Particolari vicende di ordine vario hanno finora impedito di riconoscere nell'opera di Filippo Franzoni l'esito più alto, forse, della pittura dell' ottocento italiano nel paesaggio e nel ritratto. Scopriamo solo oggi, con tre quarti di secolo di ritardo, e in una stagione non particolarmente favorevole del gusto e delle mode estetiche, l'opera di un pittore che da almeno cinquant'anni avrebbe potuto avere un posto preminente nella storia della pittura europea, tra il momento di Daumier e di Corot e quello di Bonnard e di Vuillard.
Già nel lontano 1913, il «comacino» Giuseppe Foglia aveva tentato di esaltare la «tragica grandezza della vita e della morte di questo maestro sommo del paesaggio» indicandone l'altezza alla misura «di Turner, di Constable, di Lorrain, di Corot, di Courbet e di Manet»; ma se la polemica futurista poté avallare per motivi contingenti, più sociologici che artistici, certi aspetti della poetica ribelle di Medardo Rosso, la pittura del Franzoni - quand'anche Boccioni e Sant'Elia l'avessero scoperta davvero attraverso i luganesi Chiattone e Foglia - non avrebbe potuto offrire nessuno spunto teorico al futurismo. Sarà ancora il Foglia, nel 1937, a lanciare un secondo grido disperato per il recupero dell' opera del grande lombardo ignoto: «era solo, nel deserto di questa striscia di terra desolata e desolante, fatta per la contemplazione e negata agli impulsi d'ampio respiro... impetuoso generoso e leale, l'uomo era della specie irregolare e maledetta di coloro che ad ogni loro impresa sanno infondere però la umana bellezza del gesto che non reclama compensi. Non lascia che frammenti di opere, ma sufficienti a farlo degno di un classico del paesaggio moderno». Ma si era alla vigilia della tragedia europea: chi poteva ascoltare il messaggio della «pittura dell' anima» del solitario antico compagno di Medardo Rosso?
Mentre però l'opera segreta del Franzoni - centinaia di studi, tavolette, pastelli, acquerelli e persino tele grandi e piccole - può essere riconosciuta e parzialmente ricomposta già oggi, sia pur sceverandola dai falsi dagli scarti e dai fondi di studio rappezzati e adattati alla meglio che stanno impietosamente invadendo il mercato antiquario, il recupero della figura storica del pittore, dopo tanti anni di silenzio, non è impresa di tutto comodo. L'ampiezza delle lacune biografiche, resa ancor pili grave da una serie di testimonianze spurie, talvolta capziosamente deformate, impedisce, per il momento, ogni discorso critico.
Di fronte al «caso Franzoni» lo storico - e non solo lo storico dell' arte - è colto da un senso profondo, quasi angoscioso, di sconforto: tanto è il contrasto tra la singolarità dell'opera e della figura del pittore - uniche forse nel panorama dell'arte italiana dell'ottocento - e l'inaudita loro sfortuna postuma. Né lo sconforto del critico che pur volesse occuparsi solo dell'opera e del suo valore sul piano italiano ed europeo sarebbe meno doloroso, trovandosi disarmato e avvilito per la mancanza di ogni pur minimo riferimento non solo biografico, ma bibliografico, e quindi cronologico, proprio per quelle opere del Franzoni che, trent'anni avanti Modigliani e i futuristi, portarono la pittura italiana a un approdo europeo.
Le pagine che seguono non possono dunque essere altro che un'appassionata e accorata testimonianza di una «vita eroica... che minaccia di dissolversi nella vaporosità dei ricordi di paese» (Foglia); non possono avere nessuna ambizione né storica né critica: ogni tentativo di carattere monografico e catalografico dovrà essere rinviato al giorno in cui più civili condizioni di documentazione e di studio permetteranno nel Canton Ticino il recupero critico dell'opera e del messaggio ,umano del grande lombardo. Oggi, non è possibile far altro, né meglio.
Le stesse pagine che pubblichiamo oggi con qualche ritocco e qualche aggiunta furono dettate dieci anni fa nella speranza di organizzare una grande retrospettiva franzoniana a Milano, nel 1957, con l'aiuto di Fernanda Wittgens; rimasero inedite alla scadenza del centenario della nascitadel pittore (1957) e del cinquantesilno della sua morte (1961) per i ripetuti tentativi di rintracciare almeno il «diario» del pittore; sottratto alla cultura e alla storia del Canton Ticino come, in questo mezzo secolo, tanti altri materiali «storici» ticinesi - lettere e scritti «ambientali», e quindi «politici», del Franscini, del Battaglini, del Luvini, di Romeo Manzoni, di Alfredo Pioda, di Angelo Nessi, di Carlo Salvioni, di Emilio Motta - giudicati «incomodi» o eretici per il loro fermento umano addirittura drammatico. [Gilardoni, pp. 9-11]

Filippo Franzoni è ed è stato, fin dal momento della sua morte, l'artista più amato, studiato e discusso dell'Ottocento ticinese. È difficile capire i motivi di tanto favore e di così durevole fortuna, rimasta solidissima anche durante e dopo il crollo critico che, tra il 1920 e il 1960, travolse un intero settore della nostra cultura figurativa. Forse all'origine di questa situazione sta l'anticonformismo dell'artista, la tragica e disperata morte, il raffinato lirismo della sua arte, il fascino dell'appunto istintivo e del frammento pittorico; o forse più di tutto contò la modernità del personaggio e della sua opera. Non per nulla il Franzoni è stato sempre considerato, assieme ad Edoardo Berta, colui che introdusse nel Canton Ticino una moderna percezione della realtà artistica, che liberò la pittura ticinese da un diffuso sapore ottocentesco, ancora verista e positivista, insomma il padre spirituale della generazione di artisti attivi attorno agli anni trenta.
Tuttavia a questa fortuna critica che ha attraversato indenne circa settant'anni di storia, fino ad oggi non ha mai corrisposto, come già tempo fa ebbero a lamentare Virgilio Gilardoni e Piero Bianconi, i due massimi biografi del pittore, un valido supporto biografico e critico, una precisa raccolta di documenti ed un catalogo esaustivo delle sue opere, insomma un ordine cronologico e sistematico alla dispersissima produzione; solo con questi semplici strumenti potranno essere solidamente fondate le molte opinioni critiche espresse sull'artista e valutare, con più solido giudizio, l'importanza della sua arte nel contesto della storia della pittura ticinese, italiana e svizzera.
Chi vorrà chinarsi sulla questione non avrà insomma compito facile, non tanto per la dispersione delle opere e dei documenti, quanto perchè la personalità e la cultura del pittore, appaiono, subito a prima vista, estremamente complesse e stratificate. Inoltre lo stesso pittore nel tragico e ribelle disordine della sua vita, nello sforzo di raggiungere un'arte ideale e assoluta, specialmente durante l'ultimo periodo della sua vita, non seguì certamente il normale curriculum di un artista di allora.
[Foletti, p. 32]