La memoria corre a una pagina dei quaderno della madre che sempre più mi appare scritta e composta come un testamento morale al figlio:

Elève ton esprit au-dessus des choses terrestres, car le deuil de tes espérances menace d'abréger tes jours; tes ambitions seront fauchées comnle l'herbe des prairies. La dissolution de tes organes visibles arrivera plus tôt que tu ne l'attends, mais ne la redoutes point: la mort n'est que l'enfantement perpétuel de l'humanité. L'affranchissement volontaire des instincts de la matière par l'adhésion libre de l'esprit aux lois du mouvement universel constitue en nous la création de l'homme nouveau et commence notre Immortalité.

In un altro foglietto il pittore scrive «l'ideale di nostra mamma ti sta vicino». È questa straordinaria forza morale che salva dalla disperazione quando, alle delusioni della vita, s'aggiunge la perdita temporanea della vista: gli occhi sono stanchi di tanta tensione per cogliere non la pacifica, materiale esistenza delle cose, ma cià che sta dietro a loro, che le sustanzia.
L'inno alla luce del «cieco» e «l'inno al desiderio» sono tappe del suo superamento del dolore.


Tes ambitions seront fauchées comme l'herbe des prairies.» Quali ambizioni? Quelle anche di arringare gli uomini con la pittura e col canto? Quelle di pretendere di dipingere «Serpi» o «Fra Scilla e Cariddi», o «il Regno de' cieli», quadri tutti scomparsi, di violentissima polemica morale e religiosa per quanto si possa arguire da rapide annotazioni frammentarie? Non vorrei affermarlo già ora, anche se fiuto nella sfortuna postuma del pittore cause contingenti che nessuno riuscirà forse più a spiegare: il non aver badato all'insegnamento «prends garde de te heurter à la justice humaine» in un ambiente che per la sua stessa piccolezza non perdona.

La prudence est l'armure du Sage. La Circonspection lui fait éviter les écueils ou les abîmes, et pressentir les trahisons. Prends-la pour guide en tous tes actes, mème dans les plus petites choses. Rien n'est indifférent ici-bas: un caillou peut briser les destins d'un homme ou d'un Empire. Souviens-toi que si la parole est d'argent, le silence est d'or.

Qualora non si trovassero altri frammenti per ricostruire la vita esemplare del lombardo Franzoni, rimangono i frammenti della sua opera lirica; qualche tavoletta del suo «polittico» sarà certamente recuperabile, con gli anni; l'ingordigia bottegaia che da cinquant'anni le disperde, le riporterà in luce tosto che la scoperta del pittore «assassinato» prometterà lauti guadagni agli impietosi incettatori. Ma è finalmente ora di rompere il silenzio e di additare nel solitario cantore del Verbano l'esito liricamente pili alto della pittura lombarda e italiana dell'ultimo ottocento: il maestro che lontano dai rumori segna una via «italiana» alla grande pittura europea del momento impressionista. La via «non impressionistica», per l'astrazione non dell'oggetto e dall'oggetto, ma dall' accessorio e dal casuale. In questo senso Alfredo Pioda parlava di pittura «astrale» e «astratta»: per la potenza lirica del «desiderio» di conquista metastorica della realtà che, nell' opera segreta del pittore - ritratti e paesaggi - diventa inno e grido di simpatia e di felicità umane: figure e paesaggi riaffiorano nel silenzio e nella solitudine in una nudità sostanziale, liberati da ogni elemento contingente, da ogni aggiunta, in una solennità sublime. «La liberazione volontaria dagli istinti della materia attraverso la libera adesione dello spirito alle leggi del moto universale prepara in noi la creazione 'dell'uomo nuovo' e inizia la nostra immortalità.» Con questa coscienza il Franzoni giunse alla «pittura nuova» vista in luce di «immortalità» del soggetto e del canto. [Gilardoni, 69-71]

È dunque la madre ad avviare il figlio all'arte, per quanto anche la frequentazione dei Bisi e dei Bertini avrà avuto la sua parte. "È in un quaderno della madre, fra innumerevoli note di teosofia e fogli di scrittura medianica, che sono le pagine che potrebbero illuminare la vicenda spirituale del figlio", scrive Virgilio Gilardoni e cita alcuni esempi da una "raccolta di sentenze aforismi e massime di cui non è ancora possibile accertare l'originalità oltre l'autenticità della grafia, ma da cui spira il profumo del clima morale che ha animato tutta la vita del pittore". La questione è troppo complessa perché possa essere affrontata in poche pagine. Basti qui rilevare che il Gilardoni si rifà a una trascrizione dattiloscritta, fatta ancora una volta dal Pedrotta (la macchina da scrivere è la sua), tutta da controllare, sulla quale segna ai margini le "sentenze" che cita, sentenze che sembrano piuttosto tratte da letture, in particolare di testi di teosofia.
Testimonia il Nessi che anche il pittore talvolta "soleva perdersi nel difficile pelago della teosofia indiana", cui verosimilmente non saranno stati estranei certi scritti del Pioda sull'argomento. Tuttavia - scrive ancora - "non ci fu uomo più di lui sdegnoso delle formule fatte, delle autorità indiscusse, delle strade segnate e percorse", in fatto di arte, di idee o di poco importa quali dottrine teosofiche.
[Cattori, pp. 54-55]