Il variopinto spettacolo di una manifestazione di religiosità popolare non è certamente un soggetto improbabile per un artista che proverà sempre una simpatia istintiva per la «corale umanità» della gente di campagna e di valle. Ne sono un'eloquente testimonianza i numerosi dipinti, disegni, acquarelli e fotografie con la scena del mercato in Piazza Grande. Nella Processione, tuttavia, è la popolana in primo piano a destra, piuttosto che la «corale umanità» dei fedeli, a imporsi all'attenzione del riguardante. Proprio perché la sua figura ricorda, prima ancora che la maniera, il tipo delle lavandaie di tante variazioni sul motivo del Gola (ma è un motivo che si incontra frequentemente nella pittura del tempo e sul quale il nostro torna ripetutamente fin dagli esordi), la sua presenza nel contesto di una processione solenne - esibita sull'asse (o quasi) del dipinto con un rilievo che ne sottolinea anche compositivamente la centralità - è inquietante o quanto meno insolita. Lo segnala del resto anche la reazione allarmata del chierico che apre il corteo (come interpretare altrimenti il suo gesto?). Il portamento fiero della donna appare infatti spavaldo, quasi di sfida nel confronto con l'atteggiamento devoto delle due donne, forse due monache, alle sue spalle, un accostamento scopertamente provocatorio, come voluta sembra anche la contrapposizione fra l'umile, cencioso aspetto della bimba che l'accompagna e la grazia vaporosa dell'altra, biancovestita, che precede la processione spargendo petali di rosa.
Quanto basta insomma per sconsigliare di interpretare il quadro come un generico omaggio a qualche manifestazione di religiosità popolaree sospettare semmai che nella rievocazione franzoniana dell'evento sia sottesa, sia pur con sottile ironia, una qualche intenzione polemica.
[Cattori, 19-20]

Nel clima arroventato delle battaglie politiche del paese nell'ultimo quarto dell'Ottocento la commemorazione del centenario dell'apparizione di Maria al frate d'Ivrea fu al centro, per settimane, di furibonde, aspre polemiche sulla stampa. La ricorrenza non fu esente infatti da strumentalizzazioni politiche. I liberal-conservatori, ormai saldamente al potere dopo le elezioni cantonali del 1877 (elezioni anticipate che avevano rinnovato la bruciante sconfitta subita dai radicali due anni prima), non persero l'occasione di presentarla come una sorta di "plebiscito" politico-religioso. Al banchetto, organizzato a Locarno il 16 di agosto dalla "Società Piana" (o "Associazione di Pio IX", sezione ticinese del "PiusVerein", che aveva il proprio organo ne Il Credente Cattolico), la cui assemblea generale era stata fatta coincidere con i festeggiamenti del centenario, Gioacchino Respini, deputato conservatore agli Stati e membro del parlamento cantonale e Carlo Conti, presidente del Governo, non esitarono a parlare di "riparazione" per i quattro decenni, o poco meno, di dominio radicale, mentre il foglio cattolico La Libertà ne riferisce come della "più solenne affermazione" di libertà religiosa "che da secoli siasi vista nel cantone". Sul fronte radicale le reazioni non si fecero attendere. In particolare si contraddistinse il foglio satirico anticlericale luganese Il giovane Ticino che in una serie di articoli, firmati "Iconoclasta"», si scagliava contro "la frenesia di dominio della clericaglia" e "l'ipocrisia interessata dei tanti Tartufi togati", bollando il culto mariano (che in Ticino si identificava ormai con il culto alla Madonna del Sasso) come manifestazione di "febbrili convulsioni politico-religiose" e "sguaiate idolatrie".
Le strumentalizzazioni politiche della ricorrenza del centenario dell'agosto del 1880 alimentarono risentimenti e polemiche ormai pluridecennali, che si protrassero per tutto il decennio, fino al "colpo di mano" che nel 1890 segnò la fine del Nuovo Indirizzo conservatore.
[Cattori, p. 21]