,

      per­ché cre­do,  Dio mi per­doni,  che  sarebbe  im­pazz­ito.  La  malat­tia

      fisi­ca  uc­ciderà  fe­lice­mente la malat­tia morale,  e forse tra un mese

      egli sarà guar­ito dall'una e dall'al­tra".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

      CAPITOLO 7.

 

      Le malat­tie come quel­la che ave­va col­pi­to Ar­mand han­no il van­tag­gio di

      uc­cidere sul colpo o di las­cia­rsi vin­cere rap­ida­mente.

      Quindi­ci giorni dopo gli avven­imen­ti che ho de­scrit­to,  Ar­mand era  in

      piena con­va­lescen­za, e ci er­ava­mo legati con una stret­ta am­icizia.

      Io  non  ave­vo quasi mai ab­ban­do­na­to la sua stan­za per tut­ta la du­ra­ta

      del­la sua malat­tia.

      La pri­mav­era ave­va dif­fu­so dovunque i suoi fiori,  le  sue  foglie,  i

      suoi  uc­cel­li,  le sue can­zoni,  e la fines­tra del mio am­ico si apri­va

      al­le­gra­mente sul gi­ardi­no,  le cui salu­bri esalazioni sali­vano fi­no  a

      lui.

      Il  medi­co  gli  ave­va  per­me­sso  di  alzarsi,  e  restava­mo  spes­so a

      chi­ac­chier­are se­du­ti ac­can­to al­la fines­tra aper­ta,  nell'ora in cui il

      sole è più cal­do, da mez­zo­giorno alle due.

      Evi­ta­vo  ac­cu­rata­mente di par­largli di Mar­guerite,  sem­pre temen­do che

      quel nome potesse risveg­liare un triste ri­cor­do so­pi­to sot­to la  cal­ma

      ap­par­ente del mala­to;  ma Ar­mand,  in­vece, sem­bra­va par­lare di lei con

      pi­acere,  non più come pri­ma,  con le lacrime agli oc­chi,  ma  con  un

      dolce sor­riso che mi ras­si­cu­ra­va sul suo sta­to d'an­imo.

      Ave­vo  no­ta­to  che,  dopo  la  sua ul­ti­ma visi­ta al cimitero,  dopo lo

      spet­ta­co­lo che gli ave­va procu­ra­to quel­la vi­olen­ta  crisi,  la  misura

      del do­lore morale sem­bra­va es­sere sta­ta col­ma­ta dal­la malat­tia,  e che

      la morte di Mar­guerite non gli ap­pari­va più sot­to la stes­sa  luce  del

      pas­sato.

      Dall'ac­quisi­ta  certez­za  sem­bra­va  es­ser­gli  deriva­ta  una  specie di

      con­so­lazione, e, per al­lon­tanare da sé l'im­mag­ine fos­ca che spes­so gli

      si pre­sen­ta­va da­van­ti,  egli si im­merge­va nei ri­cor­di fe­li­ci del­la sua

      re­lazione  con  Mar­guerite,  e sem­bra­va non ac­cettasse or­mai al­tro che

      quel­li.

      Il cor­po era trop­po esauri­to dall'at­tac­co del­la feb­bre e  an­che  dal­la

      con­va­lescen­za per per­me­ttere al suo spir­ito un'emozione vi­olen­ta, e la

      piena gioia pri­maver­ile che cir­con­da­va Ar­mand ri­con­duce­va suo mal­gra­do

      il pen­siero di lui su im­mag­ini gioiose.

      Si  era  sem­pre os­ti­nata­mente ri­fi­uta­to di far conoscere al­la famiglia

      il  peri­co­lo  che  cor­re­va,  e  quan­do  era  sta­to  con­sid­er­ato  fuori

      peri­co­lo, suo padre ig­no­ra­va an­co­ra la sua malat­tia.

      Una sera,  ci er­ava­mo trat­tenu­ti ac­can­to al­la fines­tra più a lun­go del

      soli­to;  il tem­po era splen­di­do e il sole tra­mon­ta­va in un  cre­pus­co­lo

      smagliante d'az­zur­ro e d'oro. Sebbene ci trovas­si­mo a Pa­ri­gi, il verde

      che  ci  cir­con­da­va  sem­bra­va  iso­lar­ci dal mon­do,  e so­lo di tan­to in

      tan­to il ru­more di  una  car­roz­za  dis­tur­ba­va  a  malape­na  la  nos­tra

      con­ver­sazione.

      "Fu  press'a  poco  l'an­no scor­so di questi tem­pi,  e in una sera come

      ques­ta, che conob­bi Mar­guerite",  mi disse Ar­mand,  pre­stando orec­chio

      so­lo ai pro­pri pen­sieri e non a quel­lo che gli sta­vo di­cen­do.

      Io non risposi niente.

      Al­lo­ra si voltò ver­so di me e mi disse:

      "Bisogna pure che vi rac­con­ti ques­ta sto­ria,  voi ne farete un ro­man­zo

      al quale nes­suno cred­erà, ma che sarà forse in­ter­es­sante scri­vere".

      “Mi rac­con­terete tut­to più tar­di, am­ico mio”, gli risposi, "adesso non

      si­ete an­co­ra ab­bas­tan­za in forze".

      “La ser­ata è tiep­ida,  ho  man­gia­to  un  pet­to  di  pol­lo”,  mi  disse

      sor­ri­den­do;  "non ho feb­bre,  non ab­bi­amo niente da fare,  e quin­di vi

      rac­con­terò og­ni cosa".

      “Se pro­prio lo vo­lete, vi as­colto”.

      “E' una sto­ria sem­pli­cis­si­ma”,  sog­giunse al­lo­ra,  "e ve la rac­con­terò

      seguen­do l'or­dine dei fat­ti.  Se poi ne farete qual­cosa,  si­ete libero

      di nar­rar­la in al­tro mo­do".

      Ec­co dunque quan­to egli mi  rac­con­tò;  io  ho  cam­bi­ato  so­lo  qualche

      paro­la al suo com­movente rac­con­to.

 

      Sì - riprese Ar­mand, las­cian­do ri­cadere la tes­ta sul­lo schien­ale del­la

      poltrona  -  sì,  era  in  una  ser­ata  come ques­ta.  Ave­vo pas­sato la

      gior­na­ta in cam­pagna con uno  dei  miei  am­ici  Gas­ton  R...  La  sera

      er­ava­mo tor­nati a Pa­ri­gi,  e non sapen­do che fare, en­tram­mo al Théâtre

      des Var­iétés.

      Du­rante un in­ter­val­lo us­cim­mo, e,  nel cor­ri­doio,  vedem­mo pas­sare una

      don­na al­ta che il mio am­ico salutò.

      “Chi avete salu­ta­to?”, gli chiesi.

      “Mar­guerite Gau­ti­er”, mi rispose.

      “Mi  sem­bra  molto cam­bi­ata,  non l'ho nep­pure ri­conosci­uta” dis­si con

      un'emozione che presto capirete.

      “E' sta­ta mala­ta, povera figli­uo­la, e non ne avrà per molto”.

      Mi ri­cor­do queste pa­role come se fos­sero state pro­nun­ci­ate ieri.

      Dovete sapere, am­ico mio,  che da due an­ni la vista di quel­la ragaz­za,

      quan­do l'in­con­tra­vo, mi face­va una strana im­pres­sione.

      Sen­za  che  sapes­si  il  per­ché,  im­pal­lidi­vo,  e il mio cuore bat­te­va

      fu­riosa­mente.

      Uno dei miei am­ici, cul­tore di scien­ze oc­culte, chi­amerebbe quel­la mia

      sen­sazione affinità mag­net­ica;  ma io cre­do  sem­plice­mente  che  fos­si

      des­ti­na­to   a   in­namorar­mi   di  Mar­guerite,   e  che  ne  aves­si  il

      pre­sen­ti­men­to.

      Fat­to sta che mi face­va sem­pre una pro­fon­da im­pres­sione,  e molti  dei

      miei  am­ici  ne er­ano stati tes­ti­moni,  e ne ave­vano riso molto quan­do

      ave­vano sa­puto da chi mi veni­va quel tur­ba­men­to.

      La vi­di per la pri­ma vol­ta in Place de la Bourse, al­la por­ta di Susse.

      Un ca­lesse scop­er­to si era fer­ma­to,  e ne discese una don­na vesti­ta di

      bian­co.  Un  mor­morio  di  am­mi­razione  ac­colse  il  suo  in­gres­so nel

      ne­gozio.

      Me ne restai in­chioda­to al mio pos­to,  dal mo­men­to in cui era  en­tra­ta

      fi­no a quel­lo in cui uscì.

      At­traver­so  i  vetri  la guardai scegliere e ac­quistare.  Avrei po­tu­to

      en­trare, ma non os­ai. Non sape­vo chi fos­se quel­la don­na,  e teme­vo che

      potesse  in­tuire  la  ra­gione  del mio in­gres­so nel ne­gozio e ne fos­se

      offe­sa. Tut­tavia, non cre­de­vo che l'avrei riv­ista.

      Era vesti­ta con el­egan­za;  in­dos­sa­va un abito di mus­so­la a  'volants',

      uno  scialle in­di­ano quadra­to con gli an­goli ri­ca­mati d'oro e di fiori

      di se­ta, un cap­pel­lo di paglia ital­iano,  e un so­lo brac­cialet­to,  una

      cate­na d'oro che sta­va di­ven­tan­do di mo­da a quel tem­po.

      Risalì nel ca­lesse e si al­lon­tanò.

      Uno  dei  commes­si  del  ne­gozio  ri­mase sul­la por­ta,  seguen­do con lo

      sguar­do la car­roz­za dell'el­egante cliente.  Mi avvic­inai a  lui  e  lo

      pre­gai di dir­mi chi fos­se quel­la sig­no­ra.

      “E' made­moi­selle Mar­guerite Gau­ti­er”, mi rispose.

      Non os­ai chieder­gli l'in­di­riz­zo, e me ne andai.

      Il ri­cor­do di quel­la vi­sione,  per­ché non si può par­lare d'al­tro,  non

      vol­eva las­cia­re la mia mente,  come le al­tre che ave­vo avu­to  fi­no  ad

      al­lo­ra,  e  mi  misi  a cer­care dap­per­tut­to quel­la dama in bian­co così

      re­gal­mente bel­la.

      Dopo qualche giorno ebbe  lu­ogo  uno  spet­ta­co­lo  di  gala  all'Opéra-

      Comique.

      Vi  andai.  La  pri­ma  per­sona  che  vi­di  in un pal­co di prosce­nio fu

      Mar­guerite Gau­ti­er.

      L'am­ico che era con me la ri­conobbe, e mi disse, nom­inan­dola:

      “Guar­date quel­la bel­la don­na”.

      In  quel  mo­men­to,  Mar­guerite  pun­ta­va  il  bino­co­lo  ver­so  di  noi;

      ri­conobbe il mio am­ico, gli sor­rise, e gli fece seg­no di rag­giunger­la.

      “Va­do a salu­tar­la”, mi disse lui, “e vi rag­giun­go subito”.

      Non potei fare a meno di dirgli: “Beato voi!”.

      “Per­ché?” .

      “Per­ché an­date da quel­la don­na”.

      “Ne si­ete forse in­namora­to?”.

      “No”,  dis­si ar­rossendo,  per­ché non sape­vo bene che rispon­der­gli, "ma

      ci ter­rei a conoscer­la".

      “Ven­ite con me, vi pre­sen­terò”.

      “Do­man­dategliene pri­ma il per­me­sso”.

      “Oh, per­bac­co, non c'è bisog­no di fare com­pli­men­ti con lei; ven­ite”.

      Quel­lo che mi disse mi tur­bò;  trema­vo al pen­siero  di  dover­mi  forse

      con­vin­cere che Mar­guerite non mer­ita­va quel­lo che prova­vo per lei.

      In un li­bro di Alphonse Karr, dal tito­lo “Aru Ranchen”, si rac­con­ta di

      un  uo­mo  che,  una  sera,  segue una don­na molto el­egante di cui si è

      in­namora­to a pri­ma vista per la sua bellez­za.  Pur di ba­cia­re la  mano

      di  quel­la  don­na,  egli  si sente la forza per qual­si­asi im­pre­sa,  la

      volon­tà per qual­si­asi con­quista, il cor­ag­gio per qual­si­asi ardi­men­to.

      Egli osa ap­pe­na sfio­rare con lo sguar­do la cav­iglia  sul­la  quale  lei

      soll­eva con civet­te­ria la veste per im­pedirle di im­polver­ar­si.

      Men­tre  sogna tut­to quan­to farebbe per possedere quel­la don­na,  lei lo

      fer­ma all'an­go­lo di una stra­da e gli chiede se  vuole  salire  a  casa

      sua.

      Egli  gi­ra  la tes­ta da un'al­tra parte,  col cuore amareg­gia­to,  se ne

      tor­na a casa.

      Quel­lo scrit­to mi tor­na in mente,  e men­tre avrei vo­lu­to sof­frire  per

      quel­la don­na,  teme­vo che mi ac­cettasse trop­po presto, e mi con­cedesse

      con trop­pa pron­tez­za un amore che avrei vo­lu­to pa­gare  con  una  lun­ga

      at­te­sa o con un gran sac­ri­fi­cio. Noi uo­mi­ni siamo fat­ti così, ed è una

      for­tu­na  che  la  fan­ta­sia  las­ci  ai  sen­si  tan­ta  poe­sia,  e che il

      deside­rio fisi­co fac­cia così pos­to ai sog­ni del­lo spir­ito.

      In­som­ma,  se mi avessero det­to: "Ques­ta don­na sarà vos­tra  stasera,  e

      do­mani ver­rete uc­ciso", avrei ac­cetta­to.

      Se  mi  avessero  det­to:  “Date dieci lui­gi,  e sarete il suo amante”,

      avrei ri­fi­uta­to,  e ne avrei pianto come un bam­bi­no che  al  risveg­lio

      vede svanire il castel­lo in­trav­is­to in sog­no.

      Tut­tavia,  vole­vo conoscer­la: era quel­lo il so­lo mez­zo per sapere come

      mi sarei dovu­to re­go­lare con lei.

      Dis­si dunque al mio am­ico che tene­vo a  che  es­sa  gli  con­cedesse  il

      per­me­sso di pre­sen­tar­mi a lei,  e mi ag­gi­ra­vo nel cor­ri­doio,  pen­san­do

      che di lì a poco mi avrebbe  vis­to,  e  che  non  avrei  sa­puto  quale

      con­teg­no as­sumere sot­to i suoi oc­chi.

      Cer­cai di met­tere in­sieme fi­no da al­lo­ra le pa­role che le avrei det­to.

      Che bam­bi­na­ta sub­lime, l'amore!

      Poco dopo il mio am­ico mi rag­giunse. “Ci as­pet­ta”, mi disse.

      “E' so­la?”, gli chiesi.

      “C'è un'al­tra don­na”.

      “E nes­sun uo­mo?”.

      “Nes­suno”.

      “An­di­amo”.

      Il mio am­ico si diresse ver­so la por­ta del teatro.

      “Beh, non è mi­ca da quel­la parte”, gli dis­si.

      “An­di­amo pri­ma a cer­care dei dol­ci: me li ha chi­esti”.  En­tram­mo da un

      pas­ticciere vi­ci­no all'Opéra.

      Avrei vo­lu­to com­prare tut­to il ne­gozio,  e  mi  guar­da­vo  in­torno  per

      cer­care come com­porre il pac­chet­to, quan­do il mio am­ico disse:

      “Date­mi una lib­bra di uva can­di­ta”.

      “Si­ete si­curo che le pi­ac­cia?”.

      “Non  man­gia  al­tri dol­ci,  è ris­aputo.  Ah”,  con­tin­uò dopo che fum­mo

      us­ci­ti,  "sapete che don­na sto per pre­sen­tarvi?  Non cre­di­ate che  sia

      una duches­sa, è so­lo una man­tenu­ta, la più man­tenu­ta delle donne, caro

      mio,  non fate dunque com­pli­men­ti,  e dite pure tut­to ciò che vi ver­rà

      in tes­ta".

      “Bene, bene”,  bal­bet­tai seguen­do­lo,  e di­cen­do­mi che sarei ben presto

      guar­ito dal­la mia pas­sione.

      Quan­do en­tram­mo nel pal­co, Mar­guerite ride­va sono­ra­mente.

      Avrei prefer­ito che fos­se triste.

      Il  mio am­ico mi pre­sen­tò.  Mar­guerite mi rivolse un leg­gero cen­no del

      capo, e disse:

      “I miei dol­ci?”.

      “Ec­coli” .

      Pren­den­doli mi guardò.  Ab­bas­sai gli oc­chi ar­rossendo.  Lei  si  chinò

      all'orec­chio del­la vic­ina,  le mor­morò qualche paro­la a bas­sa voce, ed

      en­trambe scop­pi­arono a rid­ere.  Ero io il mo­ti­vo di quell'ilar­ità;  il

      mio  im­baraz­zo  rad­doppiò.  A quell'epoca ave­vo per amante una pic­co­la

      borgh­ese molto ten­era e molto sen­ti­men­tale,  il cui sen­ti­men­tal­is­mo  e

      le cui let­tere ma­lin­coniche mi face­vano rid­ere.

      Capii  il  do­lore che dove­vo dar­le da quel­lo che sta­vo provan­do io,  e

      per cinque minu­ti l'amai come mai una don­na è sta­ta am­ata.

      Mar­guerite man­gia­va la sua uva sen­za più oc­cu­par­si di me. Il mio am­ico

      non volle più las­cia­rmi in quel­la ridi­co­la po­sizione.

      “Mar­guerite”,  disse,  "non dovete stupirvi se mon­sieur Du­val  non  vi

      dice  niente,  per­ché  voi  lo  tur­bate  a  tal pun­to che non ri­esce a

      trovare le pa­role".

      "Io cre­do pi­ut­tosto che il sig­nore vi ab­bia ac­com­pa­gna­to qui per­ché vi

      an­noia­va venir­ci da so­lo".

      “Se fos­se vero”,  dis­si a mia vol­ta,  "non  avrei  pre­ga­to  Ernest  di

      chiedervi il per­me­sso di es­servi pre­sen­ta­to".

      “Era forse so­lo il pretesto per ri­tar­dare il mo­men­to fa­tale”.

      Per poco che si ab­bia es­pe­rien­za di donne del genere di Mar­guerite, si

      sa  il  pi­acere  che  provano  nel fare del­lo spir­ito a spropos­ito e a

      pren­dere in giro la gente che ve­dono per la pri­ma vol­ta.

      E' cer­to una riv­inci­ta sulle umil­iazioni che spes­so sono  costrette  a

      subire da parte di quel­li che esse ve­dono tut­ti i giorni.

      E'   nec­es­sario   quin­di,   per  pot­er  rispon­dere  loro,   una  cer­ta

      di­mes­tichez­za col loro mon­do, cosa che io non ave­vo; e poi, l'idea che

      mi ero fat­ta su Mar­guerite esagerò ai miei  oc­chi  l'im­por­tan­za  del­lo

      scher­zo.  Nul­la  che venisse da quel­la don­na mi las­ci­ava in­dif­fer­ente.

      Così,  mi alzai di­cen­dole con un tono  di  voce  al­ter­ata  che  mi  fu

      im­pos­si­bile nascon­dere del tut­to:

      "Se  è questo che pen­sate di me,  sig­no­ra,  non mi res­ta che chiedervi

      scusa per la mia in­dis­crezione,  e con­gedar­mi da voi as­si­cu­ran­dovi che

      la cosa non si ripeterà".

      Così det­to, salu­tai e uscii.

      Ap­pe­na ebbi chiu­so la por­ta, udii un nuo­vo scop­pio di risa. Mi sarebbe

      piaci­uto molto che in quel mo­men­to qual­cuno mi pren­desse a spin­toni.

      Tor­nai al mio pos­to.

      Fu bat­tuto un colpo che an­nun­zi­ava l'alzarsi del sipario. Ernest tornò

      da me.

      “Ma che fate?”, mi disse seden­dosi. “Vi han­no pre­so per paz­zo”.

      “Che cosa ha det­to Mar­guerite, quan­do me ne sono anda­to?” .

      "Ha riso, e mi ha as­si­cu­ra­to di non aver mai vis­to un tipo così buf­fo,

      ma  non dovete cred­ervi scon­fit­to;  non fate mai a certe donne l'onore

      di pren­der­le sul se­rio.  Esse non san­no cosa siano  el­egan­za  e  buone

      maniere;  sono  come  i  cani,  i  quali  se met­tete loro dei pro­fu­mi,

      trovano  che  han­no  un  cat­ti­vo  odore  e  van­no  a  ro­to­lar­si  nelle

      poz­zanghere".

      “Dopo  tut­to  che  m'im­por­ta?”,  dis­si  cer­can­do  di  as­sumere un tono

       in­dif­fer­ente.  "Non rive­drò più quel­la don­na,  e se  pure  mi  pi­ace­va

      pri­ma di conoscer­la, ora che la conosco, è tut­to molto di­ver­so".

      "Bah! non dis­pero di ved­ervi un giorno nel suo pal­co, e di sen­tir dire

      che  vi  state  rov­inan­do  per  lei.  Del  resto,  avreste ra­gione,  è

      male­du­ca­ta ma var­rebbe la pe­na aver­la come amante".

      Per for­tu­na si alzò il sipario e  il  mio  am­ico  tacque.  Mi  sarebbe

      im­pos­si­bile dirvi quale com­me­dia si rap­pre­sen­ta­va. Tut­to ciò di cui mi

      ri­cor­do  è  che di tan­to in tan­to alza­vo gli oc­chi sul pal­co dal quale

      ero così br­us­ca­mente us­ci­to,  e che og­ni vol­ta vi in­travede­vo il  vi­so

      di un nuo­vo vis­ita­tore.

      Tut­tavia,  ero ben lon­tano dal non pen­sare più a Mar­guerite.  Un al­tro

      sen­ti­men­to si era im­padroni­to di me.  Mi sem­bra­va che avrei dovu­to far

      di­men­ti­care  il  suo in­sul­to e la mia ridi­co­la figu­ra;  mi dice­vo che,

      aves­si dovu­to spendere tut­to quel che possede­vo,  avrei  avu­to  quel­la

      ragaz­za  e  avrei pre­so di dirit­to il pos­to che ave­vo ab­ban­do­na­to così

      in fret­ta.

      Pri­ma che lo spet­ta­co­lo finisse,  Mar­guerite e la sua am­ica las­cia­rono

      il pal­co.

      Mio mal­gra­do, las­ci­ai an­ch'io il mio pos­to.

      “Ve ne an­date?”, mi chiese Ernest.

      “Sì”

      “Per­ché?”.

      In quel mo­men­to,  si ac­corse che il pal­co era vuo­to. “An­date, an­date”,

      mi disse al­lo­ra, “e buona for­tu­na, o pi­ut­tosto, migliore for­tu­na”.

      Uscii.

      Udii nelle scale fr­uscii di se­ta e bis­bigli di vo­ci.  Mi tirai  da  un

      la­to  e vi­di pas­sare,  non vis­to,  le due donne e i due gio­vani che le

      ac­com­pa­gna­vano.

      Sot­to il por­ti­co del teatro, un pic­co­lo do­mes­ti­co si avvicinò a loro.

      “Di' al coc­chiere  di  as­pettar­ci  da­van­ti  al  Café  Anglais”,  disse

      Mar­guerite, “an­dremo fin là a pie­di”.

      Qualche min­uto dopo, passeg­gian­do sul boule­vard, vi­di al­la fines­tra di

      uno  dei  sa­lot­ti­ni  di  quel  ris­torante  Mar­guerite,  ap­pog­gia­ta  al

      da­van­za­le, che sfogli­ava a una a una le camelie del suo maz­zo.

      Uno dei due uo­mi­ni era chi­no sul­la sua spal­la e le parla­va sot­tovoce.

      Andai a se­der­mi al­la Mai­son-​d'Or,  nei sa­loni del pri­mo  pi­ano,  sen­za

      perdere di vista quel­la fines­tra.

      All'una  del  mat­ti­no,  Mar­guerite  risali­va  in car­roz­za coi suoi tre

      am­ici. Pre­si una vet­tura e la seguii.

      La car­roz­za si fer­mò al nu­mero 9 di rue d'Antin.

      Mar­guerite ne discese ed en­trò da so­la in casa.

      Si trat­ta­va cer­to di un ca­so, ma un ca­so che mi rese molto fe­lice.

      Da quel giorno in­con­trai spes­so Mar­guerite al teatro  e  agli  Champs-

      Elysées.  Sem­pre  in  lei  la stes­sa al­le­gria,  in me sem­pre lo stes­so

      tur­ba­men­to.

      Pas­sarono tut­tavia quindi­ci giorni sen­za che  la  rivedessi  in  al­cun

      lu­ogo. Mi in­con­trai con Gas­ton al quale chiesi no­tizie.

      “La pove­ri­na è molto am­mala­ta”, mi rispose.

      “Che cos'ha?”.

      "Ha  che è tisi­ca,  e sic­come ha fat­to una vi­ta che non è cer­to la più

      adat­ta a guarir­la, è a let­to e sta moren­do".

      Il cuore è stra­no: fui quasi con­tento di quel­la malat­tia.  Andai tut­ti

      i  giorni  a pren­dere no­tizie dell'am­mala­ta,  sen­za tut­tavia fir­mare o

      las­cia­re il bigli­et­to di visi­ta.  Sep­pi così del­la sua con­va­lescen­za e

      del­la sua parten­za per Bag­nères.

      Passò  poi qualche tem­po,  e l'im­pres­sione,  se non il ri­cor­do,  parve

      can­cel­lar­si  a  poco  a  poco  dal  mio  an­imo.  Vi­ag­giai;  re­lazioni,

      abi­tu­di­ni, oc­cu­pazioni, sos­ti­tuirono quel pen­siero, e quan­do ri­cor­da­vo

      quel­la pri­ma avven­tu­ra,  non vole­vo ved­ervi che una di quelle pas­sioni

      che si han­no finché si è gio­vani,  e delle quali si ride qualche tem­po

      dopo.

      Del  resto,  non  ci  sarebbe  sta­to  al­cun mer­ito a tri­on­fare di quel

      ri­cor­do per­ché ave­vo per­so di vista Mar­guerite dopo la  sua  parten­za,

      e,  come  vi  ho  det­to,  quan­do  mi  passò  ac­can­to nel cor­ri­doio del

      Var­iété, non la ri­conob­bi. Era ve­la­ta,  è vero;  ma per quan­to ve­la­ta,

      due  an­ni  pri­ma  non avrei avu­to bisog­no di ved­er­la per ri­conoscer­la:

      l'avrei in­dov­ina­ta.  Ma questo non impedì  al  mio  cuore  di  bat­tere

      quan­do sep­pi che era lei;  e i due an­ni trascor­si sen­za ved­er­la,  e il

      risul­ta­to che pare­va aver prodot­to quel­la sep­arazione, svanirono nel­la

      neb­bia al so­lo con­tat­to del­la sua veste.

 

 

 

      CAPITOLO 8.

 

      Tut­tavia - con­tin­uò Ar­mand dopo una pausa - pur ren­den­do­mi  con­to  che

      ero  an­co­ra  in­namora­to,  mi  sen­ti­vo  più  forte di pri­ma,  e nel mio

      deside­rio di rivedere Mar­guerite c'era an­che la volon­tà  di  mostrar­le

      che le ero di­ven­ta­to su­pe­ri­ore.

      Quante strade e quante ra­gioni crea il cuore per ar­rivare a quel­lo che

      vuole!

      Così,  non  potei  restare più a lun­go nel cor­ri­doio,  e tor­nai al mio

      pos­to lan­cian­do una rap­ida oc­chi­ata per la sala,  per vedere in  quale

      pal­co lei si trovasse.

      Era nel pal­co di prosce­nio di prim'or­dine, so­la. Era cam­bi­ata, come vi

      ho det­to, non ritrova­vo più sul­la sua boc­ca quel sor­riso in­dif­fer­ente.

      Ave­va sof­fer­to, e sof­fri­va an­co­ra.

      Per quan­to si fos­se già in aprile,  era an­co­ra vesti­ta come d'in­ver­no,

      e tut­ta cop­er­ta di vel­lu­to.

      La guar­da­vo con tan­ta in­sis­ten­za, che il mio sguar­do at­tirò il suo.

      Mi os­servò per qualche is­tante, prese il bino­co­lo per guardar­mi meglio

      e cre­dette cer­to di ri­conoscer­mi,  sen­za pot­er dire con pre­ci­sione chi

      fos­si,  per­ché,  quan­do de­pose il bino­co­lo,  un sor­riso,  il delizioso

      salu­to delle donne, le passò sulle lab­bra per rispon­dere al salu­to che

      sem­bra­va at­ten­dere da me; ma io non risposi af­fat­to, come per as­sumere

      un nuo­vo at­teggia­men­to e fin­gere di aver di­men­ti­ca­to  nel  mo­men­to  in

      cui lei ri­cor­da­va.

      Cre­dette al­lo­ra di es­ser­si sbagli­ata,  e dis­tolse lo sguar­do.  Si alzò

      il sipario.

      Ho vis­to molte volte  Mar­guerite  a  teatro,  e  non  l'ho  mai  vista

      prestare la min­ima at­ten­zione a quel­lo che si rap­pre­sen­ta­va.

      Quan­to  a  me,  lo  spet­ta­co­lo  mi  in­ter­es­sa­va  as­sai poco,  e non mi

      oc­cu­pa­vo che di lei,  facen­do tut­tavia og­ni sfor­zo per­ché  non  se  ne

      ac­corgesse.

      La  vi­di  scam­biare  oc­chi­ate  con la per­sona che oc­cu­pa­va il pal­co di

      fronte al suo;  por­tai lo sguar­do su quel pal­co  e  vi  ri­conob­bi  una

      don­na con la quale ero ab­bas­tan­za in con­fi­den­za.

      Ques­ta  don­na  era  sta­ta  una man­tenu­ta,  e ave­va cer­ca­to di fare del

      teatro sen­za rius­cirvi; al­lo­ra, sic­come pote­va con­tare sulle re­lazioni

      con le donne più el­egan­ti di Pa­ri­gi,  si era da­ta al com­mer­cio e ave­va

      aper­to un ne­gozio di mode.

      Vi­di  in  lei  il  mo­do di in­con­trare Mar­guerite,  e ap­prof­ittai di un

      mo­men­to in cui guar­da­va dal­la mia parte per salu­tar­la con  la  mano  e

      con gli oc­chi.

      Ac­cadde  quan­to  ave­vo  pre­vis­to:  mi  chi­amò nel suo pal­co.  Pru­dence

      Du­ver­noy,  tale era il fe­lice nome del­la modista,  era una  di  quelle

      quar­an­ten­ni  già sfor­mate,  con le quali non è nec­es­sario us­are trop­pa

      diplo­mazia per fare dir loro quel­lo che si vuole  sapere,  so­prat­tut­to

      quan­do  ciò  che  ci  in­ter­es­sa  è sem­plice quan­to ciò che io ave­vo da

      chieder­le.

      Ap­prof­ittai di un mo­men­to in cui  ripren­de­va  a  scam­biare  cen­ni  con

      Mar­guerite, per do­man­dar­le:

      "Chi guar­date così?,.

      “Mar­guerite Gau­ti­er”.

      “La conoscete?”.

      “Cer­to: sono la sua modista e abi­ta vi­ci­no a me”

      “Abi­tate dunque an­che voi in rue d'Antin?”.

      "Sì,  al  nu­mero  7.  La  fines­tra  del  suo  spoglia­toio guar­da sul­la

      fines­tra del mio".

      “Di­cono che sia una don­na af­fasci­nante”.

      “Non la conoscete?”.

      “No, ma vor­rei tan­to conoscer­la”.

      “Vo­lete che le di­ca di venire nel nos­tro pal­co?”.

      “No, preferisco es­ser­le pre­sen­ta­to”.

      “A casa sua?”.

      “Sì”.

      “E' più dif­fi­cile”.

      “Per­ché?”.

      “Per­ché è la pro­tet­ta di un vec­chio duca molto geloso”.

      “Delizioso quel 'pro­tet­ta'”.

      “Sì,  pro­tet­ta” riprese Pru­dence.  "Povero vec­chio,  non  gli  sarebbe

      facile es­serne l'amante".

      Pru­dence  mi rac­con­tò al­lo­ra come Mar­guerite avesse conosci­uto il duca

      a Bag­nères.

      “E' per questo”, con­tin­uai, “che è qui da so­la?”.

      “Ap­pun­to”.

      “Ma chi la ri­ac­com­pa­gn­erà a casa?”.

      “Lui”.

      “Ver­rà a pren­der­la, al­lo­ra?”.

      “Tra poco”.

      “E voi, chi v'ac­com­pa­gn­erà?”.

      “Nes­suno”.

      “Lo farò io”.

      “Ma si­ete qui con un am­ico, mi pare”.

      “E al­lo­ra lo fare­mo in­sieme”.

      “Chi è il vostro am­ico?”.

      "Un  ragaz­zo  pi­acev­ole,   molto  spir­itoso,   che  sarà   fe­lice   di

      conoscervi".

      "Va  bene,  d'ac­cor­do,  ce  ne  an­dremo  tut­ti e tre dopo questo at­to,

      per­ché l'ul­ti­mo lo conosco".

      “Vo­len­tieri, va­do ad avver­tire il mio am­ico”.

      “An­date.  Ah!” mi disse Pru­dence men­tre sta­vo per us­cire "ec­co il duca

      che en­tra nel pal­co di Mar­guerite".

      Guardai.  In­fat­ti, un uo­mo sul­la set­tanti­na si sta­va seden­do di­etro la

      gio­vane don­na e le  porge­va  un  sac­chet­to  di  dol­ci  nel  quale  lei

      in­fila­va la mano sor­ri­den­do, per posar­lo subito dopo sul para­pet­to del

      pal­co facen­do a Pru­dence un seg­no che pote­va tradur­si in:

      “Ne vo­lete?”.

      “No” rispose Pru­dence.

      Mar­guerite riprese il sac­chet­to e,  gi­ran­dosi, si mise a chi­ac­chier­are

      col duca.

      Il rac­con­to di tut­ti questi par­ti­co­lari può sem­brare puerile ma  tut­to

      ciò  che riguar­da quel­la don­na è così pre­sente nel­la mia memo­ria,  che

      non pos­so im­pedir­mi, og­gi, di ri­cor­dar­lo.

      Sce­si ad avver­tire Gas­ton di quan­to ave­vo de­ciso per lui e per me.

      Egli ac­cettò.

      Las­ci­ammo i nos­tri posti per salire nel pal­co di madame Du­ver­noy.

      Ap­pe­na aper­ta la por­ta del cor­ri­doio  dei  palchi,  dovem­mo  far­ci  da

      parte per las­ciar pas­sare Mar­guerite e il duca che se ne an­da­vano.

      Avrei  da­to  dieci an­ni del­la mia vi­ta per es­sere al pos­to del vec­chio

      gen­tilu­omo.

      Us­ci­ti nel boule­vard,  la fece sedere in un ca­lesse,  che  lui  stes­so

      gui­da­va,  e  si al­lon­ta­narono,  por­tati via al trot­to da due splen­di­di

      cav­al­li.

      En­tram­mo nel pal­co di Pru­dence.

      Quan­do l'at­to finì,  scen­dem­mo a pren­dere la car­roz­za da no­lo  che  ci

      con­dusse al nu­mero 7 di rue d'Antin.

      Al­la  por­ta  di  casa,  Pru­dence  ci  in­vitò a salire per mostrar­ci il

      ne­gozio, che non conosce­va­mo e del quale sem­bra­va molto or­gogliosa.

      Potete im­mag­inare con quale gioia ac­cettai l'in­vi­to.  Mi  sem­bra­va  di

      ac­costar­mi   un  po'  a  Mar­guerite.   Ben  presto  fe­ci  ri­cadere  la

      con­ver­sazione su di lei.

      “Il vec­chio duca è dal­la nos­tra vic­ina?”, chiesi a Pru­dence.

      “No, dovrebbe es­sere so­la”.

      “Si an­noierà ter­ri­bil­mente”, disse Gas­ton.

      "Pas­si­amo quasi tutte le ser­ate in­sieme,  per­ché,  quan­do ri­en­tra,  mi

      chia­ma  da  lei.  Non  si cor­ica mai pri­ma delle due del mat­ti­no.  Non

      ri­esce ad ad­dor­men­tar­si pri­ma".

      “Per­ché?” .

      “Per­ché è mala­ta di pet­to e ha quasi sem­pre la feb­bre”.

      “Non ha nes­sun amante?”, chiesi.

      "Non ve­do mai nes­suno che resti da lei quan­do me ne va­do  io;  ma  non

      sono  in gra­do di dire se non va­da nes­suno dopo che me ne sono an­da­ta;

      spes­so in­con­tro da lei, la sera,  un cer­to con­te de N...  che crede di

      rag­giun­gere  i  suoi  scopi  facen­dole  visi­ta  alle  undi­ci  di sera,

      man­dan­dole tan­ti gioiel­li quan­ti può desider­are;  ma lei  non  lo  può

      vedere nep­pure dip­in­to,  Ha tor­to, è un ragaz­zo molto ric­co. Ho un bel

      dirle di tan­to in tan­to: 'Figli­uo­la mia, è l'uo­mo che ci vuole!'. Lei,

      che di soli­to mi dà ab­bas­tan­za ret­ta,  mi gi­ra le spalle e mi risponde

      che è trop­po stupi­do. Che sia stupi­do, ne con­ven­go, ma sarebbe per lei

      una  sis­temazione,  men­tre  quel  vec­chio  duca  potrebbe morire da un

      mo­men­to  all'al­tro.  I  vec­chi  sono  ego­isti;  la  sua  famiglia  gli

      rim­provera  sen­za posa il suo af­fet­to per Mar­guerite: ec­co due ra­gioni

      per­ché non le las­ci niente.  Le fac­cio la pred­ica,  e lei mi  risponde

      che sarà sem­pre in tem­po a pren­der­si il con­te al­la morte del duca. Non

      è sem­pre di­ver­tente“, pros­eguì Pru­dence, ”vi­vere come lei. So bene che

      mi  pi­ac­erebbe poco e che man­derei ben presto a spas­so quel brav'uo­mo.

      Non sa di niente, quel vec­chio;  la chia­ma 'figlia mia',  si oc­cu­pa di

      lei  come  di  una bam­bi­na,  le sta sem­pre ad­dos­so.  Sono si­cu­ra che a

      quest'ora uno dei suoi do­mes­ti­ci passeg­gia nel­la stra­da per ved­er  chi

      es­ce, e so­prat­tut­to chi en­tra".

      “Ah!  povera  Mar­guerite!”,  disse  Gas­ton  seden­dosi  al pi­anoforte e

      ac­cen­nan­do un valz­er,  "non sape­vo niente di tut­to ciò.  Co­munque,  mi

      ero ac­cor­to che da qualche tem­po ave­va un'aria meno al­le­gra".

      “Zit­to!”, disse Pru­dence ten­den­do l'orec­chio.

      Gas­ton tacque.

      “Mi sta chia­man­do, mi pare”.

      As­coltam­mo. In­fat­ti, una voce chia­ma­va Pru­dence.

      “Al­lo­ra, sig­nori, an­date via”, disse madame Du­ver­noy.

      “Ah, è così che in­ten­dete l'os­pi­tal­ità!”, disse Gas­ton ri­den­do. "Ce ne

      an­dremo quan­do ci pi­ac­erà".

      “E per­ché dovrem­mo an­darcene?”.

      “Per­ché va­do da Mar­guerite”.

       “Vi as­pet­ter­emo”.

      “E' im­pos­si­bile”.

      “Al­lo­ra ver­re­mo con voi”.

      “Peg­gio”.

      “Io,  Mar­guerite la conosco”, disse Gas­ton, "pos­so pur sem­pre an­dare a

      far­le una visi­ta".

      “Ma Ar­mand non la conosce”.

      “Glielo pre­sen­terò”.

      “E' im­pos­si­bile”.

      Udim­mo di nuo­vo la  voce  di  Mar­guerite  che  con­tin­ua­va  a  chia­mare

      Pru­dence,  la quale corse nel­lo spoglia­toio. La seguii con Gas­ton. Lei

      aprì la fines­tra.

      Ci nascon­dem­mo in mo­do da non es­sere visti dall'es­ter­no.

      “Sono  dieci  minu­ti  che  vi  chi­amo”,  disse  Mar­guerite  dal­la  sua

      fines­tra, con tono quasi im­per­ati­vo.

      “Che vo­lete?”.

      “Che ve­ni­ate subito da me”.

      “Per­ché?” .

      “Per­ché il con­te de N... è an­co­ra qui e io mi an­noio da morire”.

      “Adesso non pos­so”.

      “Cosa ve lo im­pedisce?”.

      “Ci sono da me due gio­van­ot­ti che non vogliono an­darsene”.

      “Dite loro che dovete us­cire”.

      “Gliel'ho det­to”.

      "Al­lo­ra las­ci­ateli a casa vos­tra; quan­do ve­dran­no che si­ete us­ci­ta, se

      ne an­dran­no".

      “Dopo aver mes­so tut­to a so­qquadro!”.

      “Ma che cosa vogliono?”.

      “Ved­ervi”.

      “Come si chia­mano?”.

      “Uno lo conoscete, è mon­sieur Gas­ton R...”.

      “Ah, sì, lo conosco. E l'al­tro?”.

      “Mon­sieur Ar­mand Du­val. Non lo conoscete?”.

      "No,  ma por­tateli lo stes­so,  preferirei qualunque cosa al con­te.  Vi

      as­pet­to, fate presto".

      Mar­guerite  richiuse   la   fines­tra,   Pru­dence   fece   al­tret­tan­to.

      Mar­guerite,  che  ave­va  per un is­tante ri­conosci­uto il mio vi­so,  non

      ri­cor­da­va il mio nome.  Avrei prefer­ito un ri­cor­do svan­tag­gioso per me

      a quel­la di­men­ti­can­za.

      “Ero  si­curo”,  disse  Gas­ton,  “che  sarebbe sta­ta fe­lice di ved­er­ci”

      “Fe­lice non è la  paro­la  adat­ta”,  rispose  Pru­dence  met­ten­dosi  uno

      scialle e il cap­pel­lo,  "vi riceve per man­dar via il con­te. Cer­cate di

      es­sere più di­ver­ten­ti di lui,  o,  conosco Mar­guerite,  se la pren­derà

      con me".

      Seguim­mo Pru­dence per le scale.

      Trema­vo;   pre­sa­gi­vo  che  quel­la  visi­ta  avrebbe  avu­to  una  grande

      in­fluen­za nel­la mia vi­ta.  Ero an­co­ra più emozion­ato del­la sera in cui

      le ero sta­to pre­sen­ta­to nel pal­co dell'Opéra-​Comique.

      Ar­rivan­do al­la por­ta dell'ap­par­ta­men­to che voi conoscete,  il cuore mi

      bat­te­va così forte che non ra­gion­avo più.

      Al­cu­ni ac­cor­di di pi­anoforte ar­rivarono fi­no a noi.

      Pru­dence suonò.

      Il pi­anoforte tacque.

      Una don­na che sem­bra­va più una dama di  com­pag­nia  che  una  cameriera

      venne ad aprir­ci.  Pas­sam­mo nel sa­lone, e dal sa­lone nel sa­lot­ti­no che

      era, a quel tem­po, pro­prio come voi l'avete vis­to più tar­di.

      Un uo­mo era ap­pog­gia­to al caminet­to.

      Mar­guerite,  se­du­ta al  pi­anoforte,  face­va  scor­rere  le  di­ta  sul­la

      tastiera, ac­cen­nan­do dei brani mu­si­cali sen­za con­clud­er­li.

      Quel­la  sce­na  provo­ca­va  un'im­pres­sione  di  noia,  a causa dell'uo­mo

      im­baraz­za­to dal­la pro­pria nul­lità, e del­la don­na an­noia­ta dal­la visi­ta

      di quel te­dioso per­son­ag­gio.

      Uden­do la voce di Pru­dence, Mar­guerite si alzò,  e ve­nen­do­ci in­con­tro,

      dopo  aver  lan­ci­ato  uno  sguar­do ri­conoscente a madame Du­ver­noy,  ci

      disse:

       “En­trate, sig­nori, e siate i ben­venu­ti”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

      CAPITOLO 9.

 

      “Buona sera,  caro Gas­ton”,  disse Mar­guerite al mio com­pag­no,  "mi fa

      molto  pi­acere  ved­ervi.  Per­ché  non  si­ete  venu­to  nel mio pal­co al

      Var­iétés?".

      “Teme­vo di es­sere in­dis­cre­to”.

      “Gli am­ici”, e Mar­guerite cal­cò su ques­ta paro­la,  come per far capire

      ai pre­sen­ti che,  nonos­tante la fa­mil­iar­ità con cui lei lo ac­coglie­va,

      Gas­ton non era e non era mai sta­to per lei che un  am­ico,  "gli  am­ici

      non sono mai in­dis­creti".

      “Al­lo­ra, per­me­ttete­mi di pre­sen­tarvi mon­sieur Ar­mand Du­val”.

      “Ave­vo già au­tor­iz­za­to Pru­dence a far­lo”.

      “Del  resto,  sig­no­ra”,  dis­si  inchi­nan­do­mi  e  cer­can­do,  per quan­to

      pote­vo, di emet­tere dei suoni in­tel­li­gi­bili,  "ho già avu­to l'onore di

      es­servi pre­sen­ta­to".

      L'in­can­tev­ole  sguar­do di Mar­guerite sem­brò cer­care nel­la sua memo­ria,

      ma non ri­cordò, o forse sem­brò non ri­cor­dare.

      “Sig­no­ra”,  ripresi al­lo­ra,  "vi sono gra­to di aver di­men­ti­ca­to quel­la

      pri­ma  pre­sen­tazione,  per­ché  fui  molto  ridi­co­lo  e  deb­bo  es­servi

      sem­bra­to molto noioso.  Fu due an­ni  fa,  all'Opéra-​Comique;  ero  con

      Ernest de...".

      “Ah, mi ri­cor­do!”, riprese Mar­guerite con un sor­riso, "non voi er­avate

      ridi­co­lo, ma io ero dis­pet­tosa, come del resto lo sono an­co­ra un poco,

      ma meno di al­lo­ra. Mi avete per­do­na­to, sig­nore?".

      E mi tese la mano, che ba­ci­ai.

      “E' vero”, riprese. "Fig­urat­evi che ho la cat­ti­va abi­tu­dine di met­tere

      in im­baraz­zo la gente che ve­do per la pri­ma vol­ta. E molto scioc­co. Il

      mio medi­co dice che è per­ché sono ner­vosa e sem­pre sof­fer­ente: cre­dete

      al mio medi­co".

      “Ma sem­brate in ot­ti­ma salute”.

      “Oh! sono sta­ta molto am­mala­ta”.

      “Lo so”.

      “Chi ve lo ha det­to?”.

      "Tut­ti  lo sape­vano;  sono venu­to spes­so per avere vostre no­tizie e ho

      sa­puto con pi­acere del­la vos­tra con­va­lescen­za"

      “Non mi han­no mai da­to il vostro bigli­et­to di visi­ta”.

      “Non l'ho mai las­ci­ato”.

      "Sareste  dunque  voi  quel  gio­vane  che  tut­ti  i  giorni  veni­va  a

      in­for­mar­si del­la mia salute, quand'ero mala­ta, e che non ha mai vo­lu­to

      dire il suo nome?".

      “Pro­prio io”.

      "Al­lo­ra voi si­ete, più che in­dul­gente, gen­eroso. Cer­to voi, con­te, non

      l'avreste mai fat­to", ag­giunse voltan­dosi ver­so mon­sieur de N..., dopo

      aver­mi  lan­ci­ato  uno  di  quegli  sguar­di  con i quali le donne fan­no

      capire la loro opin­ione su un uo­mo.

      “Vi conosco soltan­to da due mesi”, replicò il con­te.

      "E il sig­nore mi conosce  da  cinque  minu­ti  ap­pe­na.  Voi  rispon­dete

      sem­pre con delle scioc­chezze".

      Le donne sono spi­etate con gli uo­mi­ni che non amano.  Il con­te ar­rossì

      e si morse le lab­bra.

      Mi fece pe­na,  per­ché sem­bra­va in­namora­to al pari di me,  e la crudele

      franchez­za  di Mar­guerite dove­va far­lo sof­frire molto,  so­prat­tut­to in

      pre­sen­za di due es­tranei.

      “Sta­vate suo­nan­do, quan­do siamo en­trati”,  dis­si al­lo­ra,  per cam­biare

      dis­cor­so,  "non  mi  fareste  il pi­acere di trat­tar­mi come una vec­chia

      conoscen­za, con­tin­uan­do?".

      “Oh!”,  disse lei get­tan­dosi sul di­vano e facen­do­ci seg­no di  seder­ci,

      "Gas­ton  conosce bene la mia mu­si­ca.  Va bene per quan­do sono so­la con

      il con­te, ma non vor­rei in­flig­gere a voi un sim­ile sup­plizio".

      “Avete ques­ta pref­eren­za per me?”,  replicò mon­sieur de  N...  con  un

      sor­riso che ten­tò di ren­dere fine e iron­ico.

      “Avete tor­to di rim­prover­armela: è la so­la”.

      Era  sta­bil­ito  che quel povero ragaz­zo non dovesse aprir boc­ca.  Egli

      get­tò sul­la don­na uno sguar­do ve­ra­mente sup­plichev­ole.

      “Dite­mi dunque,  Pru­dence”,  con­tin­uò lei,  "avete fat­to ciò di cui vi

      ave­vo pre­ga­to?".

      “Sì”

      "Va bene,  me lo rac­con­terete più tar­di. Dob­bi­amo dis­cutere, non ve ne

      an­date sen­za che vi ab­bia par­la­to".

      “Siamo cer­to in­dis­creti”,  dis­si al­lo­ra,  "e  adesso  che  ab­bi­amo,  o

      meglio   che   io  ho  ot­tenu­to  una  sec­on­da  pre­sen­tazione  per  far

      di­men­ti­care la pri­ma, Gas­ton e io pos­si­amo ri­ti­rar­ci".

      "Ma nem­meno per sog­no! non è per voi che l'ho det­to. Voglio in­vece che

      res­ti­ate".

      Il con­te tirò fuori un el­egan­tis­si­mo orolo­gio e guardò l'ora.

      “Bisogna che va­da al cir­co­lo”, disse. Mar­guerite non rispose.

      Il con­te si stac­cò dal caminet­to, e avvic­inan­dosi a lei:

      “Ad­dio sig­no­ra”.

      Mar­guerite si alzò.

      “Ad­dio, mio caro con­te. Ve ne an­date di già?”.

      “Sì, temo di an­noiarvi”.

      “Ma non mi an­noiate og­gi più degli al­tri giorni. Quan­do vi rive­drò?”.

      “Quan­do me lo con­sen­tirete”.

      “Ad­dio, al­lo­ra!”.

      Di­ci­amo­lo pure, era crudele.

      Il con­te ave­va  per  for­tu­na  una  per­fet­ta  ed­ucazione  e  un  ot­ti­mo

      carat­tere. Si ac­con­tentò di ba­cia­re la mano che Mar­guerite gli porge­va

      con una cer­ta non­cu­ran­za,  e uscì, dopo aver­ci salu­tati. Al mo­men­to di

      var­care la soglia, guardò Pru­dence.

      Ques­ta alzò le spalle come per dire:

      “Che vo­lete, ho fat­to quel che ho po­tu­to”.

      “Na­nine!”, gridò Mar­guerite. “Fa' luce al sig­nor con­te”.

      Udim­mo aprire e chi­ud­ere la por­ta.  “Fi­nal­mente!”,  es­clamò Mar­guerite

      ri­ap­paren­do.  "Se  ne  è anda­to;  quel ragaz­zo mi dà ter­ri­bil­mente sui

      nervi".

      “Bam­bi­na mia”, disse Pru­dence,  "si­ete davvero trop­po cat­ti­va con lui,

      che è con voi così buono, così pre­muroso. Ec­co là sul vostro caminet­to

      un orolo­gio che vi ha re­gala­to e che gli è costa­to al­meno mille scu­di,

      ne sono cer­ta".

      E  madame  Du­ver­noy,  che  si  era  avvi­ci­na­ta  al caminet­to si mise a

      giocherel­lare col gioiel­lo di  cui  parla­va,  get­tan­dogli  sguar­di  di

      cu­pidi­gia.

      “Mia cara”, disse Mar­guerite seden­dosi al pi­anoforte, "quan­do met­to su

      un  pi­at­to del­la bi­lan­cia quel­lo che mi re­gala e sull'al­tro ciò che mi

      dice, mi ac­cor­go di far­gli pa­gare trop­po poco le vis­ite che mi fa".

      “Quel povero ragaz­zo è in­namora­to di voi”.

      "Se doves­si dar ret­ta a tut­ti quel­li che sono in­namorati  di  me,  non

      avrei nep­pure il tem­po di far co­lazione".  E fece scor­rere le di­ta sul

      pi­ano; poi, voltan­dosi ver­so di noi, disse:

      “Vo­lete pren­dere qual­cosa? Io berrei vo­len­tieri un ponce”.

      “E io man­gerei vo­len­tieri un po' di  pol­lo”,  disse  Pru­dence;  "e  se

      ce­nas­si­mo?".

      “Benis­si­mo, an­di­amo a ce­na”, disse Gas­ton.

      “No, ce­ni­amo qui”.

      Suonò. Na­nine ap­parve.

      “Man­da a pren­dere qual­cosa per ce­na”.

      “Che cosa?”.

      “Quel­lo che vuoi, ma subito, subito”.

      Na­nine uscì.

      “Ec­co”,  disse Mar­guerite saltan­do come una bam­bi­na,  "ce­ni­amo!  Com'è

      noioso quell'im­be­cille di un con­te!".

      Più vede­vo quel­la don­na,  più  ne  ero  in­can­ta­to.  Era  stu­pen­da.  La

      ma­grez­za stes­sa la abbel­li­va.  Ero in con­tem­plazione. Mi sarebbe molto

      dif­fi­cile  sp­ie­gare  cosa  suc­cedesse  den­tro  di  me.  Ero  pieno  di

      in­dul­gen­za per la sua vi­ta,  pieno di am­mi­razione per la sua bellez­za.

      La pro­va di dis­in­ter­esse che el­la da­va,  ri­fi­utan­do un  uo­mo  gio­vane,

      el­egante  e ric­co,  pron­to a rov­inar­si per lei,  scusa­va ai miei oc­chi

      tut­ti i suoi pas­sati  er­rori.  C'era  in  quel­la  don­na  qual­cosa  che

      somigli­ava al­la purez­za. Si vede­va che era an­co­ra nel pri­mo sta­dio del

      vizio.  Il suo por­ta­men­to eret­to,  la sua figu­ra ag­ile,  le sue nar­ici

      rosee e aperte,  i suoi gran­di oc­chi lieve­mente cer­chiati di  az­zur­ro,

      mostra­vano  una  natu­ra  ar­dente  che dif­fonde­va in­torno un pro­fu­mo di

      vo­lut­tà,  come quei fla­coni  ori­en­tali  che  per  quan­to  ben  chiusi,

      las­ciano us­cire il pro­fu­mo del liquore che rac­chi­udono.

      In­fine,  fos­se  per  natu­ra,  fos­se a causa del­la sua malfer­ma salute,

      og­ni tan­to pas­sa­vano negli oc­chi di quel­la don­na lampi  di  deside­rio,

      la cui sod­dis­fazione sarebbe sta­ta una riv­elazione del cielo per colui

      che  lei  avesse am­ato.  Ma quel­li che ave­vano am­ato Mar­guerite non si

      con­ta­vano più, e quel­li che lei ave­va am­ato non si con­ta­vano an­co­ra.

      In­som­ma,  si ri­conosce­va in quel­la don­na la fan­ci­ul­la  che  un  niente

      ave­va trasfor­ma­to in cor­ti­giana, e la cor­ti­giana che un niente avrebbe

      trasfor­ma­to  nel­la fan­ci­ul­la più in­namora­ta e più pu­ra.  Vi era an­che,

      in Mar­guerite, fierez­za e sen­so d'in­dipen­den­za: due sen­ti­men­ti che, se

      ven­gono fer­iti,  san­no avere la forza del pu­dore.  Io non parla­vo.  La

      mia  an­ima  sem­bra­va  es­ser­si  river­sa­ta  tut­ta nel mio cuore e il mio

      cuore nei miei oc­chi.

      “Così”, riprese lei a un trat­to,  "er­avate voi che veni­vate a chiedere

      mie no­tizie quan­do ero am­mala­ta?".

      “Sì”.

      "Sapete   che   questo  è  molto  bel­lo?   Che  cosa  pos­so  fare  per

      ringraziarvi?".

      “Per­me­ttete­mi di venire a trovarvi di tan­to in tan­to”.

      "Quan­do vor­rete,  dalle cinque alle sei,  o dalle undi­ci a mez­zan­otte.

      Per fa­vore, Gas­ton, suonate­mi l“'in­vi­to al valz­er'”.

      “Per­ché?” .

      "Pri­ma  di  tut­to  per far­mi pi­acere,  e poi per­ché non sono ca­pace di

      suonarlo da so­la".

      “Che cosa non vi ri­esce?”.

      “La terza parte, il pas­sag­gio in diesis”.

      Gas­ton si alzò,  si sedette al pi­anoforte,  e si  mise  a  suonare  la

      mer­av­igliosa melo­dia di We­ber, il cui spar­ti­to era aper­to sul leg­gio.

      Mar­guerite,  con  una  mano  ap­pog­gia­ta  sul  pi­anoforte,  guar­da­va il

      foglio, segui­va con gli oc­chi og­ni no­ta, ac­com­pa­gnan­dola sot­tovoce;  e

      quan­do  Gas­ton ar­rivò al pas­so che lei gli ave­va in­di­ca­to,  can­tic­chiò

      facen­do scor­rere le di­ta sul cop­er­chio del­lo stru­men­to:

      "Re, mi, re, do, re, fa, mi, re, ec­co quel­lo che non ri­esco a suonare.

      Ri­com­in­ci­ate".

      Gas­ton ri­com­in­ciò, dopo di che Mar­guerite gli disse:

      “Adesso las­ci­ate provare me”.

      Prese il suo pos­to e suonò a sua vol­ta,  ma le sue di­ta,  ri­bel­li,  si

      sbagli­avano sem­pre su una di quelle note.

      “E' in­cred­ibile”,  disse con un tono ve­ra­mente in­fan­tile,  "che io non

      ri­esca a suonare quel pas­sag­gio!  Cred­er­este che qualche vol­ta ci  sto

      so­pra  fi­no  alle  due del mat­ti­no?  E pen­sare che quell'im­be­cille del

      con­te lo suona sen­za spar­ti­to, mer­av­igliosa­mente! cre­do sia questo che

      mi rende fu­riosa con­tro di lui".

      E ri­com­in­ciò, sem­pre con lo stes­so risul­ta­to.

      “Che il di­avo­lo si por­ti We­ber,  la mu­si­ca,  e  i  pi­anofor­ti!”  disse

      scaglian­do  il  fas­ci­co­lo  dall'al­tro  la­to  del­la  stan­za,   "come  è

      pos­si­bile che non ri­esca a suonare ot­to diesis di se­gui­to?".

      E in­cro­ciò le brac­cia guardan­do­ci e bat­ten­do i pie­di.

      Il sangue le salì alle gote,  e un pic­co­lo  colpo  di  tosse  le  fece

      aprire le lab­bra.

      “Suvvia”,  disse  Pru­dence,  che  si  era  tolto  il cap­pel­lo e che si

      lis­ci­ava i capel­li da­van­ti al­lo spec­chio, "adesso vi arrab­bi­ate an­co­ra

      e vi sen­tirete male; an­di­amo a ce­na, sarà meglio: io muoio di fame".

      Mar­guerite suonò di nuo­vo il cam­pan­el­lo, poi si rim­ise al pi­anoforte e

      com­in­ciò a can­terel­lare una can­zone lib­erti­na, nel cui ac­com­pa­gna­men­to

      non tro­vò al­cu­na dif­fi­coltà.

      Gas­ton conosce­va la can­zone, e fe­cero una specie di duet­to.

      “Non can­tate queste scon­cezze”, dis­si amichevol­mente a Mar­guerite, con

      un tono di preghiera.

      “Oh! come si­ete pu­di­co!”, mi rispose sor­ri­den­do e ten­den­do­mi la mano.

      “Non è per me, ma per voi”.

      Mar­guerite fece un gesto che sem­bra­va dire: "Oh!  L'ho  fini­ta  da  un

      pez­zo, io, con la castità".

      In quel mo­men­to ap­parve Na­nine.

      “La ce­na è pronta?”, chiese Mar­guerite.

      “Sì, sig­no­ra, fra un is­tante”.

      “A propos­ito?” mi disse Pru­dence, "voi non avete vis­to l'ap­par­ta­men­to;

      ven­ite, ve lo mostro".

      Voi lo sapete, il sa­lone era mer­av­iglioso.

      Mar­guerite ci ac­com­pa­gnò per un po', poi chi­amò Gas­ton e passò con lui

      in sala da pran­zo per vedere se la ce­na era pronta.

      “Toh”,  disse forte Pru­dence guardan­do su una cre­den­za e pren­den­do una

      stat­uet­ta di Sas­so­nia, “non ave­vo mai vis­to questo omet­to”.

      “Il pa­storel­lo con la gab­bia degli uc­celli­ni”.

      “Pren­de­te­lo, se vi pi­ace”.

      “Ah, non voglio por­tarvelo via”.

      "Vole­vo re­galar­lo al­la mia cameriera, per­ché lo tro­vo or­ri­bile,  ma se

      vi pi­ace, pren­de­tevelo".

      Pru­dence badò so­lo al re­ga­lo,  e non al mo­do in cui veni­va fat­to. Mise

      da parte il  suo  omet­to,  e  mi  con­dusse  nel­lo  spoglia­toio,  dove,

      mostran­do­mi due minia­ture appese una di fronte all'al­tra, mi disse:

      "Ec­co il con­te de G...  che è sta­to molto in­namora­to di Mar­guerite;  è

      lui che l'ha in­trodot­ta. Lo conoscete?".

      “No. E l'al­tro?”, do­mandai in­di­can­do l'al­tro ri­trat­to.

      “E' il gio­vane vis­con­te de L... E' sta­to costret­to a par­tire”.

      “Per­ché?”.

      "Per­ché si era quasi com­ple­ta­mente rov­ina­to.  Questo sì  che  l'ama­va,

      Mar­guerite!".

      “E cer­to an­che lei l'ama­va molto”.

      "E' una ragaz­za così strana,  non si sa mai che cosa pen­sarne. La sera

      del giorno in cui lui partì, lei se ne andò al teatro, come al soli­to,

      nonos­tante avesse pianto fi­no al  mo­men­to  del­la  parten­za".  In  quel

      mo­men­to ap­parve Na­nine per avvis­ar­ci che la ce­na era servi­ta.

      Quan­do  en­tram­mo  nel­la  sala da pran­zo,  Mar­guerite era ap­pog­gia­ta al

      muro, e Gas­ton, tenen­dole le mani, le parla­va a bas­sa voce.

      “Voi si­ete paz­zo”,  gli rispon­de­va Mar­guerite,  "sapete bene  che  non

      voglio  saperne di voi.  Non si at­tende due an­ni da che si conosce una

      don­na come me, per chieder­le di di­ventare la pro­pria amante. Noi di­amo

      tut­to subito, o mai più. An­di­amo, sig­nori, a tavola".

      E,  liberan­dosi dalle mani di Gas­ton,  Mar­guerite lo fece sedere  al­la

      sua de­stra, me al­la sua sin­is­tra, poi disse a Na­nine:

      "Pri­ma di seder­ti, rac­co­man­da al­la cuo­ca di non aprire se suo­nano al­la

      por­ta".

      Ques­ta rac­co­man­dazione era fat­ta all'una del mat­ti­no.

      Si  rise,  si  bevve  e si mangiò molto,  a quel­la ce­na.  Dopo qualche

      is­tante,  l'al­le­gria era sce­sa all'ul­ti­mo gradi­no,  e  le  pa­role  che

      cer­ta gente tro­va pi­acevoli,  e che sem­pre sporcano la boc­ca di chi le

      pro­nun­cia, spriz­za­vano di tan­to in tan­to tra le gran­di ac­cla­mazioni di

      Na­nine, Pru­dence e Mar­guerite.  Gas­ton si di­verti­va sin­ce­ra­mente;  era

      un  ragaz­zo  pieno di cuore,  ma il suo spir­ito era sta­to svi­ato dalle

      prime abi­tu­di­ni.  Per un mo­men­to,  avrei vo­lu­to stordir­mi,  ren­dere il

      mio  cuore  e  il  mio pen­siero in­dif­fer­en­ti al­lo spet­ta­co­lo che ave­vo

      da­van­ti agli oc­chi, e pren­dere parte a quell'al­le­gria che sem­bra­va una

      delle por­tate del­la ce­na;  ma,  a poco a poco,  mi ero iso­la­to da quel

      ru­more,  il  mio  bic­chiere  era an­co­ra pieno,  ed ero di­ven­ta­to quasi

      triste nel vedere quel­la bel­la crea­tu­ra di vent'an­ni bere e es­primer­si

      come un facchi­no,  e rid­ere tan­to più ru­mor­osa­mente quan­to più vol­gare

      era quel­lo che si dice­va.

      Tut­tavia  quell'al­le­gria,  quel  mo­do di par­lare e di bere,  che negli

      al­tri in­vi­tati mi sem­bra­vano l'ef­fet­to dei bagor­di, dell'abi­tu­dine,  o

      del­la  buona salute,  in Mar­guerite mi sem­bra­vano in­vece ef­fet­to di un

      bisog­no di di­men­ti­care, di una feb­bre, di una ir­ri­tabil­ità ner­vosa.  A

      og­ni  cop­pa  di  cham­pagne,  le  sue  guance si col­ori­vano di un rosso

      feb­brile,  e  una  cer­ta  tosse,  lieve  all'in­izio  del­la  ce­na,  era

      di­ven­ta­ta  via  via sem­pre più forte fi­no a ob­bli­gar­la a roves­cia­re la

      tes­ta sul­lo schien­ale del­la se­dia e a com­primer­si il pet­to con le mani

      og­ni vol­ta che tossi­va.

      Sof­fri­vo per il male che gli ec­ces­si quo­tid­iani dove­vano fare  a  quel

      frag­ile or­gan­is­mo.

      Al­la fine,  ac­cadde una cosa che ave­vo pre­vis­to e che teme­vo. Ver­so la

      fine del­la ce­na,  Mar­guerite fu col­ta da un ac­ces­so di tosse più forte

      di tut­ti quel­li che ave­va avu­ti da quan­do mi trova­vo lì. Mi sem­brò che

      il  pet­to le si lac­erasse all'in­ter­no.  La pove­ri­na di­venne scar­lat­ta,

      chiuse gli oc­chi per il do­lore,  e si portò alle lab­bra il to­vagli­olo,

      che  una  goc­cia  di  sangue  mac­chiò.  Al­lo­ra  si  alzò e corse nel­lo

      spoglia­toio.

      “Che cos'ha Mar­guerite?”, chiese Gas­ton.

      “Ha riso trop­po,  e ora spu­ta sangue”,  rispose Pru­dence.  "Oh  non  è

      niente, le suc­cede tut­ti i giorni. Tornerà subito. Las­ci­amo­la so­la, lo

      preferirà".

      Quan­to a me,  non potei trat­ten­er­mi, e, con gran stu­pore di Pru­dence e

      di Na­nine che mi richia­ma­vano, rag­giun­si Mar­guerite.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

      CAPITOLO 10.

 

      La cam­era nel­la quale si era rifu­gia­ta  era  il­lu­mi­na­ta  da  una  so­la

      can­dela  pos­ta  sul  tavo­lo.  River­sa su un grande di­vano,  il vesti­to

      slac­cia­to,  si tene­va una mano  con­tro  il  pet­to,  las­cian­do  l'al­tra

      pen­dere,  in­erte.  Sul tavo­lo, una bacinel­la d'ar­gen­to piena a metà di

      un'ac­qua mac­chi­ata di sangue.

      Mar­guerite, pal­lidis­si­ma, la boc­ca semi­aper­ta, cer­ca­va di ripren­der­si.

      Di tan­to in tan­to il suo pet­to si gon­fi­ava per un lun­go  sospiro,  che

      sem­bra­va  soll­evar­la  un  po'  e  las­cia­rla per qualche is­tante in uno

      sta­to di be­nessere.

      Mi avvic­inai,  sen­za che lei facesse al­cun  movi­men­to,  mi  sedet­ti  e

      pre­si la sua mano, che era ap­pog­gia­ta sul di­vano.

      “Ah, si­ete voi?”, mi disse con un sor­riso.

      Cer­to ave­vo un as­pet­to scon­volto, per­ché ag­giunse:

      “Si­ete am­mala­to an­che voi?”.

      “No, ma voi, voi, sof­frite an­co­ra?”.

      “Pochissi­mo”,  e  as­ci­ugò con un faz­zo­let­to le lacrime che la tosse le

      ave­va fat­to salire agli oc­chi, “or­mai ci sono abit­ua­ta”.

      “Voi vi uc­cidete, sig­no­ra”, le dis­si al­lo­ra con voce com­mossa, "vor­rei

      es­sere un vostro am­ico,  un vostro par­ente,  per  im­pedirvi  di  farvi

      tan­to male".

      “Oh, non vale davvero la pe­na che voi vi spaven­ti­ate”, replicò con una

      cer­ta  amarez­za;  "guar­date  un po' se gli al­tri si oc­cu­pano di me: il

      fat­to è che san­no bene che con  ques­ta  malat­tia  non  c'è  niente  da

      fare".  Dopo  di che si alzò e,  pren­den­do il can­de­liere,  lo posò sul

      caminet­to e si guardò al­lo spec­chio.

      “Come sono pal­li­da!”,  disse ri­al­lac­cian­dosi la veste e pas­san­dosi  le

      di­ta  sui  capel­li  scom­posti.   "Oh,   beh,  rimet­ti­amo­ci  a  tavola.

      An­di­amo?", ma io resta­vo se­du­to, sen­za muover­mi.

      El­la capì l'emozione che quel­la sce­na mi ave­va fat­to  provare,  mi  si

      avvicinò e, ten­den­do­mi la mano, mi disse:

      “Su, ven­ite”.

      Le pre­si la mano,  e la por­tai alle lab­bra bag­nan­dola mio mal­gra­do con

      due lacrime trop­po a lun­go trat­tenute.

      “Suvvia,  si­ete pro­prio un bam­bi­no!”,  disse lei  seden­dosi  di  nuo­vo

      ac­can­to a me; “adesso pi­angete! Ma che cosa avete?”.

      "De­vo  sem­brarvi  pro­prio scioc­co,  ma quel­lo che ho vis­to mi ha fat­to

      ter­ri­bil­mente male".

      "Come si­ete buono, voi! che vo­lete? non pos­so dormire bisogna pure che

      mi dis­trag­ga un po'.  E poi,  le donne come me,  una di più o  una  di

      meno,  che im­por­tan­za ha? I medi­ci di­cono che il sangue che sputo es­ce

      dai bronchi;  io fin­go di cred­er­lo,  è tut­to ciò che  pos­so  fare  per

      loro".

      “As­coltate, Mar­guerite”, es­cla­mai al­lo­ra con uno slan­cio che non potei

      frenare,  "io  non  so  quale in­fluen­za voi avrete sul­la mia vi­ta,  ma

      quel­lo che so è che in questo mo­men­to non  c'è  nes­suno,  nep­pure  mia

      sorel­la,  che mi stia a cuore come voi. Ed è così dal­la pri­ma vol­ta in

      cui vi ho vista. Ebbene,  in nome del cielo,  cu­rat­evi,  e smet­tete di

      fare ques­ta vi­ta".

      "Se  mi  curas­si,  morirei.  Quel­lo  che  mi  sostiene,  è ques­ta vi­ta

      feb­brile. E poi, cu­rar­si va bene per le donne del­la buona so­ci­età, che

      han­no una famiglia e degli am­ici;  ma  noi  quan­do  non  pos­si­amo  più

      servire   al­la  van­ità  o  al  pi­acere  dei  nos­tri  aman­ti,   ve­ni­amo

      ab­ban­do­nate, e lunghe ser­ate di soli­tu­dine seguono a lunghi giorni. Io

      lo so  bene,  cre­de­te­mi,  sono  sta­ta  a  let­to  due  mesi;  dopo  tre

      set­ti­mane, nes­suno veni­va più a trovar­mi".

      “E  vero  che  io  non  sono niente per voi”,  ripresi,  "ma se voi lo

      vor­rete, avrò cu­ra di voi come un fratel­lo, non vi lascerò mai so­la, e

      vi farò guarire. E al­lo­ra, quan­do ne avrete la forza,  ripren­derete la

      vi­ta  di  og­gi,   se  vi  pi­ac­erà;  ma,  ne  sono  cer­to,  preferirete

      un'es­isten­za tran­quil­la che vi ren­derà  più  fe­lice  e  vi  con­serverà

      bel­la".

      "Voi la pen­sate così stasera, per­ché il vi­no vi ha re­so triste, ma non

      avrete mai la pazien­za di cui vi van­tate".

      "Per­me­ttete­mi di ri­cor­darvi,  Mar­guerite, che si­ete sta­ta am­mala­ta per

      due mesi,  e che in questi due mesi  io  sono  venu­to  og­ni  giorno  a

      chiedere vostre no­tizie".

      “E' vero ma per­ché non si­ete mai sal­ito?”.

      “Per­ché an­co­ra non vi conosce­vo”.

      “Si han­no forse dei riguar­di per una don­na come me?”.

      “Si han­no sem­pre riguar­di per una don­na; al­meno io la pen­so così”.

      “E così, voi avrete cu­ra di me?”.

      “Sì”.

      “E starete tut­ti i giorni con me?”.

      “Sì”.

      “E an­che tutte le not­ti?”.

      “Fi­no a che non vi an­noias­si”.

      “Come chia­mate tut­to ciò?”.

      “De­vozione”.

      “E da dove viene ques­ta de­vozione?”.

      “Dall'ir­re­sistibile sim­pa­tia che ho per voi”.

      “Così si­ete in­namora­to di me? Dite­lo subito, sarà più sem­plice”.

      “Forse sì; ma non è cer­ta­mente questo il giorno in cui ve lo dirò”.

      “Fareste meglio a non dirme­lo mai”.

      “Per­ché”.

      “Per­ché quel­la con­fes­sione non potrà avere che due risul­tati”.

      “Quali?”.

      "O che io non ac­cetti, e al­lo­ra voi me ne vor­rete, o che io ac­cetti, e

      al­lo­ra  avrete  un'amante  molto  triste;  una don­na ner­vosa,  mala­ta,

      ma­lin­con­ica, o al­le­gra d'una al­le­gria più triste del do­lore, una don­na

      che spu­ta sangue e spende cen­tomi­la franchi all'an­no: tut­to questo  va

      bene per un vec­chio ric­cone come il duca, ma sarebbe ben noioso per un

      gio­vane  come  voi,  e  la pro­va è che tut­ti gli aman­ti gio­vani che ho

      avu­to mi han­no las­ci­ata ben presto".

      Io non rispon­de­vo: la as­colta­vo. Quel­la sin­cer­ità che pare­va quasi una

      con­fes­sione, quel­la vi­ta do­lorosa che in­travede­vo sot­to il velo do­ra­to

      che la ri­co­pri­va,  e al­la cui re­altà la pove­ri­na ten­ta­va  di  sfug­gire

      nei  bagor­di,  nell'ebbrez­za e nelle not­ti di veg­lia,  tut­to questo mi

      face­va un'im­pres­sione così forte che non rius­ci­vo  a  pro­nun­cia­re  una

      paro­la.

      “Suvvia!”,  con­tin­ua  Mar­guerite,  "sti­amo  di­cen­do  delle  bam­bi­nate.

      Date­mi la mano e tor­ni­amo in sala da  pran­zo.  Non  de­vono  capire  il

      sig­ni­fi­ca­to del­la nos­tra as­sen­za".

      “An­date, se vo­lete, ma io vi chiedo il per­me­sso di restare qui”.

      “Per­ché?”.

      “Per­ché la vos­tra al­le­gria mi fa trop­po male”.

      “Al­lo­ra sarò triste”.

      "As­coltate,  Mar­guerite,  las­ci­ate che vi di­ca una cosa che cer­to vi è

      sta­ta tante volte ripetu­ta,  e a cui l'abi­tu­dine vi im­pedirà forse  di

      credere,  ma che non per questo è meno ve­ra,  e che io non vi ripeterò

      mai più".

      “Ed è?...”,  chiese lei col sor­riso delle gio­vani madri che  as­coltano

      una fan­ta­sia del loro bam­bi­no.

      "Ed  è che da quan­do vi ho vista,  non so come né per­ché,  avete pre­so

      tan­to pos­to nel­la mia vi­ta;  è che ho cer­ca­to di al­lon­tanare la vos­tra

      im­mag­ine dal­la mia mente,  ma es­sa è sem­pre ri­tor­na­ta;  è che da og­gi,

      quan­do vi ho in­con­tra­ta,  dopo due  an­ni  che  non  vi  vede­vo,  avete

      ac­quis­ta­to  sul  mio  cuore  e  sul  mio  spir­ito un as­cen­dente an­co­ra

      mag­giore;  è che,  in­som­ma,  adesso che  mi  avete  rice­vu­to,  che  vi

      conosco,  che  so  tut­to  quel­lo  che  c'è di stra­no in voi,  mi si­ete

      di­ven­ta­ta in­dis­pens­abile, e che im­pazz­irei,  non so­lo se non mi amaste

      ma an­che se non mi per­me­tteste di amar­vi".

      "Ma,  sci­agu­ra­to che si­ete,  io vi di­co quel­lo che dice­va madame D...:

      si­ete dunque molto ric­co! Ma al­lo­ra voi non sapete che io spendo sei o

      set­temi­la franchi al mese,  e che ques­ta spe­sa è  di­venu­ta  nec­es­saria

      al­la  mia  vi­ta;  voi  non  sapete  dunque,  mio povero am­ico,  che vi

      rovinerei in  breve  tem­po,  e  che  la  vos­tra  famiglia  vi  farebbe

      in­ter­dire  per  in­seg­narvi  a  non  vi­vere  con  una  don­na  come  me.

      Vogli­ate­mi pure bene, ma come un buon am­ico, non in al­tro mo­do. Ven­ite

      a trovar­mi,  rid­er­emo,  par­lere­mo,  ma non  esager­ate  nel  va­lu­tar­mi,

      per­ché  val­go  as­sai poco.  Voi avete un buon cuore,  avete bisog­no di

      es­sere am­ato,  si­ete trop­po gio­vane e sen­si­bile per vi­vere nel  nos­tro

      mon­do.  Pren­de­te­vi  una don­na sposa­ta.  Vedete bene che sono una bra­va

      figli­uo­la e vi par­lo con franchez­za".

      “Oh!  ma che di­avo­lo fate?”,  gri­da Pru­dence,  che non ave­va­mo sen­ti­to

      venire,  ap­paren­do sul­la soglia del­la stan­za con la capigliatu­ra mez­zo

      dis­fat­ta e il vesti­to slac­cia­to.  Ri­conob­bi in quel dis­or­dine la  mano

      di Gas­ton.

      “Par­liamo di cose se­rie”,  disse Mar­guerite,  "las­ci­ate­ci un po' soli,

      vi rag­giun­ger­emo tra poco".

      “Bene, bene, par­late pure, ragazzi miei”, disse Pru­dence,  an­dan­dosene

      e  chi­uden­do  la  por­ta  come per sot­to­lin­eare il tono col quale ave­va

      pro­nun­ci­ato le ul­time pa­role.

      “Così, siamo in­te­si”,  riprese Mar­guerite quan­do fum­mo soli,  "voi non

      mi amerete più".

      “A questo pun­to?”.

      Mi  ero  spin­to  trop­po  oltre  per tornare in­di­etro,  e d'al­tra parte

      quel­la  ragaz­za  mi  scon­vol­ge­va.  Quel  mis­cuglio  di  al­le­gria,   di

      tris­tez­za,  di  can­dore,  di  pros­ti­tuzione,  la malat­tia stes­sa,  che

      dove­va  svilup­pare  in  lei  la  sen­si­bil­ità   delle   im­pres­sioni   e

      l'ir­ri­tabil­ità  dei  nervi,  tut­to  ciò mi face­va capire che se non mi

      fos­si im­pos­to fin dal pri­mo  mo­men­to  su  quel­la  natu­ra  di­men­ti­ca  e

      frivola, es­sa era per­du­ta per me.

      “Al­lo­ra, è pro­prio vero quel­lo che dite!”, es­clamò.

      “Veris­si­mo”.

      “Ma per­ché non me l'avete det­to pri­ma?”.

      “E quan­do avrei po­tu­to dirvelo?”.

      “L'in­do­mani del giorno in cui mi fos­te pre­sen­ta­to all'Opéra-​Comique”.

      "Cre­do  che  mi  avreste  rice­vu­to  molto  male,  se  fos­si  venu­to  a

      trovarvi".

      “Per­ché?”.

      “Per­ché il giorno pri­ma mi ero com­por­ta­to da scioc­co”.

      “Questo è vero. Tut­tavia mi ama­vate già, al­lo­ra”.

      “Sì”.

      "Il che non vi ha im­ped­ito di cori­carvi e di  dormire  tran­quil­la­mente

      dopo lo spet­ta­co­lo. Sap­pi­amo bene che cosa sono questi gran­di amori".

      "Ebbene,  è  qui  che  vi sbagli­ate.  Sapete che cosa ho fat­to la sera

      dell'Opéra-​Comique?".

      “No”.

      "Vi ho as­pet­ta­to all'in­gres­so del Café Anglais, ho se­gui­to la car­roz­za

      che por­ta­va voi e i vostri tre am­ici, e quan­do vi ho vista scen­dere da

      so­la e ri­en­trare da so­la a casa vos­tra, sono sta­to molto fe­lice".

      Mar­guerite scop­pia a rid­ere.

      “Di che ridete?”.

      “Di niente”.

      “Diteme­lo, ve ne prego, o cred­erò che vi burli­ate an­co­ra di me”.

      "Non vi in­qui­eterete?.

      “E con quale dirit­to?”.

      “Ebbene, ave­vo un'ot­ti­ma ra­gione di ri­en­trare da so­la”.

      “Quale?”.

      “Mi as­pet­ta­vano”.

      Se mi avesse da­to una pug­nala­ta non mi  avrebbe  fat­to  più  male.  Mi

      alzai e, tenen­dole la mano:

      “Ad­dio”, le dis­si.

      “Lo sape­vo che vi sareste in­qui­eta­to”,  rispose.  "Gli uo­mi­ni han­no la

      sma­nia di sapere ciò che deve far loro dispi­acere".

      “Ma  vi  as­si­curo”,  repli­cai  fred­da­mente,   come  se  aves­si  vo­lu­to

      di­mostrar­le  che  ero  guar­ito  per  sem­pre  dal­la  mia pas­sione,  "vi

      as­si­curo che non sono af­fat­to in­qui­eto.  Era del  tut­to  nat­urale  che

      qual­cuno vi stesse as­pet­tan­do, come è del tut­to nat­urale che, alle tre

      del mat­ti­no, io me ne va­da".

      “An­che voi si­ete at­te­so da qual­cuno, a casa vos­tra?”.

      “No, ma bisogna che me ne va­da”.

      “Ad­dio, al­lo­ra”.

      “Voi mi scac­ciate”.

      “Nep­pure per idea”.

      “Per­ché vo­lete dar­mi un dispi­acere?”.

      “Quale dispi­acere vi ho da­to?”.

      “Mi avete det­to che qual­cuno vi as­pet­ta­va”.

      "Non  ho  po­tu­to fare a meno di rid­ere all'idea che er­avate sta­to così

      fe­lice nel ve­der­mi ri­en­trare so­la, quan­do ave­vo una così buona ra­gione

      per far­lo".

      "Tal­vol­ta si è fe­li­ci per un non­nul­la, ed è crudele dis­trug­gere ques­ta

      gioia quan­do,  las­cian­dola vi­vere,  si può ren­dere an­co­ra  più  fe­lice

      colui che la pro­va".

      "Ma con chi cre­dete di avere a che fare?  Non sono una fan­ci­ul­li­na, né

      una duches­sa.  Non vi conosco che da og­gi e non de­vo ren­dere  con­to  a

      voi  delle  mie  azioni.  Pur  am­met­ten­do  che io di­ven­ti un giorno la

      vos­tra amante, bisogna che voi sap­pi­ate bene che ho avu­to al­tri aman­ti

      pri­ma di voi. Se voi com­in­ci­ate adesso a far­mi delle scene di gelosia,

      che cosa ac­cadrà dopo,  se questo dopo dovesse es­istere?  Non  ho  mai

      vis­to un uo­mo come voi".

      “Per­ché nes­suno vi ha mai am­ato come io vi amo”.

      “In­som­ma, fran­ca­mente, voi mi am­ate tan­to?”.

      “Quan­to è pos­si­bile amare, cre­do”.

      “E questo da...?”.

      "Da  un  giorno in cui vi ho vista scen­dere di car­roz­za per en­trare da

      Susse, tre an­ni fa".

      "Sapete che è molto bel­lo? Ebbene, che cosa de­vo fare per ri­com­pen­sare

      questo grande amore?".

      “Amar­mi un poco”,  risposi con  il  cuore  che  mi  bat­te­va  tan­to  da

      im­pedir­mi   quasi  di  par­lare:  per­ché  nonos­tante  i  sor­risi  quasi

      can­zona­tori con i quali ave­va ac­com­pa­gna­to tut­ta la con­ver­sazione,  mi

      sem­bra­va che Mar­guerite com­in­ci­asse a con­di­videre il mio tur­ba­men­to, e

      che io mi stes­si avvic­inan­do al mo­men­to at­te­so da tan­to tem­po.

      “E il duca?”.

      “Quale duca?”.

      “Il mio vec­chio geloso”.

      “Non ne saprà niente”.

      “E se venisse a saper­lo?”.

      “Vi per­don­erà”.

      “Eh, no! mi lascerà, e che ne sarà di me?”.

      “Tut­tavia, per un al­tro, cor­rete questo ris­chio”.

      “Come lo sapete?”.

      “Avete rac­co­manda­to di non las­ciar en­trare nes­suno stan­otte”.

      “E' vero; ma quel­lo è un am­ico se­rio”.

      "Che non vi sta trop­po a cuore,  se lo fate ten­er lon­tano dal­la vos­tra

      por­ta a quest'ora".

      "Non spet­ta a voi rim­prover­arme­lo,  per­ché l'ho fat­to per rice­vere voi

      e il vostro am­ico".

      A poco a poco mi ero avvi­ci­na­to a Mar­guerite, le ave­vo pas­sato le mani

      in­torno  al­la  vi­ta,  e  sen­ti­vo  il  suo  cor­po  elas­ti­co ap­pog­gia­rsi

      leg­ger­mente alle mie mani unite.

      “Se voi sapeste come vi amo!”, le dis­si sot­tovoce.

      “Davvero?”.

      “Ve lo giuro”.

      "Ebbene,  se mi promet­tete di fare tut­to ciò che io vor­rò  sen­za  dire

      una paro­la, sen­za far­mi un'os­ser­vazione, sen­za far­mi do­mande, forse vi

      amerò".

      “Tut­to ciò che vor­rete”.

      "Ma vi avver­to, voglio es­sere lib­era di fare ciò che mi pi­ac­erà, sen­za

      dovervi ren­dere min­ima­mente con­to del­la mia vi­ta. Da molto tem­po cer­co

      un amante gio­vane,  sen­za volon­tà,  in­namora­to sen­za sospet­ti,  amante

      sen­za dirit­ti.  Non sono mai rius­ci­ta  a  trovarne  uno.  Gli  uo­mi­ni,

      in­vece  di  es­sere  sod­dis­fat­ti quan­do si con­cede loro a lun­go ciò che

      avreb­bero a malape­na sper­ato di avere una vol­ta so­la,  chiedono  con­to

      al­la loro amante del pre­sente,  del pas­sato,  e an­che dell'avvenire. A

      mano a mano che si abit­uano a lei,  vogliono  dom­inarla,  e  di­ven­tano

      tan­to  più es­igen­ti quan­to più si con­cede loro tut­to ciò che vogliono.

      Se ora mi de­ci­do a pren­der­mi un nuo­vo amante,  voglio  che  ab­bia  tre

      virtù molto rare, che sia cioè fiducioso, sot­tomes­so, e dis­cre­to".

      “Va bene, sarà tut­to quel­lo che vor­rete”.

      “Ve­dremo”.

      “E quan­do ve­dremo?”.

      “Più tar­di”.

      “Per­ché?”.

      “Per­ché”,   rispose   Mar­guerite  liberan­dosi  dalle  mie  "brac­cia  e

      pren­den­do, da un gran maz­zo di camelie rosse che le ave­vano por­ta­to la

      mat­ti­na,  una camelia che mi in­fi­la all'oc­chiel­lo,  "per­ché non si può

      sem­pre dare es­ecuzione ai trat­tati nel giorno stes­so in cui sono stati

      fir­mati. E' facile da capire".

      “E quan­do vi rive­drò?”, chiesi strin­gen­dola fra le brac­cia.

      “Quan­do ques­ta camelia cam­bierà col­ore”.

      “E quan­do cam­bierà col­ore?”.

      “Do­mani, dalle undi­ci a mez­zan­otte. Si­ete con­tento?”.

      “E me lo chiedete?”.

      "Non una paro­la di tut­to ciò,  né al vostro am­ico, né a Pru­dence, né a

      chi­unque al­tro".

      “Ve lo promet­to”.

      “Adesso, ba­ci­ate­mi, e poi tor­ni­amo in sala da pran­zo”.

      Mi of­frì le lab­bra,  si lis­ciò di nuo­vo i  capel­li,  e  us­cim­mo  dal­la

      stan­za, lei can­tan­do, io quasi folle.

      Nel sa­lone mi disse a bas­sa voce, fer­man­dosi:

      "Deve  sem­brarvi  stra­no  che  mi  mostri  pronta  ad ac­cettarvi così,

      subito; sapete per­ché lo fac­cio?  Lo fac­cio",  con­tin­uò pren­den­do­mi la

      mano e ap­pog­gian­dosela sul cuore,  di cui sen­tii il bat­ti­to vi­olen­to e

      ripetu­to, "lo fac­cio per­ché,  doven­do vi­vere meno a lun­go degli al­tri,

      mi sono ripromes­sa di vi­vere più in fret­ta".

      “Non par­late­mi più così, ve ne sup­pli­co”.

      “Oh,  con­so­lat­evi!”,  con­tin­uò  lei  ri­den­do.  "Per  poco che ab­bia da

      vi­vere, vivrò più a lun­go del vostro amore per me".

      Ed en­trò, can­tan­do, nel­la sala da pran­zo.

      “Dov'è Na­nine?”, chiese ve­den­do che Gas­ton e Pru­dence er­ano soli.

      “Dorme nel­la vos­tra cam­era,  as­pet­tan­do  che  vi  corichi­ate”  rispose

      Pru­dence.

      “Poveretta! La farò morire! Suvvia, sig­nori, ri­ti­rat­evi, è ora”.

      Dopo dieci minu­ti, Gas­ton e io us­cim­mo. Mar­guerite mi strinse forte la

      mano nel salu­tar­mi, e restò con Pru­dence.

      “Ebbene”,  mi  chiese  Gas­ton  quan­do  fum­mo  us­ci­ti,  "che ne dite di

      Mar­guerite?".

      “E' un an­ge­lo, e sono paz­zo di lei”.

      “Lo im­mag­ina­vo; glielo avete det­to?”.

      “Sì”.

      “E lei vi ha promes­so di cred­er­ci?”.

      “No”.

      “Non è come Pru­dence”.

      “Ve lo ha promes­so?”.

      "Ha fat­to di meglio,  caro mio!  Nes­suno lo cred­erebbe,  ma va  an­co­ra

      benis­si­mo, la grossa Du­ver­noy!".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

      CAPITOLO 11.

 

      A questo pun­to del rac­con­to, Ar­mand tacque.

      “Vo­lete chi­ud­ere la fines­tra?”,  mi disse,  "com­in­cio ad avere fred­do.

      In­tan­to an­drò a let­to".

      Chiusi la fines­tra.  Ar­mand,  che era an­co­ra de­bolis­si­mo,  si tolse la

      vestaglia  e  si  coricò,  ri­posan­do  per qualche is­tante la tes­ta sul

      cus­ci­no come un uo­mo stan­co per una lun­ga cor­sa o  ag­ita­to  da  penosi

      ri­cor­di.

      “Forse avete par­la­to trop­po”,  gli dis­si,  "vo­lete che me ne va­da e vi

      las­ci dormire?  mi rac­con­terete un al­tro giorno il resto del­la  vos­tra

      sto­ria".

      “Vi ha an­noia­to?”.

      “Tutt'al­tro”.

      "Al­lo­ra  con­tin­uerò;  an­che  se  mi  las­ci­ate  so­lo,  non  rius­cirei a

      dormire".

 

      Quan­do tor­nai a casa - riprese,  sen­za aver bisog­no  di  rac­coglier­si,

      tan­to tut­ti quei par­ti­co­lari er­ano an­co­ra vivi nel­la sua memo­ria - non

      mi  cor­icai,  e  mi  misi  a ri­flet­tere sull'avven­tu­ra di quel giorno.

      L'in­con­tro,  la pre­sen­tazione,  l'im­peg­no che Mar­guerite ave­va as­sun­to

      nei  miei  con­fron­ti,   tut­to  era  suc­ces­so  così  in  fret­ta,   così

      in­sper­ata­mente,   che  in  cer­ti  mo­men­ti  cre­de­vo  di  aver  sog­na­to.

      Tut­tavia,  non  era  la  pri­ma  vol­ta che una don­na come Mar­guerite si

      promet­te­va a un uo­mo per  l'in­do­mani  del  giorno  in  cui  era  sta­ta

      richi­es­ta.

      Ave­vo un bel ri­flet­tere su questo pun­to, la pri­ma im­pres­sione prodot­ta

      su  di  me  dal­la mia fu­tu­ra amante era sta­ta così forte che per­mane­va

      sem­pre.  Con­tin­ua­vo a os­ti­nar­mi a non vedere in lei una don­na come  le

      al­tre,  e, con la van­ità tipi­ca degli uo­mi­ni, ero pron­to a credere che

      lei con­di­vide­va nei miei  riguar­di  l'in­vin­ci­bile  at­trazione  che  io

      sen­ti­vo per lei.

      Tut­tavia  ave­vo  sot­to gli oc­chi degli es­em­pi molto con­trad­dit­tori,  e

      ave­vo spes­so sen­ti­to dire che l'amore di Mar­guerite  si  vende­va  come

      una mer­ce più o meno cara, sec­on­do la sta­gione.

      Ma  d'al­tra  parte,  come con­cil­iare ques­ta rep­utazione con i ripetu­ti

      ri­fiu­ti fat­ti al gio­vane  con­te  che  ave­va­mo  trova­to  in  casa  sua?

      Potrete  rispon­der­mi che egli non le pi­ace­va e che,  es­sendo man­tenu­ta

      con tan­to splen­dore dal duca,  se avesse desider­ato pren­der­si un al­tro

      amante,  avrebbe prefer­ito un uo­mo che le pi­acesse.  E al­lo­ra,  per­ché

      non vol­eva neanche  Gas­ton,  pi­acev­ole,  spir­itoso,  ric­co,  e  pare­va

      preferire me,  che le ero ap­par­so così ridi­co­lo al pri­mo in­con­tro?  E'

      vero che a volte in­ci­den­ti di un min­uto fan­no più ef­fet­to del­la  corte

      di un an­no.

      Tra  quel­li  che er­ano se­du­ti al­la sua tavola,  io ero sta­to il so­lo a

      pre­oc­cu­par­mi ve­den­dola las­cia­re  la  sala.  L'ave­vo  se­gui­ta,  mi  ero

      com­mosso  al  pun­to  da  non  rius­cire  a  nascon­der­lo.  Ave­vo  pianto

      ba­cian­dole la  mano.  Quel­la  cir­costan­za,  ag­giun­ta  alle  mie  virtù

      quo­tid­iane  du­rante i due mesi del­la sua malat­tia,  ave­va po­tu­to far­le

      vedere in me un uo­mo di­ver­so da quel­li fi­no ad  al­lo­ra  conosciu­ti,  e

      forse  si  era det­ta che avrebbe ben po­tu­to fare,  per un amore che si

      es­prime­va in quel mo­do,  quel­lo che or­mai ave­va fat­to tante  volte,  e

      che questo non avrebbe avu­to per lei nes­suna con­seguen­za.

      Tutte  queste  ipote­si,   come  vedete,  er­ano  as­sai  verosim­ili;  ma

      qualunque fos­se la ra­gione del suo con­sen­so, una cosa era cer­ta: ave­va

      ac­consen­ti­to.

      Dunque,  ama­vo Mar­guerite,  sta­vo per aver­la,  non pote­vo chiedere  di

      più.  Tut­tavia, vi ripeto, per quan­to fos­se una man­tenu­ta, con­sid­er­avo

      quell'amore,  forse per ide­al­iz­zar­lo,  un amore sen­za sper­an­za,  tan­to

      che,  più  si  avvic­ina­va  il  mo­men­to  nel  quale non avrei avu­to più

      nep­pure bisog­no di sper­are, più ne du­bita­vo.

      Non chiusi oc­chio per tut­ta la notte.

      Non mi ri­conosce­vo.  Ero come  im­pazz­ito.  In  cer­ti  mo­men­ti  non  mi

      trova­vo  né  ab­bas­tan­za  bel­lo,  né  ab­bas­tan­za  ric­co,  né ab­bas­tan­za

      el­egante per avere una don­na come quel­la,  in cer­ti al­tri  mi  sen­ti­vo

      pieno di or­goglio all'idea di quel pos­ses­so: poi mi as­sali­va il dub­bio

      che  Mar­guerite avesse per me so­lo un capric­cio passeg­gero e,  come se

      pre­sagis­si la mi­nac­cia di una rot­tura im­mi­nente,  mi dice­vo che  avrei

      fat­to meglio a non an­dare da lei, quel­la sera, e par­tire co­mu­ni­can­dole

      per scrit­to i miei tim­ori.

      Da  questo  pas­sa­vo  a una sper­an­za sen­za lim­iti,  a una fidu­cia sen­za

      con­fi­ni. Sog­na­vo un avvenire in­cred­ibile; mi dice­vo che quel­la ragaz­za

      avrebbe dovu­to a me la sua  gua­ri­gione  fisi­ca  e  morale,  che  avrei

      pas­sato  con  lei la mia vi­ta,  e che il suo amore mi avrebbe re­so più

      fe­lice degli amori più verginali.

      In­fine non pos­so ripeter­vi i mille pen­sieri che mi sali­vano dal  cuore

      al­la  tes­ta,  e  che  si  spensero  a  poco  a poco nel son­no,  che si

      im­padronì di me soltan­to all'al­ba.

      Quan­do mi sveg­li­ai er­ano  le  due.  La  gior­na­ta  era  mag­nifi­ca.  Non

      ri­cor­do  che  la  vi­ta  mi sia mai parsa tan­to bel­la e tan­to piena.  I

      ri­cor­di del giorno pri­ma si ri­af­fac­cia­vano al­la mia mente sen­za om­bre,

      sen­za os­ta­coli,  al­le­gra­mente scor­tati dalle sper­anze del­la  sera.  Mi

      vestii  in  fret­ta.  Ero  con­tento e ca­pace delle azioni migliori.  Di

      tan­to in tan­to il cuore mi balza­va in pet­to, pieno di gioia e d'amore.

      Una dolce feb­bre mi ag­ita­va.  Non ero più in­qui­eto per le ra­gioni  che

      mi  ave­vano pre­oc­cu­pa­to pri­ma che mi ad­dor­men­tas­si.  Non vede­vo che il

      risul­ta­to, non pen­sa­vo che al mo­men­to in cui avrei riv­is­to Mar­guerite.

      Mi fu im­pos­si­bile ri­manere a casa.  La mia stan­za mi  sem­bra­va  trop­po

      stret­ta per con­tenere la mia fe­lic­ità, ave­vo bisog­no di es­pan­der­mi nel

      pieno del­la natu­ra. Uscii.

      Pas­sai  per  rue  d'Antin.  La  car­roz­za  di  Mar­guerite  at­ten­de­va al

      por­tone;  mi dires­si ver­so gli Champs-​Elysées.  Ama­vo,  sen­za  nep­pure

      conoscer­le, tutte le per­sone che in­con­tra­vo: l'amore rende buoni!

      Dopo  un ora che an­da­vo dai cav­al­li di Marly al rond-​point,  dal rond-

      point ai cav­al­li di Marly,  vi­di da lon­tano la car­roz­za di Mar­guerite;

      non la ri­conob­bi, la in­dov­inai.

      Al mo­men­to di gi­rare l'an­go­lo degli Champs-​Elysées, fece fer­mare, e un

      gio­van­ot­tone  si  stac­cò dal grup­po nel quale sta­va chi­ac­chieran­do per

      an­dare a par­lare con lei.

      Par­larono per qualche is­tante;  poi il gio­vane rag­giunse i suoi am­ici,

      i  cav­al­li  ri­par­tirono,  e  io,  che  mi  ero  avvi­ci­na­to  al grup­po,

      ri­conob­bi in quel­lo che ave­va par­la­to con  Mar­guerite  quel  con­te  de

      G...  di cui ave­vo vis­to il ri­trat­to, e che Pru­dence mi ave­va in­di­ca­to

      come la per­sona al­la quale Mar­guerite dove­va la sua po­sizione.  Era  a

      lui  che  lei  ave­va  fat­to  proibire l'in­gres­so in casa sua,  la sera

      pri­ma;  sup­posi che avesse fat­to fer­mare la car­roz­za per sp­ie­gar­gli il

      mo­ti­vo  di  quel di­vi­eto,  e sperai che con l'oc­ca­sione avesse trova­to

      qualche nuo­vo pretesto per non ricev­er­lo nem­meno la sera seguente. Non

      so come pas­sai il resto del­la gior­na­ta; passeg­giai, fu­mai, par­lai,  ma

      alle  dieci  del­la  sera non ri­cor­da­vo più che cosa aves­si det­to e chi

      aves­si in­con­tra­to.

      Tut­to quel­lo di cui mi ri­cor­do è che ri­en­trai in  casa,  imp­ie­gai  tre

      ore a ve­stir­mi, e che guardai cen­to volte l'orolo­gio e la pen­dola, che

      purtrop­po seg­na­vano la stes­sa ora.

      Quan­do suonarono le dieci e mez­zo, mi dis­si che era ora di an­dare.

      A  quel  tem­po abita­vo in rue de Provence: per­cor­si rue de Mont-​Blanc,

      at­traver­sai il boule­vard,  pre­si per rue Louis-​le-​Grand,  rue de Port-

      Na­hon,  e  rue  d'Antin.  Guardai  le  finestre  di Mar­guerite.  Er­ano

      il­lu­mi­nate.

      Suon­ai.

      Chiesi al portiere se made­moi­selle Gau­ti­er era in casa.

      Mi rispose che non ri­en­tra­va mai pri­ma delle  undi­ci  o  undi­ci  e  un

      quar­to. Guardai l'orolo­gio.

      Ave­vo  cre­du­to  di cam­minare lenta­mente,  ma in soli cinque minu­ti ero

      ar­riva­to da rue de Provence a casa di Mar­guerite.

      Mi misi al­lo­ra a passeg­gia­re per quel­la stra­da,  pri­va di ne­gozi,  e a

      quell'ora or­mai de­ser­ta.

      Mezz'ora  dopo,  ar­rivò  Mar­guerite.  Scese  di  car­roz­za  guardan­dosi

      in­torno come se cer­casse qual­cuno.

      La car­roz­za ri­partì al pas­so: le scud­erie e la rimes­sa non er­ano nel­la

      stes­sa casa.  Nel mo­men­to in cui  Mar­guerite  sta­va  per  suonare,  mi

      avvic­inai e le dis­si:

      “Buonasera”.

      “Ah,  si­ete  voi?”,  disse  lei,  con  un  tono che las­ci­ava dub­bi sul

      pi­acere che prova­va nel ve­der­mi.

      “Non mi avete per­me­sso di farvi visi­ta stasera?”.

      “E' vero; l'ave­vo di­men­ti­ca­to”.

      Quel­la paro­la dis­trugge­va tutte  le  mie  ri­fles­sioni  del­la  mat­ti­na,

      tutte  le  mie  sper­anze  del­la  gior­na­ta.   Tut­tavia,  com­in­ci­avo  ad

      abit­uar­mi a quei mo­di,  e non me ne andai,  come avrei cer­to fat­to  in

      al­tri tem­pi.

      En­tram­mo.

      Na­nine ave­va già aper­to la por­ta.

      “Pru­dence è ri­en­tra­ta?”, chiese Mar­guerite.

      “No, sig­no­ra”.

      "Va'  a dire che ven­ga qui ap­pe­na tor­na.  Ma pri­ma,  speg­ni la lam­pa­da

      nel sa­lone e, se viene qual­cuno, rispon­di che non sono ri­en­tra­ta e che

      non ri­en­tr­erò".

      Era cer­to una don­na pre­oc­cu­pa­ta da qualche cosa, e forse sec­ca­ta da un

      im­por­tuno.  Non sape­vo che at­teggia­men­to as­sumere,  né che cosa  dire.

      Mar­guerite andò ver­so la cam­era da let­to; io restai dove mi trova­vo.

      “Ven­ite”, mi disse.

      Si  tolse il cap­pel­lo,  il man­tel­lo di vel­lu­to,  e li get­tò sul let­to;

      poi si las­ciò cadere in una grande poltrona, ac­can­to al fuo­co che es­sa

      face­va ac­cen­dere fi­no all'in­izio dell'es­tate, e mi disse, gio­can­do con

      la cate­na dell'orolo­gio:

      “Ebbene, che cosa mi rac­con­tate di nuo­vo?”.

      “Nul­la, sal­vo che ho fat­to male a venire stasera”.

      “Per­ché?”.

      “Per­ché sem­brate di cat­ti­vo umore e cer­to vi an­noio”.

      "Non mi an­noiate af­fat­to; so­lo non mi sen­to bene, ho sof­fer­to tut­to il

      giorno, non ho dor­mi­to e ho un ter­ri­bile mal di tes­ta".

      “Vo­lete che mi ri­tiri per per­me­tter­vi di cori­carvi?”.

      "Oh!  potete restare,  se ho voglia di cori­car­mi,  pos­so  far­lo  an­che

      da­van­ti a voi".

      In quel mo­men­to suonarono al­la por­ta.

      “Chi viene an­co­ra?”, disse con un mo­to d'im­pazien­za.

      Dopo qualche is­tante suonarono di nuo­vo.

      “Non c'è dunque nes­suno che apra? Bisogn­erà che va­da io”.

      In­fat­ti si alzò e mi disse:

      “As­pet­tate qui”.

      At­traver­sò  l'ap­par­ta­men­to,  e  la  sen­tii aprire la por­ta d'in­gres­so.

      As­coltai.

      La per­sona al­la quale ave­va aper­to la por­ta si  fer­mò  nel­la  sala  da

      pran­zo. Dalle prime pa­role ri­conob­bi la voce del gio­vane con­te de N...

      “Come vi sen­tite stasera?”, le chiese.

      “Male”, risposte sec­ca­mente Mar­guerite.

      “Vi dis­tur­bo?”.

      “Può dar­si”.

      “Come mi ricevete! Che cosa vi ho fat­to, mia cara Mar­guerite?”.

      "Am­ico  mio,  non  mi avete fat­to niente.  Mi sen­to male e bisogna che

      va­da a let­to,  e per­ciò mi farete il pi­acere di an­dar­vene.  Mi op­prime

      non  pot­er  ri­en­trare  la  sera  sen­za  ved­ervi  com­par­ire dopo cinque

      minu­ti. Che cosa vo­lete? Che io di­ven­ga la vos­tra amante?  Ebbene,  vi

      ho già det­to cen­to volte di no,  che mi ir­ri­tate ter­ri­bil­mente,  e che

      potete rivol­gervi al­trove.  Ve lo ripeto og­gi per l'ul­ti­ma vol­ta:  non

      voglio saperne di voi.  Siamo in­te­si: ad­dio. Ec­co, c'è Na­nine; vi farà

      luce. Buo­nan­otte".

      E sen­za ag­giun­gere una paro­la,  sen­za as­coltare quel­lo che il  gio­vane

      an­da­va  bal­bet­tan­do,  Mar­guerite tornò in cam­era e chiuse con vi­olen­za

      la por­ta, dal­la quale, a sua vol­ta, Na­nine en­trò quasi subito.

      “As­colta­mi bene”, le disse Mar­guerite, "di­rai sem­pre a quell'im­be­cille

      che non sono in casa o che non voglio ricev­er­lo. Sono stan­ca, in­som­ma,

      di ved­er sem­pre gente che viene a chie­der­mi la  stes­sa  cosa,  che  mi

      of­fre  denaro  e  con  questo  crede di es­sere a pos­to.  Se quelle che

      in­trapren­dono il nos­tro ver­gog­noso mestiere sapessero di che  cosa  si

      trat­ta,  preferireb­bero  di­ventare  cameriere.  Ma no;  l'am­bizione di

      avere vesti­ti, car­rozze, gioiel­li, ci travolge;  si crede a quel­lo che

      si  sente  dire,  per­ché la pros­ti­tuzione ha una sua fede,  e a poco a

      poco ci si lo­go­ra il cuore, il cor­po, la bellez­za;  si è ir­ri­tate come

      bestie  fe­ro­ci,  dis­prez­zate come paria,  cir­con­date so­lo da gente che

      prende sem­pre più di quan­to non dia,  e un bel giorno  si  crepa  come

      cani, dopo aver rov­ina­to gli al­tri e se stesse".

      “Suvvia, sig­no­ra, cal­mat­evi”, disse Na­nine, “si­ete ner­vosa, stasera”.

      “Questo vesti­to mi dà fas­tidio”, con­tin­uò Mar­guerite facen­do saltare i

      gan­ci del cor­pet­to, “dam­mi una vestaglia. E al­lo­ra, Pru­dence?”.

      “Non era an­co­ra tor­na­ta, ma la man­der­an­no da voi ap­pe­na ri­en­tr­erà”.

      “Ec­cone  un'al­tra”,   se­gui­tò  Mar­guerite  toglien­dosi  il  vesti­to  e

      in­fi­lan­do una vestaglia bian­ca,  "ec­cone  un'al­tra  che  è  ca­pace  di

      venir­mi  a  trovare  quan­do  ha bisog­no di me,  ma che non sa far­mi un

      pi­acere di buon gra­do. Sa che stasera as­pet­to quel­la rispos­ta,  che mi

      è nec­es­saria,  che sono pre­oc­cu­pa­ta; e sono cer­ta che è an­da­ta in giro

      sen­za ri­cor­dar­si di me".

      “Forse è sta­ta trat­tenu­ta”.

      “Fac­ci portare il ponce”.

      “Vi farà male”, disse Na­nine.

      "Tan­to meglio. Por­ta­mi an­che del­la frut­ta, del pâté o un'ala di pol­lo,

      qualche cosa subito, ho fame".

      Dirvi  l'im­pres­sione  che  mi  face­va  quel­la  sce­na  è  inu­tile;   lo

      in­dov­inate, non è vero?

      “Voi cenerete con me”, mi disse; "men­tre as­pet­tate, pren­dete un li­bro,

      io va­do un mo­men­to nel­lo spoglia­toio".

      Ac­cese  le  can­dele  del  doppiere,  aprì una por­ta che era da­van­ti al

      let­to e scom­parve.

      Mi misi a pen­sare al­la vi­ta di quel­la  ragaz­za,  e  il  mio  amore  si

      riem­pì di pietà.

      Passeg­gia­vo  a  gran­di  pas­si nel­la stan­za,  sem­pre med­itan­do,  quan­do

      en­trò Pru­dence.

      “Toh, si­ete qui?”, mi disse, “dov'è Mar­guerite?”.

      “Nel­lo spoglia­toio”.

      “L'as­pet­terò. Dite un po', lo sape­vate che vi tro­va sim­pati­co?”.

      “No”.

      “Non ve lo ha ac­cen­na­to?”.

      “Per niente”.

      “Come mai si­ete qui?”.

      “Sono venu­to a far­le visi­ta”.

      “A mez­zan­otte?”.

      “E per­ché no?”.

      “Bur­lone!”.

      “Mi ha rice­vu­to molto male, del resto”.

      “Vi ricev­erà meglio”.

      “Cre­dete?”.

      “Le por­to una buona no­tizia”.

      “Non mi in­ter­es­sa; e così vi ha par­la­to di me?”.

      "Ieri sera, anzi stan­otte, quan­do ve ne si­ete anda­to col vostro am­ico.

      A propos­ito,  come sta il vostro am­ico?  Gas­ton R...,  si chia­ma così,

      non è vero?".

      “Sì”  risposi,  sen­za  pot­er fare a meno di sor­rid­ere al ri­cor­do del­la

      con­fi­den­za che Gas­ton mi  ave­va  fat­to,  e  ve­den­do  che  Pru­dence  ne

      conosce­va ap­pe­na il nome.

      “E' gen­tile, quel ragaz­zo, che cosa fa?”.

      “Ha ven­ticin­quemi­la franchi di ren­di­ta”.

      "Ah,  davvero? Dunque, per tornare a voi, Mar­guerite mi ha in­ter­roga­to

      sul vostro con­to, mi ha chiesto chi si­ete, che cosa fate,  quali er­ano

      state le vostre aman­ti; in­som­ma tut­to quel­lo che si può chiedere su un

      gio­van­ot­to  del­la  vos­tra  età.  Le  ho  det­to  tut­to  quel­lo  che so,

      ag­giun­gen­do che si­ete un sim­pati­co ragaz­zo. Ec­co tut­to".

      "Vi ringrazio; e adesso,  dite­mi quale è l'in­car­ico che vi ha af­fida­to

      ieri".

      "Nes­suno; quel­lo che lei dice­va era per fare an­dar via il con­te; ma me

      ne ha da­to uno per og­gi, e stasera le por­to ap­pun­to la rispos­ta".

      In  quel  mo­men­to  Mar­guerite  uscì dal­lo spoglia­toio,  ac­conci­ata con

      civet­te­ria con una cuffi­et­ta da notte  guar­ni­ta  di  bande  di  nas­tro

      gi­al­lo chia­mate tec­ni­ca­mente “choux”.

      Era in­can­tev­ole.

      Ave­va i pie­di nu­di in­fi­lati in panto­fole di ra­so,  e fini­va di cu­rar­si

      le unghie.

      “E al­lo­ra”, disse ve­den­do Pru­dence, “avete in­con­tra­to il duca?”.

      “Per­bac­co!”.

      “Che cosa vi ha det­to?”.

      “Me li ha dati”.

      “Quan­ti?”.

      “Seim­ila”.

      “Li avete qui?”.

      “Sì”.

      “Sem­bra­va sec­ca­to?”.

      “No”.

      “Pover'uo­mo!”.

      Quel “pover'uo­mo!” era sta­to pro­nun­ci­ato con un tono che  non  si  può

      ripetere. Mar­guerite prese i sei bigli­et­ti da mille franchi.

      “Ed ora”, disse, “mia cara Pru­dence, avete bisog­no di denaro?”.

      "Sapete,  bam­bi­na  mia,  che fra due giorni è il quindi­ci;  se poteste

      prestar­mi tre o quat­tro­cen­to franchi, mi fareste un fa­vore".

      “Man­dateli a pren­dere do­mat­ti­na, è trop­po tar­di per far cam­biare”.

      “Non lo di­men­ti­cate”.

      “State tran­quil­la. Ce­nate con noi?”.

      “No, Charles mi as­pet­ta a casa mia”.

      “Ne si­ete sem­pre in­namora­ta?”.

      “Cot­ta, mia cara! A do­mani. Ar­rived­er­ci, Ar­mand”.

      Madame Du­ver­noy uscì.

      Mar­guerite aprì un cas­set­to e vi get­tò den­tro i bigli­et­ti di ban­ca.

      “Per­me­ttete che mi corichi?”,  disse sor­ri­den­do,  diri­gen­dosi ver­so il

      let­to.

      “Non so­lo ve lo per­me­tto, ma ve ne prego”.

      Get­tò in fon­do al let­to la so­prac­cop­er­ta e si coricò.

      “Adesso”, disse, “ven­ite a sedervi ac­can­to a me e par­liamo”.

      Pru­dence ave­va ra­gione: la rispos­ta che ave­va por­ta­to ave­va ral­le­gra­to

      Mar­guerite.

      “Mi  per­do­nate  per  il mio cat­ti­vo umore di ques­ta sera?”,  mi chiese

      pren­den­do­mi la mano.

      “Sono pron­to a per­donarvi an­co­ra molte volte”.

      “E mi am­ate?”.

      “Da im­pazz­ire”.

      “Nonos­tante il mio cat­ti­vo carat­tere?”.

      “Nonos­tante tut­to”.

      “Me lo giu­rate?”.

      “Sì”, le dis­si a bas­sa voce.

      In quel mo­men­to en­trò Na­nine por­tan­do dei pi­at­ti,  del  pol­lo  fred­do,

      una bot­tiglia di Bor­deaux, delle fragole e due cop­er­ti.

      “Non  vi ho fat­to fare il ponce”,  disse Na­nine,  "il Bor­deaux vi farà

      meglio. Non è vero, sig­nore?".

      “Cer­to”,  risposi,  an­co­ra com­mosso dalle ul­time pa­role di Mar­guerite,

      con gli oc­chi ar­den­te­mente fis­si su di lei.

      “Bene”,  disse,  "met­ti tut­to sul tavoli­no,  e avvic­ina­lo al let­to; ci

      servire­mo da soli. Hai fat­to già tre not­tate,  de­vi aver son­no,  va' a

      let­to; non ho più bisog­no di niente".

      “De­vo chi­ud­ere la por­ta a doppia man­da­ta?”.

      "Lo cre­do bene! e so­prat­tut­to avver­ti di non far en­trare nes­suno pri­ma

      di do­mani a mez­zo­giorno".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

      CAPITOLO 12.

 

      Alle  cinque del mat­ti­no,  quan­do l'al­ba com­in­ci­ava ad ap­parire di­etro

      le tende, Mar­guerite mi disse:

      "Per­don­ami se ti man­do via,  ma  è  nec­es­sario.  Il  duca  viene  og­ni

      mat­ti­na;  quan­do  ver­rà  di­ran­no  che dor­mo,  e forse as­pet­terà che mi

      sveg­li".

      Pre­si tra le mani la tes­ta di Mar­guerite, le cui spalle er­ano inon­date

      dai capel­li sci­olti, le det­ti un ul­ti­mo ba­cio, e le dis­si:

      “Quan­do ti rive­drò?”.

      “As­col­ta”, rispose, "pren­di la chi­avet­ta do­ra­ta che è sul caminet­to, e

      apri quel­la por­ta;  ri­por­ta qui  la  chi­ave  e  va'  via.  Du­rante  la

      gior­na­ta,  ricev­erai  una let­tera con i miei or­di­ni: sai bene che de­vi

      obbe­dir­mi cieca­mente".

      “Sì, e se già ti chiedessi qual­cosa?”.

      “Che cosa?”.

      “Di las­cia­rmi la chi­ave”.

      “Non ho mai fat­to per nes­suno quel­lo mi chie­di”.

      "Ebbene, fal­lo per me, per­ché te lo giuro, io non ti amo come ti han­no

      am­ata tut­ti gli al­tri".

      "Al­lo­ra tie­ni­la;  ma ti avver­to che pos­so  fare  in  mo­do  che  ques­ta

      chi­ave non ti ser­va a niente".

      “Per­ché?”.

      “C'è un cate­nac­cio all'in­ter­no”.

      “Cat­ti­va!”.

      “Lo farò togliere”.

      “Al­lo­ra mi ami un poco?”.

      "Non so come sia ac­cadu­to,  ma cre­do di sì. E adesso vat­tene, ca­do dal

      son­no".

      Restam­mo an­co­ra qualche is­tante l'uno nelle brac­cia dell'al­tra; poi me

      ne andai.

      Le strade er­ano de­serte,  la grande cit­tà dormi­va  an­co­ra,  una  dolce

      fres­cu­ra inon­da­va i quartieri che sareb­bero stati più tar­di in­vasi del

      ru­more degli uo­mi­ni.

      Mi  sem­bra­va  che  quel­la  cit­tà ad­dor­men­ta­ta mi ap­parte­nesse;  cer­cai

      al­lo­ra nel­la mia memo­ria i no­mi di col­oro  ai  quali  ave­vo  in­vidi­ato

      fi­no a quel mo­men­to la fe­lic­ità, e di chi­unque mi ri­cor­das­si, sco­pri­vo

      di es­sere più fe­lice di lui.

      Es­sere  am­ato  da  una fan­ci­ul­la cas­ta,  riv­elar­le per pri­mo lo stra­no

      mis­tero dell'amore,  è cer­to una grande fe­lic­ità,  ma è  la  cosa  più

      sem­plice del mon­do. Im­padronir­si di un cuore non abit­ua­to agli asse­di,

      è  come en­trare in una cit­tà aper­ta e sen­za difese.  L'ed­ucazione,  il

      sen­ti­men­to del do­vere del­la famiglia sono sen­tinelle as­sai vig­ili,  ma

      non ab­bas­tan­za da im­pedire che una fan­ci­ul­la di sedi­ci an­ni le in­gan­ni

      quan­do,  at­traver­so la voce dell'uo­mo am­ato,  la natu­ra le elar­gisce i

      pri­mi con­sigli d'amore, tan­to più ar­den­ti quan­to più sem­bra­no puri.

      Più la fan­ci­ul­la crede al bene,  più facil­mente si  ab­ban­dona  se  non

      alle  brac­cia dell'amante,  a quelle dell'amore,  per­ché es­sendo sen­za

      dife­sa,  è sen­za forza,  e far­si amare da lei è una vit­to­ria che  og­ni

      uo­mo  di ven­ticinque an­ni può ot­tenere quan­do vuole.  E questo è tan­to

      vero che le fan­ci­ulle sono  sorveg­li­ate  e  cir­con­date  di  difese.  I

      con­ven­ti  non  han­no  muri  tan­to  al­ti,   le  madri  ser­ra­ture  tan­to

      re­sisten­ti,  la re­li­gione doveri tan­to as­so­lu­ti da  rinchi­ud­ere  tut­ti

      quegli  uc­celli­ni nel­la loro gab­bia,  sul­la quale non ci si dà nep­pure

      la pe­na di gettare fiori.  Come de­vono desider­are quel mon­do che viene

      loro nascos­to,  come de­vono credere che sia af­fasci­nante,  così de­vono

      as­coltare la pri­ma voce che,  at­traver­so le sbarre,  viene a riv­elarne

      loro  i seg­reti,  così de­vono benedire la mano che per pri­ma,  viene a

      soll­evare un lem­bo del mis­te­rioso velo.

      Ma es­sere ve­ra­mente am­ati  da  una  cor­ti­giana,  è  una  vit­to­ria  ben

      di­ver­sa­mente dif­fi­cile.  In loro il cor­po ha lo­go­ra­to l'an­ima, i sen­si

      han­no bru­ci­ato il cuore, il vizio ha coraz­za­to i sen­ti­men­ti. Le pa­role

      che si rivol­go­no loro,  esse le conoscono da  un  pez­zo,  conoscono  i

      mezzi  che si ad­op­er­ano,  e l'amore stes­so che ispi­ra­no,  esse l'han­no

      ven­du­to. Amano per mestiere,  non per slan­cio.  Sono pro­tette dai loro

      cal­coli  meglio  di quan­to una vergine non sia pro­tet­ta da sua madre e

      dalle mu­ra del con­ven­to;  e così han­no in­ven­ta­to la paro­la “capric­cio”

      per  definire  quegli  amori  non  ve­nali che si con­ce­dono di tan­to in

      tan­to come ri­poso, come scusa, o come con­so­lazione: sim­ili in questo a

      quegli usurai che stroz­zano mille per­sone e che cre­dono di riscat­tar­si

      pre­stando una vol­ta mille franchi a qualche povero di­avo­lo  che  muore

      di fame, sen­za pre­tendere in­ter­es­si e sen­za chiedere la rice­vu­ta.

      In­oltre,  quan­do Id­dio con­cede l'amore a una cor­ti­giana,  quest'amore,

      che sem­bra a pri­ma vista un per­dono,  di­ven­ta ben presto per  lei  una

      punizione.  Non c'è as­soluzione sen­za pen­iten­za.  Quan­do una crea­tu­ra,

      che ha tut­to un pas­sato da  rim­prover­ar­si,  si  sente  im­provvisa­mente

      vin­ta da un amore pro­fon­do,  sin­cero,  ir­re­sistibile, del quale non si

      sarebbe mai cre­du­ta ca­pace,  e con­fes­sa quest'amore,  l'uo­mo am­ato  la

      dom­ina!  E  come  si sente forte del crudele dirit­to di dirle: "Tu non

      fai per amore più di quel­lo che hai fat­to per denaro!".

      Al­lo­ra esse non san­no che prove dare.  Rac­con­ta  una  novel­la  che  un

      bam­bi­no,  dopo es­ser­si lunga­mente di­ver­ti­to,  in un cam­po,  a gri­dare:

      “Aiu­to!”,  per dis­tur­bare la gente che vi la­vo­ra­va,  fu un bel  giorno

      di­vo­ra­to  da  un  or­so,  sen­za  che  quel­li che egli ave­va così spes­so

      in­gan­nati cre­dessero quel­la vol­ta alle sue vere gri­da di spaven­to.  Lo

      stes­so  ac­cade  a  quelle  dis­grazi­ate figli­ole,  quan­do si in­namora­no

      se­ri­amente.  Han­no men­ti­to tante volte che non si  vuole  più  credere

      loro, e sono in mez­zo ai loro ri­mor­si, di­vo­rate dal loro amore.

      Da qui nascono le gran­di de­vozioni, gli aus­teri ri­tiri di cui qual­cu­na

      di loro ha da­to l'es­em­pio.

      Ma quan­do l'uo­mo che ispi­ra quell'amore pu­rifi­ca­tore ha un an­imo tan­to

      gen­eroso  da  ac­cettar­lo  sen­za  ri­cor­dare  il  pas­sato,  quan­do vi si

      ab­ban­dona,  quan­do,  in­som­ma,  ama come è am­ato,  quell'uo­mo ar­ri­va al

      fon­do di tutte le sen­sazioni ter­rene,  e dopo di quel­lo,  il suo cuore

      resterà chiu­so per sem­pre a og­ni al­tro amore.

      Queste ri­fles­sioni io non le face­vo quel­la mat­ti­na,  tor­nan­do a  casa;

      non  avreb­bero po­tu­to es­sere che il pre­sen­ti­men­to di quan­to mi sarebbe

      ac­cadu­to,  e nonos­tante il mio amore per Mar­guerite,  non  in­travede­vo

      con­seguen­ze   del   genere;   le   fac­cio   og­gi.   Poiché   tut­to   è

      ir­ri­me­di­abil­mente fini­to,  esse sono il risul­ta­to nat­urale di quel che

      avvenne.  Ma  tor­ni­amo  al  pri­mo  giorno di quel­la re­lazione.  Quan­do

      ri­en­trai in casa, la mia al­le­gria era folle. Pen­san­do che gli os­ta­coli

      posti dal­la mia im­mag­inazione tra Mar­guerite e me er­ano scom­par­si, che

      la possede­vo, che oc­cu­pa­vo un poco i suoi pen­sieri, che ave­vo in tas­ca

      la chi­ave del  suo  ap­par­ta­men­to  e  il  dirit­to  di  servirmene,  ero

      sod­dis­fat­to  del­la  vi­ta,  or­goglioso di me stes­so,  e ama­vo Id­dio che

      face­va ac­cadere tut­to questo.

      Un gio­vane pas­sa un giorno  per  una  stra­da,  sfio­ra  una  don­na,  la

      guar­da,  si  vol­ta,  pros­egue.  Egli non conosce quel­la don­na,  non ha

      nes­suna parte ai pi­ac­eri di lei,  ai suoi do­lori,  ai suoi amori;  non

      es­iste per lei e forse, se le rivolgesse la paro­la, es­sa si burlerebbe

      di lui,  come Mar­guerite si era burla­ta di me. Pas­sano le set­ti­mane, i

      mesi,  gli an­ni,  e d'im­provvi­so,  dopo che en­tram­bi han­no se­gui­to  il

      loro  des­ti­no  in  di­rezioni  di­verse,  la log­ica del ca­so li mette di

      nuo­vo l'uno di fronte all'al­tra.  Quel­la  don­na  di­ven­ta  l'amante  di

      quell'uo­mo, e si in­namo­ra di lui. Come?, per­ché? le due vite di­ven­tano

      una  so­la,  e ap­pe­na ques­ta in­tim­ità è na­ta,  sem­bra loro che es­sa sia

      sem­pre es­is­ti­ta: e tut­to quel­lo che fi­no a quel mo­men­to è ac­cadu­to  si

      can­cel­la dal ri­cor­do dei due aman­ti. Questo è stra­no, am­met­ti­amo­lo.

      Quan­to  a me,  non mi ri­cor­da­vo più come ave­vo vis­su­to fi­no ad al­lo­ra.

      Tut­to il mio es­sere si esalta­va nel­la gioia,  al ri­cor­do delle  pa­role

      che  ci  er­ava­mo  det­ti in quel­la pri­ma notte.  O Mar­guerite era abile

      nell'in­gan­no,  o ave­va per me una di quelle pas­sioni im­provvise che si

      riv­elano fin dal pri­mo ba­cio,  e che, del resto, muoiono tal­vol­ta così

      come sono nate.

      Più ri­flet­te­vo,  più mi dice­vo che Mar­guerite non ave­va al­cu­na ra­gione

      di sim­ula­re un amore non sen­ti­to, e mi dice­vo an­che che le donne han­no

      due mo­di di amare, che pos­sono ri­solver­si l'uno nell'al­tro: esse amano

      col  cuore o coi sen­si.  Spes­so una don­na si prende un amante so­lo per

      obbe­dire al­la volon­tà dei sen­si e,  sen­za aver­lo pre­vis­to,  im­para  il

      mis­tero dell'amore im­ma­te­ri­ale,  e non vive più che col cuore;  spes­so

      una fan­ci­ul­la,  non cer­can­do nel mat­ri­mo­nio che una unione di due puri

      af­fet­ti, riceve la riv­elazione im­provvisa dell'amore car­nale, en­er­gi­ca

      con­clu­sione  dei  più casti moti dell'an­imo.  Tra questi pen­sieri,  mi

      ad­dor­men­tai.  Fui  sveg­lia­to  da  un  bigli­et­to  di  Mar­guerite,   che

      con­tene­va queste pa­role:

 

      "Ec­co  i  miei or­di­ni: stasera al Vaudeville.  Ven­ite du­rante il ter­zo

      in­ter­val­lo".

 

      Chiusi la let­tera in un cas­set­to, per avere sem­pre la re­altà a por­ta­ta

      di mano, nel ca­so ne du­bitas­si, come a mo­men­ti mi ac­cade­va.

      Non dice­va di an­dar­la a trovare  du­rante  la  gior­na­ta,  e  non  os­avo

      per­ciò  pre­sen­tar­mi  a  casa sua;  ma ave­vo un deside­rio così forte di

      ved­er­la pri­ma di sera,  che andai agli Champs-​Elysées  dove,  come  il

      giorno pri­ma, la vi­di pas­sare e ri­pas­sare.

      Alle sette, ero già al Vaudeville.

      Non ero mai en­tra­to così presto in un teatro.

      Tut­ti i palchi si riem­pirono,  l'uno dopo l'al­tro. Uno so­lo era an­co­ra

      vuo­to: quel­lo di prosce­nio, nel pri­mo or­dine.

      All'in­izio del ter­zo at­to,  sen­tii che si  apri­va  la  por­ta  di  quel

      pal­co, dal quale non dis­toglie­vo mai gli oc­chi, e Mar­guerite ap­parve.

      Si  ac­co­modò  subito  sul  da­van­ti,  cer­cò  in platea,  mi vide,  e mi

      ringraz­iò con lo sguar­do.

      Quel­la sera era mer­av­igliosa­mente bel­la.

      Ero io la ra­gione del­la sua civet­te­ria?  Mi ama­va tan­to da credere che

      più  l'aves­si  trova­ta  bel­la  più  sarei sta­to fe­lice?  Non lo sape­vo

      an­co­ra;  ma se ques­ta era la sua in­ten­zione,  c'era  rius­ci­ta,  per­ché

      quan­do  si  mostrò,  le  teste  si  avvic­inarono le une alle al­tre,  e

      l'at­tore che in quel mo­men­to era sul  pal­cosceni­co  guardò  an­che  lui

      colei che al suo so­lo ap­parire tur­ba­va così gli spet­ta­tori.

      E io ave­vo la chi­ave dell'ap­par­ta­men­to di quel­la don­na,  e di lì a tre

      o quat­tro ore l'avrei posse­du­ta di nuo­vo.

      Si bi­asi­mano col­oro che si riducono in rov­ina per le at­tri­ci e per  le

      man­tenute;  ma  quel­lo  che  mi stupisce è che questi non fac­ciano per

      quelle donne fol­lie ven­ti volte più gran­di.  Bisogna,  come  me,  aver

      vis­su­to  quel­la  vi­ta,  per  sapere  come  le pic­cole gioie di tut­ti i

      giorni che esse do­nano ai loro aman­ti rin­saldino forte­mente nel  cuore

      - non saprei quale al­tra paro­la us­are - l'amore che si ha per loro.

      Poco dopo, Pru­dence prese pos­to nel pal­co, e un uo­mo che ri­conob­bi per

      il con­te de G... si sedette sul fon­do. Nel ved­er­lo mi sen­tii gelare il

      cuore.

      Mar­guerite  si  era  cer­to  ac­cor­ta dell'im­pres­sione prodot­ta su di me

      dal­la pre­sen­za di quell'uo­mo nel suo pal­co, per­ché mi sor­rise di nuo­vo

      e,  voltan­do le spalle al con­te,  parve  in­ter­es­sar­si  vi­va­mente  al­lo

      spet­ta­co­lo.  Al ter­zo in­ter­val­lo,  es­sa si girò, disse qualche paro­la,

      il con­te las­ciò il pal­co, e Mar­guerite mi fece seg­no di rag­giunger­la.

      “Buonasera”, mi disse quan­do en­trai, ten­den­do­mi la mano.

      “Buonasera”, risposi rivol­gen­do­mi a Mar­guerite e a Pru­dence.

      “Sede­te­vi”.

      “Ma pren­do il pos­to di qual­cuno. Il con­te de G... non tornerà?”.

      "Sì;  l'ho manda­to a cer­car­mi dei dol­ci,  per­ché potes­si­mo par­lare  da

      soli per un poco. Madame Du­ver­noy è in con­fi­den­za".

      “Sì ragazzi”, disse ques­ta, “state tran­quil­li, non dirò niente”.

      “Che cosa avete stasera?”, mi chiese Mar­guerite alzan­dosi e ba­cian­do­mi

      sul­la fronte nel­la penom­bra del pal­co.

      “Sono un po' in­dis­pos­to”.

      “Bisogna che an­di­ate a let­to”, riprese con la sua aria iron­ica, che si

      ad­dice­va tan­to al volto fine e spir­itoso.

      “Dove?”.

      “A casa vos­tra”.

      “Sapete bene che non potrei dormire”.

      "Al­lo­ra  non  bisogna  venire qui a fare il mu­so per­ché avete vis­to un

      uo­mo nel mio pal­co".

      “Non è per questo”.

      "In­vece sì, me ne in­ten­do,  e voi avete tor­to;  quin­di non ne par­liamo

      più.  Dopo lo spet­ta­co­lo an­date a casa di Pru­dence, e re­state­ci fi­no a

      quan­do vi chi­amerò. Capi­to?".

      “Sì”.

      Pote­vo forse dis­obbe­dire?

      “Mi am­ate sem­pre?”, riprese lei.

      “E me lo do­man­date?”.

      “Avete pen­sato a me?”.

      “Tut­to il giorno”.

      "Sapete che ho ve­ra­mente pau­ra di in­namorar­mi  di  voi?  Chiede­te­lo  a

      Pru­dence".

      “Ah!”, rispose la don­nona, “questo sarebbe sec­ca­nte”.

      "Adesso,  tor­nate  al  vostro  pos­to;  il con­te sta per tornare,  ed è

      inu­tile che vi tro­vi qui".

      “Per­ché?”.

      “Per­ché non vi fa pi­acere ved­er­lo”.

      "No;   so­lo  che  se  mi  aveste  det­to  che  desider­avate  venire  al

      Vaudeville,  stasera,  avrei  po­tu­to  io  stes­so  procu­rarvi  il pal­co

      pro­prio come ve lo ha procu­ra­to lui".

      "Dis­grazi­ata­mente,  mi ha por­ta­to il bigli­et­to  sen­za  che  io  glielo

      aves­si chiesto, of­fren­dosi di ac­com­pa­gn­ar­mi. Lo sapete bene, non avrei

      po­tu­to  ri­fi­utare.  Tut­to  ciò  che  pote­vo fare era di scrivervi dove

      sarei an­da­ta per­ché mi poteste vedere,  e  per­ché  an­ch'io  aves­si  il

      pi­acere  di  rived­ervi  più  presto;  ma se è così che mi ringrazi­ate,

      ter­rò con­to del­la lezione".

      “Ho tor­to, per­do­nate­mi”.

      "Fi­nal­mente! Adesso tor­nate al vostro pos­to, per fa­vore, e so­prat­tut­to

      non fate più il geloso".

      Mi baciò di nuo­vo, e io uscii.

      Nel cor­ri­doio in­con­trai il con­te.

      Tor­nai al­la mia poltrona.

      Dopo tut­to, la pre­sen­za di mon­sieur de G... nel pal­co di Mar­guerite si

      sp­ie­ga­va as­sai facil­mente.  Era sta­to il suo  amante,  le  of­fri­va  un

      pal­co,  la ac­com­pa­gna­va al­lo spet­ta­co­lo,  era tut­to molto nat­urale,  e

      dal mo­men­to che ave­vo per amante una don­na come  Mar­guerite  bisog­na­va

      pure che mi adat­tas­si alle sue abi­tu­di­ni.

      Non per questo,  però, fui meno in­fe­lice per il resto del­la ser­ata, ed

      ero molto triste quan­do me ne andai,  dopo  aver  vis­to  Pru­dence,  il

      con­te   e   Mar­guerite   en­trare   nel­la  car­roz­za  che  li  as­pet­ta­va

      all'in­gres­so.

      Ep­pure dopo un quar­to d'ora ero a casa di  Pru­dence,  che  era  ap­pe­na

      tor­na­ta.

 

 

 

 

 

      CAPITOLO 13.

 

      Si­ete ar­riva­to quasi assieme a noi", disse Pru­dence.

      “Sì”, risposi mec­ca­ni­ca­mente. “Dov'è Mar­guerite?”.

      “A casa sua”.

      “So­la?”.

      “Con mon­sieur de G...”.

      Mi misi a cam­minare a gran­di pas­si per il sa­lone.

      “Ebbene, cosa avete?”.

      "Cre­dete che mi di­ver­ta as­pettare qui che mon­sieur de G...  es­ca dal­la

      casa di Mar­guerite?".

      "Non si­ete molto ra­gionev­ole. Cer­cate di capire che Mar­guerite non può

      met­tere il con­te al­la por­ta.  Mon­sieur de G...  è sta­to a lun­go il suo

      amante, le ha sem­pre da­to molto denaro, e gliene dà an­co­ra. Mar­guerite

      spende più di cen­tomi­la franchi all'an­no,  e ha molti deb­iti.  Il duca

      le man­da tut­to ciò che gli chiede,  ma lei non osa chiedere  sem­pre  a

      lui  tut­to  quel­lo di cui ha bisog­no.  Non può guas­tar­si con il con­te,

      che le rende al­meno  una  deci­na  di  migli­aia  di  franchi  all'an­no.

      Mar­guerite  vi vuole molto bene,  caro am­ico,  ma la vos­tra re­lazione,

      nel suo e nel vostro in­ter­esse, non deve es­sere una cosa se­ria.  Non è

      cer­to  con  i vostri sette od ot­tomi­la franchi di ren­di­ta che potreste

      sostenere il lus­so di quel­la ragaz­za;  non sarebbe suf­fi­ciente nep­pure

      a man­tenere la sua car­roz­za. Pren­dete Mar­guerite per quel­lo che è, una

      buona  figli­uo­la spir­itosa e bel­la;  siate il suo amante per un mese o

      due: of­fritele dei fiori, dei dol­ci,  dei palchi al teatro;  ma non vi

      met­tete  in  tes­ta  niente  di  più,  e  non  fatele ridi­cole scene di

      gelosia.  Sapete bene con chi avete a che fare;  Mar­guerite non  è  un

      mod­el­lo di virtù.  Voi le pi­acete,  voi l'am­ate molto,  non pen­sate al

      resto.  Si­ete pro­prio sim­pati­co quan­do fate il suscettibile!  Avete la

      più   graziosa   amante   di  Pa­ri­gi;   vi  riceve  in  uno  splen­di­do

      ap­par­ta­men­to,  è cop­er­ta di gioiel­li,  non vi  costerà  un  sol­do,  se

      vor­rete, e non si­ete con­tento. Che di­amine! chiedete trop­po".

      "Avete ra­gione, ma è più forte di me, l'idea che quell'uo­mo sia il suo

      amante mi fa un male ter­ri­bile".

      “Pri­ma  di tut­to”,  replicò Pru­dence,  "è an­co­ra il suo amante?  E' un

      uo­mo di cui es­sa ha bisog­no,  ec­co tut­to.  Da due giorni gli chi­ude la

      por­ta di casa;  è venu­to sta­mat­ti­na,  lei non ha po­tu­to fare a meno di

      ac­cettare il suo pal­co e di per­me­tter­gli di ac­com­pa­gnarla.  Egli  l'ha

      ri­con­dot­ta a casa,  è sta­to un is­tante da lei,  non ci ri­mar­rà, per­ché

      voi state as­pet­tan­do qui. Tut­to questo è nat­urale, mi sem­bra.  D'al­tra

      parte, non avete ac­cetta­to il duca?".

      "Sì,  ma quel­lo è un vec­chio, e sono cer­to che Mar­guerite non è la sua

      amante.  E poi,  si può spes­so ac­cettare una re­lazione,  ma  non  due.

      Quel­la  fa­cil­ità  somiglia  trop­po a un cal­co­lo e avvic­ina l'uo­mo che,

      sia pure per amore, vi si ada­gia a quel­li che, a un liv­el­lo più bas­so,

      fan­no mer­ca­to di quel con­sen­so e trag­gono lu­cro da quel mer­ca­to".

      "Oh,  caro mio,  come si­ete ar­retra­to!  quan­ti ne ho visti,  tra i più

      no­bili,  tra  i  più  el­egan­ti,  tra  i  più ric­chi fare quel­lo che vi

      con­siglio, e sen­za sfor­zo, sen­za ver­gogna, sen­za ri­mor­si!  Ma questo è

      cosa  di  tut­ti i giorni.  Cosa potreb­bero fare le man­tenute di Pa­ri­gi

      per sostenere il loro tenore di vi­ta,  se non avessero tre  o  quat­tro

      aman­ti  al­la vol­ta?  Non es­iste pat­ri­mo­nio,  per quan­to con­sid­erev­ole,

      che pos­sa da so­lo bastare alle spese di una don­na come Mar­guerite.  Un

      cap­itale  di  cin­que­cen­tomi­la franchi di ren­di­ta è un cap­itale im­men­so

      in  Fran­cia;   ebbene,   caro  am­ico,   cin­que­cen­tomi­la  franchi   non

      bastereb­bero, ed ec­co per­ché: un uo­mo che ha una sim­ile ren­di­ta ha una

      casa arreda­ta, cav­al­li, do­mes­ti­ci, car­rozze, ris­erve di cac­cia, am­ici;

      spes­so ha moglie,  figli,  al­le­va cav­al­li da cor­sa,  gio­ca, vi­ag­gia, o

      che so io!  Tutte queste abi­tu­di­ni sono così im­por­tan­ti,  che egli non

      può dis­farsene sen­za sem­brare rov­ina­to e sen­za destare scan­da­lo. Fat­ti

      i con­ti,  con cin­que­cen­tomi­la franchi all'an­no egli non può dare a una

      don­na più di quar­an­ta o  cin­quan­tami­la  franchi  all'an­no,  ed  è  già

      molto. E così, al­tri aman­ti con­cor­rono alle spese an­nu­ali del­la don­na.

      Con Mar­guerite,  è an­co­ra più co­mo­do;  le è cap­ita­to,  per un mira­co­lo

      del cielo, un vec­chio con un pat­ri­mo­nio di dieci mil­ioni, che ha per­so

      la moglie e la figlia,  che non ha che dei nipoti,  ric­chi  an­ch'es­si,

      che le dà tut­to ciò che lei desidera sen­za chieder­le niente in cam­bio;

      ma lei non può chieder­gli più di set­tan­ta­mi­la franchi all'an­no, e sono

      si­cu­ra che se gliene chiedesse di più,  egli ri­fi­uterebbe,  nonos­tante

      le sue ric­chezze e l'af­fet­to che ha per lei. Tut­ti quei gio­van­ot­ti che

      han­no ven­ti e trentami­la franchi di ren­di­ta a Pa­ri­gi,  cioè ap­pe­na  di

      che vi­vere nell'am­bi­ente che fre­quen­tano, san­no benis­si­mo, quan­do sono

      gli aman­ti di una don­na come Mar­guerite,  che ques­ta, con ciò che es­si

      le dan­no,  non potrebbe pa­gare nep­pure l'ap­par­ta­men­to  e  la  servitù.

      Es­si non di­cono niente di ciò che san­no, fin­gono di non vedere niente,

      e quan­do ne han­no ab­bas­tan­za se ne van­no per i fat­ti loro. Se han­no la

      pre­sun­zione  di  bastare a tut­to,  si rov­inano come degli scioc­chi,  e

      van­no a far­si am­maz­zare in Africa  las­cian­do  a  Pa­ri­gi  cin­quan­tami­la

      franchi di deb­iti.  Cre­dete che la loro don­na ne sia ri­conoscente?  Ma

      niente af­fat­to.  Al con­trario,  dice che ha sac­ri­fi­ca­to  loro  la  sua

      po­sizione,  e  che men­tre sta­va con loro perde­va del denaro.  Ah,  voi

      trovate che questi par­ti­co­lari sono ver­gog­nosi,  vero?  ma sono  veri.

      Voi  si­ete  un  ragaz­zo sim­pati­co,  mi si­ete molto caro;  io fre­quen­to

      man­tenute da vent'an­ni,  so chi esse siano e che cosa val­gano,  e  non

      vor­rei  ved­ervi pren­dere sul se­rio un capric­cio che una bel­la don­na ha

      per voi. In­oltre“, con­tin­uò Pru­dence,  ”am­met­ti­amo pure che Mar­guerite

      vi ami tan­to da ri­nun­cia­re al con­te e al duca,  nel ca­so che questi si

      ac­corgesse del­la vos­tra re­lazione e le im­ponesse di scegliere tra  voi

      e  lui;  è in­con­testa­bile che il suo sac­ri­fi­cio sarebbe enorme.  Quale

      sac­ri­fi­cio di uguale val­ore potreste fare voi per lei? Quan­do ver­rà la

      stanchez­za,  quan­do in­som­ma non vor­rete più saperne,  che cosa  farete

      per in­den­niz­zarla di quan­to le avete fat­to perdere?  Nul­la.  La avrete

      iso­la­ta dal mon­do nel quale si trova­vano  la  sua  for­tu­na  e  il  suo

      avvenire,  vi  avrà  fat­to  dono  dei  suoi  an­ni  più bel­li,  e ver­rà

      di­men­ti­ca­ta.  O sareste un uo­mo vol­gare,  le rin­fac­cer­este il pas­sato,

      le  direste  che  las­cian­dola  non  fate che agire come gli al­tri suoi

      aman­ti,  e l'ab­ban­doner­este a una mis­eria si­cu­ra;  o sareste  un  uo­mo

      on­esto,  e cre­den­dovi ob­bli­ga­to a ten­er­la con voi vi voter­este da so­lo

      a  un'in­fe­lic­ità  in­evitabile,   per­ché  questo  tipo  di   re­lazione,

      scus­abile in un gio­vane,  non lo è più in un uo­mo maturo.  Di­venu­ta un

      os­ta­co­lo a og­ni cosa,  non per­me­tte né una famiglia,  né un'am­bizione,

      il  sec­on­do  e  ul­ti­mo amore dell'uo­mo.  Cre­de­te­mi dunque,  am­ico mio,

      pren­dete le cose per quel­lo che val­go­no, le donne per quel­lo che sono,

      e non date a una man­tenu­ta il dirit­to di  dirsi,  in  qualunque  cosa,

      vos­tra cred­itrice".

      Questo  dis­cor­so  era  sag­gio,  e  di  una log­ica di cui non avrei mai

       cre­du­to ca­pace Pru­dence.  Non sep­pi che cosa rispon­dere,  se  non  che

      ave­va ra­gione; le tesi la mano e la ringrazi­ai dei suoi con­sigli.

      “An­di­amo,  an­di­amo”,  mi  disse,  "scac­ciate queste cat­tive teorie,  e

      ridete;  la vi­ta è af­fasci­nante,  mio caro,  tut­to dipende dal­la lente

      at­traver­so  la  quale la si guar­da.  Ec­co,  con­sul­tate il vostro am­ico

      Gas­ton: ec­cone uno che mi sem­bra capire l'amore come  lo  capis­co  io.

      Ciò  di  cui  dovete  con­vin­cervi,  al­tri­men­ti  di­ven­terete un ragaz­zo

      noioso,  è che qui vi­ci­no  c'è  una  bel­la  ragaz­za  che  at­tende  con

      im­pazien­za  che  l'uo­mo  che è con lei se ne va­da,  e che pen­sa a voi,

      con­ser­va per voi la sua notte, e vi ama, ne sono cer­ta.  Adesso ven­ite

      con me al­la fines­tra,  e guardiamo an­dar via il con­te, che non tarderà

      a ced­er­ci il pos­to".

      Pru­dence aprì una  fines­tra,  e  ci  ap­pog­giammo  al  da­van­za­le  l'uno

      ac­can­to all'al­tra.

      Lei guar­da­va i rari pas­san­ti, io sog­na­vo.

      Tut­to  quel­lo che mi ave­va det­to mi ron­za­va nel­la tes­ta,  e non pote­vo

      fare a meno di con­venire  che  ave­va  ra­gione,  ma  l'amore  vero  che

      sen­ti­vo  per Mar­guerite sten­ta­va ad adat­tar­si a quelle ra­gioni.  Così,

      emet­te­vo di tan­to in tan­to dei sospiri,  che face­vano voltare Pru­dence

      e  le  face­vano  alzare  le  spalle  come  un medi­co che non nu­tre più

      sper­anze su un mala­to.

      “Come, at­traver­so la ra­pid­ità delle sen­sazioni”, an­da­vo di­cen­do tra me

      e me,  "ci si ac­corge che la vi­ta è breve!  Conosco Mar­guerite so­lo da

      due giorni, è la mia amante so­lo da ieri, e ha già oc­cu­pa­to in un mo­do

      sim­ile i miei pen­sieri,  il mio cuore e la mia vi­ta,  che la visi­ta di

      questo con­te de G... mi rende in­fe­lice".

      Fi­nal­mente il con­te uscì, risalì in car­roz­za e si al­lon­tanò.  Pru­dence

      chiuse la fines­tra.

      Nel­lo stes­so mo­men­to, Mar­guerite ci chia­ma­va.

      “Ven­ite, presto, ap­parec­chi­amo”, disse, “cener­emo”.

      Quan­do  en­trai  da  lei,  Mar­guerite  mi  corre in­con­tro,  mi get­ta le

      brac­cia al col­lo e mi ba­cia con tut­ta la sua forza.

      “Ab­bi­amo an­co­ra il bron­cio?”, mi chiese.

      “No,  è pas­sato”,  rispose Pru­dence,  "gli ho fat­to la  pred­ica  e  ha

      promes­so di aver giudizio".

      “Meno male!”.

      Mio  mal­gra­do,  get­tai  un'oc­chi­ata al let­to: era in­tat­to.  Mar­guerite

      in­dos­sa­va già la sua vestaglia bian­ca.

      Ci met­tem­mo a tavola.

      Fas­ci­no, dol­cez­za, es­pan­siv­ità,  Mar­guerite ave­va tut­to,  e og­ni tan­to

      mi  sen­ti­vo ve­ra­mente ob­bli­ga­to a ri­conoscere che non ave­vo il dirit­to

      di chieder­le al­tro: molti sareb­bero stati fe­li­ci al mio pos­to, e, come

      il pa­store di Vir­gilio,  non ave­vo che da godere dei  pi­ac­eri  che  un

      dio, anzi una dea, mi elar­gi­va.

      Cer­cai  di  met­tere  in  prat­ica  le  teorie di Pru­dence,  e di es­sere

      al­le­gro come le mie amiche;  ma ciò che in  loro  era  nat­urale  a  me

      costa­va  fat­ica,  e il mio riso ner­voso,  che le in­gan­na­va,  era molto

      sim­ile alle lacrime.

      Fi­nal­mente fin­im­mo di cenare,  e  restai  so­lo  con  Mar­guerite.  Come

      d'abi­tu­dine,  andò a seder­si su un tap­peto da­van­ti al fuo­co, guardan­do

      con aria ma­lin­con­ica la fi­amma del caminet­to.

      Pen­sa­va!  a che?  non lo so;  io la guar­da­vo con  amore  e  quasi  con

      ter­rore, pen­san­do a quel che ero pron­to a sof­frire per lei.

      “Sai a che cosa sta­vo pen­san­do?”.

      “No”.

      “A una com­bi­nazione che ho trova­to”.

      “E quale?”.

      "Non  pos­so  dirte­lo  an­co­ra,  ma  pos­so  dirti  quel­lo  che  potrebbe

      risul­tarne: e cioè che tra un mese sarò lib­era, non avrò più deb­iti, e

      ce ne an­dremo in­sieme in cam­pagna a trascor­rere l'es­tate".

      “E non puoi dir­mi in che mo­do?”.

      “No; bisogna so­lo che tu mi ami come ti amo io, e tut­to an­drà bene”.

      “E hai trova­to da so­la ques­ta com­bi­nazione?”.

      “Sì”.

      “E la met­terai in prat­ica da so­la?”.

      “Ne sop­porterò da so­la i fas­ti­di”, disse Mar­guerite con un sor­riso che

      non di­men­ticherò mai, “ma ne go­dremo in­sieme i van­tag­gi”.

      Ar­rossii,  in­vin­ci­bil­mente  al­la  paro­la  “van­tag­gi”:  ri­cor­dai  Manon

      Lescaut che sper­per­ava con Des Grieux il denaro di mon­sieur de B...

      Risposi in tono un po' duro, alzan­do­mi:

      "Per­me­ttete­mi,  cara Mar­guerite, di spar­tire soltan­to i van­tag­gi delle

      azioni che io stes­so con­cepis­co e met­to in prat­ica".

      “Che cosa vuol dire?”.

      "Vuol dire che ho il forte sospet­to che il con­te de  G...  sia  vostro

      so­cio  in ques­ta fe­lice com­bi­nazione,  del­la quale io non ac­cet­to né i

      pe­si né i van­tag­gi".

      “Si­ete un bam­bi­no.  Cre­de­vo che mi amaste,  m'in­gan­na­vo,  va bene”.  E

      nel­lo  stes­so tem­po si alzò,  aprì il pi­anoforte e si rim­ise a suonare

      l'“in­vi­to al valz­er”,  fi­no a quel famoso pas­sag­gio in diesis  che  la

      costringe­va sem­pre a fer­mar­si.

      Era  per  abi­tu­dine,  o  per ri­cor­dar­mi il giorno nel quale ci er­ava­mo

      conosciu­ti?  Tut­to quel­lo che so è che con quel­la mu­si­ca  tornarono  i

      ri­cor­di  e,  avvic­inan­do­mi  a lei,  le pre­si la tes­ta fra le mani e la

      ba­ci­ai.

      “Mi per­do­nate?”, le chiesi.

      “Lo vedete bene”, mi rispose,  "ma ba­date che non siamo che al sec­on­do

      giorno, e ho già qual­cosa da per­donarvi. Tenete davvero poca fede alle

      vostre promesse di cieca obbe­dien­za".

      "Che vo­lete,  Mar­guerite,  vi amo trop­po, e sono geloso di og­ni vostro

      pic­co­lo pen­siero.  Ciò che mi avete pro­pos­to  poco  fa  mi  ren­derebbe

      paz­zo  di gioia,  ma il mis­tero che pre­cede la re­al­iz­zazione di questo

      pro­get­to mi stringe il cuore".

      “Ve­di­amo, ra­gio­ni­amo un po'”,  disse pren­den­do­mi le mani e guardan­do­mi

      con un in­can­tev­ole sor­riso al quale non era pos­si­bile re­sistere;  "voi

      mi am­ate,  non è vero?  e sareste fe­lice di pas­sare tre o quat­tro mesi

      in cam­pagna con me, da soli; an­ch'io sarei fe­lice di ques­ta soli­tu­dine

      a  due,  non  so­lo,  ma ne avrei an­che bisog­no per la mia salute.  Non

      pos­so las­cia­re Pa­ri­gi per un pe­ri­odo così lun­go sen­za sis­temare i miei

      af­fari,  e  gli  af­fari  di  una  don­na  come  me  sono  sem­pre  molto

      in­gar­bugliati;  ebbene, ho trova­to il sis­tema di con­cil­iare og­ni cosa,

      i miei af­fari e il mio amore per voi, sì,  per voi,  non ridete,  sono

      così  paz­za da amar­vi e voi vi date delle arie e mi dite dei paroloni.

      Bam­bi­no,  tre volte bam­bi­no,  ri­cor­dat­evi so­lo che vi amo,  e  non  vi

      pre­oc­cu­pate di niente. E' in­te­so, vero?".

      “E' in­te­so tut­to quel che vo­lete, lo sapete bene”.

      "Al­lo­ra,   en­tro  un  mese,  sare­mo  in  un  paesino  di  cam­pagna,  a

      passeg­gia­re in ri­va all'ac­qua e a bere lat­te.  Vi sem­br­erà stra­no  che

      io,  Mar­guerite Gau­ti­er,  par­li così;  ma il fat­to è,  am­ico mio,  che

      quan­do ques­ta vi­ta di Pa­ri­gi, che sem­bra ren­der­mi così fe­lice,  non mi

      bru­cia,  mi  an­noia,  e mi ven­gono al­lo­ra im­provvise as­pi­razioni a una

      vi­ta più cal­ma che mi fac­cia ri­cor­dare la  mia  in­fanzia.  C'è  sem­pre

      sta­ta un'in­fanzia,  co­munque si sia di­ven­tati.  Oh!  state tran­quil­lo,

      non vi dirò che sono figlia di un colon­nel­lo in pen­sione  e  che  sono

      sta­ta  ed­uca­ta a Saint-​De­nis.  Sono una povera ragaz­za di cam­pagna,  e

      fi­no  a  sei  an­ni  fa  non  sape­vo  scri­vere  il  mio  nome.   Ec­covi

      ras­si­cu­ra­to,  vero?  Per­ché mai si­ete voi il pri­mo al quale mi rivol­go

      per spar­tire la gioia del deside­rio che mi è venu­to?  Cer­to per­ché  ho

      capi­to  che  mi am­ate per me stes­sa e non per voi men­tre gli al­tri non

      mi han­no mai am­ata che per loro.  Sono sta­ta spes­so in  cam­pagna,  mai

      però come avrei vo­lu­to.  Con­to su di voi per ques­ta sem­plice fe­lic­ità,

      non siate dunque cat­ti­vo, e con­cede­temela.  Pen­sate a questo: 'Lei non

      vivrà  a lun­go,  e un giorno potrei pen­tir­mi di non aver fat­to per lei

      la pri­ma cosa che mi ha chiesto, e che era così facile da fare'".

      Che rispon­dere a quelle pa­role,  so­prat­tut­to nel ri­cor­do di una  pri­ma

      notte d'amore e nell'at­te­sa di una sec­on­da?

      Un'ora  dopo,  stringe­vo  Mar­guerite  fra  le brac­cia,  e se mi avesse

      chiesto di com­met­tere un delit­to le avrei obbe­di­to.

      Alle sei del mat­ti­no me ne andai, e pri­ma di us­cire le chiesi:

      “A stasera?”.

      Mi strinse più forte, ma non rispose.

      Du­rante la gior­na­ta, ricevet­ti una let­tera con queste pa­role:

 

      "Mio caro,  sono un po' in­dis­pos­ta,  e il medi­co mi ha  pre­scrit­to  il

      ri­poso.  Mi  coricherò  presto,  stasera,  e  non  vi ve­drò.  Ma,  per

      ri­com­per­sarvi, vi as­pet­terò do­mani a mez­zo­giorno. Vi amo".

 

      Il mio pri­mo pen­siero fu: “Mi tradisce!”.

      Un su­dore gela­to mi co­prì la fronte,  per­ché già ama­vo  trop­po  quel­la

      don­na da non es­sere scon­volto da quel sospet­to.

      Ep­pure,  con  Mar­guerite,  avrei dovu­to as­pet­tar­mi cose di quel genere

      quasi og­ni giorno;  il che mi era ac­cadu­to spes­so con le al­tre,  sen­za

      che me ne fos­si mai da­to trop­po pen­siero.  Da dove veni­va,  dunque, la

      forza di quel­la don­na sul­la mia vi­ta?

      Pen­sai al­lo­ra,  poiché ave­vo la chi­ave  di  casa  sua,  di  an­dar­la  a

      trovare  come  sem­pre.  In  quel mo­do,  avrei conosci­uto ben presto la

      ver­ità, e se aves­si trova­to un uo­mo lo avrei schi­af­feg­gia­to.

      Nel frat­tem­po andai agli Champs-​Elysées,  e vi ri­masi quat­tro ore;  ma

      lei non com­parve. La sera en­trai in tut­ti i teatri che es­sa era soli­ta

      fre­quentare: ma non la vi­di.

      Alle undi­ci, mi re­cai in rue d'Antin.

      Al­la  fines­tra  di  Mar­guerite non c'era luce.  Tut­tavia,  suon­ai.  Il

      portiere mi chiese dove an­das­si.

      “Da made­moi­selle Gau­ti­er”, risposi.

      “Non è tor­na­ta”.

      “Salirò ad as­pet­tar­la”.

      “Non c'è nes­suno in casa”.

      Era ev­iden­te­mente una con­seg­na,  che pote­vo forzare,  poiché ave­vo  la

      chi­ave, ma ebbi tim­ore di un ridi­co­lo scan­da­lo, e me ne andai.

      Ma  non  tor­nai  a  casa;  non  pote­vo  las­cia­re quel­la stra­da,  e non

      perdet­ti d'oc­chio la casa di Mar­guerite.  Mi sem­bra­va di avere  an­co­ra

      qual­cosa  da sapere,  o per­lomeno che i miei sospet­ti dovessero es­sere

      con­fer­mati.

      Ver­so la mez­zan­otte,  una car­roz­za che conosce­vo bene si fer­mò da­van­ti

      al nu­mero 9.

      Il con­te de G...  ne discese ed en­trò in casa,  dopo aver con­geda­to la

      vet­tura.

      Per un mo­men­to  sperai  che,  come  a  me,  gli  avreb­bero  det­to  che

      Mar­guerite  non  era  in  casa,  e che lo avrei vis­to us­cire;  ma alle

      quat­tro del mat­ti­no as­pet­ta­vo an­co­ra.

      Ho molto sof­fer­to da tre set­ti­mane a ques­ta parte,  ma  questo  non  è

      niente, cre­do, in con­fron­to a ciò che sof­frii quel­la notte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

      CAPITOLO 14.

 

      Tor­na­to  a casa,  scop­pi­ai in pianto come un bam­bi­no.  Non c'è un uo­mo

      che non sia sta­to tra­di­to al­meno una vol­ta, e che non sap­pia quan­to si

      sof­fra.

      Mi dis­si,  sot­to il pe­so di quelle de­ci­sioni feb­brili,  che  si  pen­sa

      sem­pre  di avere il cor­ag­gio di man­tenere,  che bisog­na­va far­la fini­ta

      subito con quell'amore,  e  as­pet­tai  con  im­pazien­za  il  giorno  per

      ac­quistare  un bigli­et­to di vi­ag­gio e torn­armene da mio padre e da mia

      sorel­la,  du­plice amore del quale ero si­curo,  e che  non  mi  avrebbe

      tra­di­to.

      Tut­tavia,  non  vole­vo par­tire sen­za che Mar­guerite ne sapesse bene la

      ra­gione.  So­lo un uo­mo che ve­ra­mente non ama più la pro­pria amante  la

      ab­ban­dona sen­za scriver­le.

      Scrissi e riscrissi quel­la let­tera ven­ti volte nel­la mia mente.

      Ave­vo in­con­tra­to una don­na sim­ile a tutte le al­tre man­tenute;  l'ave­vo

      trop­po ide­al­iz­za­ta,  lei  mi  ave­va  trat­ta­to  come  uno  stu­den­tel­lo,

      imp­ie­gan­do,  per  tradir­mi,  una fur­bizia di una sem­plic­ità of­fen­si­va:

      era chiaro. Il mio amor pro­prio ebbe al­lo­ra il so­pravven­to.  Bisog­na­va

      las­cia­re  quel­la  don­na  sen­za dar­le la sod­dis­fazione di sapere quan­to

      quel­la rot­tura mi facesse sof­frire;  ec­co ciò che le scrissi,  con  la

      più  el­egante  scrit­tura,  e  con  lacrime di rab­bia e di do­lore negli

      oc­chi:

 

      "Mia cara Mar­guerite,

      "spero che la vos­tra in­dis­po­sizione di ieri sia sta­ta  cosa  da  poco.

      Alle undi­ci del­la sera,  sono venu­to a chiedere vostre no­tizie, e mi è

      sta­to rispos­to che non er­avate ri­en­tra­ta.  Il sig­nor de G...  è  sta­to

      più  for­tu­na­to  di me,  per­ché si è pre­sen­ta­to qualche min­uto dopo,  e

      alle quat­tro del mat­ti­no era an­co­ra con voi.

      "Per­do­nate­mi le poche ore di noia che vi ho fat­to trascor­rere, e siate

      cer­ta che non di­men­ticherò mai i mo­men­ti fe­li­ci che vi de­vo.

      "Sarei venu­to vo­len­tieri a chiedere vostre no­tizie og­gi,  ma pen­so  di

      tornare da mio padre.

      "Ad­dio,  cara  Mar­guerite;  non  sono  né  tan­to  ric­co da amar­vi come

      vor­rei,  né tan­to povero da amar­vi come vor­reste  voi.  Di­men­tichi­amo,

      dunque,  voi  un  nome  che  deve  es­servi quasi in­dif­fer­ente,  io una

      fe­lic­ità che mi è di­ven­ta­ta im­pos­si­bile.

      "Vi resti­tu­is­co la vos­tra chi­ave,  che non mi è  mai  servi­ta,  e  che

      potrà  es­servi  utile,  se vi capi­ta spes­so di es­sere am­mala­ta come lo

      er­avate ieri".

 

      Come vedete,  non ave­vo avu­to la forza di finire quel­la let­tera  sen­za

      una im­per­ti­nente iro­nia, il che pro­va come ne fos­si an­co­ra in­namora­to.

      Lessi e ri­lessi dieci volte quel­la let­tera, e l'idea che avrebbe fat­to

      dispi­acere  a  Mar­guerite  mi  calmò  un  poco.  Cer­cai  di  giu­di­care

      sev­er­amente i sen­ti­men­ti che es­sa fin­ge­va di  avere,  e  quan­do,  alle

      ot­to, il mio do­mes­ti­co en­trò nel­la mia cam­era, gliela con­seg­nai per­ché

      la re­cap­itasse subito.

      “De­vo  as­pettare la rispos­ta?”,  mi chiese Joseph (si chia­ma­va Joseph,

      come tut­ti i do­mes­ti­ci).

      "Se ti sarà chiesto se c'è rispos­ta,  di' che  non  ne  sai  niente  e

      as­pet­ta".

      Mi at­tac­ca­vo al­la sper­an­za che mi avrebbe rispos­to.

      Come siamo mis­eri e de­boli!

      Per  tut­to il tem­po che il do­mes­ti­co stette fuori,  fui in pre­da a una

      vi­olen­ta ag­itazione.  In cer­ti mo­men­ti mi ri­cor­da­vo come Mar­guerite si

      era da­ta a me, e mi chiede­vo con qual dirit­to le aves­si scrit­to quel­la

      let­tera in­so­lente,  dal mo­men­to che avrebbe po­tu­to rispon­der­mi che non

       tradi­va me  con  mon­sieur  de  G...,  ma  mon­sieur  de  G...  con  me:

      ra­gion­amen­to che per­me­tte a molte donne di avere di­ver­si aman­ti.  Poi,

      ri­cor­dan­do i giu­ra­men­ti di quel­la don­na, cer­ca­vo di con­vin­cer­mi che la

      mia let­tera era an­che trop­po de­bole e che  non  con­tene­va  espres­sioni

      tan­to  vi­olente  da  stron­care  una  don­na  che si bef­fa­va di un amore

      sin­cero come il mio.  Poi,  mi dice­vo che avrei  fat­to  meglio  a  non

      scriver­le,  ad an­dare da lei du­rante la gior­na­ta, e che, in quel mo­do,

      avrei gioito delle lacrime che avrebbe ver­sato per causa mia.

      In­fine, mi chiede­vo che cosa mi avrebbe rispos­to, pron­to già a credere

      a qual­si­asi scusa es­sa avesse ad­dot­to.

      Joseph ri­tornò.

      “Ebbene?”, gli chiesi.

      “Sig­nore”,  rispose,  "la sig­no­ra era a let­to  e  dormi­va  an­co­ra,  ma

      ap­pe­na  suon­erà  le con­seg­ner­an­no la let­tera,  e se c'è rispos­ta ve la

      porter­an­no".

      Dormi­va an­co­ra!

      Ven­ti volte fui sul pun­to di man­dare a ripren­dere quel­la  let­tera,  ma

      mi  dice­vo  sem­pre:  "Forse  gliel'han­no  già da­ta,  e avrei l'aria di

      es­ser­mi pen­ti­to".

      Più si avvic­ina­va il mo­men­to in cui si pote­va ra­gionevol­mente sup­porre

      che avrei rice­vu­to una rispos­ta, più mi dispi­ace­va di avere scrit­to.

      Suonarono le dieci, le undi­ci, le dod­ici.

      A mez­zo­giorno sta­vo per an­dare all'ap­pun­ta­men­to come se  niente  fos­se

      suc­ces­so.  In­som­ma,  non  sape­vo  che  cosa  es­cog­itare per us­cire dal

      cer­chio di fuo­co che mi ser­ra­va.

      Al­lo­ra cre­det­ti,  con la su­per­stizione di chi as­pet­ta,  che  se  fos­si

      us­ci­to  per un po',  al ri­torno avrei trova­to la rispos­ta: le risposte

      at­tese con im­pazien­za ar­rivano spes­so quan­do si è fuori di casa.

      Uscii col pretesto di an­dare a far co­lazione

      In­vece di man­gia­re al Café Foy,  all'an­go­lo  del  boule­vard  come  ero

      soli­to fare,  preferii an­dare al Palais-​Roy­al pas­san­do da rue d'Antin.

      Og­ni vol­ta che vede­vo una don­na da lon­tano,  cre­de­vo di vedere  Na­nine

      che  mi  por­ta­va  la  rispos­ta.  Pas­sai  in  rue  d'Antin  sen­za  aver

      in­con­tra­to nes­sun fat­tori­no. Ar­rivai al Palais-​Roy­al,  en­trai da Véry.

      Il  cameriere  mi  fece man­gia­re,  o meglio mi servì quel­lo che volle,

      per­ché non man­giai af­fat­to.

      Mio mal­gra­do, i miei oc­chi non si stac­ca­vano dal­la pen­dola.

      Tor­nai, con­vin­to che avrei trova­to una let­tera di Mar­guerite.

      Il  portiere  non  ave­va  rice­vu­to  niente.  Sper­avo  an­co­ra  nel  mio

      do­mes­ti­co; ma non ave­va vis­to nes­suno da quan­do io ero us­ci­to.

      Se Mar­guerite avesse vo­lu­to rispon­der­mi, lo avrebbe fat­to da un pez­zo.

      Com­in­ci­ai al­lo­ra a rimpian­gere le espres­sioni del­la mia let­tera, avrei

      dovu­to  tacere  del  tut­to,  il che avrebbe spin­to la sua im­pazien­za a

      inda­gare: per­ché,  non ve­den­do­mi venire all'ap­pun­ta­men­to,  mi  avrebbe

      chiesto  la  ra­gione  del­la  mia  as­sen­za,  e so­lo al­lo­ra avrei dovu­to

      dirgliela.  In questo mo­do lei sarebbe sta­ta costret­ta a gius­ti­fi­car­si

      e,  come  vole­vo,  sarebbe  sta­ta  lei a dis­col­par­si.  Sen­ti­vo già che

      qualunque pretesto avesse ad­dot­to,  le  avrei  cre­du­to,  e  che  avrei

      prefer­ito qual­si­asi cosa al non ved­er­la più.

      Finii  col  credere  che  sarebbe  venu­ta lei stes­sa da me,  ma le ore

      pas­sa­vano, e non venne.

      De­cisa­mente, Mar­guerite non era come tutte le al­tre donne, per­ché sono

      poche quelle che,  aven­do  rice­vu­to  una  let­tera  come  la  mia,  non

      rispon­dono qual­cosa.

      Alle cinque, cor­si agli Champs-​Elysées.

      “Se  la  in­con­tro”,  pen­sa­vo,  "fin­gerò  un'aria  in­dif­fer­ente  e sarà

      con­vin­ta che già non pen­so più a lei".

      All'an­go­lo di rue Royale, vi­di pas­sare la sua car­roz­za,  l'in­con­tro fu

      così  im­provvi­so  che  im­pal­lidii.  Non  so  se  si  ac­corse del­la mia

      emozione; ero così tur­ba­to che vi­di soltan­to la car­roz­za.

      Non pros­eguii la  passeg­gia­ta  fi­no  agli  Champs-​Elysées.  Guardai  i

      man­ifesti dei teatri, per­ché ave­vo an­co­ra una pos­si­bil­ità.

      C'era  una  pri­ma  rap­pre­sen­tazione  al  Palais-​Roy­al.  Mar­guerite  vi

      avrebbe cer­ta­mente as­sis­ti­to.

      Alle sette ero a teatro.  Tut­ti i palchi si riem­pirono,  ma Mar­guerite

      non c'era.

      Al­lo­ra uscii dal Palais-​Roy­al, ed en­trai in tut­ti i teatri dove an­da­va

      più spes­so, al Vaudeville, al Var­iétés, all'Opéra-​Comique.

      Non la trovai in nes­sun pos­to.

      O la mia let­tera le ave­va fat­to trop­po dispi­acere per­ché avesse voglia

      di  an­dare  a  teatro,  o teme­va di in­con­trar­mi,  e vol­eva evitare una

      sp­ie­gazione.

      Ec­co quel­lo che la mia  van­ità  mi  sug­geri­va,  quan­do  nel  boule­vard

      in­con­trai Gas­ton che mi chiese da dove venis­si.

      “Dal Palais-​Roy­al”.

      “E io dall'Opéra”, mi disse; “cre­de­vo anzi di vedere an­che voi”.

      “Per­ché?”.

      “Per­ché c'era Mar­guerite”.

      “Ah, c'era?”.

      “Sì”.

      “So­la?”.

      “No, con un'am­ica”.

      “E bas­ta?”.

      "Il  con­te  de G...  è en­tra­to un at­ti­mo nel suo pal­co;  ma lei se n'è

      an­da­ta col duca.  A og­ni is­tante cre­de­vo di ved­ervi  com­par­ire.  C'era

      ac­can­to  a  me una poltrona che è ri­mas­ta vuo­ta tut­ta la sera,  ed ero

      con­vin­to che fos­se la vos­tra".

      “Ma per­ché mai dovrei an­dare dove va Mar­guerite?”.

      “Per­ché si­ete il suo amante, per­dio!”.

      “E chi ve lo ha det­to?”.

      "Pru­dence,  che ho in­con­tra­to ieri.  Mi con­grat­ulo,  mio caro;  è  una

      bel­la  amante  che  non  tut­ti  pos­sono avere.  Con­ser­vatela,  vi farà

      onore".

      Quel­la sem­plice os­ser­vazione di Gas­ton mi  fece  capire  come  la  mia

      suscettibil­ità fos­se ridi­co­la. Se lo aves­si in­con­tra­to il giorno pri­ma

      e  mi  avesse  par­la­to  così,  cer­ta­mente non avrei scrit­to la stup­ida

      let­tera di quel­la mat­ti­na.

      Sta­vo per  an­dare  a  cer­care  Pru­dence  per  in­car­icar­la  di  dire  a

      Mar­guerite  che dove­vo par­lar­le,  ma ebbi tim­ore che per ven­di­car­si mi

      facesse rispon­dere che non mi pote­va rice­vere,  e tor­nai a  casa  dopo

      es­sere pas­sato per rue d'Antin.

      Chiesi di nuo­vo al portiere se c'era una let­tera per me. Niente!

      "Avrà  as­pet­ta­to che faces­si qualche nuo­vo ap­proc­cio,  o che ri­ti­ras­si

      la let­tera og­gi“,  mi dis­si nel cori­car­mi ”ma ve­den­do che  non  le  ho

      scrit­to, mi scriverà lei do­mani".

      Quel­la sera mi pen­tii più che mai di quan­to ave­vo fat­to. Ero so­lo, non

      rius­ci­vo a dormire,  di­vo­ra­to dall'an­sia e dal­la gelosia,  men­tre,  se

      aves­si las­ci­ato che le cose seguis­sero il loro cor­so  nat­urale,  avrei

      dovu­to es­sere ac­can­to a Mar­guerite a sen­tir­mi dire le cose in­can­tevoli

      che ave­vo sen­ti­to due volte soltan­to,  e che,  nel­la soli­tu­dine in cui

      ero, mi bru­ci­avano le orec­chie.

      Una situ­azione atroce, per­ché la ra­gione mi da­va tor­to: in­fat­ti, tut­to

      mi dice­va che Mar­guerite mi  ama­va.  Pri­ma,  il  pro­get­to  di  pas­sare

      un'es­tate  in  cam­pagna,  so­la  con me,  poi la certez­za che niente la

      costringe­va a  es­sere  la  mia  amante,  per­ché  la  mia  ren­di­ta  era

      in­suf­fi­ciente  per  le sue ne­ces­sità e an­che per i suoi capric­ci.  Non

      c'era sta­ta dunque,  in lei,  che la sper­an­za  di  trovare  in  me  un

      af­fet­to sin­cero, ca­pace di ri­posar­la dagli amori mer­ce­nari in mez­zo ai

      quali vive­va, e fin dal sec­on­do giorno io dis­trugge­vo ques­ta sper­an­za,

      ri­pa­gan­do  con  in­so­lente  iro­nia  l'amore che ave­vo ac­cetta­to per due

      not­ti.  Quel che sta­vo facen­do era dunque  peg­gio  che  ridi­co­lo,  era

      in­del­ica­to.  Ave­vo forse pa­ga­to quel­la don­na, così dà avere il dirit­to

      di rim­prover­ar­le la vi­ta  che  con­duce­va?  e  non  face­vo  la  figu­ra,

      ri­ti­ran­do­mi  fin dal sec­on­do giorno,  di un paras­si­ta dell'amore,  che

      teme che gli sia pre­sen­ta­to il con­to?  Come!  conosce­vo Mar­guerite  da

      trenta­sei  ore,  da  ven­ti­quat­tro  ero  il  suo  amante,  e  face­vo il

      suscettibile;  e in­vece di riten­er­mi fin trop­po for­tu­na­to che mi desse

      una parte di sé, pre­tende­vo di avere tut­to so­lo per me, costrin­gen­dola

      a  spez­zare  di  colpo  i lega­mi del suo pas­sato,  che cos­ti­tu­iv­ano le

      ren­dite del suo fu­turo.  Che cosa  pote­vo  rim­prover­ar­le?  Niente.  Mi

      ave­va  scrit­to  di  es­sere  in­dis­pos­ta,  quan­do  avrebbe  po­tu­to dir­mi

      cruda­mente, con l'odiosa sin­cer­ità di certe donne, che dove­va rice­vere

      un amante;  e in­vece di prestar  fede  al­la  sua  let­tera,  in­vece  di

      an­darmene  a  spas­so  per  tutte  le  strade  di Pa­ri­gi tranne che rue

      d'Antin,  in­vece di trascor­rere la ser­ata con i miei am­ici e di an­dare

      da lei l'in­do­mani all'ora che mi ave­va in­di­ca­to,  face­vo l'Otel­lo,  la

      spi­avo,  e pre­tende­vo di punir­la non  ve­den­dola  più.  Ma  lei  dove­va

      es­sere ben fe­lice di quel­la sep­arazione,  dove­va trovar­mi im­men­sa­mente

      stupi­do,  e il suo silen­zio non era  nep­pure  seg­no  di  ran­core:  era

      dis­prez­zo.

      Avrei  dovu­to  al­lo­ra fare a Mar­guerite un re­ga­lo che non le las­ci­asse

      al­cun dub­bio sul­la mia gen­erosità,  e che mi per­me­ttesse,  trat­tan­dola

      come  una  man­tenu­ta,  di con­sid­er­ar­mi a pos­to nei suoi con­fron­ti,  ma

      avrei cre­du­to di of­fend­ere con la più pic­co­la par­ven­za  di  in­ter­esse,

      se  non  l'amore  che lei ave­va per me al­meno l'amore che io ave­vo per

      lei,   e  poiché  questo  amore  era  così  puro  che  non   am­met­te­va

      spar­tizioni,  non  avrei  po­tu­to  ri­pa­gare  con un re­ga­lo,  per quan­to

      bel­lo,  la fe­lic­ità,  sia pure di  breve  du­ra­ta,  che  mi  era  sta­ta

      con­ces­sa.

      Ec­co  ciò  che  mi  an­da­vo  ripe­tendo quel­la notte,  e ciò che in og­ni

      mo­men­to ero pron­to a dire a Mar­guerite.

      Quan­do spun­tò il giorno,  non dormi­vo an­co­ra,  ave­vo la feb­bre: mi era

      im­pos­si­bile pen­sare ad al­tro che a Mar­guerite.

      Come potrete capire, bisog­na­va de­cider­si e far­la fini­ta o con la don­na

      o con gli scrupoli, sem­pre che avesse ac­consen­ti­to a ricev­er­mi an­co­ra.

      Ma,  voi lo sapete, si rin­viano sem­pre le de­ci­sioni es­treme: così, non

       po­ten­do restare in casa, non osan­do pre­sen­tar­mi da Mar­guerite,  cer­cai

      un mez­zo per ri­ac­costar­mi a lei, mez­zo che il mio amor pro­prio avrebbe

      po­tu­to met­tere nel con­to, nel ca­so mi fos­se rius­ci­to.

      Er­ano  le  nove;  cor­si  da  Pru­dence che mi chiese a che cosa dovesse

      quel­la visi­ta mat­tiniera.

      Non os­ai dirle fran­ca­mente che cosa mi con­duce­va.  Le risposi che  ero

      us­ci­to  presto  per  fis­sare  un  pos­to  sul­la dili­gen­za di C...  dove

      abita­va mio padre.

      “Si­ete ben for­tu­na­to”,  mi disse,  "a pot­er las­cia­re Pa­ri­gi con ques­ta

      bel­la sta­gione".

      Guardai Pru­dence,  chieden­do­mi se si stesse bef­fan­do di me.  Ma il suo

      vi­so era se­rio.

      “An­date a salutare Mar­guerite?”, riprese, sem­pre se­ri­amente.

      “No”.

      “Fate bene”.

      “Trovate?”.

      "Nat­ural­mente.   Da­to  che  avete  rot­to  con  lei,   a  quale   scopo

      rived­er­la?".

      “Sapete dunque del­la nos­tra rot­tura?”.

      “Mi ha mostra­to la vos­tra let­tera”.

      “E che cosa vi ha det­to?”.

      "Mi ha det­to: 'Cara Pru­dence, il vostro pro­tet­to non è ed­uca­to: queste

      let­tere si pen­sano, non si scrivono'".

      “E con che tono vi ha det­to tut­to questo?”.

      "Ri­den­do, e ha ag­giun­to: 'Ha ce­na­to due volte in casa mia, e non mi fa

      nem­meno una visi­ta di di­ges­tione'".

      Ec­co l'ef­fet­to che la mia let­tera e la mia gelosia ave­vano prodot­to!

      Fui crudel­mente umil­ia­to nel­la van­ità del mio amore.

      “E che cosa ha fat­to ieri sera?”.

      “E' an­da­ta all'Opéra”.

      “Lo so. E poi?”

      “Ha ce­na­to in casa”.

      “So­la?”.

      “Con il con­te de G..., cre­do”.

      E così la rot­tura con me non ave­va cam­bi­ato per niente le abi­tu­di­ni di

      Mar­guerite.

      E'  in  cir­costanze  sim­ili  che  cer­ta  gente vi dice: "Bisog­na­va non

      pen­sar­ci più a quel­la don­na, che non vi ama­va".

      "Bene, sono molto con­tento di vedere che Mar­guerite non si dis­pera per

      me", ripresi con un sor­riso forza­to.

      "E ha tutte le ra­gioni.  Voi avete fat­to  quel­lo  che  dove­vate  fare,

      si­ete  sta­to  più ra­gionev­ole di lei,  per­ché quel­la ragaz­za vi ama­va,

      non face­va che par­lare di voi,  e sarebbe sta­ta  ca­pace  di  qualunque

      pazz­ia".

      “Per­ché non mi ha rispos­to, se mi ama?”.

      "Per­ché  ha capi­to di aver tor­to ad amar­vi.  E poi le donne per­me­ttono

      qualche vol­ta che si in­gan­ni il loro amore, mai che si ferisca il loro

      amor pro­prio,  e si ferisce sem­pre l'amor pro­prio di una don­na quan­do,

      dopo  due  giorni che si è il suo amante,  la si ab­ban­dona,  quali che

      siano le ra­gioni che si voglia dare al­la rot­tura;  conosco Mar­guerite,

      preferirebbe morire pi­ut­tosto che rispon­dervi".

      “Che de­vo fare, al­lo­ra?”.

      "Niente.  Vi di­men­ticherà,  voi la di­men­ticherete, e non avrete niente

      da rim­prover­arvi l'un l'al­tra".

      “Ma se le scrives­si per chieder­le per­dono?”.

      “Guar­dat­evene bene: vi per­donerebbe”.

      Fui sul pun­to di saltare al col­lo di Pru­dence.

      Un quar­to d'ora dopo, ero tor­na­to a casa e scrive­vo a Mar­guerite:

 

      "Qual­cuno che si pente di una let­tera che ha scrit­to ieri,  che se non

      lo  per­do­nate  par­tirà do­mani stes­so,  vor­rebbe sapere a che ora potrà

      de­porre ai vostri pie­di il suo pen­ti­men­to.

      "Quan­do potrà trovarvi so­la? per­ché, lo sapete.  Le con­fes­sioni de­vono

      es­sere fat­te sen­za tes­ti­moni".

 

      Rip­ie­gai quel­la specie di madri­gale in prosa,  e lo fe­ci re­cap­itare da

      Joseph,  che con­seg­nò la let­tera al­la stes­sa Mar­guerite,  la quale gli

      disse che avrebbe rispos­to più tar­di.

      Non uscii che per poco,  per an­dare a pran­zo, e alle undi­ci del­la sera

      non ave­vo an­co­ra rice­vu­to rispos­ta.

      De­cisi al­lo­ra di non sof­frire più a  lun­go  e  di  par­tire  il  giorno

      seguente.

      In  se­gui­to a ques­ta de­ci­sione,  con­vin­to che se mi fos­si cor­ica­to non

      sarei rius­ci­to a pren­der son­no, mi misi a preparare i bagagli.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

      CAPITOLO 15.

 

      Era quasi un'ora che Joseph e  io  stava­mo  preparan­do  tut­to  per  la

      parten­za, quan­do suonarono con forza al­la por­ta.

      “De­vo aprire?”, mi chiese Joseph.

      “Apri”,  gli  dis­si,  chieden­do­mi  chi  potesse  venire  a  casa mia a

      quell'ora, e non osan­do credere che fos­se Mar­guerite.

      “Sig­nore”, mi disse Joseph tor­nan­do, “sono due sig­nore”.

      “Siamo noi,  Ar­mand”,  gridò una voce  che  ri­conob­bi  per  quel­la  di

      Pru­dence.

      Uscii dal­la stan­za.

      Pru­dence,   in   pie­di,   guar­da­va  qualche  pez­zo  del  mio  sa­lot­to;

      Mar­guerite, se­du­ta sul di­vano, ri­flet­te­va.

      Ap­pe­na en­tra­to, le andai in­con­tro,  mi in­ginoc­chi­ai,  le pre­si le mani

      e, tut­to com­mosso, le dis­si:

      “Per­do­nate­mi”.

      Mi baciò sul­la fronte e rispose:

      “E' la terza vol­ta che vi per­dono”.

      “Do­mani sarei par­ti­to”.

      "In che cosa la mia visi­ta può cam­biare la vos­tra de­ci­sione?  Non sono

      venu­ta per im­pedirvi di las­cia­re Pa­ri­gi.  Sono venu­ta per­ché in  tut­ta

      la gior­na­ta non ho avu­to il tem­po di rispon­dervi,  e per­ché non vole­vo

      cre­deste che fos­si in­qui­eta con voi. Pru­dence,  del resto,  non vol­eva

      che venis­si; dice­va che vi avrei forse dis­tur­ba­to".

      “Dis­tur­bar­mi, voi, Mar­guerite? E come?”.

      “Per­bac­co! pote­va es­ser­ci una don­na in casa vos­tra”, rispose Pru­dence,

      “e non sarebbe sta­to di­ver­tente per lei ved­erne ar­rivare al­tre due”.

      Du­rante   quest'os­ser­vazione   di  Pru­dence,   Mar­guerite  mi  fis­sa­va

      at­ten­ta­mente.

       “Cara Pru­dence”, risposi, “voi non sapete ciò che dite”.

      “E' molto grazioso il vostro ap­par­ta­men­to”, replicò Pru­dence,  "si può

      vedere la stan­za da let­to?".

      “Sì”.

      Pru­dence  passò  in  cam­era  mia,  non  tan­to  per  ved­er­la quan­to per

      ri­parare al­la  scioc­chez­za  che  ave­va  det­to,  e  per  las­cia­re  soli

      Mar­guerite e me.

      “Per­ché si­ete venu­ta con Pru­dence?”, chiesi al­lo­ra.

      "Per­ché era con me al­lo spet­ta­co­lo, e per­ché vole­vo avere qual­cuno che

      mi ac­com­pa­gnasse, an­dan­do via di qui".

      “Non c'ero io?”.

      "Sì ma,  a parte il fat­to che non vole­vo dis­tur­barvi,  ero si­curis­si­ma

      che ve­nen­do fi­no al­la por­ta di casa mia mi avreste chiesto di  salire,

      e,  sic­come  non  avrei  po­tu­to  per­me­tter­velo,  non  vole­vo che ve ne

      an­daste col dirit­to di rin­fac­cia­rmi un ri­fi­uto".

      “E per­ché non potreste ricev­er­mi?”.

      "Per­ché sono molto sorveg­li­ata, e il min­imo sospet­to potrebbe nuo­cer­mi

      moltissi­mo".

      “E' la so­la ra­gione?”.

      "Se ce ne fos­se un'al­tra,  ve la di­rei;  non siamo più al pun­to in cui

      si han­no dei seg­reti l'uno per l'al­tra".

      "In­som­ma, Mar­guerite, non voglio pren­dere strade tra­verse per ar­rivare

      a quel che voglio dirvi. Sin­ce­ra­mente, mi am­ate un poco?".

      “Molto”.

      “Al­lo­ra, per­ché mi avete tra­di­to?”.

      "Am­ico  mio,   se  fos­si  la  duches­sa  tale  o  ta­lal­tra,  se  aves­si

      due­cen­tomi­la franchi di ren­di­ta,  se fos­si la vos­tra amante,  e aves­si

      un al­tro uo­mo, voi avreste il dirit­to di chie­der­mi per­ché vi tradis­co;

      ma  sic­come  sono  made­moi­selle  Mar­guerite  Gau­ti­er,  ho quar­an­tami­la

      franchi di deb­iti,  nep­pure un sol­do  di  cap­itale,  spendo  cen­tomi­la

      franchi  all'an­no,  la vos­tra do­man­da di­ven­ta oziosa e la mia rispos­ta

      inu­tile".

      “E' gius­to”, dis­si ab­ban­do­nan­do il capo sulle ginoc­chia di Mar­guerite,

      “ma io vi amo folle­mente”.

      "Ebbene,  am­ico mio,  bisog­na­va amar­mi un po' meno o  capir­mi  un  po'

      meglio. La vos­tra let­tera mi ha fat­to molto dispi­acere. Se fos­si sta­ta

      lib­era,  anz­itut­to  non avrei rice­vu­to il con­te l'al­tro ieri,  o,  pur

      riceven­do­lo,  sarei venu­ta a chiedervi il per­dono  che  voi  mi  avete

      chiesto poco fa,  e non avrei avu­to in fu­turo al­tro amante che voi. Ho

      cre­du­to per un mo­men­to di poter­mi con­cedere ques­ta gioia per sei mesi,

      ma voi non avete vo­lu­to;  vol­evate conoscere i mezzi.  Oh!  mio Dio  i

      mezzi  era  molto  facile in­tuir­li.  Imp­ie­gan­doli face­vo un sac­ri­fi­cio

      molto più grande di quan­to voi non cre­di­ate.  Avrei po­tu­to dirvi:  'Ho

      bisog­no  di ven­tim­ila franchi';  er­avate in­namora­to di me,  li avreste

      trovati,  a ris­chio di rin­fac­cia­rmeli  più  tar­di.  Ho  prefer­ito  non

      dovervi niente;  ma voi non avete capi­to la mia del­icatez­za,  che pure

      era ev­idente. Noi,  quan­do ab­bi­amo an­co­ra un po' di cuore,  di­amo alle

      pa­role  e  alle  cose  un  sig­ni­fi­ca­to e uno svilup­po sconosciu­ti alle

      al­tre donne;  vi ripeto dunque che,  da parte di  Mar­guerite  Gau­ti­er,

      trovare  il  mez­zo  di  pa­gare  i  suoi deb­iti sen­za chiedere a voi il

      denaro nec­es­sario era  una  del­icatez­za  del­la  quale  avreste  dovu­to

      ap­prof­ittare sen­za chiedere niente. Se mi aveste conosci­uto so­lo og­gi,

      sareste  sta­to  an­che  trop­po  fe­lice di quan­to vi promet­te­vo e non mi

      avreste chiesto che cosa aves­si fat­to l'al­tro ieri. Noi siamo tal­vol­ta

      costrette ad ac­quistare  una  sod­dis­fazione  dell'an­imo  a  spese  del

      nos­tro  cor­po,  e  sof­fri­amo  molto di più quan­do,  al­la fine,  ques­ta

      sod­dis­fazione ci sfugge".

      Io as­colta­vo e guar­da­vo Mar­guerite con am­mi­razione. Quan­do pen­sa­vo che

      quel­la deliziosa crea­tu­ra,  per la quale avrei una vol­ta in­vidi­ato chi

      le  ba­ci­ava i pie­di,  ac­consen­ti­va a far­mi en­trare in qualche mo­do nel

      suo pen­siero,  a dar­mi un pos­to nel­la sua vi­ta,  e che non ero  an­co­ra

      con­tento  di  quel­lo  che  mi  da­va,  mi chiede­vo se vi sono lim­iti al

      deside­rio dell'uo­mo, quan­do,  sod­dis­fat­to così pronta­mente come lo era

      sta­to il mio, as­pi­ra an­co­ra ad al­tro.

      “E'  vero”,   riprese  "noi,   crea­ture  del  ca­so,  ab­bi­amo  desideri

      fan­tas­ti­ci e amori in­con­cepi­bili.  Noi ci con­ce­di­amo a volte  per  una

      cosa  a  volte per un'al­tra.  Ci sono per­sone che potreb­bero rov­inar­si

      sen­za ot­tenere niente da noi,  ve ne sono al­tre che ci possiedono  con

      un  maz­zo  di  fiori.  Il  nos­tro  cuore è capric­cioso,  è la sua so­la

      dis­trazione e la sua so­la scusa. Io mi sono da­ta a te più presto che a

      og­ni al­tro,  te lo giuro;  per­ché?  per­ché quan­do mi hai vista sputare

      sangue  mi  hai pre­so la mano,  per­ché hai pianto,  per­ché sei la so­la

      crea­tu­ra umana che ab­bia vo­lu­to com­patir­mi. Ti dirò una fol­lia,  ave­vo

      una  vol­ta un cagno­li­no che,  quan­do tossi­vo,  mi guar­da­va con un'aria

      molto triste;  è sta­to il so­lo es­sere che io  ab­bia  am­ato.  Quan­do  è

      mor­to, ho pianto più che per la morte di mia madre. Mi cred­erai, se ti

      di­co  che mi ave­va pic­chi­ata per dod­ici an­ni.  Ebbene,  io ti ho am­ato

      subito quan­to il mio cane.  Se gli uo­mi­ni sapessero quel­lo che si  può

      avere in cam­bio di una lacrima, sareb­bero più am­ati e noi sarem­mo meno

      dan­nose  per loro.  La tua let­tera ti ha smen­ti­to,  mi ha riv­ela­to che

      non ave­vi tutte le in­tel­li­gen­ze del cuore,  è sta­ta il tor­to più grave

      che  aves­si  po­tu­to  fare all'amore che ave­vo per te.  Era gelosia,  è

      vero,  ma una gelosia iron­ica e in­so­lente.  Ero già triste,  quan­do ho

      rice­vu­to ques­ta let­tera,  as­pet­ta­vo di ved­er­ti a mez­zo­giorno,  di fare

      co­lazione con te, di can­cel­lare, in­som­ma,  ve­den­doti,  un pen­siero che

      ave­vo e che non mi da­va tregua,  e che, pri­ma di conoscer­ti, am­met­te­vo

      sen­za sfor­zo.  In­oltre“  pros­eguì Mar­guerite,  ”tu eri la so­la per­sona

      da­van­ti  al­la  quale  ave­vo  capi­to  subito di pot­er pen­sare e par­lare

      lib­er­amente.  Tut­ti quel­li che stan­no in­torno a una  ragaz­za  come  me

      han­no   in­ter­esse  a  scru­tarne  la  più  pic­co­la  paro­la,   a  trarre

      con­seguen­ze da og­ni loro più pic­co­la azione.  Nat­ural­mente non ab­bi­amo

      am­ici,  ma so­lo aman­ti ego­isti che spendono i loro pat­ri­moni,  non già

      per noi, come di­cono, ma per la loro van­ità. Per loro, bisogna che noi

      siamo al­le­gre quan­do es­si sono  al­le­gri,  in  salute  quan­do  vogliono

      cenare,  scettiche  come  lo sono loro.  Ci è proibito avere un cuore,

      al­tri­men­ti si è scher­nite e viene rov­ina­to tut­to  il  nos­tro  cred­ito.

      Non  ap­parte­ni­amo  più  a noi stesse;  non siamo più es­seri umani,  ma

      cose;  siamo le prime nel loro amor pro­prio,  ma le ul­time nel­la  loro

      sti­ma.  Ab­bi­amo  delle  amiche,  ma  sono  amiche  come  Pru­dence,  ex

      man­tenute che con­ser­vano desideri di lus­so che,  per la loro età,  non

      pos­sono  più sod­dis­fare.  Al­lo­ra di­ven­tano nos­tre amiche,  o meglio le

      nos­tre com­men­sali.  La loro am­icizia  ar­ri­va  al  servil­is­mo,  mai  al

      dis­in­ter­esse.  Non ci daran­no mai al­tro che con­sigli in­ter­es­sati. Poco

      im­por­ta a loro che noi ab­bi­amo dieci aman­ti di più,  purché vi pos­sano

      guadagnare  dei  vesti­ti  o  un  brac­cialet­to,  e  pos­sano  og­ni tan­to

      ap­prof­ittare del­la nos­tra car­roz­za e an­dare a teatro nel nos­tro pal­co.

      Con­ser­vano i nos­tri fiori del giorno pri­ma,  e ci chiedono in presti­to

      i nos­tri scial­li.  Non ci ren­dono mai un fa­vore,  per pic­co­lo che sia,

      sen­za farse­lo pa­gare il doppio di quel­lo  che  vale.  L'hai  vis­to  tu

      stes­so  quel­la  sera in cui Pru­dence mi ha por­ta­to seim­ila franchi che

      le ave­vo pre­ga­to di an­dare a chiedere al duca per me: mi ha chiesto in

      presti­to cin­que­cen­to  franchi  che  non  mi  ren­derà  mai,  o  che  mi

      resti­tuirà  sot­to  for­ma  di cap­pel­li che non us­ci­ran­no mai dalle loro

      sca­tole. Noi non pos­si­amo dunque avere, o meglio,  io non pote­vo avere

      che una gioia, ed era, triste come tal­vol­ta sono, sof­fer­ente come sono

      sem­pre,  quel­la  di  trovare  un uo­mo tan­to su­pe­ri­ore da non chie­der­mi

      con­to del­la mia vi­ta ed es­sere l'amante dei miei  sen­ti­men­ti  più  che

      del  mio  cor­po.  Quest'uo­mo  lo ave­vo trova­to nel duca,  ma il duca è

      vec­chio,  e la vec­chi­aia non pro­tegge né  con­so­la.  Ave­vo  cre­du­to  di

      pot­er ac­cettare la vi­ta che mi of­fri­va;  ma che vuoi? mori­vo di noia e

      se ci si deve con­sumare,  tan­to vale get­tar­si sul  fuo­co  o  las­cia­rsi

      as­fis­siare dal car­bone.

       "Al­lo­ra ho in­con­tra­to te,  gio­vane,  ar­dente,  fe­lice, e ho cer­ca­to di

      fare di te l'uo­mo che ave­vo  in­vo­ca­to  in  mez­zo  al­la  mia  chi­as­sosa

      soli­tu­dine.  Quel­lo che ama­vo in te, non era l'uo­mo che eri, ma quel­lo

      che dove­vi es­sere. Tu non hai ac­cetta­to ques­ta parte,  la ri­fiu­ti come

      in­deg­na di te,  sei un amante vol­gare;  fa' come gli al­tri,  paga­mi, e

      non ne par­liamo più".

      Mar­guerite, af­fat­ica­ta di ques­ta lun­ga con­fes­sione. si ab­ban­donò sul­la

      spal­liera del di­vano,  e si portò il faz­zo­let­to alle lab­bra e poi agli

      oc­chi per sof­fo­care un de­bole ac­ces­so di tosse.

      “Per­dono,   per­dono”,   mor­morai,   "ave­vo  capi­to  tut­to,  ma  vole­vo

      sen­tirte­lo dire,  Mar­guerite mia ado­ra­ta.  Di­men­tichi­amo  il  resto  e

      ri­cor­diamo­ci di una cosa so­la: e cioè che siamo l'uno dell'al­tra,  che

      siamo gio­vani e che ci ami­amo. Mar­guerite,  fa' di me quel­lo che vuoi,

      sono io il tuo schi­avo,  il tuo cane; ma, in nome del cielo, dis­trug­gi

      la let­tera che ti ho scrit­to,  e im­pedisci­mi  di  par­tire  do­mani:  ne

      morirei".

      Mar­guerite  tirò  fuori  la  mia  let­tera  dal cor­pet­to del vesti­to e,

      restituen­domela, mi disse con un sor­riso di in­di­ci­bile dol­cez­za:

      “Tieni, te l'ho ri­por­ta­ta”.

      Strap­pai la let­tera,  e  ba­ci­ai  pi­angen­do  la  mano  che  me  l'ave­va

      resti­tui­ta.

      In quel mo­men­to ri­ap­parve Pru­dence. "Ebbene, Pru­dence, sapete che cosa

      mi ha chiesto?", disse Mar­guerite.

      “Vi ha chiesto per­dono”.

      “Ap­pun­to”.

      “E l'avete per­do­na­to?”.

      “Per forza, ma vuole an­che un'al­tra cosa”.

      “E quale?”.

      “Vuol venire a ce­na con noi”.

      “E voi ac­consen­tite?”.

      “Voi che ne pen­sate?”.

      "Pen­so  che si­ete due bam­bi­ni,  e che non avete cervel­lo,  né l'uno né

      l'al­tra.  Ma pen­so an­che che ho una gran fame e che quan­to  pri­ma  gli

      di­rete di sì, tan­to pri­ma cener­emo".

      “An­di­amo”, disse Mar­guerite, “stare­mo in tre nel­la car­roz­za”.

      “Pren­dete”,  ag­giunse voltan­dosi ver­so di me,  "Na­nine dormirà, aprite

      voi la por­ta, pren­dete la mia chi­ave, e cer­cate di non perder­la più".

      La ab­brac­ciai fi­no a sof­fo­car­la.

      In quel mo­men­to en­trò Joseph.

      “Sig­nore”, mi disse con l'aria d'un uo­mo sod­dis­fat­to di sé, "i bagagli

      sono pron­ti".

      “Del tut­to?”.

      “Sì, sig­nore”.

      “Ebbene, dis­fali: non par­to più”.

 

 

 

      CAPITOLO 16.

 

      "Avrei po­tu­to - mi disse Ar­mand - rac­con­tarvi in poche pa­role l'in­izio

      di ques­ta re­lazione, ma vole­vo che voi conosces­te bene gli avven­imen­ti

      e le fasi at­traver­so le quali ar­rivam­mo,  io ad  ac­consen­tire  a  og­ni

      deside­rio di Mar­guerite,  e Mar­guerite a non pot­er più vi­vere sen­za di

      me.

      Fu all'in­do­mani del­la sera in cui era venu­ta a trovar­mi che le  mandai

      Manon Lescaut.

      Da  quel  mo­men­to,  non  po­ten­do  cam­biare  la  vi­ta del­la mia amante,

      cam­bi­ai la mia.  Vole­vo in­nanz­itut­to non las­cia­re al  mio  spir­ito  il

      tem­po  di  ri­flet­tere  sul­la  parte che ave­vo ac­cetta­to,  per­ché,  mio

      mal­gra­do, ne avrei prova­ta una grande tris­tez­za. Così, la mia vi­ta, in

      genere tan­to cal­ma, si rivestì da un mo­men­to all'al­tro di un'ap­paren­za

      di chi­as­so e di dis­or­dine.  Non cre­di­ate che,  sebbene dis­in­ter­es­sato,

      l'amore che una man­tenu­ta ha per voi non vi costi niente. Nul­la è caro

      come i mille capric­ci in fiori,  palchi,  cene,  gite in cam­pagna, che

      non si pos­sono ri­fi­utare al­la pro­pria amante.

      Come vi ho det­to, non ave­vo un pat­ri­mo­nio.  Mio padre era ed è an­co­ra,

      esat­tore gen­erale a C...,  dove ha fama di grande lealtà,  gra­zie al­la

      quale ha po­tu­to trovare la cauzione che dove­va de­positare per as­sumere

      la car­ica. Questo la­voro gli procu­ra quar­an­tami­la franchi all'an­no,  e

      in dieci an­ni ha resti­tu­ito la cauzione e ha mes­so da parte la dote di

      mia  sorel­la.  Mio  padre è l'uo­mo più on­esto che si pos­sa in­con­trare.

      Quan­do mia madre morì, las­ciò seim­ila franchi di ren­di­ta,  che egli ha

      di­vi­so  tra  mia  sorel­la  e  me,  quan­do  ha  ot­tenu­to l'in­car­ico che

      sol­lecita­va;  poi,  quan­do io ho com­pi­uto ven­tun an­ni,  ha ag­giun­to  a

      ques­ta  pic­co­la  ren­di­ta  una  pen­sione  an­nua  di cin­quemi­la franchi,

      af­fer­man­do che con ot­tomi­la franchi avrei po­tu­to vi­vere  tran­quil­lo  a

      Pa­ri­gi, se aves­si vo­lu­to, oltre a quel­la ren­di­ta, far­mi una po­sizione,

      nell'avvo­catu­ra  o  nel­la  medic­ina.  Sono dunque venu­to a Pa­ri­gi,  ho

      stu­di­ato dirit­to, sono sta­to nom­ina­to avvo­ca­to, e, come molti gio­vani,

      ho mes­so la  lau­rea  in  tas­ca  per  ab­ban­don­ar­mi  un  po'  al­la  vi­ta

      spen­sier­ata  di Pa­ri­gi.  Le mie spese er­ano molto mod­este;  ma in ot­to

      mesi spende­vo tut­ta la ren­di­ta dell'an­no, e trascor­re­vo i quat­tro mesi

      es­tivi con mio padre, il che rap­pre­sen­ta­va in tut­to dod­icim­ila franchi

      di ren­di­ta e mi da­va la fama di figlio af­fet­tu­oso. Del resto,  nep­pure

      un sol­do di deb­iti.

      Ec­co come sta­vo quan­do conob­bi Mar­guerite.

      Voi potrete capire che,  mio mal­gra­do, il mio tenore di vi­ta si elevò.

      Mar­guerite era molto capric­ciosa,  ap­partene­va a quel­la  cat­ego­ria  di

      donne  che  non  han­no  mai  con­sid­er­ato come una spe­sa se­ria le mille

      dis­trazioni di cui la loro vi­ta è com­pos­ta. Ne risul­ta­va che,  volen­do

      pas­sare con me il mag­gior tem­po pos­si­bile,  al mat­ti­no mi scrive­va che

      avrebbe pran­za­to con me, non a casa sua,  ma in qualche ris­torante,  a

      Pa­ri­gi  o  in  cam­pagna.  An­da­vo a pren­der­la,  pran­zava­mo,  an­dava­mo a

      teatro, spes­so ce­nava­mo, e la sera ave­vo spe­so quat­tro o cinque lui­gi,

      il che sig­nifi­ca­va duemi­lac­in­que­cen­to o trem­ila  franchi  al  mese,  e

      riduce­va la mia an­na­ta a tre mesi e mez­zo,  met­ten­do­mi nel­la ne­ces­sità

      di con­trarre deb­iti o di las­cia­re Mar­guerite.

      Ac­cetta­vo tut­to,  tranne quest'ul­ti­ma pos­si­bil­ità.  Per­do­nate­mi se  vi

      rac­con­to tut­ti questi par­ti­co­lari,  ma potrete vedere come furono es­si

      la causa degli avven­imen­ti suc­ces­sivi.  Quel­la che vi rac­con­to  è  una

      sto­ria  ve­ra,  sem­plice,  al­la  quale  las­cio  tut­ta  l'in­ge­nu­ità  dei

      par­ti­co­lari e tut­ta la sem­plic­ità degli svilup­pi.

      Com­pre­si dunque che,  poiché niente  al  mon­do  avrebbe  po­tu­to  far­mi

      di­men­ti­care  la  mia amante,  mi era nec­es­sario trovare il sis­tema per

      sostenere  le  spese  che  ero  costret­to  a  fare  per  lei.  E  poi,

      quell'amore  mi  scon­vol­ge­va  in  un  mo­do  tale  che og­ni is­tante che

      pas­sa­vo lon­tano da Mar­guerite  mi  sem­bra­va  un  an­no,  e  sen­ti­vo  il

      bisog­no di bru­cia­re quei mo­men­ti al fuo­co di una qualunque pas­sione, e

      di  viver­li  tan­to  in  fret­ta  da non ac­corg­er­mi nep­pure che li sta­vo

      viven­do.

      Com­in­ci­ai col sot­trarre cinque  o  seim­ila  franchi  dal  mio  pic­co­lo

      cap­itale,  e mi misi a gio­care,  per­ché da quan­do sono state sop­presse

      le bis­che si gio­ca dap­per­tut­to.  In al­tri tem­pi,  quan­do si en­tra­va da

      Fras­cati, si ave­va la pos­si­bil­ità di far­si una for­tu­na: si gio­ca­va per

      denaro  e,  se  si  perde­va,  si  ave­va la con­so­lazione di dire che si

      sarebbe po­tu­to vin­cere;  men­tre og­gi,  tranne che nei cir­coli dove c'è

      an­co­ra  un  cer­to  rig­ore  per  i paga­men­ti,  si ha quasi la certez­za,

      quan­do si vince una  grossa  som­ma,  di  non  aver­la  mai.  Si  capirà

      facil­mente la ra­gione.

      Il gio­co non può es­sere prat­ica­to che da gio­vani con gran­di ne­ces­sità,

      che  man­cano del denaro nec­es­sario a sostenere il loro tenore di vi­ta;

      al­lo­ra gio­cano,  e nat­ural­mente il risul­ta­to è questo:  o  vin­cono,  e

      al­lo­ra  i per­den­ti pagano i cav­al­li e le aman­ti di questi sig­nori,  il

      che  è  molto  sgrade­vole.   Si  con­trag­gono  deb­iti,   le   re­lazioni

      in­trec­ciate  in­torno al tavo­lo verde finis­cono con liti­gi nei quali si

      rimette a poco a poco l'onore e la vi­ta;  e quan­do si è on­esti,  ci si

      tro­va  rov­inati  da on­estis­si­mi gio­van­ot­ti che non han­no al­tro difet­to

      che quel­lo di non possedere due­cen­tomi­la franchi di ren­di­ta.

      Non ho bisog­no di par­larvi di quel­li che bara­no al gio­co e  dei  quali

      si ap­prende un giorno la parten­za forza­ta e la tar­di­va con­dan­na.

      Mi get­tai dunque in ques­ta vi­ta vor­ti­cosa,  chi­as­sosa,  vul­cani­ca, che

      in al­tri tem­pi,  quan­do ci pen­sa­vo,  mi spaven­ta­va e che era di­ven­ta­ta

      per  me l'in­dis­pens­abile com­ple­men­to ai mio amore per Mar­guerite.  Che

      avrei dovu­to fare?

      Se aves­si pas­sato a casa mia, da so­lo, le not­ti che non pas­sa­vo in rue

      d'Antin, non avrei dor­mi­to.  La gelosia mi avrebbe tenu­to sveg­lio e mi

      avrebbe bru­ci­ato la mente e il sangue;  il gio­co,  in­vece, al­lon­tana­va

      per un mo­men­to la feb­bre che al­tri­men­ti mi avrebbe in­va­so il cuore,  e

      ri­por­ta­va  i miei pen­sieri a una pas­sione il cui in­ter­esse mi pren­de­va

      mio mal­gra­do,  fi­no a che suon­ava l'ora in cui dove­vo an­dare dal­la mia

      amante.  Al­lo­ra,  ed  è  da questo che ri­conosce­vo la vi­olen­za del mio

      amore,  vin­ces­si o perdessi,  ab­ban­don­avo con fer­mez­za  il  tavo­lo  da

      gio­co,  com­piangen­do quel­li che resta­vano e che non avreb­bero trova­to,

      come me, la fe­lic­ità al­trove.

      Per la mag­gior parte di loro, il gio­co era una ne­ces­sità; per me,  era

       un rime­dio.

      Guar­ito da Mar­guerite, sarei sta­to guar­ito dal gio­co.

      E così,  in mez­zo a tut­to ciò,  con­ser­va­vo un cer­to sangue fred­do; non

      perde­vo che ciò che avrei po­tu­to pa­gare,  non vince­vo che quan­to avrei

      po­tu­to perdere.

      D'al­tra parte,  la for­tu­na mi ar­rise.  Non face­vo deb­iti, spende­vo tre

      volte più di quan­do non gio­ca­vo.  Non era dif­fi­cile  re­sistere  a  una

      vi­ta  che mi per­me­tte­va di sod­dis­fare,  sen­za pre­oc­cu­pazioni,  i mille

      capric­ci di Mar­guerite. Quan­to a lei, mi ama­va sem­pre tan­to e an­che di

      più.

      Come vi ho det­to,  ave­vo com­in­ci­ato  a  non  es­sere  rice­vu­to  che  da

      mez­zan­otte alle sei del mat­ti­no,  poi fui ammes­so,  di tan­to in tan­to,

      nel suo pal­co, e poi lei venne qualche vol­ta a pran­zo con me.

      Una mat­ti­na non me ne andai che alle ot­to,  e venne il giorno  in  cui

      non me ne andai che a mez­zo­giorno.

      In  at­te­sa  del­la  meta­mor­fosi  morale,  una meta­mor­fosi fisi­ca si era

      op­er­ata in Mar­guerite. Ave­vo in­trapre­so la sua gua­ri­gione, e la povera

      figli­uo­la,  intuen­do il mio scopo,  mi obbe­di­va per di­mostrar­mi la sua

      grat­itu­dine.

      Ero ar­riva­to,  sen­za scosse e sen­za sfor­zo, a iso­lar­la quasi del tut­to

      dalle sue an­tiche abi­tu­di­ni.  Il mio medi­co,  col quale la ave­vo fat­ta

      in­con­trare,  mi  ave­va  det­to  che so­lo il ri­poso e la cal­ma avreb­bero

      po­tu­to con­ser­var­le la salute,  per cui ero rius­ci­to a sos­ti­tuire  alle

      cene  fuori  e  alle  not­ti  in­son­ni  un  regime  igien­ico  e un son­no

      re­go­lare. Mar­guerite si abit­ua­va suo mal­gra­do a quel­la nuo­va vi­ta,  di

      cui già sen­ti­va gli ef­fet­ti ben­efi­ci. Com­in­ci­ava già a pas­sare qualche

      ser­ata in casa,  op­pure, se face­va bel tem­po, la sera, si avvol­ge­va in

      uno scialle,  si co­pri­va con un velo,  e an­dava­mo a  pie­di,  come  due

      bam­bi­ni,  per  i  vi­ali om­brosi degli Champs-​Elysées.  Tor­na­va stan­ca,

      face­va una ce­na leg­gera,  si cor­ica­va dopo aver suona­to un po' o  aver

      let­to,  cosa  che  non le era mai suc­ces­sa.  Gli ac­ces­si di tosse che,

      og­ni vol­ta che li sen­ti­vo,  mi strap­pa­vano il cuore,  er­ano  scom­par­si

      quasi del tut­to.

      In   meno   di   sei   set­ti­mane,   non  si  parla­va  più  del  con­te,

      defini­ti­va­mente al­lon­tana­to; soltan­to a causa del duca ero costret­to a

      nascon­dere la mia re­lazione con Mar­guerite,  benché fos­se sta­to spes­so

      manda­to via men­tre io ero in casa, col pretesto che la sig­no­ra dormi­va

      e ave­va proibito che la sveg­liassero.

      Per  l'abi­tu­dine  e  an­che  per  il  bisog­no  che  Mar­guerite ave­va di

      ve­der­mi,  las­ci­ai il gio­co pro­prio  nel  mo­men­to  in  cui  lo  avrebbe

      las­ci­ato un gio­ca­tore es­per­to.  A con­ti fat­ti,  mi trovai,  in se­gui­to

      alle  vincite,  in  pos­ses­so  di  cir­ca  dod­icim­ila  franchi,  che  mi

      sem­bra­vano un pat­ri­mo­nio in­esauri­bile.

      Era  ar­riva­to  il tem­po in cui ero soli­to an­dare a trovare mio padre e

      mia sorel­la, ma non mi de­cide­vo a par­tire;  ricevet­ti quin­di fre­quen­ti

      let­tere  di  en­tram­bi,  che  mi  pre­ga­vano di an­dare da loro.  A tutte

      queste in­sis­ten­ze rispon­de­vo come meglio pote­vo,  ripe­tendo sem­pre che

      sta­vo  bene  e  che  non  ave­vo bisog­no di denaro,  due cose che a mio

      parere avreb­bero con­so­la­to un po' mio  padre  del  ri­tar­do  del­la  mia

      visi­ta an­nuale.

      In questo pe­ri­odo avvenne che Mar­guerite,  sveg­li­ata una mat­ti­na da un

      sole splen­dente,  saltò dal let­to e mi chiese di con­durla per tut­ta la

      gior­na­ta in cam­pagna.

      Man­dammo  a  cer­care  Pru­dence,  e  par­tim­mo  tut­ti  e  tre,  dopo che

      Mar­guerite ebbe rac­co­manda­to a Na­nine di dire al duca che ave­va vo­lu­to

      ap­prof­ittare  del­la  gior­na­ta  per  re­car­si  in  cam­pagna  con  madame

      Du­ver­noy.

      Oltre  al  fat­to  che  la  pre­sen­za  del­la Du­ver­noy era nec­es­saria per

      tran­quil­liz­zare il vec­chio duca,  Pru­dence era una di quelle donne che

      sem­bra­no   fat­te  ap­pos­ta  per  le  gite  in  cam­pagna.   Con  la  sua

       in­al­ter­abile al­le­gria e il  suo  eter­no  ap­peti­to,  non  per­me­tte­va  a

      quel­li  che er­ano con lei un so­lo at­ti­mo di noia,  ed era bravis­si­ma a

      or­dinare uo­va,  ciliegie,  lat­te,  coniglio in padel­la,  tut­to  quan­to

      cos­ti­tu­isce la co­lazione tradizionale dei din­torni di Pa­ri­gi.

      Non ci resta­va che de­cidere dove an­dare.

      Fu  an­co­ra una vol­ta Pru­dence a toglier­ci d'im­baraz­zo.  "Vo­lete an­dare

      nel­la ve­ra cam­pagna?", ci chiese.

      “Sì”.

      "Ebbene, an­di­amo a Bou­gi­val,  al Point-​du-​Jour,  dal­la ve­do­va Arnould.

      Ar­mand, an­date a pren­dere un ca­lesse".

      Dopo un'ora e mez­zo er­ava­mo dal­la ve­do­va Arnould.

      Voi  conoscete  forse  quel­la  lo­can­da,  al­ber­go du­rante la set­ti­mana,

      trat­to­ria la domeni­ca.  Dal gi­ardi­no,  che è all'al­tez­za di un nor­male

      pri­mo pi­ano,  si sco­pre un panora­ma mag­nifi­co. A sin­is­tra l'ac­que­dot­to

      di Marly chi­ude l'oriz­zonte,  a  de­stra  la  vista  si  stende  su  un

      in­fini­to di colline; il fi­ume, in quel pun­to quasi stag­nante, si sno­da

      come  un  largo  nas­tro bian­co irida­to,  tra la pi­anu­ra di Gabil­lons e

      l'iso­la di Crois­sy,  eter­na­mente cul­la­ta dal  fremi­to  dei  suoi  al­ti

      pi­op­pi e dal mor­morio dei sali­ci".

      In fon­do,  in un vas­to rag­gio di sole, si in­nalzano delle pic­cole case

      bianche col tet­to rosso,  e delle  fab­briche  che  per­den­do,  da­ta  la

      dis­tan­za,  il  loro as­pet­to duro e com­mer­ciale com­ple­tano mirabil­mente

      il pae­sag­gio.

      Sul­lo sfon­do, Pa­ri­gi tra la neb­bia.

      Come ave­va det­to Pru­dence, era ve­ra cam­pagna, e,  de­vo ag­giun­gere,  fu

      an­che una ve­ra co­lazione.

      Non  di­co  tut­to  questo  in  ri­conoscen­za  del­la  fe­lic­ità che gli ho

      dovu­to, ma Bou­gi­val,  nonos­tante il nome or­ri­bile,  è uno dei vil­lag­gi

      più  graziosi  che  si pos­sano im­mag­inare.  Io ho vi­ag­gia­to molto,  ho

      vis­to cose più gran­di,  ma non più pi­acevoli di quel pic­co­lo vil­lag­gio

      al­le­gra­mente dis­te­so ai pie­di del­la col­li­na che lo pro­tegge.

      Madame  Arnould  ci of­frì il mo­do di fare una passeg­gia­ta in bar­ca,  e

      Mar­guerite e Pru­dence ac­cettarono con en­tu­si­as­mo.

      Si è sem­pre as­so­ci­ato il pen­siero del­la cam­pagna a quel­lo  dell'amore,

      e  a  ra­gione:  per la don­na che si ama non es­iste miglior cor­nice del

      cielo az­zur­ro, dei pro­fu­mi, del­la brez­za del­la soli­tu­dine risplen­dente

      dei campi o dei boschi.  Per quan­to  si  ami  una  don­na,  per  quan­ta

      fidu­cia  si  ab­bia  in  lei,  per  quan­ta certez­za sul fu­turo pos­si­ate

      trarre dal suo pas­sato, si è sem­pre più o meno gelosi.  Se si­ete sta­to

      in­namora­to,  in­namora­to ve­ra­mente,  avete dovu­to sen­tire il bisog­no di

      iso­lare dal mon­do l'es­sere nel quale avreste vo­lu­to river­sare tut­ta la

      vos­tra vi­ta. Sem­bra che, per quan­to in­dif­fer­ente pos­sa es­sere a quan­to

      la cir­con­da,  la don­na am­ata per­da pro­fu­mo e unità al  con­tat­to  degli

      uo­mi­ni e delle cose. Io sen­ti­vo questo molto più di og­ni al­tro. Il mio

      non era un amore co­mune,  ero in­namora­to come può es­ser­lo una crea­tu­ra

      nor­male,  ma lo ero di Mar­guerite Gau­ti­er,  il che sig­nifi­ca­va  che  a

      Pa­ri­gi,  a og­ni pas­so, pote­vo trovar­mi ac­can­to a un uo­mo che era sta­to

      l'amante di quel­la don­na o che avrebbe  po­tu­to  di­ven­tar­lo  il  giorno

      dopo.  In­vece in cam­pagna, tra per­sone che non ave­va­mo mai vis­to e che

      non si oc­cu­pa­vano di noi, in seno a una natu­ra rivesti­ta di pri­mav­era,

      dono be­nig­no di og­ni an­no,  lon­tano dal fras­tuono del­la cit­tà,  pote­vo

      mostrare il mio amore e amare sen­za ver­gogna e sen­za tim­ore.

      La  cor­ti­giana scom­par­iva a poco a poco.  Ave­vo ac­can­to a me una don­na

      gio­vane, bel­la, che ama­vo, che mi ama­va, e che si chia­ma­va Mar­guerite:

      il pas­sato non ave­va più for­ma,  l'avvenire era sgom­bro  da  nu­bi.  Il

      sole  il­lu­mi­na­va  la  mia  amante come avrebbe il­lu­mi­na­to la più cas­ta

      fi­dan­za­ta.  Passeg­giava­mo in­sieme  in  quei  lu­oghi  in­can­tevoli,  che

      sem­bra­no fat­ti ap­pos­ta per ri­cor­dare i ver­si di Lamar­tine o cantare le

      melodie di Scu­do.  Mar­guerite era vesti­ta di bian­co,  si ap­pog­gia­va al

      mio brac­cio, e la sera, sot­to il cielo stel­la­to, mi ripete­va le pa­role

      che mi ave­va det­to il giorno pri­ma; il mon­do,  a dis­tan­za,  con­tin­ua­va

      la  sua  vi­ta sen­za mac­chiare con la sua om­bra il ri­dente quadro del­la

      nos­tra giovinez­za e del nos­tro amore.

      Ec­co il sog­no che il sole  ar­dente  di  quel­la  gior­na­ta  mi  ispi­ra­va

      at­traver­so  le  foglie,  men­tre,  al­lun­ga­to  sull'er­ba nell'iso­la dove

      er­ava­mo sbar­cati,  las­ci­avo il mio pen­siero va­gare e cogliere tutte le

      sper­anze che in­con­tra­va, libero da tut­ti i lega­mi umani che lo ave­vano

      fi­no a quel mo­men­to trat­tenu­to.

      Ag­giungete  che,  dal  lu­ogo  dove  mi trova­vo,  vede­vo sul­la ri­va una

      graziosa caset­ta a due pi­ani,  con una can­cel­la­ta in­torno;  at­traver­so

      il can­cel­lo, da­van­ti al­la casa, un pra­to verde, com­pat­to come vel­lu­to,

      e  di­etro  l'ed­ifi­cio  un boschet­to pieno di mis­te­riosi an­frat­ti,  nel

      quale il mus­chio dove­va can­cel­lare og­ni mat­ti­na  le  orme  del  giorno

      pri­ma.

      Al­cu­ni   fiori  rampi­can­ti  nascon­de­vano  l'in­gres­so  di  quel­la  casa

      dis­abi­ta­ta, avvol­gen­dola fi­no al pri­mo pi­ano.

      A forza di  guardar­la,  finii  col  con­vin­cer­mi  che  quel­la  casa  mi

      ap­partene­va, tan­to bene ri­as­sume­va tut­to quel­lo che sog­na­vo. Lì vede­vo

      Mar­guerite e me,  di giorno nel bosco che co­pri­va la col­li­na,  di sera

      se­du­ti sul pra­to,  e mi chiede­vo se al­tre crea­ture ter­restri avreb­bero

      mai po­tu­to es­sere fe­li­ci quan­to noi.

      “Che  bel­la  casa!”,  disse Mar­guerite,  seguen­do la di­rezione del mio

      sguar­do e forse an­che del mio pen­siero.

      “Dove?”, chiese Pru­dence.

      “Lag­giù”. E Mar­guerite in­dicò col di­to la casa.

      “Ah! in­can­tev­ole”, replicò Pru­dence, “vi pi­ace?”.

      “Molto”.

      "Bene,  al­lo­ra dite al duca  di  pren­der­la  in  af­fit­to  per  voi,  la

      pren­derà, ne sono cer­ta. Me ne oc­cu­però io, se vo­lete".

      Mar­guerite mi guardò, come per do­man­dar­mi cosa ne pen­sas­si.

      Il  mio  sog­no  era vola­to via con le ul­time pa­role di Pru­dence,  e mi

      ave­va fat­to ri­pi­om­bare nel­la re­altà così bru­tal­mente  che  ero  an­co­ra

      tut­to stordi­to per la cadu­ta.

      “In  ef­fet­ti,  è  un  ot­ti­ma idea”,  bal­bet­tai sen­za sapere quel­lo che

      dice­vo.

      “Va bene! sis­te­merò og­ni cosa”,  disse Mar­guerite strin­gen­do­mi la mano

      e  in­ter­pre­tan­do  le  mie  pa­role  sec­on­do il suo deside­rio.  "An­di­amo

      subito a vedere se è in af­fit­to".

      La casa era lib­era, e veni­va af­fit­ta­ta per duemi­la franchi.

      “Sarete fe­lice qui?”, mi chiese.

      “E' si­curo che ci ver­rò?”.

      “E per chi dunque ver­rei a sep­pel­lir­mi qui, se non per voi?”.

      "Ebbene,  Mar­guerite,  las­ci­ate che ques­ta casa la pren­da  in  af­fit­to

      io".

      "Si­ete paz­zo?  non so­lo è inu­tile,  ma sarebbe peri­coloso, sapete bene

      che ho il dirit­to di ac­cettare doni da un uo­mo soltan­to; las­ci­ate fare

      dunque, bam­bi­none, e non dite niente".

      “Così, quan­do avrò due giorni liberi, ver­rò a pas­sar­li da voi”,  disse

      Pru­dence.

      Las­ci­ammo  la  casa  e  ripren­dem­mo  la stra­da di Pa­ri­gi,  par­lan­do di

      ques­ta nuo­va de­ci­sione.  Tene­vo Mar­guerite fra le brac­cia,  tan­to  che

      scen­den­do  dal­la  car­roz­za,  com­in­ci­ai  a vedere il pro­get­to del­la mia

      amante con spir­ito meno scrupoloso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

      CAPITOLO 17.

 

      II giorno dopo,  Mar­guerite mi con­gedò presto,  di­cen­do­mi che il  duca

      dove­va  venire  di  buon mat­ti­no,  e mi promise che mi avrebbe scrit­to

      ap­pe­na egli se ne fos­se anda­to, per dar­mi l'ap­pun­ta­men­to di og­ni sera.

      In­fat­ti,  du­rante la gior­na­ta,  ricevet­ti questo  bigli­et­to:  "Va­do  a

      Bou­gi­val col duca; trovat­evi da Pru­dence stasera alle ot­to".

      All'ora in­di­ca­ta,  Mar­guerite era di ri­torno, e mi rag­giunse da madame

      Du­ver­noy.

      “Al­lo­ra, tut­to è a pos­to”, disse en­tran­do.

      “La casa è af­fit­ta­ta?”, chiese Pru­dence.

      “Sì, ha ac­consen­ti­to subito”.

      Non conosce­vo af­fat­to il duca,  ma prova­vo ver­gogna nell'in­gan­narlo  a

      quel mo­do.

      “Ma non è tut­to!”, se­gui­tò Mar­guerite.

      “Che al­tro, dunque?”.

      “Mi sono oc­cu­pa­ta dell'al­log­gio di Ar­mand”.

      “Nel­la stes­sa casa?”, chiese Pru­dence ri­den­do.

      "No,  al  Point-​du-​Jour,  dove  il  duca e io ab­bi­amo fat­to co­lazione.

      Men­tre lui guar­da­va il panora­ma,  ho chiesto a madame Arnould,  per­ché

      si  chia­ma  madame  Arnould,  non  è vero?,  le ho chiesto se ave­va un

      ap­par­ta­men­to con­ve­niente. Ne ha ap­pun­to uno, con sa­lot­to, in­gres­so,  e

      cam­era da let­to.  E tut­to ciò che oc­corre,  cre­do. Ses­san­ta franchi al

      mese. Il tut­to arreda­to in mo­do tale da ral­le­grare un ipocon­dri­aco. Ho

      fis­sato l'al­log­gio. Ho fat­to bene?".

      Saltai al col­lo di Mar­guerite.

      “Sarà mer­av­iglioso”, con­tin­uò,  "avrete una chi­ave del­la por­tic­ina,  e

      ho  promes­so  al  duca  una  chi­ave del can­cel­lo,  ma non la pren­derà,

      per­ché non ver­rà che di giorno, quan­do ver­rà. Cre­do det­to tra noi, che

      sia sod­dis­fat­to di questo capric­cio che mi  ter­rà  per  qualche  tem­po

      lon­tano  da  Pa­ri­gi,  e farà tacere per un po' la sua famiglia.  Mi ha

      chiesto, tut­tavia, come ho po­tu­to, io che amo tan­to Pa­ri­gi,  de­ci­der­mi

      a sep­pel­lir­mi in quel­la cam­pagna; gli ho rispos­to che ero sof­fer­ente e

      che era per ri­posar­mi.  Mi è par­so che mi cre­desse so­lo in parte. Quel

      povero vec­chio sta sem­pre in  guardia.  Noi  pren­der­emo  dunque  molte

      pre­cauzioni,  mio caro Ar­mand, per­ché lag­giù egli mi farà sorveg­liare,

      e non è suf­fi­ciente che mi pren­da in af­fit­to una casa,  bisogna  an­che

      che  paghi  i  miei  deb­iti  e dis­grazi­ata­mente ne ho qual­cuno.  Si­ete

      d'ac­cor­do su tut­to ciò?".

      “Sì”,  risposi cer­can­do di far tacere tut­ti gli scrupoli che quel mo­do

      di vi­vere risveg­li­ava di tan­to in tan­to den­tro di me.

      "Ab­bi­amo vis­ita­to la casa da cima a fon­do, ci stare­mo a mer­av­iglia. Il

       duca si pre­oc­cu­pa­va di tut­to.  Ah,  mio caro", ag­giunse quel­la pic­co­la

      paz­za ab­brac­cian­do­mi,  "voi non si­ete sfor­tu­na­to,  è un mil­ionario che

      vi fa il let­to".

      “E quan­do sgomber­ate?”, chiese Pru­dence.

      “Il più presto pos­si­bile”.

      “Porterete via la car­roz­za e i cav­al­li?”.

      "Porterò   via   tut­to   quan­to   ho   in  casa.   Vi  oc­cu­perete  voi

      dell'ap­par­ta­men­to du­rante la mia as­sen­za".

      Ot­to giorni dopo,  Mar­guerite  ave­va  pre­so  pos­ses­so  del­la  casa  di

      cam­pagna, e io mi ero sis­tem­ato al Point-​du-​Jour.

      Com­in­ciò al­lo­ra una vi­ta che farei mol­ta fat­ica a de­scrivervi.

      Agli in­izi del sog­giorno a Bou­gi­val,  Mar­guerite non poté in­ter­rompere

      del tut­to le sue abi­tu­di­ni,  e poiché la casa  era  sem­pre  in  fes­ta,

      tutte  le  sue  amiche  veni­vano a trovar­la;  per un mese non ci fu un

      giorno in cui Mar­guerite non avesse ot­to o  dieci  per­sone  a  tavola.

      Pru­dence,  dal  can­to  suo,  por­ta­va  tut­ta la gente che conosce­va,  e

      face­va gli onori di casa come se fos­se sta­ta lei la padrona.

      Il denaro del  duca  pa­ga­va  tut­to,  come  potete  ben  im­mag­inare,  e

      tut­tavia  ac­cadde  che og­ni tan­to Pru­dence mi chiedesse mille franchi,

      di­cen­do che er­ano per Mar­guerite.  Voi sapete che ave­vo fat­to  qualche

      vinci­ta al gio­co,  mi af­fret­ta­vo dunque a con­seg­nare a Pru­dence quel­lo

      che Mar­guerite mi chiede­va tramite suo,  e,  temen­do che potesse avere

      bisog­no  di più di quan­to io non aves­si,  ven­ni a Pa­ri­gi a chiedere in

      presti­to la stes­sa som­ma che mi ero fat­ta prestare un'al­tra  vol­ta,  e

      che ave­vo scrupolosa­mente resti­tui­ta.

      Mi trovai dunque di nuo­vo ric­co di una dieci­na di migli­aia di franchi,

      sen­za con­tare la mia pen­sione.

      Tut­tavia  il  pi­acere  che  Mar­guerite  prova­va nel rice­vere le amiche

      dimin­uì un po' da­van­ti alle spese che es­so la costringe­va  a  fare,  e

      so­prat­tut­to  da­van­ti  al­la  ne­ces­sità,  nel­la  quale veni­va tal­vol­ta a

      trovar­si, di chie­der­mi denaro. Il duca,  che ave­va pre­so in af­fit­to la

      casa per­ché Mar­guerite vi si ri­posasse,  non vi ap­pari­va più,  temen­do

      sem­pre di in­con­trarvi un'al­le­gra e nu­merosa comi­ti­va dal­la  quale  non

      vol­eva es­sere vis­to. In­fat­ti, es­sendo venu­to un giorno per pran­zare da

      so­lo  con  Mar­guerite,  era  cap­ita­to  in  una  co­lazione  di quindi­ci

      per­sone,  che non era an­co­ra fini­ta all'ora in cui egli ave­va  con­ta­to

      di  met­ter­si  a tavola per pran­zare.  Quan­do,  non sospet­tan­do niente,

      ave­va aper­to la por­ta del­la sala da pran­zo,  una risa­ta gen­erale ave­va

      ac­colto  il  suo  in­gres­so,  ed  egli  era sta­to costret­to a ri­ti­rar­si

      im­me­di­ata­mente da­van­ti all'in­so­lente al­le­gria  delle  ragazze  che  si

      trova­vano là.

      Mar­guerite  si  era  alza­ta  da tavola,  ave­va rag­giun­to il duca nel­la

      stan­za ac­can­to,  e ave­va cer­ca­to,  per  quan­to  pos­si­bile,  di  far­gli

      di­men­ti­care  l'ac­cadu­to;  ma il vec­chio,  fer­ito nel suo amor pro­prio,

      ave­va ser­ba­to ran­core: ave­va det­to pi­ut­tosto bru­tal­mente  al­la  povera

      figli­ola  che era stan­co di pa­gare i capric­ci di una don­na in­ca­pace di

      far­lo rispettare perfi­no in casa sua, ed era ri­par­ti­to molto ir­ri­ta­to.

      Da quel giorno non si era più sen­ti­to par­lare di lui.  Nonos­tante  che

      Mar­guerite  avesse  con­geda­to i con­vi­tati e cam­bi­ato le sue abi­tu­di­ni,

      il duca non ave­va più da­to no­tizie.  Io ci ave­vo guadag­na­to che la mia

      amante  mi  ap­partene­va in­ter­amente,  e che il mio sog­no fi­nal­mente si

      re­al­iz­za­va.  Mar­guerite non pote­va  più  fare  a  meno  di  me.  Sen­za

      pre­oc­cu­par­si  di quel­lo che ne sarebbe venu­to,  mostra­va pub­bli­ca­mente

      la nos­tra re­lazione,  e io ero ar­riva­to al pun­to da non us­cire più  di

      casa  sua.  I  do­mes­ti­ci  mi  chia­ma­vano  sig­nore,  e mi con­sid­er­avano

      uf­fi­cial­mente come il loro padrone.

      Pru­dence ave­va fat­to, è vero,  molte prediche a Mar­guerite a propos­ito

      del­la  sua nuo­va vi­ta;  ma ques­ta le ave­va rispos­to che mi ama­va,  che

      non pote­va vi­vere sen­za di me,  e che,  qualunque cosa fos­se ac­cadu­to,

      non  avrebbe  ri­nun­ci­ato  al­la  gioia  di aver­mi sem­pre ac­can­to a lei,

      ag­giun­gen­do che tut­ti quel­li che non er­ano d'ac­cor­do er­ano  liberi  di

      non far­si più vedere.

      Ec­co  che  cosa  ave­vo sen­ti­to un giorno in cui Pru­dence ave­va det­to a

      Mar­guerite che ave­va qual­cosa  di  molto  im­por­tante  da  co­mu­ni­car­le;

      ave­vo  as­colta­to  di­etro  la  por­ta  del­la stan­za nel­la quale si er­ano

      chiuse.

      Qualche tem­po dopo Pru­dence tornò.

      Quan­do en­trò ero in fon­do al gi­ardi­no;  lei non mi vide.  Du­bitai  dal

      mo­do  col  quale Mar­guerite le era an­da­ta in­con­tro,  che avrebbe avu­to

      lu­ogo una con­ver­sazione sim­ile a quel­la  che  già  ave­vo  sor­pre­so,  e

      vol­li as­coltar­la come ave­vo as­colta­to l'al­tra.

      Le due donne si chiusero in un sa­lot­ti­no e io mi misi in as­colto.

      “Ebbene?”, chiese Mar­guerite.

      “Ebbene, ho vis­to il duca”.

      “Che cosa vi ha det­to?”.

      "Che vi per­don­ava vo­len­tieri il pri­mo avven­imen­to, ma che ave­va sa­puto

      che vive­vate pub­bli­ca­mente con mon­sieur Ar­mand Du­val, e che questo non

      ve lo avrebbe per­do­na­to. 'Mar­guerite las­ci quel gio­vane', mi ha det­to,

      'e io le darò,  come in pas­sato, tut­to ciò che vor­rà, al­tri­men­ti dovrà

      ri­nun­cia­re a chie­der­mi qualunque cosa'".

      “E che gli avete rispos­to?”.

      "Che vi avrei co­mu­ni­ca­to la sua de­ci­sione, e gli ho promes­so che avrei

      cer­ca­to di farvi ra­gionare.  Ri­flet­tete,  bam­bi­na  mia,  pen­sate  al­la

      po­sizione che perdete, e che Ar­mand non potrà mai resti­tuirvi. Egli vi

      ama  con  tut­ta  l'an­ima,  ma  non  è ab­bas­tan­za ric­co da sod­dis­fare i

      vostri bisog­ni, e bisogn­erà pure che un giorno vi las­ci­ate,  ma al­lo­ra

      sarà trop­po tar­di e il duca non vor­rà fare più niente per voi.  Vo­lete

      che par­li ad Ar­mand?".

      Mar­guerite sem­bra­va ri­flet­tere, per­ché non rispon­de­va.

      Il cuore mi bat­te­va con vi­olen­za, men­tre at­ten­de­vo la sua rispos­ta.

      “No”, riprese, "non lascerò Ar­mand, e non mi nascon­derò per vi­vere con

      lui. E' una pazz­ia, forse,  ma lo amo!  che vo­lete?  E poi,  ora lui è

      abit­ua­to  ad  amar­mi  sen­za  os­ta­coli,  sof­frirebbe  trop­po  di es­sere

      ob­bli­ga­to  a  las­cia­rmi,   fos­se  pure  so­lo  per  un'ora  al  giorno.

      D'al­tronde,  io non ho da vi­vere così a lun­go da per­me­tter­mi di es­sere

      in­fe­lice e obbe­dire ai desideri di un vec­chio la cui so­la vista mi  fa

      in­vec­chiare. Si ten­ga il suo denaro: ne farò a meno".

      “Ma come farete?”.

      “Non lo so”.

      Pru­dence  sta­va  cer­to  per  rispon­dere  qual­cosa  ma io mi pre­cip­itai

      den­tro e cor­si a get­tar­mi ai pie­di di Mar­guerite, co­pren­do le sue mani

      con le lacrime che la gioia di es­sere am­ato così mi face­va ver­sare.

      "La mia vi­ta è tua, Mar­guerite,  tu non hai più bisog­no di quell'uo­mo;

      non ci sono io,  forse?  potrei mai ab­ban­donar­ti?  potrei mai ri­pa­gare

      ab­bas­tan­za la fe­lic­ità che mi dai?  Bas­ta coi tim­ori,  Mar­guerite mia,

      noi ci ami­amo! che c'im­por­ta del resto?".

      “Oh,  sì,  io  ti  amo,  Ar­mand  mio!”,  mor­morò pas­san­do­mi le brac­cia

      in­torno al col­lo,  "ti amo come non avrei mai cre­du­to dl pot­er  amare.

      Sare­mo fe­li­ci,  vivre­mo in pace,  e io dirò ad­dio per sem­pre al­la vi­ta

      del­la quale adesso ar­rossis­co. Tu non mi rim­prover­erai mai il pas­sato,

      vero?".

      Le  lacrime  mi  vela­vano  la  voce.  Non  riuscii  a  rispon­dere  che

      strin­gen­do Mar­guerite al cuore

      “Ec­co”,  disse rivol­gen­dosi a Pru­dence,  con voce com­mossa,  "riferite

      ques­ta sce­na al duca, e ag­giungete che non ab­bi­amo bisog­no di lui".

      Da quel giorno del duca non si par­lò più.  Mar­guerite non era  più  la

      ragaz­za  che  ave­vo  conosci­uta;  evi­ta­va tut­to ciò che avrebbe po­tu­to

      ri­cor­dar­mi la vi­ta in mez­zo al­la quale la ave­vo in­con­tra­ta; mai don­na,

      mai sorel­la,  ebbe per il suo sposo o per suo fratel­lo  l'amore  e  le

      cure che lei ave­va per me. Quel­la natu­ra malat­ic­cia era aper­ta a tutte

      le  im­pres­sioni,  ac­ces­si­bile  a tut­ti i sen­ti­men­ti.  Ave­va ri­nun­ci­ato

      alle sue amiche come alle sue abi­tu­di­ni,  al suo mo­do di par­lare  come

      alle  spese  di una vol­ta.  Quan­do ci vede­vano us­cire di casa per fare

      una passeg­gia­ta in un delizioso bat­telli­no che ave­vo com­per­ato, non si

      sarebbe mai cre­du­to che quel­la  don­na  vesti­ta  di  bian­co,  col  gran

      cap­pel­lo di paglia,  che por­ta­va sul brac­cio una sem­plice mantiglia di

      se­ta per pro­tegger­si dall'umid­ità del fi­ume,  fos­se quel­la  Mar­guerite

      Gau­ti­er  che,  quat­tro mesi pri­ma,  face­va par­lare del suo lus­so e dei

      suoi scan­dali.

      Ahimè!  er­ava­mo avi­di di fe­lic­ità,  come  se  in­tuis­si­mo  che  non  ne

      avrem­mo go­du­to a lun­go.

      Da due mesi non er­ava­mo nep­pure an­dati a Pa­ri­gi.  Nes­suno era venu­to a

      trovar­ci,  sal­vo Pru­dence,  e quel­la Julie Duprat del­la  quale  vi  ho

      par­la­to,  e  al­la  quale  Mar­guerite  dove­va  un  giorno  af­fi­dare  il

      com­movente rac­con­to che ho con­ser­va­to.

      Trascor­re­vo in­tere gior­nate ai pie­di del­la  mia  amante.  Apri­va­mo  le

      finestre  che  da­vano  sul  gi­ardi­no,  e  guardan­do l'es­tate splen­dere

      al­le­gra­mente tra i fiori che ave­va fat­to  schi­ud­ere  e  sot­to  l'om­bra

      degli al­beri, res­pi­rava­mo l'uno ac­can­to all'al­tra la ve­ra vi­ta, che né

      Mar­guerite né io ave­va­mo fi­no a quel mo­men­to capi­ta.

      Quel­la don­na si stupi­va,  come un bam­bi­no,  delle più pic­cole cose. In

      cer­ti giorni cor­re­va per il gi­ardi­no,  come una bam­bi­na di dieci an­ni,

      di­etro a una far­fal­la o a una li­bel­lu­la.  Quel­la cor­ti­giana, che ave­va

      fat­to spendere in fiori più denaro di  quan­to  bas­ta  per  far  vi­vere

      nell'agiatez­za  un'in­tera famiglia,  si sede­va a volte nel pra­to,  per

      un'ora, a con­tem­plare il sem­plice fiore di cui por­ta­va il nome.

      Fu in quel pe­ri­odo che lesse così spes­so Manon  Lescaut.  La  sor­pre­si

      molte  volte men­tre an­no­ta­va quel li­bro: e mi dice­va sem­pre che quan­do

      una don­na è in­namora­ta non può fare che quel­lo che face­va Manon.

      Il duca le scrisse due o tre volte. Lei ri­conobbe la grafia e mi diede

      le let­tere sen­za leg­ger­le.

      Qualche vol­ta le espres­sioni di quelle let­tere mi face­vano  salire  le

      lacrime agli oc­chi.

      Egli ave­va cre­du­to, chi­uden­do la sua bor­sa a Mar­guerite, di ri­con­durla

      a  sé;  ma  quan­do si era ac­cor­to dell'inu­til­ità di quel sis­tema,  non

      ave­va po­tu­to re­sistere: ave­va scrit­to,  chieden­do di nuo­vo,  come  già

      un'al­tra  vol­ta,   il  per­me­sso  di  tornare,   qual­si­asi  fos­sero  le

      con­dizioni poste a quel ri­torno.

      Ave­vo dunque let­to quelle let­tere an­siose  e  in­sis­ten­ti  e  le  ave­vo

      strap­pate,  sen­za  riv­elare  a  Mar­guerite il loro con­tenu­to,  e sen­za

      con­sigliar­le di rivedere il vec­chio, benché un sen­ti­men­to di pietà per

      il do­lore del pover'uo­mo mi sp­ingesse  a  far­lo;  ma  teme­vo  che  lei

      vedesse  in  quel  con­siglio il deside­rio di far ri­cadere di nuo­vo sul

      duca gli oneri del­la casa,  facen­dogli ripren­dere le  an­tiche  vis­ite;

      teme­vo  so­prat­tut­to  che  lei  mi  cre­desse  ca­pace  di  ri­fi­utare  la

      re­spon­sabil­ità del­la sua vi­ta,  con tutte le con­seguen­ze alle quali il

      suo amore per me pote­va trasci­narla.

      Ne risultò che il duca,  non riceven­do rispos­ta,  smise di scri­vere, e

      che Mar­guerite e io con­tin­uam­mo a vi­vere  in­sieme  sen­za  pre­oc­cu­par­ci

      del fu­turo.

 

 

 

 

 

 

 

 

      CAPITOLO 18.

 

      Mi  sarebbe dif­fi­cile riferirvi i par­ti­co­lari del­la nos­tra nuo­va vi­ta.

      Es­sa era cos­ti­tui­ta da una se­rie di pueril­ità, in­can­tevoli per noi, ma

      in­signif­ican­ti per col­oro ai quali potrei rac­con­tar­le. Voi sapete bene

      che cosa sia amare  una  don­na,  voi  sapete  bene  come  le  gior­nate

      di­venti­no  bre­vi,  e con quale amorosa pi­grizia ci si las­ci trascinare

      all'in­do­mani.  Voi non ig­no­rate cer­to quell'oblio di  og­ni  cosa,  che

      nasce  da un amore vi­olen­to,  fiducioso e con­di­vi­so.  Qual­si­asi es­sere

      nel cre­ato, che non sia la don­na am­ata,  sem­bra inu­tile.  Si rimpiange

      di  aver  già  get­ta­to  par­ti­celle  di cuore ad al­tre donne,  e non si

      im­mag­ina nep­pure la pos­si­bil­ità  di  strin­gere  una  mano  di­ver­sa  da

      quel­la che si tiene fra le nos­tre.  Il cervel­lo non sop­por­ta la­voro né

      ri­cor­do,  niente in­som­ma di ciò che potrebbe  dis­toglier­lo  dall'uni­co

      pen­siero  che con­tin­ua­mente gli si of­fre.  Og­ni giorno si sco­pre nel­la

      pro­pria amante un in­can­to nuo­vo, una vo­lut­tà sconosci­uta.

      La vi­ta non è più nient'al­tro che il ripetu­to  sod­dis­faci­men­to  di  un

      deside­rio  con­tin­uo,  l'an­ima  non  è più che la vestale in­car­ica­ta di

      al­imenta­re il sacro fuo­co dell'amore.

      Spes­so,  dopo che la notte era sce­sa,  an­dava­mo  a  seder­ci  sot­to  il

      boschet­to che sta­va di­etro la casa.  Lì as­coltava­mo le al­le­gre melodie

      del­la sera,  pen­san­do tut­ti e due al­ll'avvic­inar­si del mo­men­to che  ci

      avrebbe mes­si,  fi­no all'in­do­mani,  l'uno nelle brac­cia dell'al­tra.  A

      volte restava­mo a let­to tut­ta la gior­na­ta,  sen­za nem­meno las­cia­re che

      il  sole  en­trasse  nel­la nos­tra stan­za.  Le tende er­ano er­meti­ca­mente

      chiuse,  e il mon­do es­ter­no,  per un at­ti­mo,  smet­te­va di es­istere per

      noi.  So­lo  a  Na­nine  era  con­sen­ti­to  di aprire la nos­tra por­ta,  ma

      uni­ca­mente  per  portar­ci  i  pasti;  li  con­sumava­mo  sen­za  alzarci,

      in­fram­mez­zan­doli con­tin­ua­mente di risa e scherzi.  A questo segui­va un

      son­no di  qualche  is­tante,  per­ché,  scom­paren­do  nel  nos­tro  amore,

      er­ava­mo  come  due os­ti­nati tuffa­tori che tor­nano al­la su­per­fi­cie so­lo

      per ripren­dere fi­ato.

      Tut­tavia,  sor­pren­de­vo in Mar­guerite mo­men­ti di tris­tez­za  e  tal­vol­ta

      an­che  lacrime;  le  chiede­vo  da  che  cosa  le  venisse  quel do­lore

      im­provvi­so, e lei mi rispon­de­va:

      "Il nos­tro amore non è un amore nor­male,  mio caro Ar­mand.  Tu mi  ami

      come  se  non  fos­si  mai  ap­partenu­ta  a nes­sun al­tro,  e io tremo al

      pen­siero che più tar­di,  pen­ten­doti del tuo amore e con­sideran­do  come

      un  delit­to  il  mio  pas­sato,  tu  mi  costringa  a get­tar­mi di nuo­vo

      nell'es­isten­za dal­la quale mi hai pre­sa.  Ora che ho prova­to una  vi­ta

      nuo­va,  morirei  se  tor­nas­si  all'al­tra.  Dim­mi,  dunque,  che non mi

      lascerai mai".

      “Te lo giuro!”.

      A ques­ta paro­la,  lei mi guar­da­va come per leg­ger­mi negli oc­chi se  il

      giu­ra­men­to  era  sin­cero;  poi  si  get­ta­va  fra  le  mie  brac­cia  e,

      nascon­den­do la tes­ta con­tro il mio pet­to, mi dice­va:

      “Il fat­to è che tu non sai quan­to ti amo!”.

      Una sera,  stava­mo ap­pog­giati al da­van­za­le del­la fines­tra guardan­do la

      lu­na che sem­bra­va us­cire a fat­ica dal suo let­to dl nu­vole,  as­coltan­do

      il ven­to che scuote­va ru­mor­osa­mente gli al­beri,  e tenen­do­ci per mano;

      da  un  quar­to d'ora stava­mo così,  in silen­zio,  quan­do Mar­guerite mi

      disse:

      “Ec­co l'in­ver­no, or­mai; vuoi che par­ti­amo?”.

      “E per dove?”.

      "Per l'Italia.

      “Ti an­noi, dunque?”.

      "Ho pau­ra dell'in­ver­no,  ho pau­ra so­prat­tut­to  del  nos­tro  ri­torno  a

      Pa­ri­gi".

      “Per­ché?”.

      “Per molte ra­gioni”.

      Poi pros­eguì br­us­ca­mente, sen­za dir­mi le ra­gioni dei suoi tim­ori:

      "Vuoi par­tire?  venderò tut­to ciò che possiedo, ce ne an­dremo a vi­vere

      lag­giù, non mi resterà niente di ciò che ero,  nes­suno saprà chi sono.

      Vuoi?".

      “Par­ti­amo,  se ti fa pi­acere,  Mar­guerite; an­di­amo a fare un vi­ag­gio”,

      le rispon­de­vo;  "ma per quale ra­gione vendere cose che sarai fe­lice di

      ritrovare  al  tuo ri­torno?  Non sono così ric­co da pot­er ac­cettare un

      sac­ri­fi­cio sim­ile ma lo sono ab­bas­tan­za da per­me­ttere ad  en­tram­bi  di

      vi­ag­gia­re  co­moda­mente  per  cinque  o  sei mesi,  se di questo hai il

      benché min­imo deside­rio".

      “In­fat­ti, no”,  pros­eguì las­cian­do la fines­tra e an­dan­do a seder­si sul

      di­vano,  nel­la parte più buia del­la stan­za;  "per­ché an­dare a spendere

      del denaro lag­giù? ti cos­to già ab­bas­tan­za qui".

      “Non è gen­eroso, Mar­guerite, che tu me lo rim­proveri”.

      “Per­don­ami,  am­ico mio” rispose tenen­do­mi la mano,  "questo  tem­po­rale

      che si avvic­ina mi fa male ai nervi; non di­co quel­lo che vor­rei dire".

      E, dopo aver­mi ba­ci­ato, si ab­ban­donò a una lun­ga fan­tas­ticheria. Molto

      spes­so  ac­cad­dero  scene  come  ques­ta,  e,  se  ig­no­ra­vo  da che cosa

      nascessero,   tut­tavia  sco­pri­vo  in  Mar­guerite  un   sen­ti­men­to   di

      in­qui­etu­dine per il fu­turo. Lei non pote­va du­bitare del mio amore, che

      au­men­ta­va og­ni giorno, tut­tavia la vede­vo spes­so triste, e mi sp­ie­ga­va

      sem­pre il mo­ti­vo del­la sua tris­tez­za dan­dole una causa fisi­ca.

      Temen­do  che si stan­casse di quel­la vi­ta trop­po mono­tona le proposi di

      tornare a Pa­ri­gi, ma resp­inge­va sem­pre ques­ta pro­pos­ta,  as­si­cu­ran­do­mi

      che  in  nes­sun  al­tro  lu­ogo  avrebbe  po­tu­to sen­tir­si fe­lice come in

       cam­pagna.

      Pru­dence veni­va or­mai so­lo di ra­do,  ma,  in cam­bio,  scrive­va let­tere

      che io non ave­vo mai chiesto di leg­gere, sebbene og­ni vol­ta get­tassero

      Mar­guerite  in  uno  sta­to di pro­fon­da pre­oc­cu­pazione.  Non sape­vo che

      cosa pen­sarne.

      Un giorno Mar­guerite restò in cam­era sua. Vi en­trai.

      Sta­va scriven­do.

      “A chi scrivi?”, le chiesi.

      “A Pru­dence: vuoi che ti leg­ga quel­lo che sto scriven­do?”.

      Ave­vo in or­rore tut­to ciò che potesse as­somigliare a  un  sospet­to,  e

      quin­di  risposi  a Mar­guerite che non ave­vo bisog­no di sapere che cosa

      stesse scriven­do, per quan­to, ne ero cer­to,  quel­la let­tera mi avrebbe

      re­sa no­ta la ve­ra ra­gione delle sue tris­tezze.

      L'in­do­mani   il   tem­po  era  stu­pen­do.   Mar­guerite  mi  pro­pose  una

      passeg­gia­ta in bar­ca e  una  visi­ta  all'iso­la  di  Crois­sy;  sem­bra­va

      al­le­gris­si­ma. Tor­nam­mo a casa alle cinque.

      “E' venu­ta madame Du­ver­noy”, disse Na­nine ve­den­do­ci ri­en­trare.

      “E' ri­par­ti­ta?”, chiese Mar­guerite.

      “Sì, con la vos­tra car­roz­za; ha det­to che er­avate d'ac­cor­do”.

      “Molto bene”, disse Mar­guerite con vi­vac­ità, “fate­ci servire”.

      Due giorni dopo ar­rivò una let­tera di Pru­dence,  e per quindi­ci giorni

      Mar­guerite parve  lib­er­ata  da  quelle  mis­te­riose  ma­lin­conie,  delle

      quali, da quan­do non es­iste­vano più, non ces­sa­va di chie­der­mi per­dono.

      Tut­tavia la car­roz­za non tor­na­va.

      “Come mai Pru­dence non ti ri­man­da la vet­tura?”, le chiesi un giorno.

      "Uno dei cav­al­li è am­mala­to, e in­oltre bisogna fare delle ri­parazioni.

      E' meglio che provvedere men­tre noi siamo an­co­ra qui, dove non ab­bi­amo

      bisog­no  del­la  car­roz­za,  pi­ut­tosto che as­pettare di es­sere tor­nati a

      Pa­ri­gi".

      Dopo qualche giorno Pru­dence venne a trovar­ci,  e mi  con­fer­mò  quan­to

      Mar­guerite mi ave­va det­to.

      Le  due donne an­darono a passeg­gia­re in gi­ardi­no,  da sole e quan­do le

      rag­giun­si cam­biarono dis­cor­so.

      La sera,  al mo­men­to di an­darsene,  Pru­dence si lamen­tò del fred­do,  e

      pregò Mar­guerite di prestar­le uno scialle.

      Passò  così  un  mese,  du­rante  il  quale Mar­guerite fu più al­le­gra e

      at­traente che mai.

      Tut­tavia la car­roz­za  non  era  tor­na­ta,  lo  scialle  non  era  sta­to

      resti­tu­ito,  e tut­to questo,  mio mal­gra­do, mi pre­oc­cu­pa­va, e da­to che

      sape­vo in quale cas­set­to Mar­guerite met­te­va le  let­tere  di  Pru­dence,

      ap­prof­ittai  di un mo­men­to in cui era in fon­do al gi­ardi­no per cor­rere

      a quel cas­set­to, che cer­cai di aprire, ma in­vano,  poiché era chiu­so a

      doppia man­da­ta.

      Fru­gai al­lo­ra in quel­li dove di soli­to er­ano con­ser­vati i gioiel­li e i

      bril­lan­ti;  questi  si  aprirono  sen­za  fat­ica,  ma gli as­tuc­ci er­ano

      scom­par­si, nat­ural­mente con tut­to ciò che con­tenevano.

      Un tim­ore lanci­nante mi strinse il cuore.

      Avrei prete­so di sapere da Mar­guerite la ver­ità su quelle  sparizioni,

      ma cer­to lei non me l'avrebbe con­fes­sato.

       “Mia  cara  Mar­guerite”,  le  dis­si al­lo­ra,  "ti chiedo ii per­me­sso di

      an­dare a Pa­ri­gi. A casa mia non san­no dove io mi tro­vi e de­vono es­sere

      ar­rivate let­tere di mio padre;  sarà cer­to pre­oc­cu­pa­to,  e bisogna che

      gli rispon­da".

       “Va', am­ico mio”, mi rispose, “ma tor­na presto”.

      Par­tii.

      Cor­si subito da Pru­dence.

      “In­som­ma”,  le dis­si sen­za pream­boli,  "rispon­de­te­mi fran­ca­mente, dove

      sono i cav­al­li di Mar­guerite?".

      “Ven­du­ti”.

      “Lo scialle?”.

      “Ven­du­to”.

      “I bril­lan­ti?”.

      “Im­peg­nati”.

      “E chi se ne è oc­cu­pa­to?”.

      “Io”.

      “Per­ché non mi avete avver­ti­to?”.

      “Per­ché Mar­guerite me lo ha proibito”.

      “E per­ché non mi avete chiesto denaro?”.

      “Non vol­eva”.

      “A che cosa è servi­to il denaro?”.

      “A pa­gare”.

      “Ha dunque molti deb­iti?”.

      "An­co­ra trentami­la franchi, cir­ca. Ah, caro mio, ve lo ave­vo det­to! ma

      non  avete  vo­lu­to  cre­der­mi;  ebbene,  adesso  vi  con­vin­cerete.   Il

      tappezziere,  pres­so  il  quale  il duca si era re­so garante,  è sta­to

      mes­so al­la por­ta ap­pe­na si è pre­sen­ta­to a casa del duca,  il quale  il

      giorno  seguente  gli  ha  scrit­to  che  non  avrebbe fat­to niente per

      made­moi­selle Gau­ti­er. Quest'uo­mo ha prete­so il denaro,  gli sono stati

      dati  degli  ac­con­ti,  cioè quelle poche migli­aia di franchi che vi ho

      chiesto;  poi delle ani­me pie lo han­no avver­ti­to che la sua deb­itrice,

      ab­ban­do­na­ta  dal  duca,  vive­va  con un gio­vane sen­za beni di for­tu­na;

      an­che gli al­tri cred­itori sono stati avver­ti­ti,  han­no chiesto denaro,

      han­no fat­to dei pig­no­ra­men­ti. Mar­guerite avrebbe vo­lu­to vendere tut­to"

      ma era trop­po tar­di, e d'al­tronde parte io mi sarei op­pos­ta. Bisog­na­va

      pa­gare  co­munque  e,  pur  di  non  chiedere a voi del denaro,  lei ha

      ven­du­to i cav­al­li e gli abiti,  e ha im­peg­na­to i gioiel­li.  Vo­lete  le

      rice­vute dei com­pra­tori e le polizze del Monte di Pietà?".

      E Pru­dence, aper­to un cas­set­to, mi mostra­va quei doc­umen­ti.

      “Ah!  voi cre­dete”,  con­tin­uò con l'in­sis­ten­za pro­pria del­la don­na che

      può ben dire: “Ave­vo ra­gione!”.  "Ah!  voi cre­dete che basti amar­si  e

      rifu­gia­rsi  in  cam­pagna  a  fare una vi­ta pas­torale e idil­li­aca?  No,

      am­ico mio,  no.  Ac­can­to al­la vi­ta ide­ale c'è la vi­ta ma­te­ri­ale,  e le

      più  caste  de­ci­sioni  sono  trat­tenute a ter­ra da fili es­igui,  ma di

      fer­ro, e che non pos­sono es­sere facil­mente spez­za­ti. Se Mar­guerite non

      vi ha tra­di­to ven­ti volte, è per­ché la sua è una natu­ra ec­cezionale, e

      non che io non glielo ab­bia con­siglia­to,  per­ché mi face­va male vedere

      quel­la povera figli­uo­la spogliar­si di tut­to.  Ma non ha vo­lu­to!  mi ha

      rispos­to che vi ama e che per niente  al  mon­do  vi  avrebbe  tra­di­to.

      Tut­to ciò è molto bel­lo, molto po­et­ico, ma non è con ques­ta mon­eta che

      si pagano i cred­itori, e a questo pun­to, vi ripeto, lei non può trar­si

      d'im­pac­cio che con una trenti­na di migli­aia di franchi".

      “Va bene, vi darò ques­ta som­ma”.

      “La chiederete in presti­to?”.

      “Mio Dio, sì”.

      "E  farete  pro­prio  una  bel­la cosa;  vi guasterete con vostro padre,

      com­pro­met­terete la vos­tra ren­di­ta,  e poi,  trentami­la franchi non  si

      trovano così,  dall'og­gi al do­mani. Cre­de­te­mi, caro Ar­mand, io conosco

      le donne meglio di voi; non com­met­tete ques­ta scioc­chez­za, del­la quale

      un giorno  potreste  pen­tirvi.  Siate  ra­gionev­ole.  Non  vi  di­co  di

      las­cia­re  Mar­guerite,  ma  vivete  con  lei  come  vive­vate all'in­izio

      dell'es­tate. Las­ci­ate che tro­vi da so­la il mo­do di trar­si d'im­baraz­zo.

      Il duca si ri­ac­costerà a lei, un po' al­la vol­ta.  Il con­te de N...  mi

      ha  det­to pro­prio ieri che se es­sa lo ac­cetterà,  pagherà tut­ti i suoi

      deb­iti,   e  le  darà  quat­tro  o  cin­quemi­la  franchi  al  mese:   ha

      due­cen­tomi­la  franchi di ren­di­ta.  Sarà per lei una po­sizione;  in­vece

      voi dovreste pur  de­cidervi  a  las­cia­rla:  non  as­pet­tate  quin­di  di

      es­servi rov­ina­to,  tan­to più che quel con­te de N...  è uno scioc­co,  e

      niente vi im­pedirà di ri­manere l'amante di Mar­guerite. Lei pi­angerà un

      po' i pri­mi tem­pi,  poi finirà col far­ci l'abi­tu­dine,  e un giorno  vi

      ringra­zierà  di  quel­lo  che avrete fat­to.  Fin­gete che Mar­guerite sia

      sposa­ta,  e in­gan­nate il mar­ito ec­co tut­to.  Vi ho già det­to  un'al­tra

      vol­ta  tut­to  ciò;  soltan­to  che  a quel tem­po era so­lo un con­siglio,

      men­tre og­gi è quasi una ne­ces­sità".

      Pru­dence ave­va maledet­ta­mente ra­gione.

      “Così stan­no le cose”,  con­tin­uò,  rip­ie­gan­do le carte  che  mi  ave­va

      mostra­to,  "le  man­tenute  preve­dono  sem­pre  di es­sere am­ate,  mai di

      amare,  al­tri­men­ti met­tereb­bero del denaro da parte,  e  a  trent'an­ni

      potreb­bero  pa­gar­si  il  lus­so  di  avere un amante per niente.  Se io

      aves­si sa­puto pri­ma quel­lo che so adesso! Co­munque,  non dite niente a

      Mar­guerite,  e  ri­por­tatela  a  Pa­ri­gi.  Avete vis­su­to da so­lo con lei

      quat­tro o cinque mesi, un tem­po ra­gionev­ole; ora chi­udete gli oc­chi, è

      tut­to quan­to vi si chiede. In capo a quindi­ci giorni lei dirà di sì al

      con­te de N..., quest'in­ver­no farà delle economie,  e l'es­tate prossi­ma

      ri­com­in­cerete. Ec­co come si fa, caro mio!".

      Pru­dence  pare­va  en­tu­si­as­ta  del  suo  con­siglio,  che  io resp­inge­vo

      in­dig­na­to.

      Non so­lo il mio amore e la mia dig­nità non mi  avreb­bero  per­me­sso  di

      com­por­tar­mi a quel mo­do,  ma ero an­che pro­fon­da­mente con­vin­to che,  al

      pun­to in cui era,  Mar­guerite sarebbe mor­ta  pi­ut­tosto  che  ac­cettare

      quel com­pro­mes­so.

      “Bas­ta  con  gli  scherzi”,  dis­si  a Pru­dence;  "di quan­to ha bisog­no

      Mar­guerite, in tut­to?".

      “Ve l'ho det­to, cir­ca trentami­la franchi”.

      “E per quan­do oc­corre ques­ta som­ma?”.

      “En­tro due mesi”.

      “La avrà”.

      Pru­dence alzò le spalle.

      “La con­seg­nerò a voi”,  con­tin­uai,  "ma giu­rate­mi  che  non  di­rete  a

      Mar­guerite che sono sta­to io a darvela".

      “State tran­quil­lo”.

      "E  se  vi  man­derà  qualche  al­tra  cosa  da  vendere o da im­peg­nare,

      avver­tite­mi".

      “Non c'è peri­co­lo, non ha più niente”.

      Pas­sai a casa mia per vedere se c'er­ano let­tere di mio padre.

      Ce n'er­ano quat­tro.

 

 

      CAPITOLO 19.

 

      Nelle tre prime let­tere,  mio padre si mostra­va  pre­oc­cu­pa­to  del  mio

      silen­zio, e me ne chiede­va il mo­ti­vo; nell'ul­ti­ma, mi face­va capire di

       es­sere sta­to in­for­ma­to del­la nuo­va vi­ta che con­duce­vo, e mi an­nun­ci­ava

      il suo im­mi­nente ar­ri­vo.

      Ho avu­to sem­pre un grande rispet­to e un af­fet­to sin­cero per mio padre;

      gli risposi, per­ciò, che un pic­co­lo vi­ag­gio era sta­to la causa del mio

      silen­zio e lo pre­gai di avver­tir­mi del giorno del suo ar­ri­vo, affinché

      potes­si an­dar­gli in­con­tro.

      Die­di  al do­mes­ti­co il mio in­di­riz­zo di cam­pagna,  rac­co­man­dan­dogli di

      por­tar­mi la pri­ma let­tera che fos­se ar­riva­ta col tim­bro di  C...,  poi

      ri­par­tii subito per Bou­gi­val.

      Mar­guerite mi as­pet­ta­va al can­cel­lo del gi­ardi­no.

      Il  suo sguar­do es­prime­va ap­pren­sione.  Mi saltò al col­lo,  e non poté

      fare a meno di chie­der­mi:

      “Hai vis­to Pru­dence?”.

      “No” .

      “Ti sei trat­tenu­to molto a Pa­ri­gi”.

      "Ho  trova­to  delle  let­tere  di  mio  padre,  alle  quali  ho  dovu­to

      rispon­dere".

      Dopo qualche is­tante,  ar­rivò Na­nine, ansante. Mar­guerite si alzò e si

      mise a par­lare con lei sot­tovoce.

      Ap­pe­na Na­nine se ne fu an­da­ta, Mar­guerite mi disse, tor­nan­do a seder­si

      ac­can­to a me e pren­den­do­mi la mano:

      “Per­ché mi hai in­gan­na­ta? Sei sta­to da Pru­dence”.

      “Chi te l'ha det­to?”.

      “Na­nine”.

      “E come lo ha sa­puto?”

      “Ti ha se­gui­to”.

      “Le ave­vi dunque or­di­na­to di seguir­mi?”.

      "Sì.  Ho pen­sato che dove­vi  avere  un  mo­ti­vo  molto  im­por­tante  per

      cor­rere  a Pa­ri­gi così in fret­ta,  da­to che in quat­tro mesi non mi hai

      mai las­ci­ata so­la.  Teme­vo che ti fos­se ac­cadu­ta una dis­grazia,  o che

      an­das­si forse a trovare un'al­tra don­na".

      “Sciocchi­na!” .

      "Ora sono ras­si­cu­ra­ta,  so ciò che hai fat­to, ma non so an­co­ra ciò che

      ti è sta­to det­to".

      Mostrai a Mar­guerite le let­tere di mio padre.

      "Non ti ho chiesto questo: quel­lo  che  vor­rei  sapere  è  per­ché  sei

      anda­to da Pru­dence".

      “Per far­le una visi­ta”.

      “Tu men­ti, am­ico mio”.

      "Ebbene,  sono  anda­to  a  chieder­le se il cav­al­lo sta­va meglio,  e se

      ave­va an­co­ra bisog­no del tuo scialle e dei tuoi gioiel­li".

      Mar­guerite ar­rossì sen­za rispon­dere.

      “E”,  pros­eguii,  "ho sa­puto che cosa ave­vi fat­to dei  cav­al­li,  degli

      abiti e dei bril­lan­ti".

      “E me ne vuoi?”.

      "Te  ne voglio per­ché non hai pen­sato a chiedere a me ciò di cui ave­vi

      bisog­no".

      "In una re­lazione come la nos­tra,  se la  don­na  con­ser­va  un  po'  di

      dig­nità,  deve im­por­si tut­ti i sac­ri­fi­ci pos­si­bili pur di non chiedere

      denaro al suo amante, per non dare un as­pet­to ve­nale al suo amore.  Tu

      mi ami, ne sono cer­ta, ma non sai come è sot­tile il fi­lo che trat­tiene

      nel cuore l'amore che si ha per donne come me.  Chi sa?  forse,  in un

      giorno di malu­more o di  noia,  avresti  im­mag­ina­to  di  vedere  nel­la

      nos­tra  re­lazione  un  cal­co­lo  abil­mente  com­bi­na­to!  Pru­dence  è una

      chi­ac­chierona. Che bisog­no ave­vo di quei cav­al­li? Venden­doli, ho fat­to

      un guadag­no;  pos­so ben farne a meno,  e così non  de­vo  più  spendere

      niente per man­ten­er­li;  purché tu mi ami, è tut­to ciò che chiedo, e tu

      mi am­erai lo stes­so sen­za cav­al­li sen­za abiti e sen­za gioiel­li".

      Tut­to ciò era det­to con un  tono  così  nat­urale,  che  as­coltan­do  mi

      veni­vano le lacrime agli oc­chi.

      “Ma,  mia cara Mar­guerite”, risposi strin­gen­do af­fet­tu­osa­mente le mani

      del­la mia amante, "tu sape­vi bene che un giorno avrei sa­puto di questo

      tuo sac­ri­fi­cio, e che, il giorno in cui l'aves­si sa­puto,  non lo avrei

      toller­ato".

      “Per­ché?”.

      "Per­ché,  bam­bi­na cara,  non voglio che l'af­fet­to che hai per me pos­sa

      pri­var­ti fos­se pure di un anelli­no.  Non voglio neanch'io che,  in  un

      mo­men­to di malu­more o di noia,  tu pos­sa pen­sare che se vives­si con un

      al­tro non avresti mo­men­ti sim­ili,  e che tu ti pen­ta,  sia pure per un

      is­tante,  di vi­vere con me. Tra qualche giorno ri­avrai i tuoi cav­al­li,

      i tuoi bril­lan­ti,  i tuoi abiti.  Ti sono nec­es­sari  come  l'aria  che

      respiri,  e,  sarà  forse ridi­co­lo,  ma io ti preferisco nel fas­to che

      nel­la sem­plic­ità".

      “Vuol dire che non mi ami più”.

      “Sei paz­za!”.

      "Se mi amas­si, mi per­me­tter­esti di amar­ti a mo­do mio, in­vece ti os­ti­ni

      a vedere in me soltan­to una ragaz­za a cui il lus­so è in­dis­pens­abile, e

      ti cre­di sem­pre ob­bli­ga­to a pa­gare.  Tu ti ver­gog­ni di ac­cettare delle

      prove del mio amore.  Tuo mal­gra­do, pen­si che un giorno mi lascerai, e

      tieni a met­tere la tua del­icatez­za al ri­paro  da  og­ni  sospet­to.  Hai

      ra­gione, am­ico mio, ma io ave­vo sper­ato di meglio".

      Mar­guerite fece il gesto di alzarsi, ma la trat­ten­ni, di­cen­dole:

      "Voglio  che  tu sia fe­lice,  e che non ab­bia niente da rim­prover­ar­mi,

      ec­co tut­to".

      “E ci sep­araremo!”.

      “Per­ché, Mar­guerite? Chi può sep­arar­ci?”, gridai.

      "Tu stes­so,  per­ché non mi con­sen­ti di  capire  la  tua  po­sizione,  e

      pre­ten­di  di  con­ser­vare  la mia,  tu,  per­ché con­ser­van­do il lus­so in

      mez­zo al quale ho vis­su­to,  vuoi con­ser­vare la dis­tan­za morale che  ci

      sep­ara;  tu,  in­som­ma,  per­ché  non  reputi  il mio af­fet­to ab­bas­tan­za

      dis­in­ter­es­sato, tan­to da di­videre con me la tua ren­di­ta,  con la quale

      potrem­mo vi­vere fe­li­ci in­sieme, e per­ché preferisci rov­inar­ti, schi­avo

      come  sei  di  un  ridi­co­lo pregiudizio.  Cre­di forse che io met­ta una

      car­roz­za e dei gioiel­li sul­lo stes­so pi­ano del tuo amore? cre­di che la

      fe­lic­ità stia per me nelle friv­olezze di cui ci si  ac­con­tenta  quan­do

      non  si  ha  un  amore,  ma che di­ven­tano ben poca cosa quan­do si ama?

      Pagherai i miei deb­iti, im­peg­nerai il tuo pat­ri­mo­nio e, fi­nal­mente, mi

      man­ter­rai! E quan­to tem­po dur­erà tut­to ciò?  Due o tre mesi,  e al­lo­ra

      sarà  trop­po  tar­di  per  in­trapren­dere la vi­ta che ti sto pro­po­nen­do,

      per­ché al­lo­ra ac­cetter­esti tut­to da me,  cosa che un uo­mo d'onore  non

      può fare. Ora, in­vece, tu hai ot­to o diec­im­ila franchi di ren­di­ta, con

      i quali potrem­mo vi­vere. Io venderò il su­per­fluo di quan­to possiedo, e

      ques­ta   ven­di­ta   mi  frut­terà  da  so­la  duemi­la  franchi  all'an­no.

      Pren­der­emo in af­fit­to un grazioso ap­par­ta­menti­no  nel  quale  en­tram­bi

      vivre­mo. L'es­tate ver­re­mo in cam­pagna, non in una casa come ques­ta, ma

      in  una caset­ta suf­fi­ciente per due per­sone.  Tu sei in­dipen­dente,  io

      sono lib­era, siamo gio­vani; in nome del cielo, Ar­mand, non get­tar­mi di

      nuo­vo nel­la vi­ta che in al­tri tem­pi sono sta­ta costret­ta a con­durre".

      Non rius­ci­vo a  rispon­dere,  lacrime  di  ri­conoscen­za  e  d'amore  mi

      inon­da­vano gli oc­chi, e mi get­tai fra le brac­cia di Mar­guerite.

      “Vole­vo”, riprese, "sis­temare tut­to sen­za dirti niente, pa­gare tut­ti i

      miei deb­iti e far preparare una nuo­va casa. In­oltre, sarem­mo tor­nati a

      Pa­ri­gi,  e ti avrei det­to tut­to;  ma sic­come Pru­dence ti ha avver­ti­to,

      bisogna che tu sia d'ac­cor­do adesso in­vece  di  es­se­lo  dopo.  Mi  ami

      ab­bas­tan­za da poter­lo fare?".

      Era  im­pos­si­bile re­sistere a tan­ta ab­ne­gazione.  Ba­ci­ai con slan­cio le

      mani di Mar­guerite, e le dis­si:

      “Farò tut­to ciò che vor­rai”.

      Quel­lo che lei ave­va de­ciso, fu sta­bil­ito.

      Al­lo­ra  si  ab­ban­donò  a  una  folle  al­le­gria:  balla­va,  can­ta­va  si

      ral­le­gra­va per la sem­plic­ità del­la sua nuo­va casa,  per l'ubi­cazione e

      l'arreda­men­to, sui quali mi chiede­va con­siglio.

      La vede­vo fe­lice e fiera di  quel­la  de­ci­sione  che  sem­bra­va  dover­ci

      ri­avvic­inare defini­ti­va­mente.

      Non  vol­li  es­ser­le da meno,  e in un so­lo is­tante de­cisi tut­ta la mia

      vi­ta. Sta­bili­ta l'en­tità del mio pat­ri­mo­nio,  des­ti­nai a Mar­guerite la

      ren­di­ta  che  mi  veni­va  da  mia  madre,  e che mi sem­bra­va del resto

      in­suf­fi­ciente a ri­com­pen­sar­la del sac­ri­fi­cio che  ave­vo  ac­cetta­to  da

      lei.

      Mi   resta­vano   i  cin­quemi­la  franchi  di  pen­sione  che  mio  padre

      an­nual­mente mi pas­sa­va,  e che,  qual­si­asi  cosa  fos­se  ac­cadu­to,  mi

      sareb­bero bas­tati per vi­vere.

      Non  dis­sii  a  Mar­guerite  del­la mia de­ci­sione,  con­vin­to che avrebbe

      ri­fi­uta­to la mia of­fer­ta.

      La mia ren­di­ta proveni­va da un'ipote­ca di ses­san­tami­la franchi su  una

      casa  che  non  ave­vo nep­pure mai vis­to.  Tut­to ciò che sape­vo era che

      og­ni tre mesi il no­taio di mio padre,  vec­chio am­ico di  famiglia,  mi

      ver­sa­va set­te­cen­tocin­quan­ta franchi con­tro una sem­plice rice­vu­ta.

      Il giorno in cui Mar­guerite e io an­dammo a Pa­ri­gi per cer­care casa, mi

      re­cai  dal  no­taio  e  gli  chiesi  in  che mo­do avrei po­tu­to cedere a

      un'al­tra per­sona la mia ren­di­ta.

      Il brav'uo­mo mi cre­dette rov­ina­to e mi in­ter­rogò sul mo­ti­vo di  ques­ta

      de­ci­sione;  e  sic­come  pri­ma o poi avrei pur dovu­to dirgli il nome di

      colei cui vole­vo fare la don­azione,  mi de­cisi a  rac­con­tar­gli  subito

      og­ni cosa.

      Egli  non  mi  pose  nes­suna  delle  obiezioni che la sua po­sizione di

      no­taio e di am­ico lo avrebbe au­tor­iz­za­to a  por­mi  e  mi  promise  che

      avrebbe fat­to in mo­do di sis­temare tut­to per il meglio.

      Gli rac­co­mandai, nat­ural­mente, la mas­si­ma dis­crezione ver­so mio padre,

      e  andai  a  rag­giun­gere  Mar­guerite che mi as­pet­ta­va in casa di Julie

      Duprat,   dove  ave­va  prefer­ito  fer­mar­si  pi­ut­tosto  che  an­dare  ad

      as­coltare le prediche di Pru­dence.

      Ci met­tem­mo a cer­care casa.  Mar­guerite trova­va tut­ti gli ap­par­ta­men­ti

      trop­po cari,  io li  trova­vo  trop­po  mod­esti.  Tut­tavia  fin­im­mo  con

      l'ac­cor­dar­ci,  e  scegliem­mo  in  uno  dei quartieri più tran­quil­li di

      Pa­ri­gi un pic­co­lo padiglione,  iso­la­to dal­la casa prin­ci­pale,  sul cui

      retro si sten­de­va un grazioso gi­ardi­no,  cir­conda­to da mu­ra ab­bas­tan­za

      alte da sep­arar­ci dai vici­ni,  e ab­bas­tan­za basse da non lim­itar­ci  la

      vista.

      Era meglio di quan­to aves­si­mo sper­ato.

      Men­tre  mi  re­ca­vo  a casa mia per dare la dis­det­ta dell'ap­par­ta­men­to,

      Mar­guerite andò da un uo­mo d'af­fari che, mi disse, ave­va già fat­to per

      una delle sue amiche ciò di cui lei lo avrebbe pre­ga­to.

      Venne a ripren­der­mi in rue de Provence,  fe­lice.  Quell'uo­mo le  ave­va

      promes­so di pa­gare tut­ti i suoi deb­iti,  di las­cia­rgliene qui­etan­za, e

      di ver­sar­le una venti­na di migli­aia di franchi in cam­bio  di  tut­ti  i

      mo­bili.  Potete  ren­dervi  ben  con­to,  dal  prez­zo  al quale è sali­ta

      l'as­ta,  che quel galan­tuo­mo avrebbe  guadag­na­to  a  spese  del­la  sua

      cliente più di trentami­la franchi.

      Ri­par­tim­mo,  fe­li­ci,  per Bou­gi­val, con­tin­uan­do a co­mu­ni­car­ci i nos­tri

      pro­get­ti per l'avvenire,  che,  gra­zie al­la  nos­tra  spen­sier­atez­za  e

      so­prat­tut­to al nos­tro amore, vede­va­mo nei col­ori più ro­sei.

      Ot­to giorni dopo,  men­tre er­ava­mo a tavola, Na­nine venne ad avver­tir­mi

      che il mio do­mes­ti­co mi cer­ca­va.

      Lo fe­ci en­trare.

      “Sig­nore”,  mi disse,  "vostro padre è a Pa­ri­gi,  e vi pre­ga di an­dare

      subito a casa, dove vi as­pet­ta".

      Ques­ta  no­tizia  era  la  cosa più sem­plice del mon­do,  tut­tavia,  nel

      sen­tir­la,  Mar­guerite e io ci scam­bi­ammo un'oc­chi­ata quasi  pre­sagen­do

      che da quell'avven­imen­to sarebbe na­ta una sci­agu­ra.

      E così,  sen­za che lei mi par­lasse di quell'im­pres­sione, che era an­che

      la mia, risposi strin­gen­dole la mano:

      “Sta' tran­quil­la”.

      “Tor­na più presto che puoi”,  mor­morò Mar­guerite  ab­brac­cian­do­mi,  "ti

      as­pet­terò al­la fines­tra".

      Mandai Joseph ad avver­tire mio padre del mio prossi­mo ar­ri­vo: in­fat­ti,

      due ore dopo ero in rue de Provence.

 

 

 

 

 

 

 

      CAPITOLO 20.

 

      Mio padre, in veste da cam­era, era se­du­to in sa­lot­to e scrive­va.

      Capii  subito,  dal  mo­do  in  cui mi guardò,  che si trat­ta­va di cose

      gravi.  Gli andai co­munque in­con­tro  come  se  non  aves­si  in­dov­ina­to

      niente dall'espres­sione del suo volto, e lo ab­brac­ciai.

      “Quan­do si­ete ar­riva­to, padre mio?”.

      “Ieri sera”.

      “Si­ete venu­to in casa mia, come sem­pre?”.

      “Sì” .

      “Mi dispi­ace di non es­sere sta­to qui per ricev­ervi”.

      Mi  as­pet­ta­vo  che  da ques­ta frase mio padre avrebbe trat­to oc­ca­sione

      per la pred­ica che il suo  geli­do  vi­so  promet­te­va  ma  non  rispose,

      sig­illò la let­tera che ave­va scrit­to, e la con­seg­nò a Joseph per­ché la

      im­bu­casse.

      Quan­do fum­mo soli, mio padre si alzò e, ap­pog­gian­dosi al caminet­to, mi

      disse:

      “Mio caro Ar­mand, dob­bi­amo par­lare di cose se­rie”.

      “Vi as­colto, padre mio”.

      “Mi promet­ti di es­sere sin­cero?”.

      “E' mia abi­tu­dine”.

      “E' vero che vivi con una don­na chia­ma­ta Mar­guerite Gau­ti­er?”.

      “Sì”.

      “Sai chi era quel­la don­na?”.

      “Una man­tenu­ta”.

      "Ed  è  per lei che quest'an­no hai di­men­ti­ca­to di venire a trovare tua

      sorel­la e me!".

      “E' vero, padre, lo con­fes­so”.

      “L'ami dunque molto?”.

      "Come vedete,  dal mo­men­to che mi ha  fat­to  venir  meno  a  un  sacro

      do­vere; di questo vi chiedo, og­gi, umil­mente per­dono".

      Mio  padre,  di  cer­to,  non  si as­pet­ta­va delle risposte così de­cise,

      per­ché sem­brò ri­flet­tere un at­ti­mo; poi mi disse:

      “Ti sei re­so con­to che non po­trai vi­vere sem­pre così?”

      “Lo teme­vo, ma non l'ho capi­to”.

      “Ma avresti dovu­to capire”, con­tin­uò mio padre in tono più sec­co, "che

      io non lo avrei sop­por­ta­to".

      "Mi sono det­to che fi­no a quan­do non aves­si fat­to  cosa  con­traria  al

      rispet­to  che  de­vo  al  vostro  nome e al­la tradizionale on­està del­la

      famiglia,  avrei po­tu­to vi­vere in questo mo­do,  il che mi ha soll­eva­to

      un po' dai miei tim­ori".

      Le pas­sioni agguer­riscono con­tro i sen­ti­men­ti; ero pron­to a com­bat­tere

      con­tro tut­ti, an­che con­tro mio padre, pur di non perdere Mar­guerite.

      “Al­lo­ra, è venu­to il mo­men­to di vi­vere di­ver­sa­mente”.

      “Per­ché, padre mio?”.

      "Per­ché sei sul pun­to di fare cose che feriscono il rispet­to che cre­di

      di avere per la tua famiglia".

      “Non capis­co cosa vogli­ate dire”.

      "Ti spiegherò.  Che tu ab­bia un'amante,  va bene; che tu la paghi come

      un galan­tuo­mo deve pa­gare l'amore di una man­tenu­ta,  va benis­si­mo;  ma

      che tu di­men­tichi per lei le cose più sacre, che tu per­me­tta che l'eco

      del­la  vos­tra  vi­ta  scan­dalosa  ar­rivi fi­no in fon­do al­la provin­cia e

      mac­chi il nome ono­ra­to che ti ho da­to,  è cosa che non deve es­sere,  è

      cosa che non sarà"

      "Per­me­ttete­mi  di  rispon­dervi,  padre  mio,  che  quel­li che vi han­no

       avver­ti­to sul  con­to  mio  er­ano  male  in­for­mati.  Sono  l'amante  di

      made­moi­selle Gau­ti­er,  vi­vo con lei, è la cosa più nat­urale del mon­do.

      Non do a made­moi­selle Gau­ti­er il nome che  ho  rice­vu­to  da  voi,  non

      spendo  per  lei  che quel che i miei mezzi mi per­me­ttono di spendere,

      non ho con­trat­to al­cun deb­ito,  non mi sono mai trova­to,  in­som­ma,  in

      al­cu­na  di  quelle  situ­azioni  che  au­tor­iz­zano  un padre a dire a un

      figlio quan­to voi avete det­to a me".

       "Un padre ha sem­pre il dirit­to di dis­togliere il pro­prio figlio  dal­la

      cat­ti­va  stra­da  per  la quale lo vede in­cam­mi­nar­si.  Tu non hai fat­to

      an­co­ra niente di male, ma lo farai".

      “Padre!”.

      "Gio­van­ot­to, conosco la vi­ta meglio di te. Sen­ti­men­ti in­ter­amente puri

      es­istono so­lo nelle donne in­ter­amente caste.  Qual­si­asi Manon può fare

      un Des Grieux,  e i tem­pi e i cos­tu­mi sono mu­tati. Sarebbe inu­tile che

      il mon­do in­vec­chi­asse, se non dovesse mai cam­biare. Tu lascerai la tua

      amante".

      “Mi ad­do­lo­ra dis­obbe­dirvi, padre mio, ma mi è im­pos­si­bile”.

      “Ti costringerò”.

      "Dis­grazi­ata­mente, padre mio, non es­istono più isole Sainte-​Mar­guerite

      nelle quali man­dare le cor­ti­giane,  e se pure  ci  fos­sero  an­co­ra  vi

      seguirei  made­moi­selle Gau­ti­er,  se voi otten­este di farcela rel­egare.

      Che cosa vo­lete?  forse ho tor­to,  ma non pos­so es­sere  fe­lice  che  a

      con­dizione di es­sere l'amante di quel­la don­na".

      "In­som­ma,  Ar­mand,  apri gli oc­chi, as­col­ta tuo padre che ti ha sem­pre

      vo­lu­to bene e che non desidera al­tro che la tua  fe­lic­ità.  Cre­di  che

      sia dig­ni­toso per te an­dare a vi­vere co­ni­ugal­mente con una don­na che è

      sta­ta di tut­ti?".

      "Che  im­por­ta,  padre  mio,  se nes­suno la avrà più?  che im­por­ta,  se

      quel­la  don­na  mi  ama,  se  ri­fior­isce  nell'amore  che  ha  per  me,

      nell'amore che ho per lei? che im­por­ta, in­som­ma, se si è ravve­du­ta?".

      "Oh!  cre­di dunque, gio­van­ot­to, che la mis­sione di un uo­mo d'onore sia

      quel­la di far ravvedere le pros­ti­tute? cre­di dunque che Dio ab­bia da­to

      al­la vi­ta questo ridi­co­lo scopo,  e che il cuore non deb­ba avere al­tro

      en­tu­si­as­mo   che   quel­lo?   Quale   sarà  la  con­clu­sione  di  ques­ta

      mer­av­igliosa cu­ra,  e che cosa penserai di ciò che di­ci  og­gi,  quan­do

      avrai quar­ant'an­ni?  Rid­erai del tuo amore, se ti sarà per­me­sso rid­ere

      an­co­ra,  se non avrà las­ci­ato trac­ce trop­po pro­fonde nel tuo  pas­sato.

      Che cosa saresti og­gi,  se tuo padre l'avesse pen­sa­ta come te e avesse

      ab­ban­do­na­to la sua vi­ta a tutte le brezze d'amore,  in­vece di fon­dar­la

      in  mo­do in­dis­trut­tibile so­pra un'idea di onore e di lealtà?  Pen­saci,

      Ar­mand,  e non dir più  sim­ili  scioc­chezze.  In­som­ma,  las­cia  quel­la

      don­na, tuo padre te ne sup­pli­ca".

      Io non risposi.

      “Ar­mand”,  con­tin­uò mio padre,  "in nome di quel­la san­ta di tua madre,

      dam­mi ret­ta, ri­nun­cia a ques­ta vi­ta,  la di­men­ticherai pri­ma di quan­to

      tu non cre­da,  a lei ti in­cate­na una teo­ria as­sur­da.  Hai ven­ti­quat­tro

      an­ni,  pen­sa al fu­turo.  Non po­trai amare per sem­pre quel­la don­na che,

      dal can­to suo,  non ti amerà per sem­pre.  En­tram­bi esager­ate il vostro

      amore,  e tu ti pre­clu­di og­ni car­ri­era.  Fa' an­co­ra un  pas­so,  e  non

      po­trai  più  las­cia­re ques­ta stra­da,  e avrai,  per tut­ta la vi­ta,  il

      ri­mor­so del­la tua giovinez­za. Par­ti, vieni a trascor­rere un mese o due

      ac­can­to a tua sorel­la.  Il ri­poso e l'af­fet­to del­la  tua  famiglia  ti

      faran­no ben presto guarire da ques­ta feb­bre,  per­ché di nient'al­tro si

      trat­ta.  Frat­tan­to,  la tua amante si con­sol­erà,  si pren­derà un al­tro

      uo­mo,  e  quan­do  ti ac­corg­erai per chi hai rischi­ato di guas­tar­ti con

      tuo padre e di perdere il suo af­fet­to,  mi di­rai che ho fat­to  bene  a

      venire  a  trovar­ti,  e mi ringra­zierai.  An­di­amo,  tu par­ti­rai,  vero

      Ar­mand?".

      Sen­ti­vo che mio padre avrebbe avu­to ra­gione,  ove si fos­se trat­ta­to di

      qual­si­asi al­tra don­na, ma ero con­vin­to che su Mar­guerite si sbagli­ava.

      Tut­tavia,  il tono con cui ave­va pro­nun­ci­ato le ul­time pa­role era così

      dolce, così sup­plichev­ole, che non os­avo rispon­dere niente.

      “Ebbene?”, disse con voce com­mossa.

      “Ebbene,  padre  mio”,  risposi  fi­nal­mente,  "non  pos­so  promet­ter­vi

      niente; ciò che mi chiedete va al di là delle mie en­ergie. Cre­de­te­mi",

      con­tin­uai,  ve­den­do­lo  fare  un  gesto d'im­pazien­za,  "voi esager­ate i

      risul­tati del­la mia re­lazione.  Mar­guerite non  è  la  don­na  che  voi

      cre­dete.  Questo  amore,  ben  lon­tano  dal trasci­nar­mi su una cat­ti­va

      stra­da, è in­vece in gra­do di svilup­pare in me i più no­bili sen­ti­men­ti.

      L'amore vero rende sem­pre migliori,  qualunque sia  la  don­na  che  lo

      ispi­ra.  Se  voi  conosces­te  Mar­guerite,  vi ren­der­este con­to che non

      cor­ro al­cun peri­co­lo.  Lei è no­bile come le donne  più  no­bili.  Tan­ta

      cu­pidi­gia c'è nelle al­tre, al­tret­tan­to dis­in­ter­esse c'è in lei".

      "Il che non le im­pedisce di ac­cettare tut­to il tuo pat­ri­mo­nio,  per­ché

      i ses­san­tami­la  franchi  che  hai  avu­to  da  tua  madre,  e  che  hai

      in­ten­zione  di  dare  a  lei,  sono,  ri­cor­darte­lo  bene,  la tua so­la

      for­tu­na".

      Mio padre ave­va rin­vi­ato fi­no a questo mo­men­to  quel­la  per­orazione  e

      quel­la mi­nac­cia, per dar­mi l'ul­ti­mo colpo.

      Ero più forte da­van­ti alle sue mi­nac­ce che da­van­ti alle sue preghiere.

      “Chi  vi  ha det­to che voglio,  per lei,  ri­nun­cia­re a quel­la som­ma?”,

      risposi.

      "Il mio no­taio.  Un galan­tuo­mo avrebbe po­tu­to fare una cosa del genere

      sen­za  avver­tir­mi?  Ebbene,  è  per  im­pedire che tu ti rovi­ni per una

      don­na che sono venu­to a Pa­ri­gi. Tua madre, moren­do,  ti ha las­ci­ato di

      che  vi­vere  dig­ni­tosa­mente,  e non di che fare il gen­eroso con le tue

      aman­ti".

      "Vi  giuro,  padre  mio,  che  Mar­guerite  non  sa  niente  di  ques­ta

      don­azione".

      “E al­lo­ra per­ché vole­vi far­gliela?”.

      "Per­ché  Mar­guerite,  la  don­na che voi calun­ni­ate e che vo­lete che io

      ab­ban­doni,  sac­ri­fi­ca tut­to ciò che possiede per venire a  vi­vere  con

      me".

      "E tu ac­cetti questo sac­ri­fi­cio?  Che uo­mo si­ete dunque,  sig­nore, per

      per­me­ttere a una made­moi­selle  Mar­guerite  di  sac­ri­fi­carvi  qual­cosa?

      An­di­amo,  bas­ta. Tu lascerai quel­la don­na. Fi­no a questo mo­men­to te ne

      ho pre­ga­to,  ora te lo or­di­no;  non tollero sim­ili scon­cezze nel­la mia

      famiglia. Fa' le valigie, e preparati a seguir­mi".

      “Per­do­nate­mi, padre mio”, risposi, “ma non par­tirò”.

      “Per­ché?” .

      “Per­ché ho rag­giun­to l'età in cui non si obbe­disce più a un or­dine” .

      A ques­ta rispos­ta mio padre im­pal­lidì.

      “Va bene, sig­nore”, riprese; “so quel che mi res­ta da fare”.

      Suonò.

      Ap­parve Joseph.

      “Fa'  trasportare  i  miei  bagagli all'Hô­tel de Paris”,  disse al mio

      do­mes­ti­co, e passò in cam­era sua, dove finì di ve­stir­si.

      Quan­do ri­en­trò, gli andai in­con­tro.

      “Mi promet­tete, padre mio”,  gli dis­si,  "di non fare niente che pos­sa

      fare del male a Mar­guerite?".

      Mio  padre si fer­mò,  mi guardò con dis­prez­zo,  e non mi rispose al­tro

      che:

      “Io pen­so che tu sia paz­zo”.

      Dopo di che, uscì chi­uden­do con vi­olen­za la por­ta.  Uscii a mia vol­ta,

      fer­mai una car­roz­za e par­tii per Bou­gi­val.

      Mar­guerite mi as­pet­ta­va al­la fines­tra.

 

 

 

 

 

      CAPITOLO 21.

 

      “Fi­nal­mente!” gridò, saltan­do­mi al col­lo. “Ec­coti! Come sei pal­li­do!”.

      Al­lo­ra le rac­con­tai la sce­na con mio padre.

      “Oh,  Dio  mio!,  lo  im­mag­ina­vo”  disse.  "Quan­do  Joseph è venu­to ad

      an­nun­cia­rci l'ar­ri­vo di tuo padre,  ho sob­balza­to come al­la no­tizia di

      una  dis­grazia.  Povero  caro!  e  sono  io  a procu­rar­ti tut­ti questi

      dispi­ac­eri. Faresti forse meglio a las­cia­rmi,  pi­ut­tosto che guas­tar­ti

      con  tuo  padre.  Ep­pure  non  gli  ho  fat­to  niente.  Vivi­amo  molto

      tran­quil­la­mente,  e an­co­ra più tran­quil­la­mente vivre­mo.  Egli sa  bene

      che  de­vi  avere un'amante,  e dovrebbe es­sere con­tento che ques­ta sia

      io, dal mo­men­to che ti amo e non desidero più di quan­to ti con­sen­ta la

      tua  po­sizione.  Gli  hai  det­to  quel­lo  che  ab­bi­amo  sta­bil­ito  per

      l'avvenire?".

      "Sì,  ed  è  sta­ta la cosa che lo ha ir­ri­ta­to di più,  per­ché ha vis­to

      nel­la nos­tra de­ci­sione la pro­va del nos­tro re­cipro­co amore".

      “Che fare­mo, al­lo­ra?”.

      "Rester­emo in­sieme,  mia dolce  Mar­guerite,  e  lascer­emo  pas­sare  la

      tem­pes­ta".

      “Passerà?”.

      “Per forza”.

      “Ma tuo padre non si fer­merà a questo”.

      “Che vuoi che fac­cia?”.

      "Come  pos­so  saper­lo,  io?  tut­to  quel­lo  che  un padre può fare per

      costrin­gere suo figlio a obbe­dirgli.  Ti ri­corderà il mio pas­sato e mi

      farà  forse  l'onore  di  in­ventare  qualche nuo­va sto­ria per­ché tu mi

      ab­ban­doni".

      “Sai bene che ti amo”.

      "Sì, ma so an­che che bisogna, pri­ma o poi,  obbe­dire al pro­prio padre,

      e tu fini­rai forse col las­cia­rti con­vin­cere".

      "No, Mar­guerite, sarò io a con­vin­cere lui. Sono state le maldicen­ze di

      qualche  suo  am­ico  a  provo­care  la  sua collera;  ma egli è buono e

      gius­to, e tornerà sul­la sua pri­ma im­pres­sione. E poi, dopo tut­to,  che

      m'im­por­ta!".

      "Non dire questo,  Ar­mand;  preferirei qual­si­asi cosa pi­ut­tosto che si

      cre­desse che io ti met­to con­tro la tua famiglia, las­cia pas­sare ques­ta

      gior­na­ta, e do­mani tor­na a Pa­ri­gi.  Tuo padre avrà ri­flet­tuto da parte

      sua,  come  tu  avrai  ri­flet­tuto  da  parte tua,  e forse vi capirete

      meglio.  Non urtare i suoi  prin­cipi,  ab­bi  l'aria  di  fare  qualche

      con­ces­sione ai suoi desideri, fin­gi di non tenere tan­to a me, e vedrai

      che lascerà le cose come stan­no.  Spera, am­ico mio, e sii ben cer­to di

      una cosa, e cioè che, qual­si­asi cosa ac­ca­da,  Mar­guerite ti ap­parter­rà

      sem­pre".

      “Me lo giuri?”.

      “Ho forse bisog­no di giu­rarte­lo?”.

      Come  è  dolce  las­cia­rsi con­vin­cere da una voce che si ama!  Pas­sam­mo

      tut­ta la gior­na­ta a ripeter­ci i nos­tri pro­get­ti,  come se  ci  fos­si­mo

      re­si  con­to  del bisog­no di re­al­iz­zarli più in fret­ta.  Ci as­pet­tava­mo

      qualche avven­imen­to da un  mo­men­to  all'al­tro,  ma  for­tu­nata­mente  la

      gior­na­ta passò sen­za che ac­cadesse niente di nuo­vo.

      L'in­do­mani alle dieci par­tii, e ar­rivai ver­so mez­zo­giorno all'al­ber­go.

      Mio padre era già us­ci­to.

      Andai a casa mia,  dove sper­avo che fos­se anda­to.  Nes­suno.  Andai dal

      no­taio. Nes­suno!

      Tor­nai all'al­ber­go, e as­pet­tai fi­no alle sei; mio padre non ri­en­trò.

      Ripresi al­lo­ra la stra­da di Bou­gi­val.

      Trovai Mar­guerite non più ad as­pet­tar­mi,  come  il  giorno  pri­ma,  ma

      se­du­ta ac­can­to al fuo­co, già ac­ce­so, da­ta la sta­gione.

      Era così im­mer­sa nelle sue ri­fles­sioni, che potei avvic­in­ar­mi al­la sua

      poltrona  sen­za che mi sen­tisse.  Ap­pe­na ap­pog­giai le lab­bra sul­la sua

      fronte,   trasalì  come  se  il  mio  ba­cio  l'avesse   sveg­li­ata   di

      so­pras­salto.

      “Mi hai fat­to pau­ra” disse. “E tuo padre?”.

      "Non l'ho vis­to.  Non so che cosa pos­sa sig­nifi­care.  Non l'ho trova­to

      né a casa, né in al­cun pos­to in cui era prob­abile che fos­se".

      “Al­lo­ra, do­mani proverai di nuo­vo”.

      "Avrei voglia di as­pettare che mi man­di a chia­mare.  Ho fat­to,  cre­do,

      tut­to quel che dove­vo".

      "No,  am­ico  mio,  non  bas­ta,  bisogna  che  tu  torni  da tuo padre,

      spe­cial­mente do­mani".

      “Per­ché do­mani, pi­ut­tosto che un al­tro giorno?”.

      “Per­ché”, rispose Mar­guerite,  che mi sem­brò ar­rossire un po' al­la mia

      do­man­da,  "per­ché  l'in­sis­ten­za  da  parte  tua sem­br­erà più vi­va e il

      per­dono per  noi  sarà  più  im­me­di­ato".  Per  tut­to  il  resto  del­la

      gior­na­ta,  Mar­guerite fu pre­oc­cu­pa­ta, dis­trat­ta, triste. Ero costret­to

      a ripeter­le due volte tutte le mie do­mande, per ot­tenere una rispos­ta.

      At­tribuì la sua pre­oc­cu­pazione ai tim­ori che gli  avven­imen­ti  che  si

      suc­cede­vano da due giorni le procu­ra­vano riguar­do al nos­tro avvenire.

      Pas­sai la notte a ras­si­cu­rar­la, e l'in­do­mani mi las­ciò par­tire con una

      in­sis­tente in­qui­etu­dine che non rius­ci­vo a sp­ie­gar­mi.

      Come  il  giorno pri­ma,  mio padre non c'era;  ma,  us­cen­do,  mi ave­va

      las­ci­ato ques­ta let­tera.

      "Se og­gi tornerai a cer­car­mi,  as­pet­ta­mi fi­no  alle  quat­tro;  se  per

      quell'ora non sarò ri­en­tra­to, tor­na do­mani, e pranz­er­emo in­sieme: de­vo

      par­lar­ti".

      As­pet­tai  fi­no  all'ora in­di­ca­ta;  ma mio padre non tornò,  e io me ne

      andai.

      Il giorno pri­ma ave­vo trova­to Mar­guerite triste, quel giorno la trovai

      feb­bric­itante e ag­ita­ta.  Ve­den­do­mi en­trare,  mi saltò  al  col­lo,  ma

      pi­anse a lun­go fra le mie brac­cia.

      La  in­ter­ro­gai  su  quel  do­lore  im­provvi­so,   la  cui  in­ten­sità  mi

      pre­oc­cu­pa­va;  non mi diede nes­suna rispos­ta  pos­iti­va,  di­cen­do  tut­to

      quel­lo che può dire una don­na quan­do non vuol dire la ver­ità.

      Quan­do si fu cal­ma­ta un po', le dis­si del risul­ta­to del mio vi­ag­gio e,

      mostran­dole  la let­tera di mio padre,  le fe­ci os­ser­vare che di si­curo

      era per noi di buon au­gu­rio.

      Quan­do vide la let­tera e as­coltò le mie ri­fles­sioni,  le  sue  lacrime

      rad­doppi­arono,  tan­to  che chia­mai Na­nine e in­sieme,  per tim­ore di un

      at­tac­co di nervi,  la met­tem­mo a let­to;  pi­ange­va sen­za dire una  so­la

      paro­la, ma mi stringe­va le mani, co­pren­dole di baci.

      Chiesi a Na­nine se, du­rante la mia as­sen­za, la padrona avesse rice­vu­to

      una  let­tera  o  una  visi­ta che potessero sp­ie­gare lo sta­to in cui si

      trova­va,  ma Na­nine mi rispose che nes­suno era venu­to e  che  non  era

      sta­ta por­ta­ta nes­suna let­tera.

      Ma  non  c'era  nes­sun  dub­bio  che  dal giorno pri­ma stesse ac­ca­den­do

      qual­cosa,  tan­to più pre­oc­cu­pante in quan­to Mar­guerite  me  lo  tene­va

      nascos­to.

      In ser­ata,  sem­brò cal­mar­si un po';  e,  facen­do­mi sedere ai pie­di del

      suo let­to,  mi rin­novò a lun­go l'as­si­cu­razione del suo amore.  Poi  mi

      sor­rise,  ma  a fat­ica,  per­ché ave­va gli oc­chi ve­lati,  suo mal­gra­do,

      dalle lacrime.

      Imp­ie­gai tut­ti i mezzi pos­si­bili per  in­durla  a  con­fes­sare  la  ve­ra

      ra­gione  del  suo  do­lore,  ma  lei si os­tinò a dar­mi an­co­ra le stesse

      ra­gioni in­def­inite che vi ho det­to pri­ma.

      Si ad­dor­men­tò in­fine fra le mie brac­cia,  ma di quel son­no da  cui  il

      cor­po  es­ce pros­tra­to più che ri­posato;  og­ni tan­to emet­te­va un gri­do,

      si sveg­li­ava di so­pras­salto e,  dopo es­ser­si  as­si­cu­ra­ta  che  io  ero

      ac­can­to a lei, mi face­va giu­rare di amar­la sem­pre.

      Non  rius­ci­vo  a  capire  niente  di quell'ag­itazione che scom­par­iva e

      ri­tor­na­va,  e che si  pro­lungò  fi­no  al  mat­ti­no,  quan­do  fi­nal­mente

      Mar­guerite  cadde in una specie di tor­pore;  non dormi­va da due not­ti.

      Ma il suo ri­poso fu di breve du­ra­ta.

      Ver­so le undi­ci, Mar­guerite si sveg­liò e,  ve­den­do­mi in pie­di,  gridò,

      vol­gen­do in­torno lo sguar­do.

      “Vai già via?”.

      “No”  dis­si pren­den­dole le mani,  "ma ho vo­lu­to las­cia­rti dormire.  E'

      an­co­ra presto".

      “A che ora vai a Pa­ri­gi?”.

      “Alle quat­tro”.

      “Così presto? e pri­ma starai con me, vero?”.

      “Cer­to, non è sem­pre così?”.

      “ Che gioia!”. E sog­giunse, con aria dis­trat­ta: “Fac­ciamo co­lazione?”.

      “Se vuoi”.

      “E poi mi ter­rai ben stret­ta a te fi­no al mo­men­to di an­dartene?”.

      “Sì, e tornerò il più presto pos­si­bile”.

      “Tornerai?”, chiese, guardan­do­mi con oc­chi smar­ri­ti.

      “Cer­to”.

      "Sì, tornerai stasera e io, come sem­pre, ti as­pet­terò, e tu mi am­erai,

      e sare­mo fe­li­ci come lo siamo da quan­do ci conos­ci­amo".

      Tutte queste pa­role er­ano state pro­nun­ci­ate con una voce spez­za­ta  dai

      singhiozzi, sem­bra­vano nascon­dere un costante pen­siero do­loroso, tan­to

      che  teme­vo  che  da un mo­men­to all'al­tro Mar­guerite potesse cadere in

      del­iquio.

      “As­col­ta”, le dis­si, "tu stai male,  non pos­so las­cia­rti così.  Va­do a

      scri­vere a mio padre di non as­pet­tar­mi"

      “No, no!”, gridò lei br­us­ca­mente, "non far­lo. Tuo padre mi ac­cuserebbe

      an­che  di  im­pedirti  di an­dare da lui quan­do ha deside­rio di ved­er­ti;

      no, no, bisogna che tu ci va­da, è nec­es­sario!  D'al­tronde,  io non sto

      male,  sto anzi benis­si­mo.  Ho so­lo fat­to un brut­to sog­no,  e non sono

      an­co­ra ben sveg­lia"

      Da quel mo­men­to,  Mar­guerite si sforzò di ap­parire  più  al­le­gra.  Non

      pi­anse più.

      Venu­ta  l'ora  del­la  parten­za,  la  ba­ci­ai  e  le  chiesi  se  vol­eva

      ac­com­pa­gn­ar­mi al­la stazione: sper­avo  che  una  passeg­gia­ta  l'avrebbe

      dis­trat­ta,  e  che  un  po'  d'aria  le  avrebbe  fat­to  bene.  Vole­vo

      so­prat­tut­to restare con lei il più a lun­go pos­si­bile.

      Ac­cettò, prese un man­tel­lo e mi ac­com­pa­gnò in­sieme con Na­nine, per non

      tornare a casa da so­la.  Per ven­ti volte ebbi  la  ten­tazione  di  non

      par­tire.  Ma la sper­an­za di tornare presto,  e il tim­ore che mio padre

      potesse met­ter­si di nuo­vo con­tro di me,  mi sosten­nero,  e  salii  sul

      treno.

      “A stasera”, dis­si a Mar­guerite nel salu­tar­la.

      Non  mi  rispose.  Già  una  vol­ta  non ave­va rispos­to a quel­la stes­sa

      paro­la, e il con­te de G..., come ri­corderete, ave­va pas­sato la notte a

      casa di lei;  ma quel tem­po era così lon­tano,  che sem­bra­va can­cel­la­to

      dal­la mia memo­ria, e se ave­vo qualche tim­ore, non era più or­mai quel­lo

      che Mar­guerite mi tradisse.

      Ap­pe­na  fui ar­riva­to a Pa­ri­gi,  mi pre­cip­itai da Pru­dence per pre­gar­la

      di an­dare a trovare Mar­guerite,  speran­do che la sua vi­vac­ità e la sua

      al­le­gria l'avreb­bero dis­trat­ta.

      En­trai sen­za far­mi an­nun­cia­re, e trovai Pru­dence che si ab­bigli­ava.

      “Ah!”, mi disse, con fare pre­oc­cu­pa­to. “Mar­guerite è con voi?”.

      “No”.

      “Come sta?”.

      “Sta poco bene”.

      “Non ver­rà?”.

      “Dove­va venire?”.

      Madame Du­ver­noy ar­rossì, e mi rispose, con un cer­to im­baraz­zo:

      "Vole­vo   dire,   poiché   si­ete   venu­to   a  Pa­ri­gi,   non  ver­rà  a

      rag­giungervi?".

      “No”.

      Guardai Pru­dence;  ab­bassò gli oc­chi,  e mi parve di leg­gere  sul  suo

      vi­so il tim­ore che la mia visi­ta si pro­lun­gasse.

      "Sono venu­to an­che a pre­garvi,  cara Pru­dence, di venire stasera a far

      visi­ta a Mar­guerite,  se non avete al­tro  da  fare;  potreste  ten­er­le

      com­pag­nia,  e dormire da noi. Non l'ho mai vista come og­gi, e temo che

      mi si am­mali".

      “Stasera pranz­erò fuori”,  rispose  Prun­dence,  "e  non  potrò  vedere

      Mar­guerite, ma la ve­drò do­mani".

      Mi con­gedai da madame Du­ver­noy, che mi sem­brò pre­oc­cu­pa­ta quasi quan­to

      Mar­guerite,  e  andai  da  mio padre il quale,  fin dal pri­mo sguar­do,

      prese a scru­tar­mi con at­ten­zione.

      Mi tese la mano.

      “Le tue due vis­ite mi han­no fat­to  pi­acere,  Ar­mand”,  mi  disse;  "mi

      han­no  fat­to  sper­are che avresti ri­flet­tuto da parte tua,  come io ho

      ri­flet­tuto da parte mia".

      "Pos­so per­me­tter­mi di  do­man­darvi,  padre  mio,  quale  sia  sta­to  il

      risul­ta­to delle vostre ri­fles­sioni?".

      "E' sta­to, mio caro, che ave­vo esager­ato l'im­por­tan­za dei rac­con­ti che

      mi ave­vano fat­to, e mi sono ripromes­so di es­sere meno severo con te".

      “Che dite, padre mio!”, gridai con gioia.

      "Di­co,  figli­uo­lo  caro,  che  bisogna  bene  che  un gio­van­ot­to ab­bia

      un'amante, e che, in se­gui­to a re­cen­ti in­for­mazioni, preferisco che la

      tua amante sia made­moi­selle Gau­ti­er pi­ut­tosto che un'al­tra".

      “Padre mio, si­ete tan­to buono! quan­to mi ren­dete fe­lice!”.

      Dis­cor­rem­mo così per qualche min­uto,  poi ci met­tem­mo  a  tavola.  Mio

      padre fu af­fet­tu­osis­si­mo per tut­to il tem­po. Ave­vo fret­ta di tornare a

      Bou­gi­val  per  rac­con­tare  a  Mar­guerite  di  questo fe­lice mu­ta­men­to.

      Guar­da­vo l'orolo­gio con­tin­ua­mente.

      “Tu guar­di l'ora”, disse mio padre,  "hai fret­ta di las­cia­rmi.  Oh,  i

      gio­vani;  sac­ri­ficherete  dunque  sem­pre  gli af­fet­ti sin­ceri ad amori

      dub­bi?".

      “Non dite così! Mar­guerite mi ama, ne sono cer­to”.

      Mio padre non rispose; non sem­bra­va né du­bitare, né credere.

      In­sisté molto per­ché pas­sas­si tut­ta la ser­ata con lui,  e non par­tis­si

      che l'in­do­mani; ma ave­vo las­ci­ato Mar­guerite sof­fer­ente, glielo dis­si,

      e  gli  chiesi  il  per­me­sso  di an­dare da lei presto,  promet­ten­do di

      tornare il giorno seguente.

      Era bel tem­po;  volle ac­com­pa­gn­ar­mi fi­no al­la stazione.  Non  ero  mai

      sta­to così fe­lice. L'avvenire mi sem­bra­va ora pro­prio come da tem­po lo

      desider­avo. Ama­vo mio padre più di quan­to non l'aves­si mai am­ato.

      Men­tre sta­vo per par­tire, in­sisté an­co­ra una vol­ta per­ché restas­si, ma

      ri­fi­utai.

      “L'ami tan­to, dunque?”, mi disse.

      “Folle­mente”.

      “Va',  al­lo­ra!”,  e si passò la mano sul­la fronte come per cac­ciar via

      un pen­siero,  poi aprì la boc­ca come se vo­lesse dir­mi qual­cosa;  ma si

      lim­itò  a  stringer­mi  la  mano,  per  al­lon­ta­nar­si  poi  br­us­ca­mente,

      es­cla­man­do:

      “Al­lo­ra, a do­mani”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

      CAPITOLO 22.

 

      Mi sem­bra­va che il treno non si  muovesse.  Ar­rivai  a  Bou­gi­val  alle

      undi­ci.

      Non  una  fines­tra  era  il­lu­mi­na­ta;   suon­ai  sen­za  che  nes­suno  mi

      rispon­desse.

      Era la pri­ma vol­ta che questo mi  suc­cede­va.  Fi­nal­mente  com­parve  il

      gi­ar­diniere. En­trai.

      Na­nine  mi venne in­con­tro reggen­do una lam­pa­da.  Andai nel­la cam­era di

      Mar­guerite.

      “Dov'è la sig­no­ra?”.

      “E' par­ti­ta per Pa­ri­gi”, mi rispose Na­nine.

      “Per Pa­ri­gi!”.

      “Sì, sig­nore”.

      “Quan­do?” .

      “Un'ora dopo di voi”.

      “Non vi ha det­to niente per me?”.

      “Nul­la” .

      Na­nine uscì.

      “Può dar­si che ab­bia avu­to dei dub­bi”,  pen­sai,  "e che sia  an­da­ta  a

      Pa­ri­gi  per  as­si­cu­rar­si  se  la visi­ta che,  a quan­to le ave­vo det­to,

      avrei fat­to a mio padre,  non fos­se un pretesto per avere un giorno di

      lib­ertà.

      “Forse  Pru­dence  le  avrà scrit­to per qualche af­fare im­por­tante”,  mi

      dis­si ap­pe­na fui so­lo; ma ave­vo vis­to Pru­dence al mio ar­ri­vo, e non mi

      ave­va det­to niente che potesse  far­mi  pen­sare  che  ave­va  scrit­to  a

      Mar­guerite.

      All'im­provvi­so  mi  ri­cor­dai  di quel­la do­man­da che madame Du­ver­noy mi

      ave­va fat­ta quan­do le ave­vo  det­to  che  Mar­guerite  non  sta­va  bene:

      “Al­lo­ra,  non  ver­rà,  og­gi?”.  Mi  ri­cor­dai  an­che  dell'im­baraz­zo di

      Pru­dence,  quan­do l'ave­vo guar­da­ta  dopo  quel­la  frase  che  sem­bra­va

      tradire  un  ap­pun­ta­men­to.  A  questo ri­cor­do si ag­giunge­va quel­lo del

      pianto di Mar­guerite du­rante tut­ta la gior­na­ta,  pianto che  la  buona

      ac­coglien­za  di  mio padre mi ave­va fat­to di­men­ti­care un po'.  Da quel

      mo­men­to,  tut­ti i fat­ti del­la gior­na­ta ven­nero a rag­grup­par­si  in­torno

      al  mio pri­mo sospet­to,  e lo fis­sarono così sal­da­mente nel mio an­imo,

      che og­ni cosa sem­bra­va es­serne la con­fer­ma,  an­che  la  bon­tà  di  mio

      padre.

      Mar­guerite ave­va quasi prete­so che io an­das­si a Pa­ri­gi, ave­va fin­to la

      cal­ma quan­do le ave­vo pro­pos­to di restare con lei. Ero forse cadu­to in

      un tranel­lo? Mar­guerite mi tradi­va? ave­va forse fat­to con­to di tornare

      in  tem­po  per­ché  io  non mi ac­corges­si del­la sua as­sen­za,  e il ca­so

      l'ave­va trat­tenu­ta?  per­ché non ave­va det­to niente a Na­nine,  e per­ché

      non mi ave­va scrit­to? Che sig­nifi­ca­vano quelle lacrime, quell'as­sen­za,

      quel mis­tero?

      Ec­co  che  cosa  mi  do­man­da­vo,  pieno di sgo­men­to,  in mez­zo a quel­la

      stan­za vuo­ta, gli oc­chi fis­si sul­la pen­dola che seg­na­va la mez­zan­otte,

      e che sem­bra­va con ciò dir­mi  che  era  trop­po  tar­di  per­ché  potes­si

      sper­are che la mia amante tor­nasse.

      Ep­pure, dopo le de­ci­sioni che ave­va­mo prese, con il sac­ri­fi­cio of­fer­to

      e ac­cetta­to, era verosim­ile che mi tradisse? No. Cer­ca­vo di resp­in­gere

      i miei pri­mi sospet­ti.

      Pove­ri­na,  avrà trova­to un ac­quirente per i suoi mo­bili, e sarà an­da­ta

      a Pa­ri­gi per con­clud­ere.  Non ha  vo­lu­to  avver­tir­mi  per­ché  sa  che,

      benché  io  ac­cetti  ques­ta  ven­di­ta,  nec­es­saria al­la nos­tra fe­lic­ità

      fu­tu­ra, tut­tavia è penosa, e avrà temu­to di ferire il mio amor pro­prio

      e la mia del­icatez­za par­lan­domene.  Preferisce tornare soltan­to a cose

      fat­te.  Pru­dence l'as­pet­ta­va ev­iden­te­mente per questo,  e si è tra­di­ta

      da­van­ti a me.  Mar­guerite non avrà po­tu­to con­clud­ere le sue trat­ta­tive

      og­gi,  e sarà ri­mas­ta a dormire da lei, o fors'an­che sta per ar­rivare,

      per­ché cer­to si pre­oc­cu­perà del­la mia in­qui­etu­dine e non  vor­rà  cer­to

      las­cia­rmi­ci.

      Ma al­lo­ra, per­ché quei pi­anti? Sen­za dub­bio, pove­ri­na, mal­gra­do il suo

      amore per me, non avrà po­tu­to fare a meno di pi­an­gere nell'ab­ban­donare

      il  lus­so  nel  quale  ha  fi­no­ra  vis­su­to  e  che la ren­de­va fe­lice e

      in­vidi­ata.

      Per­don­ai molto vo­len­tieri a Mar­guerite i suoi  rimpianti.  L'at­ten­de­vo

      con im­pazien­za per dirle,  co­pren­dola di baci, che ave­vo in­dov­ina­to il

      mo­ti­vo del­la sua mis­te­riosa as­sen­za.

      Tut­tavia la notte di­ven­ta­va più pro­fon­da, e Mar­guerite non tor­na­va.

      L'an­sia an­da­va strin­gen­do a poco a poco la  sua  mor­sa  ser­ran­do­mi  la

      tes­ta  e il cuore.  Forse le era suc­ces­so qual­cosa!  Forse era mala­ta,

      feri­ta,  mor­ta!  Forse sarebbe ar­riva­to un mes­sag­gio con l'an­nun­cio di

      qualche  do­lorosa  sci­agu­ra!  Forse il giorno mi avrebbe trova­to nel­la

      stes­sa in­certez­za e negli stes­si tim­ori!

      L'idea che Mar­guerite mi in­gan­nasse pro­prio  nel  mo­men­to  in  cui  la

      sta­vo as­pet­tan­do, in pre­da al ter­rore causato­mi dal­la sua as­sen­za, non

      mi  veni­va più in mente.  Dove­va es­sere una ra­gione in­dipen­dente dal­la

      sua volon­tà a ten­er­la  lon­tana  da  me,  e  più  ci  pen­sa­vo,  più  mi

      con­vince­vo  che  ques­ta  ra­gione  non  pote­va  es­sere  che una qualche

      dis­grazia. O van­ità dell'uo­mo! ti man­ifesti sot­to tutte le forme.

      Era suona­ta l'una. Mi riproposi di as­pettare an­co­ra un'ora, ma se alle

      due Mar­guerite non fos­se an­co­ra tor­na­ta, sarei par­ti­to per Pa­ri­gi.

      In at­te­sa, cer­cai un li­bro, per­ché non ave­vo il cor­ag­gio di met­ter­mi a

      pen­sare.

      Manon Lescaut era aper­to sul­la tavola.  Mi sem­brò  che  qua  e  là  le

      pagine  fos­sero  bag­nate di lacrime.  Dopo aver­lo sfoglia­to,  richiusi

      quel li­bro i cui carat­teri mi sem­bra­vano privi di sen­so, at­traver­so il

      velo dei dub­bi.

      Il tem­po  pas­sa­va  lenta­mente.  Il  cielo  era  cop­er­to.  Una  pi­og­gia

      au­tun­nale bat­te­va sui vetri.  Mi sem­bra­va che il let­to vuo­to as­sumesse

      di tan­to in tan­to l'as­pet­to di una tom­ba. Ave­vo pau­ra.

      Aprii la por­ta.  Ri­masi in as­colto,  ma non sen­tii che il mor­morio del

      ven­to  tra  gli  al­beri.   Non  una  car­roz­za.  L'una  e  mez­zo  suonò

      tris­te­mente al cam­panile del­la chiesa.

      Ero ar­riva­to a temere che en­trasse qual­cuno.  Mi sem­bra­va che so­lo una

      dis­grazia potesse venir­mi a trovare a quell'ora e in quell'os­cu­rità.

      Suonarono le due.  As­pet­tai an­co­ra un po'.  So­lo la pen­dola rompe­va il

      silen­zio col suo tic tac monotono e ca­den­za­to.

      Al­la fine,  uscii da quel­la stan­za,  i cui pic­coli ogget­ti ave­vano  il

      triste as­pet­to as­sun­to da tut­to ciò che cir­con­da l'in­qui­eta soli­tu­dine

      del cuore.

      Trovai nel­la stan­za ac­can­to Na­nine ad­dor­men­ta­ta sul ri­camo.  Al ru­more

      del­la por­ta, si sveg­liò e mi chiese se la padrona fos­se ri­en­tra­ta.

      "No,  ma se ri­en­trasse,  ditele  che  non  ho  sa­puto  re­sistere  al­la

      pre­oc­cu­pazione e sono anda­to a Pa­ri­gi"

      “A quest'ora?”.

      “Sì”.

      “Ma in che mo­do? non tro­verete nes­suna car­roz­za”.

      “An­drò a pie­di”.

      “Ma pi­ove”.

      “E che m'im­por­ta?”.

      "La sig­no­ra tornerà, e se non tor­na, ci sarà sem­pre tem­po, do­mani, per

      an­dare  a  vedere  che  cosa  l'ab­bia  trat­tenu­ta.  Voi  vo­lete  farvi

      as­sas­sinare sul­la stra­da".

      “Non c'è peri­co­lo, cara Na­nine; a do­mani”.

      La bra­va figli­uo­la andò a pren­der­mi il man­tel­lo,  me  lo  get­tò  sulle

      spalle e si of­frì di an­dare a sveg­liare madame Arnoud per chieder­le se

      era pos­si­bile trovare una car­roz­za;  ma io mi op­posi,  con­vin­to che in

      quel ten­ta­ti­vo,  forse in­frut­tu­oso avrei per­so più tem­po di quan­to  ne

      avrei imp­ie­ga­to a per­cor­rere metà del­la stra­da.

      E  poi  ave­vo  bisog­no  d'aria  e di fat­ica fisi­ca,  che pla­cassero la

      sovrec­ci­tazione al­la quale ero in pre­da.

      Pre­si la chi­ave dell'ap­par­ta­men­to di rue d'Antin e, dopo aver salu­ta­to

      Na­nine, che mi ave­va ac­com­pa­gna­to al can­cel­lo, mi in­cam­mi­nai.

      Dap­pri­ma  andai  di  cor­sa,  ma  la  ter­ra  era  umi­da  e  mi  stan­cai

      doppi­amente.  Dopo  mezz'ora  di  cor­sa fui costret­to a fer­mar­mi,  ero

      tut­to bag­na­to. Ripresi fi­ato e pros­eguii il mio cam­mi­no.  La notte era

      così  fit­ta,  che  teme­vo  sem­pre  di sbat­tere con­tro uno degli al­beri

      del­la stra­da i quali,  pre­sen­tan­dosi im­provvisa­mente  ai  miei  oc­chi,

      ave­vano l'as­pet­to di im­men­si fan­tas­mi che mi cor­ressero in­con­tro.

      In­con­trai  una  o  due  vet­ture  di  car­ret­tieri che presto mi las­ci­ai

      in­di­etro.

      Un ca­lesse si dirige­va al gran trot­to ver­so Bou­gi­val.  Nel mo­men­to  in

      cui mi passò da­van­ti, ebbi la sper­an­za che den­tro ci fos­se Mar­guerite.

      Mi fer­mai, gri­dan­do: “Mar­guerite! Mar­guerite!”. Ma nes­suno mi rispose,

      e  il  ca­lesse  con­tin­uò  la  sua  cor­sa.  Lo guardai al­lon­ta­nar­si,  e

      ri­par­tii.

      In due ore giun­si al­la bar­ri­era dell'Etoile.

      La vista di Pa­ri­gi mi rin­cuorò,  e disce­si cor­ren­do il lun­go viale che

      ave­vo  tante  volte  per­cor­so.  Quel­la notte era de­ser­to.  Sem­bra­va la

      passeg­gia­ta di una cit­tà mor­ta.

      Il giorno com­in­ci­ava a spuntare.  Quan­do ar­rivai  a  rue  d'Antin,  la

      grande  cit­tà  com­in­ci­ava a scuot­er­si un po',  pri­ma di sveg­liar­si del

      tut­to.

      Suonarono le cinque al­la chiesa di Saint-​Roch,  nel mo­men­to stes­so  in

      cui en­tra­vo nel­la casa di Mar­guerite.

      Dis­si  il  mio  nome  al  portiere,  che con parec­chie mon­ete da ven­ti

      franchi con­vin­si del mio dirit­to di salire alle cinque del mat­ti­no  da

      made­moi­selle Gau­ti­er. Pas­sai dunque sen­za os­ta­coli.

      Avrei  po­tu­to chieder­gli se Mar­guerite era in casa,  ma avrebbe po­tu­to

      rispon­der­mi di no,  e preferii du­bitare  due  minu­ti  di  più,  per­ché

      du­bi­tan­do sper­avo an­co­ra.

      Ac­costai l'orec­chio al­la por­ta,  cer­can­do di sor­pren­dere un ru­more, un

      movi­men­to.

      Nul­la. Il silen­zio del­la cam­pagna sem­bra­va es­ser­si pro­lun­ga­to fin lì.

      Aprii la por­ta, ed en­trai.

      Tutte le tende er­ano ac­cu­rata­mente tirate.  Aprii quel­la del­la sala da

      pran­zo,  e mi dires­si ver­so la cam­era da let­to,  del­la quale spin­si la

      por­ta.

      Cor­si al cor­done delle tende e lo tirai  vi­olen­te­mente.  Le  tende  si

      aprirono; una de­bole luce en­trò, e cor­si ver­so il let­to.

      Era vuo­to!

      Aprii le porte, l'una dopo l'al­tra, guardai in tutte le stanze.

      Nes­suno.

      C'era da im­pazz­ire.

      Pas­sai  nel­lo  spoglia­toio,  aprii  la  fines­tra,  e chia­mai più volte

      Pru­dence.

      La  fines­tra  di  madame  Du­ver­noy  restò  chiusa.  Sce­si  al­lo­ra  dal

      portiere,  e  gli  chiesi  se  made­moi­selle  Gau­ti­er era venu­ta a casa

      du­rante il giorno. “Sì”, mi rispose, “con madame Du­ver­noy”.

      “Non vi ha det­to niente per me?”.

      “Nul­la”.

      “Sapete che cosa han­no fat­to dopo?”.

      “Sono salite in car­roz­za”.

      “Che car­roz­za?”.

      “Un coupé pri­va­to”.

      Cosa pote­va sig­nifi­care tut­to ciò?

      Suon­ai al­la por­ta ac­can­to.

      “Dove an­date, sig­nore?”, mi chiese il portiere dopo aver­mi aper­to.

      “Da madame Du­ver­noy”.

      “Non è tor­na­ta”.

      “Ne si­ete cer­to?”.

      "Sì,  sig­nore;  anzi,  ec­co una let­tera che han­no por­ta­to per lei ieri

      sera e che non ho an­co­ra avu­to il mo­do di con­seg­narle".

      E mi mostrò una let­tera sul­la quale get­tai mec­ca­ni­ca­mente lo sguar­do.

      Ri­conob­bi la scrit­tura di Mar­guerite.

      Pre­si la let­tera.  Sull'in­di­riz­zo era scrit­to: "A madame Du­ver­noy,  da

      con­seg­nare a mon­sieur Du­val".

      “Ques­ta  let­tera  è  per  me”,   dis­si   al   portiere,   mostran­dogli

      l'in­di­riz­zo.

      “Si­ete voi mon­sieur Du­val?”, mi do­mandò.

      “Sì”.

      “Ah, vi ri­conosco, voi ven­ite spes­so da madame Du­ver­noy”.

      Quan­do  fui  per  la  stra­da,  spez­zai i sig­illi del­la let­tera.  Se un

      ful­mine mi fos­se cadu­to ai pie­di, avrei prova­to meno ter­rore di quan­to

      ne provai leggen­do quelle pa­role.  "Quan­do leg­gerete  ques­ta  let­tera,

      Ar­mand,  io sarò di­ven­ta­ta l'amante di un al­tro. Tut­to è dunque fini­to

      tra noi. Tor­nate da vostro padre, am­ico mio,  an­date a rivedere vos­tra

      sorel­la,  giovinet­ta  cas­ta  e  ig­nara di tutte le bassezze del mon­do,

      ac­can­to al­la quale di­men­ticherete ben presto  quel  che  vi  ha  fat­to

      sof­frire ques­ta don­na per­du­ta che chia­mano Mar­guerite Gau­ti­er,  che vi

      si­ete deg­na­to di amare per un poco,  e che vi  è  deb­itrice  dei  soli

      mo­men­ti fe­li­ci di una vi­ta che lei adesso spera non deb­ba du­rare più a

      lun­go".

      Dopo aver let­to queste ul­time pa­role, cre­det­ti di im­pazz­ire.

      Per  un is­tante ebbi ve­ra­mente pau­ra di stra­maz­zare sul sel­ci­ato.  Una

      nube mi pe­sa­va sug­li oc­chi, e il sangue mi bat­te­va nelle tem­pie.

      Fi­nal­mente mi ripresi, e mi guardai in­torno, sbalordi­to nel vedere che

      la vi­ta  degli  al­tri  con­tin­ua­va  sen­za  fer­mar­si  da­van­ti  al­la  mia

      sven­tu­ra.

      Non ero ab­bas­tan­za forte da sop­portare da so­lo il colpo che Mar­guerite

      mi ave­va in­fer­to.  Mi ri­cor­dai al­lo­ra che mio padre era in cit­tà,  che

      in dieci minu­ti avrei po­tu­to es­sere da  lui  e  che,  qualunque  fos­se

      sta­ta la ra­gione del mio do­lore, egli l'avrebbe con­di­visa.

      Cor­si come un paz­zo, come un ladro, fi­no all'Hô­tel de Paris: trovai la

      chi­ave sul­la por­ta dell'ap­par­ta­men­to di mio padre. En­trai.

      Egli sta­va leggen­do e si mostrò così poco stupi­to nel ve­der­mi en­trare,

      che si sarebbe det­to che mi as­pet­tasse.

      Mi  pre­cip­itai  tra  le  sue brac­cia,  sen­za una paro­la,  gli por­si la

      let­tera di Mar­guerite e,  las­cian­do­mi cadere  ac­can­to  al  suo  let­to,

      pi­ansi a calde lacrime.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

      CAPITOLO 23.

 

      Quan­do tutte le cose del­la vi­ta ebbero ripreso il loro an­da­men­to,  non

      riuscii a credere che il giorno che nasce­va non sarebbe sta­to, per me,

      sim­ile a quel­li che lo ave­vano pre­ce­du­to.  C'er­ano dei mo­men­ti in  cui

      mi  im­mag­ina­vo  che  una  qualche cir­costan­za,  che non ri­cor­da­vo,  mi

      avesse fat­to pas­sare la notte lon­tano da Mar­guerite, ma che,  se fos­si

      tor­na­to a Bou­gi­val,  l'avrei ritrova­ta,  an­siosa come lo ero sta­to io,

      pronta a chie­der­mi che cosa mi avesse tenu­to lon­tano da lei.

      Quan­do la vi­ta ha pre­so un'abi­tu­dine come  quel­la  dell'amore,  sem­bra

      im­pos­si­bile  che ques­ta abi­tu­dine si rompa sen­za spez­zare nel­lo stes­so

      tem­po tutte le al­tre molle del­la vi­ta.

      Per  con­vin­cer­mi,  dunque,  di  non  aver  sog­na­to,  ero  ob­bli­ga­to  a

      ri­leg­gere di tan­to in tan­to la let­tera di Mar­guerite.

      Il  mio  cor­po,  pros­tra­to  da  quel­la scos­sa morale,  era in­ca­pace di

      muover­si.  L'in­qui­etu­dine,  la mar­cia not­tur­na,  la no­tizia di  quel­la

      mat­ti­na,    mi   ave­vano   dis­trut­to.    Mio   padre   ap­prof­ittò   di

      quell'in­de­boli­men­to to­tale delle mie forze per chie­der­mi  una  for­male

      promes­sa che sarei par­ti­to con lui.

      Promisi  tut­to  quan­to  mi  chiese.  Ero  in­ca­pace  di  sostenere  una

      dis­cus­sione,  e ave­vo bisog­no di un af­fet­to vero  che  mi  aiu­tasse  a

      vi­vere dopo ciò che era suc­ces­so.

      Ero  trop­po  fe­lice  che  mio  padre  vo­lesse  con­so­lar­mi di un sim­ile

      dispi­acere.

      Di quel giorno ri­cor­do so­lo che,  ver­so le cinque,  mi fece salire con

      lui su una dili­gen­za. Sen­za dir­mi niente, ave­va fat­to preparare i miei

      bagagli, li ave­va fat­ti sis­temare assieme ai suoi di­etro la vet­tura, e

      mi por­ta­va via.

      Non  mi ac­cor­si di quel­lo che face­vo che quan­do la cit­tà fu scom­parsa,

      e la soli­tu­dine del­la stra­da mi ri­cordò il vuo­to del mio cuore.

      Al­lo­ra le lacrime ri­com­in­cia­rono a sgor­gare.

      Mio padre ave­va capi­to che le pa­role, an­che se prove­ni­en­ti da lui, non

      mi avreb­bero con­so­la­to,  e mi  las­ciò  pi­an­gere  sen­za  dir­mi  niente,

      lim­itan­dosi a stringer­mi la mano di tan­to in tan­to,  come a ri­cor­dar­mi

      che vi­ci­no a me ave­vo un am­ico.

      La notte, riuscii a dormire un po'. Sog­nai di Mar­guerite.

      Mi sveg­li­ai di so­pras­salto, non com­pren­den­do per­ché mai mi trovas­si in

      una car­roz­za.

      Poi la re­altà mi tornò al­la mente e las­ci­ai cadere la tes­ta sul pet­to.

      Non os­avo rivol­gere la paro­la a  mio  padre,  temen­do  sem­pre  che  mi

      dicesse: "Ve­di, ave­vo ra­gione quan­do ri­fi­uta­vo di credere all'amore di

      quel­la don­na".

      Ma egli non ap­prof­ittò del­la sua po­sizione di van­tag­gio, e ar­rivam­mo a

      C...  sen­za  che  mi  avesse det­to al­tro che pa­role del tut­to es­tra­nee

      all'avven­imen­to che ave­va de­ter­mi­na­to la mia parten­za.

      Quan­do ab­brac­ciai mia sorel­la,  mi ri­cor­dai le pa­role del­la let­tera di

      Mar­guerite  che la riguar­da­vano,  ma capii subito che per quan­to buona

      fos­se, mia sorel­la non avrebbe po­tu­to far­mi di­men­ti­care la mia amante.

      La cac­cia era aper­ta;  mio padre pen­sò che sarebbe sta­ta  per  me  una

      dis­trazione,  e  or­ga­niz­zò delle bat­tute con i vici­ni e gli am­ici.  Vi

      pren­de­vo parte sen­za avver­sione, ma an­che sen­za en­tu­si­as­mo, con quel­la

      sor­ta di ap­atia che era tipi­ca di tutte le mie azioni  da  quan­do  ero

      par­ti­to.

      Si cac­cia­va in bat­tuta.  Mi face­vano ap­postare, posa­vo ac­can­to a me il

      fu­cile scari­co, e sog­na­vo. Guar­da­vo le nu­vole che pas­sa­vano,  las­ci­avo

      che  il  pen­siero va­gasse nel­la pi­anu­ra de­ser­ta;  di tan­to in tan­to mi

      sen­ti­vo chia­mare da qualche cac­cia­tore che mi in­di­ca­va  una  lep­re,  a

      dieci pas­si da me.

      Nes­suno  di  questi  par­ti­co­lari  sfug­gi­va  a  mio  padre,  che non si

      las­ci­ava in­gannare dal­la mia cal­ma ap­par­ente.  Capi­va bene che il  mio

      cuore,  sebbene  ab­bat­tuto,  avrebbe  avu­to  un  giorno  una  reazione

      ter­ri­bile,  forse an­che peri­colosa,  e,  cer­can­do di con­so­lar­mi  sen­za

      parere, face­va il pos­si­bile per dis­trar­mi.

      Mia sorel­la,  nat­ural­mente,  non era a conoscen­za di niente,  e quin­di

      non  sape­va  sp­ie­gar­si  per­ché  io,  una  vol­ta  così  al­le­gro,  fos­si

      im­provvisa­mente di­ven­ta­to così pen­sieroso e triste.

      A  volte,  sor­pre­so nel pieno del­la tris­tez­za dal­lo sguar­do an­sioso di

      mio padre, gli pren­de­vo la mano,  strin­gen­dogliela come per chieder­gli

      silen­ziosa­mente per­dono del male che mio mal­gra­do gli face­vo.

      Passò così un mese, ma ero or­mai strema­to.

      Il ri­cor­do di Mar­guerite mi perse­gui­ta­va in­ces­san­te­mente. Ave­vo trop­po

      am­ato  quel­la  don­na,  e  l'ama­vo  trop­po  per­ché  potesse  di­ven­tar­mi

      in­dif­fer­ente da un giorno all'al­tro. Bisog­na­va che la amas­si, o che la

      odi­as­si.  Bisog­na­va so­prat­tut­to,  qualunque fos­se  il  sen­ti­men­to  che

      prova­vo per lei, che la rivedessi, e al più presto.

      Questo  deside­rio  mi  en­trò  nell'an­imo  e vi si sta­bilì con tut­ta la

      vi­olen­za del­la volon­tà,  che fi­nal­mente tor­na­va nel mio cor­po  ri­mas­to

      trop­po a lun­go in­erte.

      Non  era  nel  fu­turo,  tra  un  mese,  tra  ot­to  giorni,  che vole­vo

      Mar­guerite, la vole­vo subito, non ap­pe­na ave­vo pre­sa quel­la de­ci­sione,

      e così dis­si a mio padre  che  sarei  par­ti­to  per  degli  af­fari  che

      richiede­vano  la  mia  pre­sen­za a Pa­ri­gi,  ma che sarei tor­na­to al più

      presto.

      Egli in­dov­inò, cer­to,  il mo­ti­vo del­la mia parten­za,  e in­sisté per­ché

      restas­si;  ma  com­pren­den­do  che  se  non  aves­si  sod­dis­fat­to  il mio

      deside­rio,  nel­lo sta­to di ag­itazione in cui mi trova­vo,  la  cosa  mi

      sarebbe sta­ta fa­tale,  mi ab­brac­ciò,  e mi pregò,  con le lacrime agli

      oc­chi, di tornare presto da lui.

      Finché non fui giun­to a Pa­ri­gi, non riuscii a chi­ud­ere oc­chio.

      Una vol­ta ar­riva­to, che cosa avrei fat­to? non lo sape­vo;  ma bisog­na­va

      che per pri­ma cosa mi oc­cu­pas­si di Mar­guerite.

      Andai  a  ve­stir­mi  a casa mia,  e sic­come era bel tem­po,  e l'ora era

      adat­ta, andai agli Champs-​Elysées.

      Dopo una mezz'ora,  vi­di da lon­tano,  dal rond-​point  a  place  de  la

      Con­corde, la car­roz­za di Mar­guerite.

      Ave­va ri­com­pra­to i cav­al­li,  per­ché la vet­tura era come pri­ma;  ma lei

      non c'era.

      Ave­vo ap­pe­na no­ta­to la sua as­sen­za quan­do,  guardan­do­mi in­torno,  vi­di

      Mar­guerite  che  avan­za­va  a  pie­di,  in  com­pag­nia  di una don­na a me

      sconosci­uta.  Pas­san­do­mi ac­can­to,  im­pal­lidì,  e un sor­riso ner­voso le

      in­cre­spò  le  lab­bra.  Quan­to  a me,  un vi­olen­to bat­ti­to del cuore mi

      lac­erò il pet­to, ma riuscii ad as­sumere un'espres­sione in­dif­fer­ente, e

      salu­tai fred­da­mente la mia vec­chia amante,  che quasi subito rag­giunse

      la car­roz­za, nel­la quale salì con l'am­ica.

      Conosce­vo   Mar­guerite.   Quell'in­con­tro   inaspet­ta­to  dove­va  aver­la

      scon­vol­ta.  Sen­za dub­bio ave­va sa­puto del­la mia parten­za,  e cer­to  si

      era tran­quil­liz­za­ta per gli even­tu­ali strasci­chi del­la nos­tra rot­tura;

      ma  ve­den­do  che  ero  tor­na­to,  e  trovan­dosi fac­cia a fac­cia con me,

      pal­li­do come ero,  ave­va capi­to che il mio ri­torno  dove­va  avere  uno

      scopo, e dove­va chieder­si che cosa sarebbe ac­cadu­to.

      Se aves­si trova­to Mar­guerite in cat­tive acque,  se,  per ven­di­car­mi di

      lei,  aves­si po­tu­to soc­cor­rerla,  le avrei forse per­do­na­to e non avrei

      cer­to  pen­sato  a  far­le del male;  ma la ritrova­vo fe­lice,  al­meno in

      ap­paren­za;  un al­tro le ave­va resti­tu­ito quel lus­so che io  non  ave­vo

      po­tu­to man­ten­er­le;  la nos­tra rot­tura, de­ter­mi­na­ta da lei, veni­va così

      ad as­sumere il  carat­tere  del­la  più  bas­sa  ve­nal­ità,  ero  umil­ia­to

      nell'amor  pro­prio  e  nell'amore,  e  bisog­na­va as­so­lu­ta­mente che lei

      scon­tasse quel­lo che ave­vo sof­fer­to.

      Non pote­vo restare in­dif­fer­ente da­van­ti al­la vi­ta  che  con­duce­va;  di

      con­seguen­za,   ciò   che   dove­va  ferir­la  mag­gior­mente  era  la  mia

      in­dif­feren­za;  era dunque questo sen­ti­men­to che avrei dovu­to  fin­gere,

      non so­lo da­van­ti a lei, ma an­che da­van­ti agli al­tri.

      Cer­cai di as­sumere un as­pet­to al­le­gro, e andai da Pru­dence.

      La  cameriera  andò  ad  an­nun­cia­rmi,  e mi fece as­pettare per qualche

      is­tante nel sa­lone.

      Al­la fine ap­parve madame Du­ver­noy,  e  mi  in­tro­dusse  nel  sa­lot­ti­no;

      men­tre mi sede­vo, sen­tii la por­ta del sa­lone che si apri­va, e un pas­so

      leg­gero che face­va scric­chi­olare il pavi­men­to, poi la por­ta d'in­gres­so

      fu chiusa con vi­olen­za.

      “Vi dis­tur­bo?”, chiesi a Pru­dence.

      "Per niente.  C'era Mar­guerite;  quan­do ha sen­ti­to che er­avate qui,  è

      fug­gi­ta: è lei che è us­ci­ta".

      “Dunque, ha pau­ra di me, adesso?”.

      “No, ma teme che vi dispi­ac­cia ved­er­la”.

      “E per­ché mai?”,  dis­si facen­do uno sfor­zo per res­pi­rare  lib­er­amente,

      sof­fo­ca­to com'ero dall'emozione, "pove­ri­na, mi ha las­ci­ato per ri­avere

      la sua car­roz­za,  i suoi mo­bili,  i suoi gioiel­li: ha fat­to bene, e io

      non ho il dirit­to di vo­ler­gliene Og­gi l'ho in­con­tra­ta",  ag­giun­si  con

      fin­ta in­dif­feren­za.

      “Dove?”,  chiese  Pru­dence,  che  mi  scru­ta­va e sem­bra­va chieder­si se

      l'uo­mo che ave­va di fronte fos­se pro­prio quel­lo che  ave­va  conosci­uto

      così in­namora­to.

      "Agli Champs-​Elysées, era con un'al­tra don­na, molto ca­ri­na. Sapete chi

      è?".

      “De­scriv­etemela”.

      “Bion­da, sot­tile, boc­coli, oc­chi az­zur­ri, el­egan­tis­si­ma”.

      “Ah! è Olympe. Una bel­lis­si­ma figli­uo­la, in­fat­ti”.

      “Con chi vive?”.

      “Con nes­suno, e con tut­ti”.

      “E abi­ta?”.

      “In rue Tronchet... Ah, vo­lete dunque far­le la corte?”.

      “Non si sa mai”.

      “E Mar­guerite?”.

      "Se  vi  di­ces­si  che  non pen­so più a lei,  men­tirei,  ma sono uno di

      quegli uo­mi­ni per i quali il mo­do in cui  ven­gono  las­ciati  ha  mol­ta

      im­por­tan­za. Ora, Mar­guerite mi ha det­to ad­dio così leg­ger­mente, che mi

      con­sidero  uno  scioc­co  ad  aver­la am­ata tan­to: per­ché l'ho ve­ra­mente

      am­ata moltissi­mo.

      Potete in­dov­inare con che tono cer­cas­si di dire queste cose: ave­vo  la

      fronte ma­di­da di su­dore.

      "Lei  vi  ama­va  tan­to,  cre­de­te­mi,  e vi ama an­co­ra: pro­va ne sia che

      ap­pe­na vi ha in­con­tra­to si è pre­cip­ita­ta  qui  per  rac­con­tarme­lo.  E'

      ar­riva­ta tut­ta tre­mante, sull'or­lo del­lo sven­imen­to".

      “E che cosa vi ha det­to?”.

      "Mi  ha det­to: 'Cer­to ver­rà a trovar­ti',  e mi ha pre­ga­to di im­plo­rare

      per lei il vostro per­dono".

      "Potete dirle che l'ho per­do­na­ta.  E' una  bra­va  ragaz­za,  ma  è  pur

      sem­pre una don­na,  e ciò che mi ha fat­to dove­vo as­pet­tarme­lo.  Le sono

      gra­to del­la sua de­ci­sione,  per­ché og­gi  mi  do­man­do  a  che  cosa  ci

      avrebbe  con­dot­ti  la mia idea di vi­vere per sem­pre con lei.  Era pu­ra

      fol­lia".

      "Sarà ben con­tenta di sapere  che  vi  si­ete  re­so  con­to  che  dove­va

      las­cia­rvi.  Era  ora  che vi las­ci­asse,  caro mio.  L'usuraio al quale

      ave­va pro­pos­to l'ac­quis­to dei mo­bili  era  anda­to  a  trovare  i  suoi

      cred­itori per sapere a quan­to am­mon­tasse il loro cred­ito; questi er­ano

      ri­masti im­pres­sion­ati, e vol­evano far vendere tut­to tra due giorni".

      “E adesso, sono stati pa­gati?”.

      “Quasi del tut­to”.

      “E chi ha an­tic­ipa­to il denaro?”.

      "Il con­te de N... Ah, caro mio, ci sono degli uo­mi­ni fat­ti ap­pos­ta per

      queste cose.  Per far­la breve,  lui le ha da­to ven­tim­ila franchi: ma è

      ar­riva­to dove vol­eva. Sa bene che Mar­guerite non lo ama, ma questo non

      gli im­pedisce di es­sere gen­tile con lei. Avete vis­to, le ha ri­com­pra­to

      i cav­al­li, ha riscat­ta­to i suoi gioiel­li,  e le dà tan­to denaro quan­to

      gliene  da­va il duca;  se vor­rà vi­vere tran­quil­la­mente,  quest'uo­mo le

      sarà vi­ci­no per un pez­zo".

      “E che cosa fa? abi­ta sem­pre a Pa­ri­gi?”.

      "Non ha mai vo­lu­to tornare a Bou­gi­val dopo la  vos­tra  parten­za.  Sono

      an­da­ta io a ripren­dere tut­ta la sua ro­ba, e an­che la vos­tra, di cui ho

      fat­to  un  pac­co  che  è a vos­tra dis­po­sizione.  C'è tut­to,  tranne un

      pic­co­lo  portafoglio  con  le  vostre  cifre.   Mar­guerite  ha  vo­lu­to

      pren­der­lo, e lo ha lei. Se ci tenete, glielo chiederò".

      “Lo  ten­ga pure”,  bal­bet­tai,  sen­ten­do le lacrime af­fluir­mi dal cuore

      agli oc­chi al ri­cor­do di quel vil­lag­gio dove ero sta­to così fe­lice, al

      pen­siero che Mar­guerite tenesse a con­ser­vare per mio ri­cor­do una  cosa

      che mi ap­partene­va.

      Se  in  quel  mo­men­to  fos­se  en­tra­ta,  og­ni mio propos­ito di vendet­ta

      sarebbe cadu­to, e mi sarei get­ta­to ai suoi pie­di.

      “Del resto”,  con­tin­uò Pru­dence,  "non l'ho mai vista come adesso: non

      dorme  quasi  più,  corre  a  tut­ti  i bal­li,  ce­na fuori,  si ubri­aca

      perfi­no.  Ul­ti­ma­mente,  dopo una ce­na,  è ri­mas­ta  a  let­to  per  ot­to

      giorni;  e quan­do il medi­co le ha per­me­sso di alzarsi, ha ri­com­in­ci­ato

      dac­capo, rischi­an­do di morire. An­drete a trovar­la?".

      "A che scopo?  Sono venu­to a trovare voi,  per­ché si­ete  sta­ta  sem­pre

      tan­to  gen­tile  con  me,  e  per­ché  vi  conosce­vo  pri­ma di conoscere

      Mar­guerite.  E' mer­ito vostro se sono sta­to  il  suo  amante,  come  è

      mer­ito vostro se non lo sono più: non è vero?".

      "Oh!  per­bac­co, ho fat­to tut­to quan­to era in me per­ché vi las­ci­asse, e

      cre­do che, un giorno, non mi nu­trirete più ran­core per me".

      “Ve ne sono doppi­amente gra­to”,  sog­giun­si,  alzan­do­mi "per­ché  quel­la

      don­na  com­in­ci­ava  a venir­mi a noia,  col suo pren­dere sul se­rio tut­to

      quel­lo che le dice­vo".

      “Ve ne an­date?”.

      “Sì”.

      Ne sape­vo ab­bas­tan­za.

      “Quan­do vi si rive­drà?”.

      “Presto. Ad­dio”.

      “Ad­dio”.

      Pru­dence mi ac­com­pa­gnò al­la por­ta, e io tor­nai a casa,  con le lacrime

      del­la rab­bia negli oc­chi e un bisog­no di vendet­ta.

      Così,  Mar­guerite era pro­prio come le al­tre; così quell'amore pro­fon­do

      che ave­va per me non ave­va su­per­ato il deside­rio di ripren­dere la vi­ta

      pas­sa­ta,  non ave­va vin­to la sma­nia di avere una car­roz­za e  di  dar­si

      alle orge.

      Ec­co che cosa dice­vo a me stes­so, tor­men­ta­to dall'in­son­nia, men­tre, se

      aves­si  ri­flet­tuto  con quel­la stes­sa fred­dez­za che an­da­vo os­ten­tan­do,

      avrei vis­to in quel­la nuo­va chi­as­sosa es­isten­za di Mar­guerite  la  sua

      sper­an­za di far tacere un pen­siero con­tin­uo, un in­ces­sante ri­cor­do.

      Purtrop­po,  la pas­sione mi ac­ce­ca­va, e non face­vo che cer­care un mez­zo

      col quale tor­tu­rare quel­la povera crea­tu­ra.

      Oh!  l'uo­mo è ben meschi­no e vile quan­do una delle sue in­time pas­sioni

      è feri­ta.

      Quel­la Olympe,  con la quale ave­vo vis­to Mar­guerite, era se non la sua

      am­ica al­meno colei che lei fre­quen­ta­va di più da quan­do era tor­na­ta  a

      Pa­ri­gi.  Sep­pi  che  sta­va per dare un bal­lo,  e poiché pen­sa­vo che ci

      sarebbe an­da­ta an­che Mar­guerite,  cer­cai di ot­tenere un in­vi­to,  e  ci

      riuscii.

      Quan­do,  in pre­da a una do­lorosa emozione, ar­rivai a quel bal­lo, c'era

      già mol­ta an­imazione.  Si balla­va,  si gri­da­va,  e in una  quadriglia,

      vi­di  Mar­guerite  col  con­te de N...  che sem­bra­va molto or­goglioso di

      mostrar­la, e sem­bra­va dire a tut­ti “Ques­ta don­na è mia!”. Mi ap­pog­giai

      al caminet­to,  pro­prio di fronte a Mar­guerite,  e la guardai  bal­lare.

      Ap­pe­na mi vide si tur­bò.  La guardai e la salu­tai dis­trat­ta­mente,  con

      un cen­no del­la mano e degli oc­chi.

      Se pen­sa­vo che, dopo il bal­lo,  non sarebbe an­da­ta via con me,  ma con

      quel  ric­co  id­io­ta,  se  mi  im­mag­ina­vo quel­lo che sarebbe cer­ta­mente

      suc­ces­so al loro ri­torno a casa di lei, il sangue mi sali­va al vi­so, e

      sen­ti­vo il bisog­no di tur­bare i loro amori.

      Dopo la con­trad­dan­za,  andai  a  salutare  la  padrona  di  casa,  che

      espone­va  al­lo  sguar­do  degli  in­vi­tati le sue mag­nifiche spalle e la

      metà di un seno splen­dente.

      Era bel­la,  forse più bel­la di Mar­guerite.  Lo capii an­co­ra meglio  da

      cer­ti sguar­di che quest'ul­ti­ma lan­ci­ava a Olympe men­tre io le parla­vo.

      L'uo­mo  che  sarebbe  sta­to  l'amante  di  quel­la  don­na pote­va es­sere

      or­goglioso quan­to mon­sieur de N...,  e lei era tan­to bel­la da ispi­rare

      una pas­sione pari a quel­la che Mar­guerite mi ave­va ispi­ra­ta.

      In  quel  mo­men­to  non  ave­va  un amante.  Non sarebbe sta­to dif­fi­cile

      di­ven­tar­lo.  Sarebbe bas­ta­to mostrar­le tan­to oro  da  costringer­la  ad

      ac­corg­er­si di me.  Pre­si una de­ci­sione.  Quel­la don­na sarebbe sta­ta la

      mia amante.

      Com­in­ci­ai la parte di corteggia­tore bal­lan­do con Olympe.

      Mezz'ora dopo,  Mar­guerite,  pal­li­da  come  una  mor­ta,  in­dos­sa­va  il

      man­tel­lo e las­ci­ava la fes­ta.

 

      CAPITOLO 24.

 

      Era già molto, ma non ab­bas­tan­za. Ave­vo capi­to quale as­cen­dente aves­si

      su quel­la don­na, e ne abusa­vo vil­mente.

      Quan­do pen­so che or­mai non c'è più,  mi chiedo se Dio mi per­don­erà mai

      il male che ho fat­to.

      Dopo il pran­zo, al­le­gro e ru­mor­oso, si giocò.

      Mi sedet­ti ac­can­to a Olympe e pun­tai ii denaro con  tan­ta  non­cu­ran­za,

      che  lei  non  poté fare a meno di prestare at­ten­zione.  In un at­ti­mo,

      vin­si cen­tocin­quan­ta o due­cen­to lui­gi,  che sis­temai da­van­ti a  me,  e

      sui quali lei fis­sò uno sguar­do ar­dente.

      Ero il so­lo a non es­sere com­ple­ta­mente as­sor­to nel gio­co e a oc­cu­par­mi

      di  lei.  Per  tut­ta  la notte vin­si,  e le die­di an­che del denaro per

      gio­care, poiché ave­va per­so tut­ta la sua pos­ta,  che era prob­abil­mente

      tut­to quan­to possede­va.

      Alle cinque la sala si vuotò.

      Ave­vo vin­to tre­cen­to lui­gi.

      Tut­ti  i  gio­ca­tori  er­ano già sce­si,  e io so­lo ero ri­mas­to in­di­etro,

      sen­za che nes­suno se ne ac­corgesse,  per­ché non ero am­ico  di  nes­suno

      dei pre­sen­ti.

      Olympe stes­sa face­va luce sulle scale,  e io sta­vo per scen­dere,  come

      gli al­tri, quan­do, tor­nan­do ver­so di lei, le dis­si:

      “De­vo par­larvi”.

      “Do­mani”, rispose.

      “No, subito”.

      “Che cosa avete da dir­mi?”.

      “Lo ve­drete”.

      E ri­en­trai.

      “Avete per­du­to”, le dis­si.

      “Sì”.

      “Tut­to quan­to ave­vate in casa?”.

      Es­itò.

      “Siate sin­cera”.

      “Ebbene, è vero”.

      "Io  ho  vin­to  tre­cen­to  lui­gi,  ec­coli,  purché  mi  con­sen­ti­ate  di

      ri­manere".

      "No, per­ché am­ate Mar­guerite, e vo­lete ven­di­carvi di lei di­ven­tan­do il

      mio amante. Non si in­gan­na una don­na come me, mio caro; purtrop­po sono

      an­co­ra  trop­po  gio­vane  e  trop­po  bel­la da ac­cettare la parte che mi

      pro­ponete".

      “Dunque, ri­fi­utate?”.

      “Sì”.

      "Preferite amar­mi sen­za in­ter­esse?  Al­lo­ra sarei  io  a  non  vol­er­lo.

      Ri­flet­tete,  cara  Olympe;  se vi aves­si manda­to un al­tro a of­frirvi i

      tre­cen­to lui­gi da parte mia alle con­dizioni che vi ho  det­to,  avreste

      ac­cetta­to.  Ma  ho prefer­ito trattare la cosa di­ret­ta­mente.  Ac­cettate

      sen­za cer­care di sapere le cause che mi han­no spin­to  ad  agire  così;

      dite a voi stes­sa che si­ete bel­la,  e che non c'è niente di stra­no nel

      fat­to che io sia in­namora­to di voi".

      Mar­guerite era una man­tenu­ta,  come Olympe,  e tut­tavia non avrei  mai

      os­ato dirle,  la pri­ma vol­ta che l'ave­vo vista, quel­lo che ave­vo det­to

      a ques­ta don­na.  Era per­ché ama­vo Mar­guerite,  ave­vo in­dov­ina­to in lei

      istin­ti che all'al­tra man­ca­vano, e nel mo­men­to stes­so in cui pro­pone­vo

      quel mer­ca­to,  quel­la con cui sta­vo per con­clud­er­lo, nonos­tante la sua

      bellez­za, mi dis­gus­ta­va.

      Al­la fine, nat­ural­mente,  ac­cettò,  e di­ven­ni il suo amante;  uscii di

      casa  sua  l'in­do­mani  a  mez­zo­giorno,  ma  las­ci­ai il suo let­to sen­za

      ri­cor­dare af­fat­to le carezze e le pa­role d'amore che si era cre­du­ta in

      do­vere di prodi­gar­mi in cam­bio dei seim­ila franchi che le las­ci­avo.

      E tut­tavia, al­cu­ni si er­ano rov­inati per quel­la don­na.

      Da quel giorno,  la mia per­se­cuzione nei con­fron­ti di  Mar­guerite  non

      ebbe  sos­ta.  Olympe  e  lei  smis­ero di ved­er­si,  capite bene per­ché.

      Re­galai al­la mia nuo­va amante una car­roz­za, dei gioiel­li, gio­cai, fe­ci

      in­fine  tutte  le  pazz­ie  che  avrebbe  fat­to  chi­unque  fos­se  sta­to

      in­namora­to  di una don­na come Olympe.  L'eco del­la mia nuo­va re­lazione

      si dif­fuse ovunque.

      La stes­sa Pru­dence  ci  cadde,  e  finì  col  credere  che  io  aves­si

      com­ple­ta­mente  di­men­ti­ca­to  Mar­guerite.  Quest'ul­ti­ma,  sia che avesse

      in­dov­ina­to il mo­ti­vo che mi face­va agire,  sia che si in­gan­nasse  come

      gli  al­tri,  rea­gi­va con grande dig­nità alle ferite che og­ni giorno le

      procu­ra­vo.

      Però,  mi pare­va che sof­frisse,  per­ché,  dovunque la in­con­trassi,  la

      vede­vo  sem­pre più pal­li­da,  sem­pre più triste.  Il mio amore per lei,

      esalta­to al pun­to da ras­somigliare all'odio, gioi­va al­la vista di quel

      do­lore quo­tid­iano.  Più volte,  in  cir­costanze  nelle  quali  la  mia

      crudeltà  fu  in­fame,  Mar­guerite  alzò  su  di  me degli sguar­di così

      sup­plichevoli da far­mi ar­rossire del­la parte che ave­vo as­sun­to,  e fui

      sul pun­to di chieder­le scusa.

      Ma questi pen­ti­men­ti non du­ra­vano che un is­tante,  e Olympe, che ave­va

      fini­to col far tacere og­ni sor­ta di amor pro­prio,  e che ave­va  capi­to

      che facen­do del male a Mar­guerite avrebbe ot­tenu­to da me tut­to ciò che

      vol­eva,  mi  ec­ci­ta­va  con­tin­ua­mente con­tro l'al­tra,  e non trascu­ra­va

      oc­ca­sione d'in­sul­tar­la,  con la per­sis­tente vigli­ac­cheria del­la  don­na

      che ha un uo­mo di­etro le spalle.

      Mar­guerite ave­va fini­to col non an­dare più né a feste né a spet­ta­coli,

      nel  tim­ore  di  in­con­trare  Olympe  e  me.  Al­lo­ra le let­tere anon­ime

      pre­sero il pos­to degli oltrag­gi di­ret­ti,  e non ci fu cosa  ver­gog­nosa

      che  io  non in­ci­tas­si a dire e che non di­ces­si io stes­so sul con­to di

      Mar­guerite.

      Ero cer­ta­mente paz­zo per ar­rivare a quel pun­to.  Ero come un uo­mo che,

      ubri­acatosi  con  del  vi­no  cat­ti­vo,  cade  in  pre­da a una di quelle

      esaltazioni ner­vose nelle quali la mano è ca­pace di un  delit­to  sen­za

      che  la  mente  vi  parte­cipi.  In  mez­zo a tut­to questo,  sof­fri­vo il

      mar­tirio.  La cal­ma pri­va di ran­core,  la dig­nità pri­va di  dis­prez­zo,

      con  le quali Mar­guerite rispon­de­va a tut­ti i miei at­tac­chi,  e che ai

      miei oc­chi la ren­de­vano su­pe­ri­ore a me,  mi ir­ri­ta­vano an­co­ra  di  più

      con­tro di lei.

      Una  sera,   Olympe  era  an­da­ta  non  so  dove,  e  ave­va  in­con­tra­to

      Mar­guerite,  che ques­ta vol­ta non ave­va fat­to grazia a quel­la  scioc­ca

      che  la  in­sul­ta­va,  al  pun­to che quest'ul­ti­ma ave­va dovu­to dar­si per

      vin­ta.  Olympe era tor­na­ta a casa  fu­riosa,  e  Mar­guerite  era  sta­ta

      por­ta­ta via svenu­ta.

      Ri­en­tran­do,  Olympe mi ave­va rac­con­ta­to quel­lo che era suc­ces­so,  e mi

      ave­va det­to che Mar­guerite,  ve­den­dola so­la,  ave­va vo­lu­to  ven­di­car­si

      del­la don­na che era la mia amante, e che bisog­na­va che le scrives­si di

      rispettare, che io fos­si o no pre­sente, la don­na che ama­vo.

      Non c'è bisog­no che vi di­ca che ac­consen­tii,  e che tut­to quan­to potei

      trovare di amaro,  di ver­gog­noso e  di  crudele,  lo  misi  in  quel­la

      let­tera, che in­vi­ai il giorno dopo all'in­di­riz­zo di Mar­guerite.

      Ques­ta  vol­ta  il  colpo  era  trop­po forte per­ché la pove­ri­na potesse

      sop­por­tar­lo sen­za rea­gire.

      Im­mag­ina­vo che avrei avu­to una rispos­ta; e così de­cisi di non muover­mi

      di casa per tut­to il giorno.

      Ver­so le due suonarono, e vi­di en­trare Pru­dence.

      Cer­cai di as­sumere un'espres­sione in­dif­fer­ente, e le chiesi a che cosa

      dove­vo la sua visi­ta;  ma quel giorno madame Du­ver­noy non era in  ve­na

      di scherzare,  e con tono sin­ce­ra­mente com­mosso mi disse che da quan­do

      ero tor­na­to, cioè da cir­ca tre set­ti­mane, non mi ero las­ci­ato sfug­gire

      un'oc­ca­sione per mal­trattare Mar­guerite,  che se ne era  am­mala­ta:  la

      sce­na  del  giorno  pri­ma e la mia let­tera di quel­la mat­ti­na l'ave­vano

      costret­ta a met­ter­si a let­to.

      In­som­ma, sen­za far­mi rim­proveri,  Mar­guerite man­da­va a chiedere pietà,

      facen­do­mi dire che non ave­va più la forza morale né la forza fisi­ca di

      sop­portare quel­lo che le face­vo.

      “Che  made­moi­selle Gau­ti­er”,  dis­si a Pru­dence,  "mi al­lon­tani da casa

      sua, è suo dirit­to, ma che in­sul­ti la don­na che amo,  col pretesto che

      quel­la don­na è la mia amante, è una cosa che non per­me­tterò mai".

      “Am­ico  mio”,  disse Pru­dence,  "Voi subite l'in­fluen­za di una ragaz­za

      sen­za cuore e sen­za cervel­lo;  ne si­ete in­namora­to,  è vero,  ma non è

      una ra­gione per tor­tu­rare una don­na che non si può difend­ere".

      “Made­moi­selle Gau­ti­er mi man­di il suo con­te de N..., e sare­mo pari”.

      "Sapete bene che non lo farà. Dunque, caro Ar­mand, las­ci­atela in pace,

      se la vedeste, avreste ver­gogna del mo­do in cui vi com­por­tate ver­so di

      lei. E' pal­li­da, tossisce, non ha più mol­ta stra­da da­van­ti".

      E Pru­dence mi tese la mano, ag­giun­gen­do:

      “Ven­ite a trovar­la, la vos­tra visi­ta la farà molto fe­lice”.

      “Non ho voglia di in­con­trare mon­sieur de N...”.

      “Mon­sieur de N... non c'è mai. Lei non lo può sof­frire”.

      "Se  Mar­guerite  tiene  a  ve­der­mi,  sa dove abito;  ven­ga,  ma io non

      met­terò piede in rue d'Antin".

      “E la ricev­erete bene?”.

      “Per­fet­ta­mente”.

      “Al­lo­ra ver­rà, ne sono cer­ta”.

      “Ven­ga!”.

      “Us­cirete og­gi?”.

      “Resterò in casa tut­ta la sera”.

      “Glielo dirò”.

      Pru­dence se ne andò.

      Non scrissi nep­pure ad Olympe per dirle che non sarei anda­to  da  lei.

      Non  face­vo  com­pli­men­ti con quel­la ragaz­za.  Era già molto se pas­sa­vo

      con lei una notte og­ni set­ti­mana. Lei se ne con­sola­va,  cre­do,  con un

      at­tore di non so quale teatro dei boule­vards.

      Uscii per cenare,  e ri­en­trai quasi subito. Fe­ci ac­cen­dere il fuo­co in

      og­ni stan­za e dis­si a Joseph di us­cire.

      Non sono in gra­do di rac­con­tavi le tante im­pres­sioni che si  ag­ita­vano

      in me in quell'ora di at­te­sa: ma quan­do,  er­ano quasi le nove,  sen­tii

      suonare,  quelle im­pres­sioni cedet­tero il pos­to  a  un'emozione  tan­to

      forte che, an­dan­do ad aprire, fui costret­to ad ap­pog­gia­rmi al muro per

      non cadere.

      For­tu­nata­mente, l'an­ti­cam­era era in penom­bra, e l'espres­sione al­ter­ata

      del mio vi­so era meno vis­ibile.

      Mar­guerite en­trò.

      Era vesti­ta di nero,  e ve­la­ta.  Ri­conob­bi ap­pe­na il suo vi­so sot­to il

      velo.

      En­trò nel sa­lone e si sco­prì il vi­so.

      Era pal­li­da come il mar­mo.

      “Ec­co­mi, Ar­mand”, disse; “vol­evate ve­der­mi, sono venu­ta”.

      E, pren­den­dosi la tes­ta fra le mani, scop­piò in pianto.

      Mi avvic­inai a lei.

      “Che avete?”, le chiesi, con voce al­ter­ata.

      Mi strinse la mano sen­za rispon­der­mi,  per­ché la sua voce  era  ve­la­ta

      dalle lacrime. Ma dopo qualche is­tante, cal­matasi un poco, mi disse:

      “Mi avete fat­to molto male, Ar­mand, e io non vi ho fat­to niente”.

      “Niente?”, repli­cai con un amaro sor­riso.

      “Niente che le cir­costanze non mi ab­biano costret­to a farvi”.

      Non so se nel­la vos­tra vi­ta ab­bi­ate mai prova­to o proverete mai quel­lo

      che io provai ve­den­do Mar­guerite.

      L'ul­ti­ma  vol­ta che era venu­ta a casa mia,  si era se­du­ta nel­lo stes­so

      pos­to in cui era se­du­ta  ora;  soltan­to,  da  quell'epoca,  era  sta­ta

      l'amante di un al­tro; al­tri baci ave­vano sfio­ra­to le sue lab­bra, ver­so

      le  quali  le mie si pro­ten­de­vano mio mal­gra­do,  e tut­tavia sen­ti­vo di

      amare quel­la don­na al­tret­tan­to e forse più di quan­to non l'aves­si  mai

      am­ata.

      Tut­tavia, era dif­fi­cile per me portare la con­ver­sazione sull'ar­go­men­to

      che  la  con­duce­va  in  casa  mia.  Cer­to  Mar­guerite lo capì,  per­ché

      riprese:

      "Ven­go a dis­tur­barvi, Ar­mand, per­ché ho due cose da chiedervi; per­dono

      di quel­lo che ho det­to ieri a made­moi­selle Olympe, e gra­zie per quel­lo

      che si­ete forse pron­to a far­mi patire an­co­ra. Volon­tari­amente o no, da

      quan­do si­ete tor­na­to mi avete fat­to tan­to male, che ora sarei in­ca­pace

      di sop­portare la quar­ta parte delle emozioni che ho sop­por­ta­to fi­no  a

      ques­ta mat­ti­na.  Avrete pietà di me,  vero? e capirete che per un uo­mo

      di cuore ci sono cose più no­bili da fare che ven­di­car­si di  una  don­na

      am­mala­ta e triste come me.  Ec­co,  pren­dete la mia mano. Ho la feb­bre,

      ma ho las­ci­ato  il  let­to  per  venire  a  chiedervi,  non  la  vos­tra

      am­icizia, ma la vos­tra in­dif­feren­za".

      Le pre­si la mano.  Bru­ci­ava, e la povera don­na era tut­ta bri­vi­di sot­to

      il man­tel­lo di vel­lu­to.

      Spin­si da­van­ti al fuo­co  la  poltrona  nel­la  quale  sede­va.  "Cre­dete

      dunque  che  io non ab­bia sof­fer­to“,  ripresi,  ”la notte nel­la quale,

      dopo avervi at­te­sa in cam­pagna,  ven­ni a  cer­carvi  a  Pa­ri­gi,  e  non

      trovai che quel­la let­tera per la quale ho rischi­ato di im­pazz­ire? Come

      avete po­tu­to in­gan­nar­mi, Mar­guerite, quan­do vi ama­vo tan­to?".

      "Non  par­liamo  di questo,  Ar­mand,  non sono venu­ta per par­larne.  Ho

      vo­lu­to ved­ervi non più ne­mi­co,  ec­co tut­to,  e ho vo­lu­to stringervi la

      mano an­co­ra una vol­ta.  Avete un'amante gio­vane e bel­la, che vi ama, a

      quan­to si dice: siate fe­lice con lei e di­men­ti­cate­mi".

      “E voi, an­che voi si­ete fe­lice, vero?”.

      "Ho forse il vi­so di una don­na fe­lice,  Ar­mand?  Non pren­de­te­vi  gio­co

      del  mio  do­lore,  voi che sapete meglio di chi­unque al­tro da che cosa

      deri­va e quan­to è grande".

      "Non dipen­de­va che da voi non conoscere mai l'in­fe­lic­ità, se ve­ra­mente

      la conoscete come dite".

      "No, am­ico mio, le cir­costanze sono state più for­ti del­la mia volon­tà.

      Ho obbe­di­to, non ai miei istin­ti di man­tenu­ta,  come sem­brate credere,

      ma  a  una  im­pe­riosa  ne­ces­sità,  e  a  delle  ra­gioni  che un giorno

      conoscerete, e che vi sp­inger­an­no a per­don­ar­mi".

      “Per­ché non me le dite adesso?”.

      "Per­ché non de­ter­minereb­bero un ri­avvic­ina­men­to,  im­pos­si­bile tra noi,

      e  vi  al­lon­tanereb­bero  forse  da  per­sone  dalle  quali  non  dovete

      al­lon­ta­narvi".

      “Chi sono?”.

      “Non pos­so dirvelo”.

      “Al­lo­ra, men­tite”.

      Mar­guerite si alzò e si diresse ver­so la por­ta.

      Non pote­vo  as­sis­tere  a  quel­la  man­ifes­tazione  di  do­lore  mu­ta  ed

      espres­si­va  sen­za  es­serne  com­mosso,  parag­onan­do  tra me e me quel­la

      don­na pal­li­da e pi­angente al­la ragaz­za biz­zarra che si era burla­ta  di

      me all'Opéra-​Comique.

      “Voi non ve ne an­drete”, dis­si met­ten­do­mi da­van­ti al­la por­ta.

      “E per­ché?”.

      "Per­ché  nonos­tante quel­lo che mi hai fat­to,  ti amo sem­pre,  e voglio

      che tu resti con me".

      "Per scac­cia­rmi do­mani,  non è  vero?  No,  è  im­pos­si­bile!  I  nos­tri

      des­ti­ni sono sep­arati,  non cer­chi­amo di ri­unir­li;  mi dis­prezzer­este,

      forse, men­tre adesso non potete che odi­ar­mi".

      “No, Mar­guerite”,  gridai,  sen­ten­do tut­to il mio amore e tut­to il mio

      deside­rio risveg­liar­si al con­tat­to di quel­la don­na.  "No, di­men­ticherò

      tut­to, e sare­mo fe­li­ci, come ci er­ava­mo promes­so".

      Mar­guerite scosse dub­biosa­mente la tes­ta, e disse:

      "Non sono la tua schi­ava,  il tuo  cane?  fa'  di  me  ciò  che  vuoi,

      prendi­mi, sono tua".

      E  toglien­dosi  il  man­tel­lo  e il cap­pel­lo,  li get­tò sul di­vano e si

      sgan­ciò br­us­ca­mente il corset­to,  per­ché,  per una di quelle  reazioni

      così  fre­quen­ti  nel­la sua malat­tia,  il sangue le sali­va al­la tes­ta e

      sem­bra­va sof­fo­car­la.

      Ebbe un colpo di tosse sec­ca e rau­ca.

      “Fa'  dire  al  coc­chiere”,   riprese,   "di  ri­con­durre  in­di­etro  la

      car­roz­za".

      Sce­si io stes­so per man­dar via quell'uo­mo.

      Quan­do ri­en­trai,  Mar­guerite era dis­te­sa da­van­ti al fuo­co, e bat­te­va i

      den­ti per il fred­do.

      La pre­si tra le brac­cia,  la spogli­ai sen­za che lei  facesse  un  so­lo

      movi­men­to, e la por­tai, tut­ta gela­ta, nel let­to.

      Mi  sedet­ti  al­lo­ra  ac­can­to  a lei e cer­cai di riscal­dar­la con le mie

      carezze. Non dice­va una paro­la, ma mi sor­ride­va.

      Oh!  fu una ben strana notte.  Tut­ta la vi­ta  di  Mar­guerite  sem­bra­va

      fluire  nei  baci  di  cui mi co­pri­va,  e io l'ama­vo tan­to,  che negli

      slan­ci del mio feb­bric­itante amore mi chiede­vo se non l'avrei  uc­cisa,

      purché non ap­parte­nesse mai più a un al­tro uo­mo.

      Un  mese  d'amore  come  quel­lo,  ci  avrebbe  dis­trut­ti,  nel cor­po e

      nell'an­ima.

      Il giorno ci tro­vò sveg­li.

      Mar­guerite  era  livi­da.   Non  dice­va  una  paro­la.   Grosse  lacrime

      scen­de­vano  di  tan­to  in  tan­to dai suoi oc­chi,  e si fer­ma­vano sulle

      guance, lu­cen­ti come dia­man­ti.  Le sue brac­cia esauste si ten­de­vano di

      tan­to in tan­to per ab­brac­cia­rmi, e ri­cade­vano sul let­to, sen­za forza.

      Per  un  mo­men­to  cre­det­ti  che  avrei  po­tu­to  di­men­ti­care quan­to era

      ac­cadu­to dopo la mia parten­za da Bou­gi­val, e dis­si a Mar­guerite:

      “Vuoi che par­ti­amo, che las­ci­amo Pa­ri­gi?”.

      “No, no”, mi rispose quasi con ter­rore, "sarem­mo trop­po in­fe­li­ci;  non

      pos­so  più  fare  la  tua fe­lic­ità ma,  fi­no a che avrò vi­ta,  sarò la

      schi­ava dei tuoi capric­ci. A qualunque ora del giorno o del­la notte tu

      mi desideri, vieni, sarò tua, ma non legare mai più il tuo avvenire al

      mio,  saresti trop­po in­fe­lice e mi ren­der­esti  trop­po  in­fe­lice.  Sarò

      bel­la an­co­ra per qualche tem­po, ap­prof­ittane, ma non chie­der­mi al­tro".

      Quan­do  se  ne  fu an­da­ta,  ebbi pau­ra del­la soli­tu­dine nel­la quale mi

      ave­va las­ci­ato.  Due ore dopo,  ero an­co­ra se­du­to sul let­to nel  quale

      lei  era sta­ta,  e guar­da­vo il cus­ci­no che con­ser­va­va l'im­pronta del­la

      sua tes­ta,  chieden­do­mi che cosa avreb­bero fat­to di me il mio amore  e

      la mia gelosia.

      Alle cinque, sen­za sapere quel che face­vo, andai in rue d'Antin.

      Fu Na­nine ad aprir­mi.

      “Madame non può ricev­ervi”, mi disse, im­baraz­za­ta.

      “Per­ché?”.

      "Per­ché il sig­nor con­te de N...  è con lei,  e ho l'or­dine di non fare

      en­trare nes­suno".

      “E' gius­to”,  bal­bet­tai "l'ave­vo di­men­ti­ca­to.  Ri­en­trai  a  casa  come

      ubri­aco,  e sapete quel che fe­ci in un at­ti­mo di deli­rante gelosia che

      bastò a far­mi com­met­tere un'azione ver­gog­nosa,  sapete quel che  fe­ci?

      Mi  dis­si  che quel­la don­na si burla­va di me,  me la im­mag­inai nel suo

      in­ac­ces­si­bile col­lo­quio con il con­te,  in at­to di ripetere  le  stesse

      pa­role che quel­la notte ave­va dette a me, e, pren­den­do un bigli­et­to da

      cin­que­cen­to franchi, glielo mandai con queste pa­role:

      "Ve  ne  si­ete an­da­ta così presto,  sta­mat­ti­na,  che ho di­men­ti­ca­to di

      pa­garvi. Ec­covi il prez­zo di ques­ta notte".

      Poi,  quan­do  la  let­tera  fu  par­ti­ta,  uscii,   come  per  sot­trar­mi

       all'im­me­di­ato ri­mor­so di quell'in­famia.

      Andai  da  Olympe,  che sta­va provan­dosi dei vesti­ti;  quan­do restam­mo

      soli, mi can­tò delle can­zoni oscene per dis­trar­mi.

      Era pro­prio il tipo del­la cor­ti­giana sen­za  ver­gogna,  sen­za  cuore  e

      sen­za cervel­lo, al­meno per me, per­ché forse qual­cuno ave­va fat­to su di

      lei lo stes­so sog­no che io ave­vo fat­to su Mar­guerite.

      Mi chiese del denaro,  glielo die­di e, libero fi­nal­mente di an­darmene,

      ri­en­trai a casa.

      Mar­guerite non mi ave­va rispos­to.

      E' inu­tile che vi di­ca in quale ag­itazione pas­sai il giorno.

      Alle sei e mez­zo, un fat­tori­no mi portò una bus­ta che con­tene­va la mia

      let­tera e il bigli­et­to da cin­que­cen­to franchi, sen­za una paro­la.

      “Chi ve l'ha da­ta?”, chiesi a quell'uo­mo.

      "Una sig­no­ra che parti­va con la sua  cameriera  con  la  dili­gen­za  di

      Boulogne,  e che mi ha rac­co­manda­to di non con­seg­narla che dopo che la

      car­roz­za fos­se us­ci­ta dal cor­tile".

      Mi pre­cip­itai a casa di Mar­guerite.

      “Madame è par­ti­ta per l'In­ghilter­ra alle sei”, mi disse il portiere.

      Nul­la mi trat­tene­va più a Pa­ri­gi, né l'odio, né l'amore.  Tutte quelle

      scosse mi ave­vano pros­tra­to. Un mio am­ico sta­va per fare un vi­ag­gio in

      Ori­ente;   mi   re­cai   da   mio   padre  per  dirgli  che  desider­avo

      ac­com­pa­gnarlo;  egli  mi  diede  delle  let­tere  di  cred­ito  e  delle

      rac­co­man­dazioni, e ot­to o dieci giorni dopo mi im­bar­ca­vo a Mar­siglia.

      Ad Alessan­dria, da un ad­det­to dell'am­bas­ci­ata, che ave­vo vis­to qualche

      vol­ta in casa di Mar­guerite, sep­pi del­la malat­tia del­la pove­ri­na.

      Le scrissi al­lo­ra la let­tera al­la quale es­sa rispose con le pa­role che

      conoscete, e che ricevet­ti a Tolone.

      Par­tii im­me­di­ata­mente; il resto lo sapete.

      Ora,  non  mi  res­ta  che  leg­gervi  i  fogli  che  Julie Duprat mi ha

      con­seg­nati e che sono il com­ple­men­to in­dis­pens­abile di  quan­to  vi  ho

      rac­con­ta­to.

 

 

      CAPITOLO 25.

 

      Ar­mand, stan­co di quel lun­go rac­con­to spes­so in­ter­rot­to dalle lacrime,

      si  co­prì  la fronte con le mani e chiuse gli oc­chi,  sia per pen­sare,

      sia per tentare di dormire,  dopo aver­mi da­to le pagine scritte  dal­la

      mano di Mar­guerite.

      Qualche is­tante dopo,  un respiro un po' più ve­loce mi fece capire che

      Ar­mand dormi­va,  ma di quel son­no leg­gero che  il  min­imo  ru­more  può

      in­ter­rompere.

      Ec­co ciò che lessi; lo trascri­vo sen­za ag­giun­gere né togliere niente:

 

      "Og­gi  è  il  15  dicem­bre.  Sono  am­mala­ta  da  tre o quat­tro giorni.

      Sta­mat­ti­na sono ri­mas­ta a let­to; il tem­po è buio, sono triste; nes­suno

      è vi­ci­no a me, e io pen­so a te,  Ar­mand.  E tu,  dove sei tu men­tre ti

      sto scriven­do queste cose?  Lon­tano da Pa­ri­gi, molto lon­tano, mi han­no

      det­to,  e forse hai già di­men­ti­ca­to Mar­guerite.  Ebbene,  sii  fe­lice,

      per­ché de­vo a te i soli mo­men­ti fe­li­ci del­la mia vi­ta.

      Non  ave­vo po­tu­to re­sistere al deside­rio di sp­ie­gar­ti la mia con­dot­ta,

      e ti ave­vo scrit­to una let­tera; ma una let­tera del genere,  scrit­ta da

      una don­na come me,  sarebbe po­tu­ta sem­brare una men­zogna a meno che la

      morte non l'avesse san­tifi­ca­ta con la sua au­torità e  che,  in­vece  di

      una let­tera, es­sa fos­se sta­ta una con­fes­sione.

      Og­gi sono am­mala­ta, potrei morire di ques­ta malat­tia, per­ché ho sem­pre

      avu­to  il  pre­sen­ti­men­to  di morire gio­vane.  Mia madre è mor­ta di una

      malat­tia di pet­to, e il mo­do nel quale ho fi­no­ra vis­su­to non ha po­tu­to

      che far peg­gio­rare in me ques­ta malat­tia,  la so­la ered­ità che es­sa mi

      ab­bia las­ci­ato; ma non voglio morire sen­za che tu sap­pia bene che cosa

      pen­sare di me se,  co­munque,  quan­do tornerai,  ti pre­oc­cu­perai an­co­ra

      del­la povera ragaz­za che amavi pri­ma di par­tire.

      Ec­co  che  cosa  con­tene­va  quel­la  let­tera,   che  sarei  fe­lice   di

      riscri­vere,   per  dare  a  me  stes­sa  an­co­ra  una  pro­va  di  quan­to

      in­evitabile sia sta­ta la mia con­dot­ta.

      Ti ri­corderai,  Ar­mand,  come l'ar­ri­vo di  tuo  padre  ci  sor­prese  a

      Bou­gi­val;  ti ri­corderai dell'in­volon­tario ter­rore che quell'ar­ri­vo mi

      causò,  del­la sce­na che ebbe lu­ogo fra voi e che tu mi rac­con­tasti  la

      sera.

      L'in­do­mani, men­tre eri a Pa­ri­gi e as­pet­tavi tuo padre che non tor­na­va,

      un  uo­mo  venne da me,  e mi con­seg­nò una let­tera da parte di mon­sieur

      Du­val.

      Ques­ta let­tera, che al­lego al­la mia, mi pre­ga­va, nei ter­mi­ni più seri,

      di al­lon­ta­nar­ti l'in­do­mani con un pretesto qualunque e di rice­vere tuo

      padre;  dove­va par­lar­mi,  e mi rac­co­man­da­va so­prat­tut­to di  non  dirti

      niente del­la sua in­ten­zione.

      Tu sai con quale in­sis­ten­za ti con­sigli­ai,  al tuo ri­torno,  di an­dare

      di nuo­vo a Pa­ri­gi il giorno seguente.

      Eri par­ti­to da un'ora, quan­do si pre­sen­tò tuo padre.  Ti fac­cio grazia

      dell'im­pres­sione  che  mi  fece  il  suo  volto sereno.  Tuo padre era

      im­be­vu­to delle vec­chie teorie sec­on­do le quali og­ni  cor­ti­giana  è  un

      es­sere sen­za cuore, sen­za ra­gione, una specie di macchi­na suc­chi­atrice

      di denaro, sem­pre pronta, come un tor­chio, a stri­to­lare la mano che le

      porge qual­cosa,  e a dis­trug­gere sen­za pietà, sen­za dis­cern­imen­to, chi

      la fa vi­vere e agire.

      Tuo padre mi ave­va scrit­to una let­tera molto cortese per­ché ac­cettas­si

      di ricev­er­lo;  ma non si pre­sen­tò esat­ta­mente come ave­va  scrit­to.  Ci

      furono nelle sue prime pa­role tan­ta su­per­bia, in­solen­za e mi­nac­ce, che

      fui  costret­ta  a far­gli capire che era in casa mia e che non ave­vo da

      ren­der­gli con­to del­la mia vi­ta se non a causa del sin­cero af­fet­to  che

      sen­ti­vo per suo figlio.

      Mon­sieur  Du­val  si  calmò  un po',  ma com­in­ciò a dire che non pote­va

      sop­portare più a lun­go che suo figlio si rov­inasse  per  me;  che  ero

      bel­la,  sì,  ma  per  bel­la  che fos­si,  non dove­vo servir­mi del­la mia

      bellez­za come di un'ar­ma per dis­trug­gere il fu­turo di un  gio­vane  con

      spese come quelle che an­da­vo facen­do.

      A questo, non c'era che una cosa da rispon­dere, non è vero? e cioè con

      le  prove che,  da quan­do ero la tua amante,  nes­sun sac­ri­fi­cio mi era

      penoso per restar­ti fedele sen­za chieder­ti più denaro di quel  che  tu

      potes­si dar­mi.  Gli mostrai le polizze del Monte di Pietà, le rice­vute

      delle per­sone alle  quali  ave­vo  ven­du­to  gli  ogget­ti  che  non  ero

      rius­ci­ta  a im­peg­nare;  co­mu­ni­cai in­oltre a tuo padre la mia de­ci­sione

      di dis­far­mi del mio mo­bilio per pa­gare i deb­iti,  e per vi­vere con  te

      sen­za es­sere un pe­so trop­po grave.

      Gli  par­lai  del­la  nos­tra fe­lic­ità,  del­la riv­elazione,  che mi ave­vi

      da­to,  di una vi­ta più tran­quil­la e gioiosa,  e finì con  l'ar­ren­der­si

      all'ev­iden­za  e col ten­der­mi la mano,  chieden­do­mi per­dono del mo­do in

      cui poco pri­ma si era com­por­ta­to.

      Poi mi disse:

      'Al­lo­ra, sig­no­ra, non più con rim­proveri e mi­nac­ce,  ma con preghiere,

      cercherò di ot­tenere da voi un sac­ri­fi­cio mag­giore di tut­ti quel­li che

      avete fi­no­ra fat­ti per mio figlio'.

      Tremai a quest'in­izio.

      Tuo  padre  mi  si  avvicinò,  mi  prese  le  mani e con­tin­uò con tono

      af­fet­tu­oso:

      'Figli­ola  mia,  non  pren­de­tevela  per  quel­lo  che  sto  per  dirvi;

      ren­de­te­vi  con­to  soltan­to  che la vi­ta ha a volte delle sue ne­ces­sità

      crudeli per i sen­ti­men­ti,  ma alle quali  bisogna  sot­tomet­ter­si.  Voi

      si­ete buona,  e la vos­tra an­ima ha slan­ci gen­erosi sconosciu­ti a molte

      donne che forse vi dis­prez­zano e non val­go­no quan­to  voi.  Ma  pen­sate

      che  oltre  l'amante  c'è  una  famiglia;  che oltre l'amore es­iste il

      do­vere;  che all'età delle pas­sioni segue quel­la in cui un  uo­mo,  per

      es­sere  rispet­ta­to,  ha  bisog­no  di  avere una sol­ida po­sizione.  Mio

      figlio non è ric­co,  e tut­tavia si prepara a ced­ervi l'ered­ità di  sua

      madre.  Se ac­cettasse da voi il sac­ri­fi­cio che state per fare, sarebbe

      costret­to dal suo amore e dal­la sua dig­nità a farvi in  cam­bio  ques­ta

      don­azione,  che  vi met­terebbe per sem­pre al ri­paro da og­ni avver­sità.

      Ma questo sac­ri­fi­cio,  egli non può ac­cettar­lo,  per­ché il mon­do,  che

      non vi conosce, at­tribuirebbe a quel con­sen­so una causa dis­on­es­ta, che

      non  deve  in­tac­care  il  nome che por­ti­amo.  Non ci si chiederebbe se

      Ar­mand vi ama, se voi lo am­ate, se questo amore sia per lui fe­lic­ità e

      per voi la ri­abil­itazione;  non si ve­drebbe che  una  cosa,  cioè  che

      Ar­mand Du­val ha per­me­sso che una man­tenu­ta - per­do­nate­mi,  figlia mia,

      per tut­to quel­lo che sono costret­to a dirvi - vendesse per  lui  tut­to

      quel­lo che possede­va.  Poi,  siatene cer­ta,  ar­riverebbe il giorno dei

      rim­proveri e dei  rimpianti,  per  voi  come  per  tut­ti,  e  dovreste

      en­tram­bi  portare  una cate­na che non potreste spez­zare.  Al­lo­ra,  che

      fareste? La vos­tra giovinez­za sarebbe fini­ta, l'avvenire di mio figlio

      dis­trut­to;  ed io,  suo padre,  non avrei più che da uno so­lo dei miei

      figli la ri­com­pen­sa che as­pet­to da tut­ti e due.

      Voi si­ete gio­vane,  si­ete bel­la, la vi­ta vi con­sol­erà; avete un no­bile

      cuore,  e il ri­cor­do di una buona azione riscat­terà molte delle vostre

      azioni pas­sate.  Da sei mesi che vi conosce, Ar­mand mi ha di­men­ti­ca­to.

      Avrei po­tu­to morire, ed egli non lo avrebbe sa­puto!

      Qualunque sia la vos­tra de­ci­sione di vi­vere di­ver­sa­mente da come avete

      fi­no­ra vis­su­to,  Ar­mand,  che vi ama,  non ac­cetterà mai di im­porvi la

      reclu­sione  al­la  quale  sareste  des­ti­na­ta dal­la mod­es­ta po­sizione di

      lui,  e che non è adat­ta al­la vos­tra bellez­za.  Chi  sa  come  farebbe

      al­lo­ra!  Ha  gio­ca­to,  lo  so;  e  sen­za che voi lo sapeste,  so an­che

      questo;  ma in un mo­men­to di ebbrez­za avrebbe po­tu­to perdere una parte

      di quel che io va­do met­ten­do da parte,  da tan­ti an­ni,  per la dote di

      mia figlia, per lui,  e per una tran­quil­la vec­chi­aia.  Ciò che sarebbe

      po­tu­to ac­cadere, può ac­cadere an­co­ra.

      Si­ete  si­cu­ra,  in­oltre,  che non sareste di nuo­vo at­trat­ta dal­la vi­ta

      che ab­ban­doner­este per seguir­lo? Si­ete si­cu­ra, voi che lo avete am­ato,

      di non  in­namorarvi  di  un  al­tro?  Non  sof­frirete,  in­som­ma,  degli

      os­ta­coli che la vos­tra re­lazione por­rà nel­la vi­ta del vostro amante, e

      dei  quali  non  potrete  con­so­lar­lo  se,   con  l'età,  le  am­bizioni

      suc­ced­er­an­no ai sog­ni d'amore? Ri­flet­tete,  sig­no­ra: voi am­ate Ar­mand,

      di­mostrateglielo  col  so­lo mez­zo che vi res­ta an­co­ra: sac­ri­fi­can­do al

      suo avvenire il vostro amore. Non è suc­ces­so fi­no­ra niente di male, ma

      potrebbe ac­cadere, forse peg­giore di quan­to io pos­sa prevedere. Ar­mand

      potrebbe in­gelosir­si di un uo­mo che vi ha am­ata;  potrebbe provo­car­lo,

      potrebbe  bat­ter­si,  es­sere  uc­ciso,  in­som­ma,  e pen­sate a quel­lo che

      sof­frireste da­van­ti a questo padre,  che vi  chiederebbe  con­to  del­la

      vi­ta di suo figlio.

      In­som­ma,  figli­uo­la,  sap­pi­ate  tut­to,  per­ché  non vi ho an­co­ra det­to

      tut­to,  sap­pi­ate dunque che cosa mi  ha  con­dot­to  a  Pa­ri­gi.  Ho  una

      figlia,  ve  l'ho  det­to,  gio­vane,  bel­la,  pu­ra  come un an­ge­lo.  E'

      in­namora­ta,  e ha fat­to di quest'amore il sog­no del­la sua vi­ta.  Ave­vo

      scrit­to  tut­to  ciò  ad  Ar­mand  ma,  tut­to  pre­so  da voi,  non mi ha

      rispos­to. Ebbene,  mia figlia sta per sposar­si.  Sposa l'uo­mo che ama,

      en­tra  in  una  famiglia  ono­ra­ta che pre­tende che tut­to sia onorev­ole

      nel­la mia.  La famiglia dell'uo­mo che sarà mio gen­ero  ha  sa­puto  che

      vi­ta  con­duce Ar­mand a Pa­ri­gi,  e mi ha dichiara­to che ri­tir­erà la sua

      paro­la se  Ar­mand  con­tin­uerà  con  ques­ta  vi­ta.  L'avvenire  di  una

      fan­ci­ul­la  che non vi ha fat­to niente,  e che ha il dirit­to di con­tare

      sul fu­turo, è nelle vostre mani.

      Avete il dirit­to,  avete la forza di spez­zar­lo?  In  nome  del  vostro

      amore e del vostro pen­ti­men­to,  Mar­guerite, con­cede­te­mi la fe­lic­ità di

      mia figlia'.

      Io pi­ange­vo in silen­zio,  am­ico mio,  da­van­ti a quelle  con­sid­er­azioni

      che  an­ch'io  ave­vo  fat­to  tan­to spes­so,  e che,  sulle lab­bra di tuo

      padre,  veni­vano ad ac­quistare una più se­ria re­altà.  Mi dice­vo  tut­to

      ciò  che  tuo  padre non os­ava dir­mi,  e che ven­ti volte era sta­to sul

      pun­to di dire: che dopo  tut­to  non  ero  che  una  man­tenu­ta,  e  che

      qualunque  ra­gione  at­tribuis­si  al­la nos­tra re­lazione,  avrebbe avu­to

      sem­pre l'as­pet­to del cal­co­lo;  che la mia vi­ta  pas­sa­ta  non  mi  da­va

      al­cun  dirit­to  di  sognare un sim­ile avvenire,  e che ac­cetta­vo delle

      re­spon­sabil­ità alle quali le mie abi­tu­di­ni e la  mia  rep­utazione  non

      da­vano al­cu­na garanzia.

       In­som­ma,  Ar­mand,  ti  ama­vo.  Il  tono  pa­ter­no di mon­sieur Du­val,  i

      sen­ti­men­ti puri che risveg­li­ava in me, la sti­ma che sta­vo per ot­tenere

      da quel vec­chio leale,  la tua che ero  si­cu­ra  che  avrei  avu­ta  più

      tar­di,  tut­to ciò risveg­li­ava nel mio cuore dei no­bili pen­sieri che mi

      in­nalza­vano ai miei stes­si oc­chi,  e face­vano par­lare sante am­bizioni,

      fi­no ad al­lo­ra sconosciute. Quan­do pen­sa­vo che un giorno quel vec­chio,

      che  mi  im­plo­ra­va  per l'avvenire di suo figlio,  avrebbe det­to a sua

      figlia di ri­cor­dare il mio nome nelle sue preghiere come  il  nome  di

      una am­ica mis­te­riosa, mi trasfig­ura­vo, ed ero fiera di me stes­sa.

      L'esaltazione  di  quel  mo­men­to  esager­ava  forse la ver­ità di quelle

      im­pres­sioni;  ma ec­co  che  cosa  provai,  am­ico  mio,  e  quei  nuovi

      sen­ti­men­ti  face­vano  tacere  i  con­sigli  che  mi da­va il ri­cor­do dei

      giorni trascor­si con te.

      'Va bene,  sig­nore',  dis­si a  tuo  padre,  as­ci­ugan­do­mi  le  lacrime.

      'Cre­dete che io ami vostro figlio?'.

      'Sì', rispose mon­sieur Du­val.

      'Di un amore dis­in­ter­es­sato?'.

      'Sì'.

      'Cre­dete che io ab­bia fat­to di quell'amore la sper­an­za,  il sog­no,  la

      re­den­zione del­la mia vi­ta?'.

      'Lo cre­do fer­ma­mente'.

      'Ebbene,  sig­nore,  ab­brac­ciate­mi una vol­ta come ab­brac­cer­este  vos­tra

      figlia; e vi giuro che il vostro ba­cio, il so­lo ve­ra­mente cas­to che io

      avrò mai rice­vu­to,  mi ren­derà forte con­tro il mio amore,  e che en­tro

      ot­to giorni vostro figlio tornerà da voi,  forse in­fe­lice per  qualche

      tem­po, ma guar­ito per sem­pre'.

      'Voi  si­ete  un'an­ima  gen­erosa',  replicò  tuo padre ba­cian­do­mi sul­la

      fronte, 'e fate un ten­ta­ti­vo di cui Dio ter­rà con­to ma temo forte­mente

      che non rius­ci­ate a ot­tenere niente da mio figlio'.

      'Oh! state tran­quil­lo, sig­nore, mi odierà'.

      Ci vol­eva tra noi una bar­ri­era in­sor­montabile per en­tram­bi

      Scrissi a Pru­dence che avrei ac­cetta­to le of­ferte del con­te de N..., e

      che an­dasse a dirgli che avrei ce­na­to con lei e con lui.  Sig­illai  la

      let­tera, e sen­za dirgli che cosa con­te­nesse, pre­gai tuo padre di far­la

      re­cap­itare al suo in­di­riz­zo ar­rivan­do a Pa­ri­gi.

      Egli, tut­tavia, mi chiese che cosa con­te­nesse.

      'La fe­lic­ità di vostro figlio', risposi.

      Tuo  padre mi ab­brac­ciò an­co­ra una vol­ta.  Sen­tii sul­la mia fronte due

      lacrime di ri­conoscen­za che sem­brarono  lavare  le  mie  colpe  di  un

      tem­po,  e nel mo­men­to in cui ac­consen­ti­vo a dar­mi a un al­tro uo­mo,  mi

      il­lu­mi­na­vo d'or­goglio pen­san­do a  quel­lo  che  ac­quis­ta­vo  con  ques­ta

      nuo­va col­pa.

      Era nat­urale,  Ar­mand,  tu mi ave­vi det­to che tuo padre era l'uo­mo più

      on­esto che si potesse trovare.

      Mon­sieur Du­val salì in car­roz­za e partì.

      Ero don­na,  tut­tavia,  e quan­do ti  ri­vi­di,  non  potei  im­pedir­mi  di

      pi­an­gere; ma non cedet­ti.

      Ho fat­to bene?  ec­co che cosa mi chiedo,  og­gi che gi­ac­cio am­mala­ta in

      un let­to che forse lascerò ca­da­vere.

      Tu sei sta­to tes­ti­mone di quel che prova­vo man mano  che  l'ora  del­la

      nos­tra in­evitabile sep­arazione si avvic­ina­va; tuo padre non era più lì

      per  sosten­er­mi,  e  ci  fu  un  mo­men­to  nel  quale  fui sul pun­to di

      con­fes­sar­ti tut­to,  tan­to ero  spaven­ta­ta  dall'idea  che  mi  avresti

      odi­ata e dis­prez­za­ta.

      Una cosa al­la quale forse non cred­erai,  Ar­mand, è che pre­gai Id­dio di

      dar­mi la forza,  e a pro­va che ac­cetta­va il mio  sac­ri­fi­cio,  Egli  mi

      diede quel­la forza che im­plo­ra­vo.

      Du­rante la ce­na ebbi an­co­ra bisog­no di aiu­to, per­ché non vole­vo sapere

      ciò che sta­vo per fare, tan­to teme­vo che il cor­ag­gio mi man­casse!

      Chi avrebbe det­to a me,  Mar­guerite Gau­ti­er,  che avrei sof­fer­to tan­to

      al so­lo pen­siero che avrei avu­to un al­tro amante?

      Bevvi per di­men­ti­care, e quan­do l'in­do­mani mi sveg­li­ai,  ero nel let­to

      del con­te.

      Ec­co tut­ta la ver­ità,  am­ico mio, giu­dica­mi e per­don­ami, come io ti ho

      per­do­na­to per tut­to il male  che  mi  hai  fat­to  a  par­tire  da  quel

      giorno".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

      CAPITOLO 26.

 

      "Ciò che seguì a quel­la notte fa­tale,  lo sai quan­to me, ma quel­lo che

      non sai, quel­lo che non puoi im­mag­inare, è ciò che ho sof­fer­to dopo la

      nos­tra sep­arazione.

      Ave­vo sa­puto che tuo padre ti ave­va por­ta­to via,  ma sape­vo  bene  che

      non avresti po­tu­to vi­vere a lun­go lon­tano da me, e il giorno in cui ti

       in­con­trai agli Champs-​Elysées ne fui com­mossa, ma non stupi­ta.

      Al­lo­ra  com­in­ciò  quel­la se­rie di giorni cias­cuno dei quali mi por­ta­va

      un tuo nuo­vo oltrag­gio, oltrag­gio che riceve­vo quasi con gioia, per­ché

      oltre a es­sere la pro­va che mi amavi an­co­ra,  mi sem­bra­va che,  più mi

      aves­si perse­gui­tata, più mi sarei in­nalza­ta ai tuoi oc­chi il giorno in

      cui avresti sa­puto la ver­ità.

      Non stupir­ti di quel fe­lice mar­tirio,  Ar­mand, l'amore che ave­vi avu­to

      per me ave­va aper­to il mio cuore a no­bili en­tu­si­as­mi.

      Tut­tavia non ero sta­ta subito così forte.

      Tra l'es­ecuzione del mio sac­ri­fi­cio e il tuo ri­torno, era trascor­so un

      pe­ri­odo ab­bas­tan­za lun­go,  du­rante il quale  ave­vo  avu­to  bisog­no  di

      ri­cor­rere  a mezzi fisi­ci per non im­pazz­ire e per stordir­mi nel­la vi­ta

      al­la quale ero tor­na­ta. Pru­dence ti ha det­to, vero, che an­da­vo a tutte

      le feste, a tut­ti i bal­li, a tutte le orge?

      Ave­vo quasi la sper­an­za di uc­ci­der­mi rap­ida­mente,  con gli strav­izi e,

      cre­do,  ques­ta  sper­an­za  non tarderà a re­al­iz­zarsi.  La mia salute si

      al­terò, fa­tal­mente, sem­pre di più, e il giorno in cui ti in­vi­ai madame

      Du­ver­noy a chieder­ti grazia, ero sfini­ta nel cor­po e nell'an­ima.

      Non ti ri­corderò, Ar­mand, in che mo­do tu ab­bia ri­pa­ga­to l'ul­ti­ma pro­va

      d'amore che ti ho da­to,  e con quale oltrag­gio tu ab­bia  scac­cia­to  da

      Pa­ri­gi la don­na che,  vic­ina al­la morte, non ave­va po­tu­to re­sistere al

      suono del­la tua voce che im­plo­ra­va una notte d'amore, e che,  come una

      paz­za,  ha  per  un is­tante cre­du­to di pot­er sal­dare in­sieme pas­sato e

      pre­sente. Tu ave­vi il dirit­to di fare quel che hai fat­to,  Ar­mand: non

      sem­pre le mie not­ti sono state pa­gate così larga­mente!

      Ho  las­ci­ato  tut­to,  al­lo­ra!  Olympe  ha pre­so ii mio pos­to ac­can­to a

      mon­sieur de N..., e si è oc­cu­pa­ta, mi han­no det­to, di far­gli sapere la

      ra­gione del­la mia parten­za. Il con­te de G...  era a Lon­dra.  E' uno di

      quegli uo­mi­ni che, non con­sideran­do l'amore per donne come me che come

      un pi­acev­ole pas­satem­po,  restano am­ici delle donne che han­no avu­to, e

      non provano odio, non aven­do mai prova­to gelosia; è,  in­som­ma,  uno di

      quei  gran  sig­nori  che non aprono per noi che uno spi­raglio del loro

      cuore, ma aprono com­ple­ta­mente la loro bor­sa.  Pen­sai subito a lui,  e

      lo rag­giun­si.  Mi ricevette benis­si­mo,  ma era,  a Lon­dra, l'amante di

      una sig­no­ra del gran mon­do,  e teme­va di com­pro­met­ter­si oc­cu­pan­dosi di

      me. Mi pre­sen­tò ai suoi am­ici, che diedero in mio onore una ce­na, dopo

      la quale uno di loro mi con­dusse a casa sua.

      Che dove­vo fare, am­ico mio?

      Uc­ci­der­mi?  Sarebbe  sta­to come cari­care la tua vi­ta,  che deve es­sere

      fe­lice, di un inu­tile ri­mor­so; e poi, per­ché uc­cider­si quan­do si è già

      così vici­ni al­la morte?

      Pas­sai al­lo sta­to di cor­po senz'an­ima,  di cosa sen­za pen­siero;  vis­si

      per  qualche  tem­po  come  una  au­toma,  poi  tor­nai a Pa­ri­gi e chiesi

      no­tizie di te; sep­pi al­lo­ra che eri par­ti­to per un lun­go vi­ag­gio.  Non

      ave­vo  più  niente che potesse sosten­er­mi.  La mia vi­ta tornò a es­sere

      quel­la che era sta­ta due an­ni  pri­ma  che  ti  conosces­si.  Cer­cai  di

       riag­gan­cia­re  il  duca,  ma  lo  ave­vo trop­po crudel­mente fer­ito,  e i

      vec­chi non sono pazi­en­ti,  cer­to per­ché si  ac­cor­gono  di  non  es­sere

      eterni.  La  malat­tia  mi  so­praf­face­va,  un giorno dopo l'al­tro,  ero

      pal­li­da,  triste,  sem­pre più ma­gra.  Gli uo­mi­ni che com­pra­no  l'amore

      esam­inano  la  mer­ce pri­ma di ac­quis­tar­la.  C'er­ano a Pa­ri­gi donne più

      af­fasci­nan­ti,  più for­mose di me;  mi si di­men­ticò un  poco.  Ec­co  il

      pas­sato, fi­no a ieri.

      Ora sono ir­repara­bil­mente am­mala­ta.  Ho scrit­to al duca per chieder­gli

      del denaro, per­ché non ne ho, e i cred­itori sono tor­nati, e mi por­tano

      i loro con­ti con spi­eta­to ac­cani­men­to.  Il  duca  mi  rispon­derà?  Oh,

      per­ché non sei a Pa­ri­gi,  Ar­mand? ver­resti a trovar­mi, e le tue vis­ite

      mi con­sol­ereb­bero".

 

      20 dicem­bre.

      "C'è un tem­po or­ri­bile, nevi­ca, sono so­la in casa. Da tre giorni mi ha

      as­sal­ito una feb­bre così forte che non ho po­tu­to scriver­ti una paro­la.

      Niente di nuo­vo,  am­ico mio;  og­ni giorno spero vaga­mente in  una  tua

      let­tera, ma non ar­ri­va e cer­to non ar­riverà mai. So­lo gli uo­mi­ni han­no

      la forza di non per­donare. Il duca non mi ha rispos­to.

      Pru­dence ha ri­com­in­ci­ato i suoi vi­ag­gi al Monte di Pietà.

      Sputo sangue sen­za tregua.  Oh!  ti farei pe­na,  se mi vedessi. Tu sei

      ben fe­lice a es­sere sot­to un cielo cal­do e a non avere, come me, tut­to

      un in­ver­no di ghi­ac­cio che ti pe­sa sul pet­to. Og­gi,  mi sono alza­ta un

      po',  e,  di­etro le tende del­la mia fines­tra,  ho vis­to pas­sare ques­ta

      vi­ta di Pa­ri­gi con la quale cre­do di  aver  rot­to  com­ple­ta­mente  og­ni

      rap­por­to.   Qualche   volto   sconosci­uto   è  pas­sato  nel­la  stra­da,

      rap­ida­mente,  gioiosa­mente,  spen­sier­ata­mente.  Nes­suno ha alza­to  gli

      oc­chi ver­so la mia fines­tra.  Tut­tavia,  qualche gio­van­ot­to è venu­to a

      fir­mare.  Già una vol­ta fui mala­ta,  e tu,  che non mi conosce­vi,  che

      ave­vi  avu­to da me so­lo la mia im­per­ti­nen­za del giorno in cui ti ave­vo

      vis­to per la pri­ma vol­ta,  venivi  a  cer­care  mie  no­tizie  tutte  le

      mat­tine.  Ec­co­mi am­mala­ta di nuo­vo.  Ab­bi­amo pas­sato in­sieme sei mesi.

      Ho avu­to per te tan­to amore quan­to può con­tenerne e darne il cuore  di

      una don­na e tu sei lon­tano,  e mi maledi­ci, e non ho da te nep­pure una

      paro­la di con­for­to.  Ma è so­lo il ca­so che mi rende così  ab­ban­do­na­ta,

      ne sono si­cu­ra, per­ché se tu fos­si a Pa­ri­gi, non lascer­esti mai il mio

      capez­za­le e la mia cam­era".

 

      25 dicem­bre.

      "Il  medi­co mi proibisce di scri­vere tut­ti i giorni.  In­fat­ti,  i miei

      ri­cor­di non fan­no che far­mi crescere la feb­bre,  ma ieri,  ho rice­vu­to

      una  let­tera  che  mi  ha fat­to bene,  più per i sen­ti­men­ti di cui era

      l'espres­sione che per l'aiu­to ma­te­ri­ale che veni­va a por­tar­mi.  Quel­la

      let­tera era di tuo padre, ed ec­cone il con­tenu­to.

 

      'Sig­no­ra,

      ho  sa­puto  adesso  che si­ete am­mala­ta.  Se fos­si a Pa­ri­gi,  ver­rei io

      stes­so a chiedere vostre no­tizie, se mio figlio fos­se qui gli di­rei di

      venire a in­for­mar­si,  ma non pos­so las­cia­re C...  e Ar­mand si tro­va  a

      sei o set­te­cen­to leghe di dis­tan­za.  Per­me­ttete­mi dunque,  sig­no­ra, di

      scrivervi  sem­plice­mente  quan­to  io  sia  ad­do­lorato   del­la   vos­tra

      malat­tia,  e  cre­dete  agli au­guri sin­ceri che vi fac­cio di una pronta

      gua­ri­gione.

      Un  mio  buon  am­ico,  mon­sieur  H...,  ver­rà  da  voi.  Deg­nat­evi  di

      ricev­er­lo. Gli ho da­to un in­car­ico del quale at­ten­do con im­pazien­za il

      risul­ta­to.

      Cre­dete, sig­no­ra, al­la mia sin­cera de­vozione'.

 

      Ques­ta  è  la  let­tera  che ho rice­vu­to.  Tuo padre è un no­bile cuore;

      ama­lo,  am­ico mio,  per­ché ci sono al mon­do pochi  uo­mi­ni  al­tret­tan­to

      deg­ni  di es­sere am­ati.  Quel­la let­tera fir­ma­ta da lui mi ha fat­to più

      bene di tutte le ricette del nos­tro grande medi­co.

      Sta­mat­ti­na è venu­to  mon­sieur  H...  Sem­bra­va  molto  im­baraz­za­to  del

      del­ica­to in­car­ico af­fidatogli da mon­sieur Du­val.  Veni­va sem­plice­mente

      a por­tar­mi mille scu­di da parte di tuo padre.  Dap­pri­ma ho ten­ta­to  di

      ri­fi­utare,  ma egli mi ha det­to che un ri­fi­uto avrebbe offe­so mon­sieur

      Du­val, che lo ave­va in­car­ica­to di dar­mi pri­ma di tut­to quel­la som­ma, e

      poi tut­to ciò di cui aves­si avu­to bisog­no.  Ho ac­cetta­to quell'of­fer­ta

      che,  da parte di tuo padre, non è cer­to un'el­emosi­na. Se quan­do sarai

      tor­na­to io sarò mor­ta,  mostra a tuo padre ciò che ho scrit­to per lui,

      e digli che, scriven­do queste righe, la povera ragaz­za al­la quale si è

      deg­na­to  di  scri­vere  quel­la  let­tera con­so­la­trice ver­sa­va lacrime di

      ri­conoscen­za, e pre­ga­va il Sig­nore per lui".

 

      4 gen­naio.

      "Ho pas­sato una se­rie di giorni molto  do­lorosi.  Non  sape­vo  che  il

      cor­po potesse far sof­frire così. Oh, pa­go due volte, og­gi, la mia vi­ta

      pas­sa­ta!

      Sono  sta­ta  veg­li­ata  tutte  le not­ti.  Non pote­vo più res­pi­rare.  Il

      delirio e la tosse si di­vide­vano i resti del­la mia povera es­isten­za.

      La mia sala da pran­zo è piena di dol­ci, di re­gali di og­ni specie che i

      miei am­ici mi han­no por­ta­to.  C'è tra loro,  sen­za dub­bio,  gente  che

      spera  di aver­mi più tar­di come amante.  Se vedessero come la malat­tia

      mi ha ri­dot­to, fug­gireb­bero spaven­tati.

      Pru­dence fa dei doni con quel­li che io rice­vo.

      Fuori c'è una grande gela­ta,  e il dot­tore dice che tra qualche giorno

      potrò us­cire, se il bel tem­po con­tin­ua".

 

      8 gen­naio.

      "Ieri sono us­ci­ta con la mia car­roz­za. Era un tem­po stu­pen­do. Il viale

      degli  Champs-​Elysées  era  pieno  di gente.  Tut­to in­torno a me ave­va

      un'aria di fes­ta. Non ave­vo mai sospet­ta­to che in un rag­gio di sole vi

      fos­se tut­to quel­lo che ieri vi ho trova­to di gioia,  di dol­cez­za e  di

      con­for­to.

      Ho  in­con­tra­to  quasi  tutte  le per­sone che conosco,  sem­pre al­le­gre,

      sem­pre oc­cu­pate nei loro pi­ac­eri. Quan­ta gente è fe­lice,  e non lo sa!

      E' pas­sa­ta Olympe,  in un'el­egante car­roz­za che le è sta­ta re­gala­ta da

      mon­sieur de N... Ha cer­ca­to di in­sul­tar­mi con gli oc­chi. Non sa quan­to

      io sia lon­tana da queste cose.  Un bra­vo gio­vane che conosco da  molto

      tem­po  mi  ha chiesto se vole­vo cenare con lui e con un suo am­ico che,

      mi ha det­to, desider­ava molto conoscer­mi.

      Ho sor­riso tris­te­mente, e gli ho teso una mano bru­ciante di feb­bre.

      Non ho mai vis­to un volto più sbalordi­to.

      Sono tor­na­ta alle quat­tro, ho man­gia­to con un cer­to ap­peti­to.

      Quell'us­ci­ta mi ha fat­to bene. Se guaris­si!

      Come lo spet­ta­co­lo del­la vi­ta e del­la fe­lic­ità degli al­tri resti­tu­isce

      a quel­li che,  il giorno pri­ma,  nel­la soli­tu­dine del­la loro  an­ima  e

      nell'om­bra  del­la  loro  stan­za di am­malati,  si au­gu­ra­vano una rap­ida

      morte, il deside­rio del­la vi­ta!"

 

      10 gen­naio.

      "La mia sper­an­za di guarire non era che un sog­no.

      Ec­co­mi di nuo­vo a let­to,  cop­er­ta di impias­tri bol­len­ti.  Va' un po' a

      of­frire  quel  cor­po che un giorno si pa­ga­va tan­to caro,  e vedrai che

      cosa ti daran­no og­gi!

      Bisogna aver fat­to molto male  pri­ma  di  venire  al  mon­do  o  es­sere

      des­ti­nati a una ben grande fe­lic­ità dopo la morte, per­ché Dio per­me­tta

      che  ques­ta  vi­ta  ab­bia  tutte  le  tor­ture dell'es­pi­azione e tut­ti i

      do­lori del­la pro­va".

 

      12 gen­naio.

      Sof­fro sem­pre.

      Ieri il con­te de N... mi ha manda­to del denaro, ma non l'ho ac­cetta­to.

      Non voglio niente da quell'uo­mo.  E' per causa  sua  che  tu  non  sei

      vi­ci­no a me.

      Oh, i nos­tri bei giorni di Bou­gi­val! dove sono?

      Se  us­cirò  vi­va  da  ques­ta stan­za,  farò un pel­le­gri­nag­gio al­la casa

      nel­la quale ab­bi­amo abi­ta­to in­sieme, ma non us­cirò di qui che mor­ta.

      Chi sa se potrò scriver­ti do­mani?".

 

      25 gen­naio

      "Da undi­ci not­ti non dor­mo,  sof­fo­co,  e  cre­do  in  og­ni  mo­men­to  di

      morire.  Il  medi­co  ha  or­di­na­to che non mi las­ci­no toc­care la pen­na.

      Julie Duprat,  che mi as­siste,  mi ha  per­me­sso  di  scriver­ti  an­co­ra

      qualche  riga.  Non tornerai,  dunque,  pri­ma che io muoia?  E' dunque

      fini­ta per  sem­pre  tra  noi?  Cre­do  che  se  tu  venis­si,  guarirei.

      Al­tri­men­ti, per­ché guarire?"

 

      28 gen­naio.

      "Sta­mani sono sta­ta sveg­li­ata da un gran ru­more. Julie, che dormi­va in

      cam­era  mia,  si è pre­cip­ita­ta nel­la sala da pran­zo.  Ho sen­ti­to delle

      vo­ci maschili con­tro le quali la  sua  lot­ta­va  in­vano.  E'  ri­en­tra­ta

      pi­angen­do.

      Veni­vano  per il pig­no­ra­men­to.  Le ho det­to di las­ciar fare quel­lo che

      es­si chia­mano  gius­tizia.  L'usciere  è  en­tra­to  in  cam­era  mia  col

      cap­pel­lo in tes­ta.  Ha aper­to i cas­set­ti, ha elen­ca­to tut­to quel­lo che

      ha vis­to e non ha avu­to l'aria di ac­corg­er­si che c'era  una  mori­bon­da

      nel let­to che for­tu­nata­mente la car­ità del­la legge mi las­cia.

      Si è deg­na­to di dir­mi,  an­dan­dosene, che pote­vo fare op­po­sizione en­tro

      nove giorni,  ma ha las­ci­ato un cus­tode!  Che sarà  di  me,  mio  Dio!

      Ques­ta  sce­na ha ag­gra­va­to il mio sta­to.  Pru­dence vol­eva chiedere del

      denaro all'am­ico di tuo padre, ma mi sono op­pos­ta.

      Ho rice­vu­to sta­mat­ti­na la  tua  let­tera.  Ne  ave­vo  bisog­no.  La  mia

      rispos­ta ar­riverà in tem­po? Mi vedrai an­co­ra? Ec­co una gior­na­ta fe­lice

      che  mi  fa di­men­ti­care tutte quelle che ho pas­sato da sei set­ti­mane a

      ques­ta parte.  Mi sem­bra di stare meglio,  nonos­tante la tris­tez­za che

      mi pe­sa­va quan­do ti ho rispos­to.

      Dopo tut­to, non si deve es­sere sem­pre in­fe­li­ci.

      Quan­do pen­so che potrei non morire,  che potresti tornare,  che potrei

      rivedere la pri­mav­era,  che potresti  amar­mi  an­co­ra  e  che  potrem­mo

      ri­com­in­cia­re la nos­tra vi­ta dell'an­no scor­so!

      Paz­za che sono!  è già molto se ri­esco a reg­gere la pen­na con la quale

      ti scri­vo questo sog­no in­sen­sato del mio cuore.

      Qualunque cosa ac­ca­da, ti ama­vo molto, Ar­mand, e sarei già mor­ta da un

      pez­zo se non mi soste­nesse  il  ri­cor­do  di  quell'amore  e  una  va­ga

      sper­an­za di ved­er­ti an­co­ra ac­can­to a me".

 

      4 feb­braio.

      "Il  con­te  de G...  è tor­na­to.  La sua amante l'ha tra­di­to.  E' molto

      triste, la ama­va molto. E' venu­to e mi ha rac­con­ta­to tut­to.  Il povero

      ragaz­zo  è  pi­ut­tosto in cat­tive acque,  il che non gli ha im­ped­ito di

      pa­gare l'usciere e di li­cen­ziare il cus­tode.

      Gli ho par­la­to di te,  e mi ha promes­so che ti  par­lerà  di  me.  Come

      di­men­ti­ca­vo,  in  quei  mo­men­ti,  che ero sta­ta la sua amante,  e come

      an­che lui cer­ca­va di farme­lo di­men­ti­care! E' un uo­mo di cuore.

      Il duca ha manda­to ieri a chiedere di me,  e sta­mat­ti­na è venu­to.  Non

      so che cosa an­co­ra man­ten­ga in vi­ta quel vec­chio.  E' ri­masato per tre

      ore ac­can­to a me,  e non mi ha det­to ven­ti pa­role.  Quan­do mi ha vista

      così  pal­li­da,  due grosse lacrime sono scese dai suoi oc­chi.  Cer­to a

      far­lo pi­an­gere era il ri­cor­do del­la morte di sua figlia.

      L'avrà vista morire due volte.  La sua schiena è cur­va,  la sua  tes­ta

      chi­na  ver­so  ter­ra,  il  suo lab­bro pen­dente,  il suo sguar­do spen­to.

      L'età e il  do­lore  gra­vano  col  loro  du­plice  pe­so  sul  suo  cor­po

      strema­to.  Non mi ha ri­volto un rim­provero.  Si sarebbe anzi det­to che

      gioisse in cuor suo del­la dev­as­tazione che la malat­tia ave­va fat­to  in

      me. Sem­bra­va or­goglioso di es­sere in pie­di, quan­do io, an­co­ra gio­vane,

      ero schi­ac­cia­ta dal­la sof­feren­za.

      E'  tor­na­to  il  cat­ti­vo  tem­po.  Nes­suno  viene a trovar­mi.  Julie mi

      as­siste il più pos­si­bile.  Pru­dence,  al­la quale non pos­so dare  tan­to

      denaro come una vol­ta, com­in­cia ad avan­zare pretesti per an­darsene.

      Ora che sto per morire, nonos­tante quel che mi di­cono i medi­ci, per­ché

      ne  ho più d'uno,  il che di­mostra che la malat­tia peg­gio­ra,  quasi mi

      pen­to di aver da­to as­colto a tuo padre; se aves­si sa­puto che non avrei

      sot­trat­to che  un  an­no  al  tuo  avvenire,  non  avrei  re­sis­ti­to  al

      deside­rio  di  pas­sare  questo  an­no  con  te,  e  al­meno  sarei mor­ta

      strin­gen­do una mano am­ica.  E' vero che se  aves­si­mo  vis­su­to  in­sieme

      questo an­no, non sarei mor­ta così presto.

      Sia fat­ta la volon­tà di Dio!".

 

      5 feb­braio.

      "Oh,  Ar­mand, vieni, vieni, sof­fro ter­ri­bil­mente, muoio, Dio mio! Ieri

      ero così triste che non ho vo­lu­to  pas­sare  in  casa  la  ser­ata,  che

      mi­nac­cia­va  di es­sere lun­ga come quel­la del giorno pri­ma.  Il duca era

      venu­to  la  mat­ti­na.   Mi  sem­bra  che  la  vista  di  questo  vec­chio

      di­men­ti­ca­to dal­la morte mi fac­cia morire più in fret­ta.

      Nonos­tante la feb­bre ar­dente che mi di­vo­ra­va,  mi sono fat­ta ve­stire e

      portare al Vaudeville. Julie mi ha mes­so del ros­set­to,  sen­za il quale

      sarei  sem­bra­ta un ca­da­vere.  Sono an­da­ta nel pal­co nel quale ti die­di

      il nos­tro pri­mo ap­pun­ta­men­to;  per tut­to il tem­po ho tenu­to gli  oc­chi

      fis­si sul­la poltrona che oc­cu­pavi quel­la sera, e che ieri era oc­cu­pa­ta

      da  una  specie  di  bi­fol­co,  che  ride­va  ru­mor­osa­mente per tutte le

      stup­idag­gi­ni propinate dagli at­tori.  Mi han­no ri­por­ta­ta a casa  mez­za

      mor­ta.  Og­gi  non  pos­so  più  par­lare,  pos­so  a  malape­na muo­vere le

      brac­cia. Dio mio,  Dio mio,  sto per morire!  Me lo as­pet­ta­vo,  ma non

      pos­so  abit­uar­mi  all'idea che dovrò sof­frire più di quan­to sof­fro,  e

      se...".

 

      Da ques­ta paro­la in poi le poche pa­role che Mar­guerite  ave­va  cer­ca­to

      di scri­vere er­ano il­leg­gi­bili, ed era sta­ta Julie Duprat a con­tin­uare.

 

      18 feb­braio.

      Mon­sieur Ar­mand,

      dal  giorno  in  cui  ha  vo­lu­to an­dare a teatro,  Mar­guerite è an­da­ta

      sem­pre peg­gio­ran­do.  Ha per­so com­ple­ta­mente la voce,  poi l'uso  delle

      mem­bra.   Quel­lo  che  sof­fre  la  nos­tra  povera  am­ica  non  si  può

      rac­con­tare.  Io non sono abit­ua­ta a queste  emozioni,  e  ho  spaven­ti

      con­tinui.

      Come vor­rei che fos­te qui con noi!  Lei deli­ra quasi con­tin­ua­mente, ma

      deli­rante o lu­ci­da,  è sem­pre il  vostro  nome  che  pro­nun­cia  quan­do

      ri­esce a dire una paro­la.

      Il medi­co mi ha det­to che ne ha per poco. Da quan­do è così peg­gio­ra­ta,

      il duca non è tor­na­to. Ha det­to al medi­co che questo spet­ta­co­lo gli fa

      trop­po male.

      Madame  Du­ver­noy  non  si  com­por­ta  af­fat­to bene.  Ques­ta don­na,  che

      cre­de­va di ot­tenere più denaro da Mar­guerite,  a  cari­co  del­la  quale

      vive­va  quasi del tut­to,  ha pre­so degli im­peg­ni che non può man­tenere

      e,  ve­den­do che la sua vic­ina non può più  es­ser­le  utile,  non  viene

      nem­meno  più  a  trovar­la.  Tut­ti  la  ab­ban­do­nano.  Mon­sieur de G...,

      rov­ina­to dai  deb­iti,  è  sta­to  costret­to  a  ri­par­tire  per  Lon­dra.

      Par­tendo,  ci ha in­vi­ato un po' di denaro;  egli ha fat­to tut­to quel­lo

      che ha po­tu­to,  ma  sono  tor­nati  a  pig­no­rare,  e  i  cred­itori  non

      as­pet­tano che la morte di lei per far vendere tut­to.

      Vole­vo  imp­ie­gare  i  miei  ul­ti­mi  rispar­mi per im­pedire tut­ti questi

      pig­no­ra­men­ti,  ma l'uf­fi­ciale giudiziario mi ha det­to che era inu­tile,

      e che ave­va an­che al­tre sen­ten­ze da es­eguire.  Dal mo­men­to che sta per

      morire,  tan­to vale ab­ban­donare tut­to,  pi­ut­tosto che  sal­vare  ques­ta

      ro­ba  per la sua famiglia,  che lei non ha mai vo­lu­to vedere e che non

      le ha mai vo­lu­to bene.  Non potete im­mag­inare in mez­zo a quale mis­eria

      do­ra­ta  stia  moren­do  ques­ta  pove­ri­na.  Ieri non ave­va­mo più denaro.

      Cop­erte, gioiel­li, man­tel­li,  tut­to è im­peg­na­to,  il resto è ven­du­to o

      pig­no­ra­to.  Mar­guerite ha an­co­ra co­scien­za di ciò che ac­cade in­torno a

      lei, e ne sof­fre nel cor­po, nell'an­ima e nel cuore.  Grosse lacrime le

      scivolano  sulle  guance,  così ma­gre e pal­lide che non ri­conoscer­este

      più il vi­so di colei che ama­vate tan­to,  se  poteste  ved­er­la.  Mi  ha

      fat­to  promet­tere  che  vi  avrei  scrit­to quan­do es­sa non avrebbe più

      po­tu­to far­lo, e scri­vo da­van­ti a lei. Mi guar­da sen­za ve­der­mi,  il suo

      sguar­do è già of­fus­ca­to dal­la morte che si avvic­ina; tut­tavia sor­ride,

      e  tut­ti  i  suoi pen­sieri,  tut­ta la sua an­ima sono per voi,  ne sono

      cer­ta.

      Og­ni vol­ta che viene aper­ta la por­ta,  i suoi oc­chi si  il­lu­mi­nano,  e

      pen­sa sem­pre di ved­ervi en­trare;  poi,  quan­do vede che non si­ete voi,

      il suo vi­so riprende la sua espres­sione do­lorosa,  si bagna di  fred­do

      su­dore, e le sue guance si fan­no di por­po­ra".

 

      19 feb­braio, mez­zan­otte.

      "Che  triste  gior­na­ta  quel­la  di  og­gi,  mio povero mon­sieur Ar­mand!

      Sta­mane Mar­guerite sof­fo­ca­va, il medi­co le ha fat­to un salas­so, e le è

      tor­na­to un fi­lo di voce. Il dot­tore le ha con­siglia­to di far venire un

      prete. Ha det­to di sì,  ed è anda­to lui stes­so a cer­care l'abate del­la

      chiesa di Saint-​Roch.

      Frat­tan­to  Mar­guerite  mi  ha  chia­ma­ta  ac­can­to  al suo let­to,  mi ha

      pre­ga­ta di aprire l'ar­ma­dio,  poi mi ha in­di­ca­to  una  cuffi­et­ta,  una

      cam­icia  lun­ga  tut­ta  cop­er­ta  di  mer­let­ti,  e  mi ha det­to con voce

      de­bolis­si­ma:

      'Morirò dopo es­ser­mi con­fes­sa­ta,  per­ciò ves­ti­mi con questi ogget­ti: è

      una civet­te­ria da mori­bon­da'.

      Poi  mi  ha ab­brac­cia­to pi­angen­do,  e ha ag­giun­to: 'Pos­so par­lare,  ma

      quan­do par­lo sof­fo­co. Sof­fo­co! aria!'.

      Scop­pi­ai in pianto, aprii la fines­tra, e dopo qualche is­tante en­trò il

      prete. Gli andai in­con­tro.

      Quan­do seppe in casa di chi era,  sem­brò che avesse  pau­ra  di  es­sere

      male ac­colto.

      'En­trate lib­er­amente padre', gli dis­si.

      E' ri­mas­to poco nel­la stan­za dell'am­mala­ta, e ne è us­ci­to di­cen­do­mi:

      'E' vis­su­ta da pec­ca­trice, ma morirà da cris­tiana'.

      Qualche  min­uto  dopo,  è  tor­na­to ac­com­pa­gna­to da un chierichet­to che

      por­ta­va un cro­ci­fis­so, e da un sacrestano che cam­mi­na­va da­van­ti a loro

      suo­nan­do, per an­nun­cia­re che Dio veni­va a vis­itare la mori­bon­da.

      Sono en­trati tut­ti e tre in quel­la stan­za da let­to che ave­va risuona­to

      in al­tri tem­pi di tante  strane  pa­role,  e  che  or­mai  era  so­lo  un

      taber­na­co­lo san­to.

      Cad­di  in  ginoc­chio.  Non so per quan­to tem­po dur­erà in me l'emozione

      sus­ci­ta­ta da quel­lo spet­ta­co­lo, ma non cre­do che,  fi­no a che non sarò

      ar­riva­ta a quel mo­men­to, una cosa umana potrà far­mi tan­ta im­pres­sione.

      Il  prete  unse  con  l'olio san­to i pie­di,  le mani e la fronte del­la

      mori­bon­da, recitò una breve preghiera,  e Mar­guerite si tro­vò pronta a

      par­tire per il cielo, dove cer­to an­drà, se Dio ha vis­to le prove del­la

      sua vi­ta e la san­tità del­la sua morte.

      Da  quel mo­men­to in poi non ha più det­to una paro­la,  non ha più fat­to

      un movi­men­to.  Ven­ti volte avrei po­tu­to cred­er­la mor­ta,  se non aves­si

      udi­to lo sfor­zo del suo respiro".

 

      20 feb­braio, alle cinque del­la sera.

      "Tut­to è fini­to.

      Mar­guerite  è  en­tra­ta  in  ag­onia  ques­ta notte ver­so le due.  Nes­sun

      mar­tire ha mai sof­fer­to sim­ili tor­ture,  a giu­di­care dalle  gri­da  che

      emet­te­va.  Due  o  tre  volte  si è alza­ta sul let­to,  come se vo­lesse

      ripren­dere la vi­ta che sali­va ver­so Dio.

      Due o tre volte ha an­che pro­nun­ci­ato il vostro nome, poi tut­to è sta­to

      silen­zio, ed el­la è ri­cadu­ta sfini­ta sul let­to.  Lacrime silen­ziose le

      sgor­ga­vano dagli oc­chi, ed è mor­ta.

      Al­lo­ra  mi  sono  avvi­ci­na­ta  a  lei,  l'ho chia­ma­ta,  e poiché non mi

      rispon­de­va, le ho chiu­so gli oc­chi e l'ho ba­ci­ata sul­la fronte.

      'Povera cara Mar­guerite,  avrei vo­lu­to es­sere una san­ta,  affinché  il

      mio ba­cio potesse rac­co­man­dar­ti a Dio'.

      Poi,  l'ho  vesti­ta  come  mi ave­va pre­ga­to,  sono an­da­ta a cer­care un

      prete a Saint-​Roch, ho ac­ce­so dei ceri per lei, e ho pre­ga­to in chiesa

      per un'ora.

      Ho da­to ai poveri un po' del suo denaro.

      Non  mi  in­ten­do  molto  di  re­li­gione,  ma  pen­so  che  il  buon  Dio

      ri­conoscerà  che le mie lacrime er­ano vere,  la mia preghiera fer­vi­da,

      la mia el­emosi­na sin­cera, e che avrà pietà di colei che, mor­ta gio­vane

      e bel­la, non ebbe al­tri che me per chi­ud­er­le gli oc­chi e sep­pel­lir­la".

 

      22 feb­braio.

      "Og­gi c'è sta­to il fu­nerale. Molte amiche di Mar­guerite sono venute in

      chiesa. Al­cune pi­angevano sin­ce­ra­mente.  Quan­do il cor­teo si è di­ret­to

      ver­so Mont­martre,  due uo­mi­ni soli lo seguirono: il con­te de G..., che

      era  tor­na­to  ap­posi­ta­mente  da  Lon­dra,  e  il  duca,  che  cam­mi­na­va

      ap­pog­gian­dosi a due camerieri.

      E' da casa sua che vi scri­vo tut­ti questi par­ti­co­lari, tra le lacrime,

      da­van­ti al­la lam­pa­da che bru­cia tris­te­mente ac­can­to a una ce­na che non

      man­gio,  come  potete  ben  im­mag­inare,  ma  che  Na­nine  mi  ha fat­to

      preparare, per­ché non toc­co ci­bo da più di ven­ti­quat­tr'ore.

      La mia vi­ta non potrà con­ser­vare a lun­go  queste  im­pres­sioni  tristi,

      per­ché  es­sa non mi ap­par­tiene più di quan­to ap­parte­nesse a Mar­guerite

      la sua;  ed è per questo che vi do tan­ti par­ti­co­lari sui lu­oghi stes­si

      nei  quali  sono  ac­cadu­ti,  nel  tim­ore  che,  se molto tem­po dovesse

      pas­sare pri­ma del vostro ri­torno,  non pos­sa darveli in tut­ta la  loro

      des­ola­ta esat­tez­za".

 

 

 

      CAPITOLO 27.

 

      “Avete let­to?”,  mi chiese Ar­mand quan­do ebbi ter­mi­na­to la let­tura del

      mano­scrit­to.

      "Capis­co quel che avete dovu­to sof­frire,  am­ico mio,  se tut­to ciò che

      ho let­to è vero!".

      “Mio padre me l'ha con­fer­ma­to in una sua let­tera”.

      Par­lam­mo  an­co­ra per un po' del triste des­ti­no che si era com­pi­uto,  e

      poi tor­nai a casa a ri­posar­mi un poco.  Ar­mand,  sem­pre triste,  ma un

      po' soll­eva­to dopo il rac­con­to di quel­la sto­ria,  si rista­bilì presto,

      e an­dammo in­sieme a far visi­ta a Pru­dence e a Julie Duprat.

      Pru­dence era fal­li­ta.  Ci disse che Mar­guerite ne era sta­ta la  causa;

      che, du­rante la malat­tia, le ave­va presta­to molto denaro, per il quale

      ave­va  fir­ma­to  delle  cam­biali  che  non ave­va po­tu­to pa­gare,  poiché

      Mar­guerite era mor­ta sen­za  resti­tuire  quan­to  ave­va  avu­to  e  sen­za

      aver­le  ri­las­ci­ato  rice­vute  che  le  per­me­ttessero di pre­sen­tar­si ai

      cred­itori.

      Con  l'ap­pog­gio  di  ques­ta  favola,   che  rac­con­ta­va  a  tut­ti   per

      gius­ti­fi­care  i  suoi  cat­tivi  af­fari,  madame  Du­ver­noy  es­torse  un

      bigli­et­to da mille franchi ad Ar­mand, che non le cre­de­va,  ma che ebbe

      la com­pia­cen­za di fin­gere di cred­er­le,  tan­to rispet­ta­va tut­to ciò che

      era sta­to vi­ci­no al­la sua amante.

      Poi an­dammo da Julie Duprat,  che ci rac­con­tò i tristi avven­imen­ti  di

      cui era sta­ta tes­ti­mone, ver­san­do lacrime sin­cere al ri­cor­do del­la sua

      am­ica.

      In­fine,  an­dammo a vis­itare la tom­ba di Mar­guerite sul­la quale i pri­mi

      rag­gi del sole di aprile face­vano spuntare le prime foglie.

      Ad Ar­mand resta­va un ul­ti­mo do­vere da com­piere, rag­giun­gere suo padre;

      volle che lo ac­com­pa­gnas­si an­che ques­ta vol­ta.

      Ar­rivam­mo a C..., dove trovai mon­sieur Du­val esat­ta­mente come me l'ero

      im­mag­ina­to dal ri­trat­to che  me  ne  ave­va  fat­to  suo  figlio:  al­to,

      dig­ni­toso, benevo­lo.

      Ac­colse  Ar­mand con lacrime di gioia,  e mi strinse af­fet­tu­osa­mente la

      mano.  Mi ac­cor­si presto che era il sen­ti­men­to pa­ter­no a  dom­inare  in

      lui tut­ti gli al­tri.

      Sua figlia, Blanche, ave­va la trasparen­za degli oc­chi e del­lo sguar­do,

      la  seren­ità  del  sor­riso  di  chi  possiede  un'an­ima che non ha che

      pen­sieri de­voti  e  una  boc­ca  che  non  pro­nun­cia  che  pie  pa­role.

      Sor­ride­va al ri­torno del fratel­lo, la cas­ta giovinet­ta, ig­no­ran­do che,

      lon­tano  da lei,  una cor­ti­giana ave­va sac­ri­fi­ca­to la pro­pria fe­lic­ità

      al­la so­la in­vo­cazione del suo nome.

      Mi trat­ten­ni per un po' pres­so  quel­la  famiglia  fe­lice,  pren­den­do­mi

      mol­ta  cu­ra  di  colui  che  le  af­fi­da­va la con­va­lescen­za del pro­prio

      cuore.

      Tor­nai a Pa­ri­gi,  dove scrissi ques­ta sto­ria esat­ta­mente  come  mi  fu

      rac­con­ta­ta.  Es­sa  ha  un  so­lo mer­ito,  che le sarà forse con­tes­ta­to:

      quel­lo di es­sere ve­ra.

      Non voglio trarre da questo  rac­con­to  la  con­clu­sione  che  tutte  le

      gio­vani  come  Mar­guerite sono ca­paci di fare quel­lo che lei ha fat­to;

      tutt'al­tro,  ma ho avu­to la pro­va che una di esse ave­va prova­to  nel­la

      sua vi­ta un amore vero,  che ne ave­va sof­fer­to, e che ne era mor­ta. Ho

      nar­ra­to al let­tore quel­lo che ave­vo sa­puto. Era mio do­vere.

      Io non sono l'apos­to­lo del vizio,  ma mi farò sem­pre l'eco del  no­bile

      do­lore, dovunque lo sen­tirò pre­gare.

      La sto­ria di Mar­guerite è un'ec­cezione,  ripeto;  ma se così non fos­se

      sta­to, non avrebbe mer­ita­to di es­sere rac­con­ta­ta.