Filippo Franzoni
di ALBERTO PEDRAZZINI
in "La Cronaca Ticinese" 30.3.1911


La sua bella intelligenza di artista era andata scomparendo prima che lo spirito inconscio ormai abbandonasse la terra.
Da alcuni anni il pittore fino, scrupoloso, elegante, non conosceva più quegli splendidi orizzonti che avevano fornito alla sua tavolozza motivi tanti di una poesia suggestiva, possente. Ancora impugnava il pennello e pensoso si affaticava intorno alle tele, ma l'idea che gli sorrideva sulle labbra era un sogno melanconico: non trovava nessuna espressione per noi.
La figurina plastica - che più volte abbiamo ammirato nel suo studio - di un cieco brancicante nelle tenebre - tragica espressione di martirio indicibile - era stato l'ultimo guizzo della fiamma prossima a spegnersi. Come quel povero cieco, Filippo Franzoni trascinò gli ultimi giorni nel buio. Ed era stato uno spasimante della luce. Nè suoi quadri l'aveva voluta sovrana. Anche l'aveva lanciata in isfida alla gente che ne ignora i prodigi. Poi che il Franzoni, ardito nelle concezioni, trattò l'arte con animo venerabondo, sfuggendo a quei comuni motivi che trovano facile trionfo tra i più. Gli bastava di gioire nel suo ideale e si doleva soltanto di non saperlo rispecchiare tal quale in sulla tela. E pure son molti i quadri del pianto pittore che non affascinano lo sguardo soltanto, ma parlano al cuore così come oscillassero in essi le corde di un liuto.
E sono vedute della sua, della nostra terra, ch'egli amò come la più bella delle tante ch'ebbe ammirate. Gli sfondi del Tamaro, la spiaggia, la selva dei Saleggi, la riva di Muralto, la collina del Sasso, il promontorio di S. Quirico... i viottoli della Campagna... le torri dei villaggi che le circondano... egli cantava, pingendo, con tutta la lirica dell'entusiasmo. E però Filippo Franzoni fu conosciuto ed apprezzato assai nella vicina Italia dove aveva compiuto i suoi studi e nella patria nostra. Ebbe plausi ed onori. Fu stimato da sommi e chiamato giudice in alti concorsi d'arte.
L'arte ebbe in lui un appassionato cultore anche in altro dei suoi campi sterminati: la musica.
Egli sapeva leggere nei libri di Beethoven, di Mozart, di Mendelssohn, di Bach.
Tutta la scuola classica gli era famigliare; notti in ti ere vegliava a conversare ne le delizie di quei sommi, in compagnia di interpreti famosi, quali un Otto Echner e un Hans Huber...

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Ne la lunga notte che precedette la sua fine, Filippo Franzoni, che noi cercavamo spesso con senso di grande pietà, ebbe una volta come la visione di quella fede che aveva sorriso ai suoi natali, e levando da la tela il pennello che non sapeva tracciare più che informi linee "Sai tu - disse - cosa c'è di veramente grande a questo mondo? Un vessillo. Quello bianco ch'io vedo agitarsi in sulla cima di un cadente castello vandeano." Tutti congiurati contro di lui: ma il vecchio cavaliere, si rizza di sotto le pieghe del bianco vessillo, non teme: egli è il solo forte, perchè il suo ideale è Dio: è l'eternità...