JOHN CLELAND

FANNY HILL

LE MEMORIE DI UNA RAGAZZA DI PIACERE

PRIMA LETTERA

Signora,

sto per darle la dimostrazione del valore che hanno per me i suoi desideri.
Benché questo sia un compito alquanto sgradevole, rievocherò gli scandalosi anni della mia vita, che mi condussero al godimento di tutti i vantaggi dell'amore, mentre sono ancora nel pieno della giovinezza e ancora in tempo per dedicare le ore che agi e ricchezze mi concedono, a coltivare un non trascurabile intelletto. Un intelletto che mi permise, anche in mezzo al turbine dei liberi piaceri dal quale fui travolta, di capire a fondo l'animo umano e di meditare sui costumi del mondo, più di quanto non fosse consuetudine delle donne della mia infelice professione, le quali, ritenendo qualsiasi riflessione o pensiero come mortali nemici, li tengono lontani più che possono o li distruggono senza pietà.
Odiando, come mortalmente odio, ogni inutile preambolo, mi limiterò a prepararla a conoscere quel licenzioso periodo della mia vita, narrato come fu vissuto.
Verità! Completa, nuda verità! Non la nasconderò con il pur minimo velo, ma dipingerò i fatti così come allora mi si presentarono, senza preoccuparmi di offendere la decenza. Lei ha tanta sensibilità e tale conoscenza dell'«autentico», che arriccerebbe il naso indignata davanti a un «falso».
Dopo questa breve premessa, entro nel vivo della mia storia.
Il mio nome da ragazza era Francis Hill, nacqui in un piccolo villaggio vicino a Liverpool, nel Lancashire, da genitori estremamente poveri ma, penso, molto onesti. Mio padre restò inabile ai lavori pesanti da una menomazione alle gambe, intrecciando reti, ricavava scarsi mezzi di sostentamento, modestamente integrati dai proventi di una piccola scuola per ragazze tenuta da mia madre. Ebbero molti figli ma nessuno visse, all'infuori di me, che ebbi in dono dalla natura una costituzione perfettamente sana. La mia istruzione fino all'età di quindici anni fu men che modesta: imparai a leggere, o meglio a sillabare, a scarabocchiare in maniera illeggibile e a fare qualche modesta composizione.
La mia virtù si fondava unicamente sulla più completa ignoranza del peccato e sull'ombrosa timidezza, comune al nostro sesso in quella tenera età. Troppo spesso, in seguito, questa timidezza sarà vinta a spese dell'innocenza, quando la bambina diventata ragazza non considererà più l'uomo un animale da rapina pronto a divorarla.
La mia povera mamma, tra scuola e cure domestiche, non aveva molto tempo da dedicare alla mia educazione e, poiché nel suo candore non sapeva nulla del male, non si preoccupò di mettermi in guardia contro di esso.
Avevo solo quindici anni quando i miei dolci affezionati genitori mi furono entrambi portati via dal vaiolo, a distanza di pochi giorni l'uno dall'altro. Morendo per primo, mio padre affrettò la morte di mia madre; così io rimasi orfana da un momento all'altro e, per maggior disgrazia, priva di amici.
Quel male crudele, così fatale per i miei genitori, aveva colpito anche me, ma così benignamente, che presto fui fuori pericolo e, cosa di cui allora non seppi apprezzare il giusto valore, senza alcuna deturpazione. Le risparmierò il racconto del dolore e dell'afflizione che provai in quella triste circostanza.
Non passò molto tempo e la spensieratezza dell'età fece scomparire ogni turbamento per quella perdita irreparabile. Nulla però contribuì tanto alla mia rassegnazione quanto l'idea di andare a Londra per cercarvi un lavoro: idea fattami balenare da una giovane donna, certa Esther Davis, che, venuta per una breve visita ad alcuni amici, dovendo tornare in quella città, promise di assistermi e consigliarmi. In paese non era rimasto nessuno che potesse opporsi ai miei progetti e la donna che si era presa cura di me, dopo la morte dei miei genitori, mi incoraggiava a realizzarli. Presi pertanto la decisione di gettarmi nel vasto mondo e di recarmi a Londra «per fare fortuna». Questo proponimento, per inciso, ha portato molti avventurosi campagnoli di ambo i sessi più alla rovina che al successo.
Esther Davis mi stimolò non poco ad avventurarmi con lei, stuzzicava la mia curiosità giovanile con la descrizione delle belle cose che si potevano vedere a Londra (i monumenti, il Re, la famiglia reale, gli spettacoli teatrali, l'opera e in breve tutti gli svaghi propri del suo;unbiente) con tali particolari da farmi girare completamente la testa. Né posso ricordare senza sorridere l'innocente ammirazione, mista a invidia, con la quale noi povere ragazze - con abiti della festa che non andavano oltre le camicie di cotone grossolano e le gonne di lana grezza - guardavamo gli abiti di raso damascato, le cuffiette bordate di merletto, i nastri vivaci, le scarpe trapunte d'argento che Esther indossava: tutte cose che credevamo fiorissero solo a Londra. Il desiderio di godere anch'io di quelle cose rafforzò non poco la mia decisione.
L'idea di avere la compagnia di una ragazza di provincia, fu il banale e unico motivo che indusse Esther ad assumersi l'impegno di proteggermi durante il viaggio verso la città. Là, ella mi disse - nel suo modo e stile - che molte ragazze di campagna avevano fatto la fortuna propria e dei propri parenti: alcune, difendendo la propria virtù, erano piaciute tanto ai loro padroni che questi le avevano sposate, dando loro una vita agiata e felice; altre, come può accadere, erano diventate duchesse. «Tutto dipende dalla fortuna» disse Esther «e perché non dovrebbe succedere a te ciò che è successo ad altre?». Con questi e altri ragionamenti, eccitò il mio desiderio di compiere al più presto quel viaggio e di lasciare un luogo che mi era diventato insopportabile da quando la tenerezza con cui ero sempre stata trattata si era trasformata, presso le amicizie che vi contavo, in una fredda aria di carità. Una mia conoscente fu abbastanza onesta da cambiare in danaro le poche cose chi mi erano rimaste e alla mia partenza depositò nelle mie mani tutti i miei beni, consistenti in uno scarso corredo racchiuso in una piccola cassa e in otto ghinee e diciassette scellini d'argento, raccolti in una borsetta. Non avevo mai visto prima di allora tanto denaro e l'idea che potesse finire mi sembrò inconcepibile: la gioia di possedere quella somma fu tale che prestai pochissima attenzione ai consigli che la accompagnarono.
Così Esther ed io prendemmo posto sulla diligenza per Londra. Ometterò di descrivere la scena degli addii, durante la quale versai solo poche lacrime miste di dolore e di gioia; e per la stessa ragione tralascerò tutto ciò che mi accadde durante il percorso: gli sguardi ambigui lanciatimi dal cocchiere, gli approcci tentati da qualche compagno di viaggio subito sventati dalla mia guardiana, Esther; la quale, per renderle giustizia, si prese cura di me come una madre, anche se in cambio della sua protezione mi fece sostenere tutte le spese del viaggio, cosa che accettai con la massima naturalezza, sentendomi molto obbligata verso di lei.
Arrivammo a Londra piuttosto tardi una sera d'estate.
Subito mi piacque e mi riempì di stupore lo scenario, nuovo per me, dei negozi e dei palazzi, il movimento delle carrozze e della folla frettolosa lungo le ampie strade che percorremmo per giungere alla locanda.
Ma immagini la mia mortificazione e la mia sorpresa quando, arrivate a destinazione e scaricati i bagagli, la mia compagna di viaggio e protettrice Esther Davis - che mi aveva trattato con tanta tenerezza durante il viaggio quando, dico, la sola persona di fiducia e amica che avessi in quel luogo sconosciuto, improvvisamente assunse verso di me un'aria fredda e distaccata, come se temesse che io potessi diventare un peso per lei. Invece di continuare a offrirmi l'assistenza e gli aiuti, sui quali contavo, e dei quali avevo allora più bisogno che mai, mi parve che pensasse di avere abbondantemente assolto i suoi impegni verso di me e cominciò ad abbracciarmi e salutarmi.
Mentre me ne stavo così, muta e stupita (atteggiamento che senza dubbio attribuì solo al turbamento della separazione) ella si accomiatò da me con queste parole: «Siamo arrivate sane e salve a Londra e adesso debbo tornare al mio lavoro. Ti consiglio di far di tutto per cercarti un buon posto al più presto possibile. Non devi aver paura di non trovarIo poiché in questa città ci sono assai più posti di lavoro che parrocchie. Comunque, la cosa migliore da fare è rivolgersi a un'agenzia di collocamento. Se io venissi a sapere di qualche buona occupazione, verrei a cercarti per fartelo sapere. Nel frattempo bisogna che tu prenda una stanza e mi informi del tuo indirizzo. Ti auguro di trovare fortuna e spero che ti manterrai sempre onesta».
Con questo mi affidò al mio destino, con la medesima leggerezza con la quale ero stata affidata a lei.
Rimasta sola, completamente abbandonata e senza amicizia, cominciai a sentire ancora più amara la crudeltà di quell'addio. Non appena lei mi ebbe voltanto le spalle, per la disperazione scoppiai in un pianto dirotto che, pur mitigando l'oppressione del mio cuore, mi lasciò ancora stordita e smarrita.
Per sapere dove avrei potuto trovare un alloggio mi rivolsi alla padrona della locanda, la quale molto bruscamente, senza essere sfiorata dalla mia disperazione, mi disse che per quella notte avrei potuto avere un letto per uno scellino.
È incredibile a quali futili consolazioni la mente umana si aggrappi nei suoi momenti di maggior disperazione: la certezza di un letto su cui stendermi quella notte calmò la mia angoscia. Mi ripromisi di recarmi la mattina dopo a una agenzia, il cui indirizzo mi era stato lasciato da Esther; contavo di avere qualche informazione precisa su una qualsiasi occupazione adatta a una ragazza di campagna e di essere assunta prima che la mia modesta scorta di danaro fosse consumata. Se mi fossero servite delle referenze, Esther mi aveva detto che avrei potuto contare su di lei: può comprendere, Signora, come per quanto mortificata dal suo abbandono, non avessi smesso del tutto di contare su Esther e di ritenere validi i suoi suggerimenti. La mattina dopo, indossato il mio abito migliore e consegnata la mia cassa con speciali raccomandazioni alla padrona della locanda, mi avventurai da sola in cerca dell'agenzia, che trovai non senza difficoltà poiché ogni insegna o negozio costituivano per me una trappola allettante.
L'agenzia era gestita da una signora piuttosto anziana, che riceveva i clienti tenendo davanti a sé un registro molto grande e diversi moduli, già preparati, con le indicazioni dei posti disponibili. Mi avvicinai a quell'importante personaggio, senza alzare lo sguardo da terra per osservare le persone che come me aspettavano; le feci un profondo inchino e riuscii appena a borbottare la mia richiesta.
La signora, dopo avermi ascoltato con la gravità e il cipiglio di un Ministro di Stato e avermi classificata con un solo sguardo, mi rispose soltanto per chiedermi l'acconto di uno scellino. Avuto l'anticipo, mi disse che vi erano ben poche richieste di lavoro per delle donne, inoltre le sembrava che la mia costituzione fo;se troppo delicata per lavori pesanti; comunque, avrebbe consultato il suo registro, per vedere se poteva fare qualcosa per me: e mi invitò a fermarmi ancora un poco, finché non avesse sbrigato qualche altro cliente.
Avvilita da quella risposta, che mi lasciava in un'incertezza disperata e insopportabile, non riuscii a trattenere un gesto di sconforto. Poco dopo, facendomi coraggio, osai alzare un po' la testa per guardarmi intorno, e subito i miei occhi incontrarono lo sguardo di una signora, - così la definii nella mia infinata innocenza -, seduta in un angolo della stanza, avvolta in un mantello di velluto - da notare che eravamo in piena estate -, la testa scoperta, tozza, grassa, molto colorita, sulla cinquantina. Sembrava divorarmi con gli occhi, mentre mi squadrava dalla testa ai piedi, senza la minima considerazione per la confusione e il rossore che furono provocati in me dal suo sguardo indagatore e che furono, indubbiamente, le indicazioni più sicure di quanto fossi adatta ai suoi propositi.
Dopo un po' di tempo, durante il quale la mia espressione, il mio comportamento e ogni parte del mio corpo avevano subito un severo esame, (che io avevo cercato di superare nel migliore dei modi assumendo un atteggiamento composto, ma disinvolto) ella mi si avvicinò e mi parlò fingendo una grande modestia e semplicità: «Cerchi un servizio mia cara?» «Sì signora» risposi con un inchino che arrivò sino a terra. Al che la donna mi informò di essere venuta in quell'ufficio per cercare una domestica: vedendomi era rimasta favorevolmente impressionata dal mio aspetto e riteneva che, seguendo i suoi insegnamenti, sarei stata adatta a quel lavoro; aggiunse che Londra era un luogo infame, ma sperava che avessi una buona indole e che mi sarei tenuta lontana dalle cattive compagnie.
In breve, ella mi disse tutto ciò che una vecchia volpona di città avrebbe potuto dirmi, e molto più di quanto sarebbe stato necessario per abbindolare una ragazza di campagna ingenua e inesperta terrorizzata dall'idea di finire sulla strada come una mendicante e, quindi, disposta ad accettare di buon grado l'offerta di un rifugio, specie se proveniva da una matrona così nobile e imponente. La mia assunzione avvenne proprio sotto il naso della direttrice dell'ufficio di collocamento e non potei fare a meno di notare i furbi sorrisi e le scrollatine di spalle di questa; ma ingenuamente ritenni questi segni una manifestazione di compiacimento per il posto da me trovato in così breve tempo. Più tardi seppi che le due gentildonne se la intendevano, e quell'ufficio altro non era che un mercato frequentato spesso dalla signora Brown, la mia padrona, sempre alla ricerca di merce fresca da offrire ai suoi clienti con lauto profitto.
Madama era così contenta del suo nuovo acquisto da temere che per un motivo qualsiasi, una migliore offerta o un miglior consiglio, potesse scivolarle dalle mani; si affrettò quindi a portarmi subito con una carrozza alla locanda, dove si fece consegnare la mia cassa, senza neppure accennarmi dove eravamo dirette. Quindi caricato il mio bagaglio, diede al cocchiere l'indirizzo di casa sua.
Durante il percorso venni intrattenuta e rallegrata con le più verosimili fandonie, dalle quali non potevo che concludere che il destino mi aveva messo nelle mani della più squisita e amichevole creatura dell'universo.
La carrozza si fermò infine davanti al portone di casa. Ero così felice e fiduciosa che varcando la soglia mi ripromisi di far sapere al più presto a Esther Davis il mio insperato colpo di fortuna. La buona opinione che mi ero fatta del mio lavoro non venne meno quando, entrata in casa, fui introdotta in un salotto che mi parve magnificamente arredato: due grandi specchi in cornici dorate e un buffet, su cui facevano mostra di sé alcuni piatti lucenti, mi abbagliarono convincendomi del tutto della rispettabilità della famiglia in cui ero entrata. Qui la mia padrona incominciò a recitare la sua parte, dicendomi che dovevo stare allegra e aver fiducia in lei che non mi avrebbe tenuta come una comune serva per i pesanti lavori domestici, ma come una specie di dama di compagnia, e, se mi fossi comportata da brava ragazza, ella sarebbe stata per me più di una madre; a tutto ciò risposi con i più profondi e goffi inchini, e pochi monosillabi, «si, no, ne sia certa»!
Poi la mia padrona suonò il campanello ed entrò la robusta cameriera che ci aveva poco prima aperto la porta: «Ecco qua Marta», disse la signora Brown «ho appena assunto questa ragazza per curare la mia biancheria. Accompagnala di sopra e mostrale la sua camera. Ti prego, trattai a con tutto il rispetto che usi per me, poiché mi è molto simpatica e non so che farei per lei! »
Marta, una vecchia ruffiana abituata a questo genere di trappole, mi fece una specie di mezza riverenza e mi disse di seguirla su per due rampe di scale, in fondo alle quali mi mostrò una stanza ordinata, con un bellissimo letto dove mi disse - avrei dormito con una giovane gentildonna, cugina della signora Brown, che sarebbe stata molto buona con me. Quindi si profuse in sperticate lodi sulla « sua buona, dolce padrona». E soggiunse: "Come sei stata fortunata a imbatterti in lei! Non avresti potuto sperare di meglio!» Con queste e altre frottole del genere, Marta, che aveva capito di trattare con una persona di scarso acume, si diede subito da fare, per farmi sentire felice nella mia gabbia dorata.
Nel mezzo delle false spiegazioni sulla natura del mio futuro servizio, fummo chiamate nuovamente giù, nello stesso salotto, dove era stato imbandito un tavolo con tre coperti. La padrona era insieme a una delle sue favorite, il cui compito era quello di domare le giovani puledre come me. A tale scopo, mi fu assegnata come compagna di letto e per darle maggiore autorità le era stato conferito dalla venerabile presidentessa di quel «collegio» il titolo di cugina. A questo punto subii una seconda ispezione che finì con la piena approvazione della signorina Phoebe Ayres (il nome della mia tutrice), alle cui cure e istruzioni venni affettuosamente raccomandata.
Venne servito il pranzo e nell'intento di trattarmi come un'amica la signora Brown, con un tono che escludeva qualsiasi discussione, respinse le mie umili e confuse dichiarazioni di non volermi sedere a tavola con «Sua Signoria», cosa che la mia modesta educazione considerava poco conveniente.
A tavola la conversazione, sostenuta principalmente dalle due dame, fu piena di doppi sensi, e interrotta di tanto in tanto, da garbate assicurazioni a me dirette, tutte tendenti a confermare e consolidare la mia attuale sistemazione.
Fu deciso che non mi sarei mostrata per alcuni giorni, il tempo necessario per procurare gli abiti adatti al mio ruolo di dama di compagnia. Molto, infatti sarebbe dipeso - si osservò - dalla prima impressione prodotta dal mio aspetto. Come esse ben prevedevano, la prospettiva di cambiare i miei abiti campagnoli con le raffinate confezioni londinesi mi rese perfettamente accettabile quella dorata reclusione. In realtà, la signora Brown voleva soprattutto che non incontrassi né i suoi clienti né le sue "puledre" (così venivano chiamate le ragazze della casa) finché non si fosse assicurata un buon compenso per quella verginità, che avevo portato con me al servizio di Sua Signoria.
Tralascerò le ore, di nessuna importanza ai fini della storia, tra la fine del pranzo e il momento di andare a letto, durante le quali mi sentivo sempre più entusiasta delle prospettive che mi si aprivano e del facile servizio presso quella buona gente. Fui accompagnata a letto dalla signorina Phoebe che, avendo notato una certa mia riluttanza a spogliarmi e a rimanere in camicia davanti a lei, non appena la cameriera fu uscita, mi si avvicinò, e cominciò a slacciarmi il vestito, incoraggiandomi a continuare da sola. Quando mi vidi con la sola camicia, arrossii di vergogna e mi affrettai a infilarmi sotto le lenzuola, al riparo dei suoi sguardi. Phoebe rise e non passò molto tempo che si coricò al mio fianco. Aveva circa venticinque anni, secondo la sua poco attendibile dichiarazione, ma, stando alle apparenze, se ne doveva essere tolta almeno dieci, anche concedendole le devastazioni provocate da una carriera giunta ormai a quella fase, nella quale le professioniste come lei non possono fare altro che insegnare l'amore anziché praticarlo.
La preziosa collaboratrice della mia padrona si era appena coricata al mio fianco che, pronta com'era ad approfittare di qualsiasi occasione per stimolare la sua stanca lussuria, si girò verso di me: mi abbracciò e baciò con grande passione.
Questo per me era insolito e strano; ma attribuendolo a pura gentilezza espressa, per quel che ne sapevo, secondo le usanze londinesi, decisi di non essere da meno di lei, contraccambiai il suo bacio e abbraccio, con tutto il fervore della mia assoluta innocenza.
Incoraggiata da ciò, le sue mani divennero estremamente audaci e vagarono su tutto il mio corpo: accarezzandolo, premendo e palpando in modo tale che ne fui eccitata e sorpresa, più che urtata e spaventata. Le lodi adulatrici che lei mescolò a quelle invasioni contribuirono non poco a indurmi alla passività.
Giacqui docile e passiva come lei poteva desiderare, mentre la sua intraprendenza suscitava in me l'emozione di uno strano, e, fino allora, sconosciuto piacere. Ogni parte di me era esposta al vagare lascivo delle sue mani, che, come un fuoco lambente, correvano per tutto il mio corpo, e dovunque passavano scioglievano ogni gelo.
I miei seni - se così potevano essere chiamate due dure, ferme, nascenti collinette, che incominciavano appena a farsi vedere, o significare qualcosa al tatto - tennero occupate e divertirono per un po' le sue mani, finché scivolando un po' più in basso per un liscio tratto, lei poté appena sentire il soffice setoso cespuglietto che solo pochi mesi prima era spuntato a nascondere il nido del piacere, e prometteva di rivelarsi amabile rifugio alle più squisite sensazioni.
Intanto, il languido stiramento delle mie membra, i miei sospiri, i miei singhiozzi, tutto cospirava ad assicurare quella esperta libertina, che io ero più compiaciuta che offesa del suo procedere, che ella coloriva con esclamazioni, come: «Oh, che affascinante creatura sei... felice l'uomo che per primo farà di te una donna! Oh! Fossi io un uomo per il tuo piacere!...» inframezzate a baci così ardenti e fervidi come mai ne ricevetti dall'altro sesso.
Quanto a me ero sconvolta, confusa e fuori di me: quelle sensazioni così nuove mi avevano sopraffatta. I miei sensi ridestati e infiammati erano in un tumulto che mi privava di ogni libertà di pensiero; lacrime di piacere fluivano copiosamente dai miei occhi e placavano alquanto il fuoco che divampava in me.
Phoebe, alla quale erano noti e familiari tutti i gradi di libertinaggio, trovava nell'esercitare l'arte di iniziare le fanciulle una singolare soddisfazione per la quale non c'è spiegazione. Non che odiasse gli uomini, e neppure che non preferisse questi al proprio sesso; ma quando le capitavano occasioni simili, forse per la sazietà di rapporti normali, o forse anche per una segreta inclinazione, si sentiva spinta a ricavarne il maggior piacere possibile.
Che genere di piacere lei provasse, non saprei dirlo; ma sono certa che fece sprigionare in me quella notte le prime scintille della mia infiammabile natura. Quando Phoebe riacquistò quella calma dalla quale io ero ancora lontana, cominciò a interrogarmi con arte e dalle mie schiette e ingenue risposte, dalla mia semplicità, dal calore del mio temperamento, non poté che prevedere il più completo successo dei progetti che la mia virtuosa padrona aveva fatto sudi me.
Dopo il lungo dialogo, la mia compagna di letto mi lasciò al mio riposo, e io mi ero appena addormentata per le violente emozioni provate, quando la natura venne in aiuto dei mie sensi sconvolti ed eccitati appagandoli con uno di quei sogni dolcissimi le cui sensazioni sono di poco inferiori a quelle dell'atto reale.
La mattina dopo mi svegliai verso le dieci, perfettamente riposata e allegra.
Phoebe si era alzata prima di me, e mi chiese gentilmente se avevo ben riposato e se ero pronta per la colazione, evitando qualsiasi accenno alla notte precedente per non aumentare il turbamento che notava in me quando la guardavo. Le chiesi se dovevo alzarmi e sbrigare qualche lavoro. Lei sorrise; e subito venne la cameriera con il tè. Mi ero appena gettata addosso il vestito, quando entrò dondolandosi la padrona. Mi aspettavo da lei qualche rimprovero per essermi alzata così tardi, ma fui piacevolmente delusa quando lei, invece, si complimentò per il mio aspetto fresco e puro.
«Deliziosa come un bocciolo» mi disse nel suo stile. «Quale ammirazione susciterai tra i più distinti gentiluomini!».
Tutte le mie risposte non smentirono la mia educazione: furono semplici e sciocche come esse desideravano che fossero; altre risposte, che avessero rivelato una profonda esperienza del mondo, non sarebbero state così gradite per loro.
Avevamo appena finito la colazione quando nella stanza fu portato tutto il necessario, come esse dissero, per equipaggiarmi. Pensi signora, come il mio cuore frivolo, sussultasse di gioia alla vista di un abito bianco trapunto d'argento - rifatto, ma gabellatomi per nuovo di zecca - di una cuffietta di merletto di Bruxelles, scarpe intrecciate e accessori vari in armonia: tutti indumenti di seconda mano, procurati per l'occasione, dalla solerzia e operosità della buona signora Brown. La quale infatti aveva già pronto in casa un pretendente, che attendeva di passare in rivista le mie grazie. Questi non solo aveva insistito per una visione preliminare, ma anche per una immediata consegna nel caso che io fossi stata di suo gradimento, dato che il luogo dove mi trovavo era il meno adatto per la conservazione di una merce così deteriorabile come la verginità. La cura di vestirmi e agghindarmi per il turpe mercato fu affidato a Phoebe, che riuscì ad assolvere il suo incarico in maniera perfetta, ma non abbastanza rapida per me, che ero impaziente di vedermi vestita. Quando tutto fu finito e mi ammirai allo specchio, la mia estrema schiettezza e semplicità mi impedirono di nascondere una infantile gioia per quella metamorfosi.
I complimenti di Phoebe, che non dimenticò di includervi il suo contributo per avermi abbigliata, confermarono l'idea che mi ero già fatta della mia bellezza. Ero alta, benché non troppo per i miei quindici anni, diritta e snella, la vita sottile, i capelli, soffici come la seta, di un lucido castano chiaro scendendo sul collo in boccoli naturali, facevano risaltare la bianchezza della mia carnagione; il viso colorito, ma di lineamenti delicati e racchiusi in un ovale perfetto, con una piacevole fossetta sul mento; gli occhi nerissimi, più languidi che vivaci, ma che a volte - mi hanno dettodiventavano estremamente scintillanti; i denti, a cui avevo sempre dedicato ogni cura, erano piccoli, regolari e bianchi. I seni, deliziosamente nascenti, nei quali si poteva intravedere la promessa di diventare rotondi e sodi. Tutti i requisiti universalmente richiesti alla bellezza io li possedevo, e tutti gli uomini che incontrai si espressero decisamente in mio favore; anche tra le persone del mio stesso sesso ci fu chi non mi negò questo riconoscimento; mentre altre involontariamente mi lodarono ancora di più, tentando di denigrare quegli aspetti della mia persona nei quali chiaramente eccellevo. Questa è, lo ammetto, una lode esagerata di se stessi. Ma sarei ingrata alla natura, e a quella bellezza cui io debbo una vita fortunata e felice, se, per falsa modestia non parlassi di questi doni preziosi.
Ero dunque vestita, e non mi passò affato per la mente che quella gaia acconciatura avesse il solo scopo di preparare la vittima al sacrificio, e non fosse da attribuire alla generosità e gentilezza della dolce, buona signora Brown, la quale, quasi dimenticavo di dirlo, con il pretesto di conservare il mio danaro, mi aveva tolto senza esitazione alcuna, la minuscola dote che mi era rimasta. Dopo un po' di tempo, passato piacevolmente davanti allo specchio in ammirazione più del mio abito che di me stessa, fui chiamata in salotto, dove la vecchia signora mi salutò complimentandomi per il mio nuovo vestito, e affermando - senza vergogna - che esso mi si addiceva perfettamente come se nella mia vita non avessi indossato che abiti bellissimi. Mi considerava dunque tanto stupida da darmi a intendere qualunque cosa? Nello stesso tempo, mi presentò un altro cugino di sua creazione: un anziano gentiluomo che, appena io entrai nella stanza, si alzò rispondendo al mio inchino. Deluso pel ché gli avevo offerto solo la guancia, corresse immediatamente l'errore premendo le sue labbra sulle mie, con un ardore che il suo aspetto non invitava affatto a ricambiare.
Il suo aspetto! Immagini signora un uomo di oltre sessanta anni piccolo e deforme, di un pallore cadaverico, con grossi occhi sporgenti che guardavano fissi come quelli di un morto per strangolamento, la bocca deturpata da due denti che sarebbe stato più esatto chiamare zanne, le labbra livide e l'alito pesante; infine un sogghigno orribile, che lo rendeva semplicemente spaventoso, se non pericoloso per una donna incinta.
Eppure, per quanto fosse un aborto di uomo, non si accorgeva delle sue vistose deformità, tanto da considerarsi nato per piacere, e accetto alle donne; per cui aveva compensato con grandi somme certe infelici, capaci di fingere il loro amore per lui; mentre con quelle che non avevano la capacità o la volontà di dissimulare l'orrore da lui ispirato, si comportava perfino brutalmente.
L'impotenza, più che il bisogno fisico, lo spingeva a cercare nella varietà l'eccitazione necessaria per raggiungere l'acme del piacere, del quale troppo spesso veniva privato per mancanza delle necessarie energie; e ciò causava sempre in lui un violento scoppio d'ira, che sfogava finché poteva sull'innocente oggetto del suo momentaneo desiderio.
La mia coscienziosa benefattrice mi aveva fatta chiamare proprio per sottopormi all'esame di quel mostro, al quale mi aveva destinata. Essa mi fece restare in piedi davanti a lui e girare su me stessa, mi slacciò il corsetto per mostrargli la rotondità e la bianchezza di un seno appena sbocciato; poi mi fece muovere qualche passo sfruttando il mio incedere, per rendere più eccitante l'inventario dei miei fascini.
A tale esibizione l'anziano gentiluomo rispose solo con graziosi gesti di approvazione, guardandomi con l'espressione imbambolata di un caprone e quella maliziosa di una scimmia. Quanto a me, ogni tanto gli gettavo un'occhiata furtiva ma, incontrando l'avida maligna fissità del suo sguardo, distoglievo subito gli occhi inorridita e spaventata: cosa che lui, nella sua presunzione, attribuiva a modestia o almeno a una simulazione di essa. Finalmente fui congedata e ricondotta nella mia camera da Phoebe. Questa non mi lasciò mai sola, né libera di meditare sull'episodio che avevo appena vissuto; confesso però, a mia vergogna, che non avevo ancora aperto gli occhi sui progetti della signora Brown, e, in quel suo presunto cugino, vedevo soltanto una persona orribilmente odiosa a me estranea, a cui dovevo però estendere il mio rispetto per gratitudine verso la mia benefattrice. Phoebe cercò di scoprire le mie reazioni nei riguardi di quel mostro, chiedendomi se avrei accettato quel raffinato gentiluomo come marito. Le risposi molto semplicemente che l'idea di sposarmi ancora non mi sfiorava, ma che la mia scelta sarebbe comunque caduta su un uomo della mia condizione. Certo! Perché la mia avversione per quel disgustoso personaggio aveva confuso talmente le mie idee, da farmi ritenere che ogni «raffinato gentiluomo», dovesse necessariamente essere simile a lui. Ma Phoebe non si scoraggiò per così poco, e continuò nei suoi tentativi di intenerirmi ricordandomi l'ospitale accoglienza ricevuta in quella casa. Trattando del sesso in generale, lei non aveva motivo di disperare, conoscendo la mia arrendevolezza in quel campo; era però troppo esperta per non accorgersi che la mia particolare avversione per quello spaventoso cugino era un ostacolo difficilmente superabile ai fini del turpe mercato.
Mamma Brown si era intanto messa d'accordo con quel vecchio schifoso caprone su tutte le clausole del contratto, che - come seppi poi - prevedeva il versamento immediato di cinquanta ghinee come diritto di stupro, e di altre cento ghinee, quando, col trionfo sulla mia verginità, avesse completamente soddisfatto la sua libidine. Quanto a me, sarei stata lasciata interamente alla discrezione della sua simpatia e generosità.
Dopo aver stipulato il turpe contratto, il vecchio, impaziente di esercitare i suoi diritti, insistette per essere lasciato solo con me quello stesso pomeriggio, e non volle ascoltare la signora che gli faceva notare che io, in quella casa da appena ventiquattro ore, ero ancora impreparata e immatura per un simile incontro. L'impazienza è la caratteristica della lussuria: egli, nella sua vanità, non vedeva altro ostacolo ai suoi desideri, che la naturale ritrosia di una vergine in quelle occasioni, e questa convinzione lo indusse a rifiutare ogni proposta di indugio. Così lo spaventoso sacrificio venne fissato, a mia insaputa, per quel pomeriggio.
A pranzo Mamma Brown e Phoebe non fecero altro che dedicarsi a sperticate lodi per quel loro meraviglioso cugino: fortunata la donna che egli avrebbe onorato, accogliendola in casa sua!
Esaurirono tutta la loro retorica per convincermi ad accettare i favori di quel vecchio, con discorsi tali da far girare la testa a quella sciocca e ignorante ragazza che ero allora. Per fortuna la mia avversione aveva radici così profonde, e il mio cuore era talmente armato contro il vecchio dal disgusto dei miei sensi, che pur tentando di mascherare i miei sentimenti, non rimasero che poche speranze sul successo del loro favorito. Intanto il mio bicchiere veniva riempito abbastanza spesso, con il proposito di aiutare il mio caldo temperamento, in previsione dell'imminente attacco. Così mi trattennero a lungo a tavola; e verso le sei del pomeriggio, dopo che mi ero ritirata nel mio appartamento e fu pronto il vassoio del te, arrivò la mia rispettabile padrona, subito seguita dal vecchio satiro, il quale, con quel suo tipico sogghigno e con il suo odioso aspetto, riconfermò, in tutto, i sentimenti di repulsione che egli aveva suscitati in me fin dal primo incontro. Seduto davanti a me, mentre prendevamo il tè, continuò a guardarmi con occhi languidi, in modo da mettermi addosso un senso chiaro di disagio e di confusione, che lui attribuì alla timidezza di chi non è abituato a stare in compagnia. Finito il tè, la compiacente signora trovò un pretesto per uscire, pregandomi vivamente, sia per il mio bene che per il suo, di intrattenere gentilmente il cugino fino al suo ritorno. Quindi dicendogli: «La prego, signore, sia gentile e tenero con la dolce fanciulla», uscì dalla stanza, lasciandomi attonita, a bocca aperta e così impreparata alla sua improvvisa partenza, da essere incapace di reagire.
Adesso eravamo soli; e a quell'idea fui colta da un improvviso senso di sgomento e da un forte tremore. Ero così spaventata, senza sapere precisamente perché e cosa temere, che mi sedetti sul divano davanti al caminetto, immobi le e impietrita, quasi senza vita, non sapendo né come stare né come muovermi.
Ma non dovetti rimanere a lungo in quello stato di stupore: il mostro si accovacciò vicino a me sul divano e senza altre cerimonie o preamboli, mi buttò le braccia al collo: tirandomi impetuosamente verso di sé mi costrinse a subire, nonostante i miei sforzi per liberarmi, i suoi pestiferi baci; vedendomi sul punto di svenire e incapace di reagire, mi strappò la pettorina dal collo, esponendo tutto ai suoi occhi e alle sue mani.
Incoraggiato e imbaldanzito dalla mia passività e dal mio silenzio (che non avevo forza né di parlare, né di gridare), cercò di stendermi sul divano e sentii la sua mano frugare tra le mie cosce nude, che tenevo strettamente incrociate e si sforzava di aprire... oh! Allora! Mi scossi dalla passiva sopportazione, e, staccandomi da lui con una rapidità a cui non era preparato, mi gettai ai suoi piedi, implorandolo con gli accenti più commoventi di non essere brutale e di non farmi del male.
«Farti del male mia cara?» rispose. «Non voglio farti del male... Non ti ha forse detto la signora che ti amo? Che sarò molto generoso con te?»
«Certo, signore me lo ha detto» dissi io «ma io non posso amarla, veramente non posso!... La prego di lasciarmi sola... si! L'amerò sinceramente, se mi lascierà sola ... e se ne andrà... ». Ma fu come parlare al vento. Giacché, fossero le mie lacrime, il mio atteggiamento o le mie vesti discinte a suscitare nuove eccitazioni, o fosse che lui era ormai in preda a un desiderio che non poteva più frenare, grugnendo e sbavando di lussuria e di rabbia, riprese il suo attacco.
Mi afferrò tentando nuovamente di rovesciarmi e immobilizzarmi sul divano, e vi riuscì, tanto da tirarmi le sottane fin sopra la testa scoprendo così le mie cosce che io, mi ostbvano a tenere ben chiuse; ma nonostante si aiutasse anche con i ginocchi, non riuscì a farmele aprire e a progredire nella conquista del principale accesso.
Si era slacciato sia il panciotto che le brache, ma io sentivo solo il peso di quel corpo sopra di me, mentre lottavo piena di indignazione e di terrore; tutt'a un tratto lui si fermò, si staccò da me ansimando imprecando e ripetendo fra sé «brutto vecchiaccio a me!»: parole che io gli avevo certamente gridato nell'ardore della mia difesa. Come capii più tardi, sembra che il bruto, nell'impazienza e nella lotta, avesse raggiunto improvvisamente l'acme del godimento, tradito dalla sua fiacca virilità incapace di portare a compimento l'amplesso. Con tono indignato mi ordinò di alzarmi e aggiunse che non mi avrebbe più concesso l'onore di un solo pensiero ... che la vecchia cagna si cercasse un altro minchione ... che lui non si sarebbe mai più lasciato ingannare fino a quel punto dalla falsa modestia di una contadina... e che immaginava che io avessi già perso la mia verginità con qualche zoticone di campagna, e venuta a vendere il mio latte scremato in città.
Una donna innamorata non ascolta con maggiore gioia le dichiarazioni d'amore dell'amante, di quanto io non ascoltassi quegli insulti e, poiché l'odio e l'avversione che nutrivo per lui erano così profondi che non potevano aumentare, considerai quegli insulti unicamente come garanzie contro il rinnovarsi delle sue odiosissime carezze. Benché le mire di Mamma Brown fossero ormai chiare, non ebbi né lo spirito né la forza di aprire gli occhi alla verità: non riuscivo ancora a rendermi indipendente da quella strega, tanto mi consideravo sua anima e corpo; o meglio cercavo di illudermi, ostinandomi a conservare una buona opinione di lei.
Mentre una grande confusione di idee agitava la mia testa e sedevo presso il fuoco con gli occhi pieni di lacrime, le spalle nude, i capelli liberi nel più grande disordine, la libidine di quell'infame si riaccese alla vista della mia giovinezza appena sbocciata che si offriva ai suoi sguardi, con tutto il fascino di un fiore ancora da cogliere. Dopo un po' mi disse, con un tono di voce molto più tenero, che se mi fossi riconciliata con lui, prima del ritorno della vecchia signora, tutto sarebbe andato per il meglio e mi avrebbe concesso di nuovo il suo affetto; proponendomi intanto di lasciarmi baciare e toccare il seno.
Ma la paura e l'indignazione mi diedero un coraggio inaspettato, e, sgusciatagli dalle mani, corsi a suonare il campanello con tale violenza che la domestica si precipitò a vedere cosa era successo, o se il gentiluomo desiderava qualcosa; e prima che lui potesse giungere ad altri eccessi piombò nella stanza. Vedendomi, stesa sul pavimento, con i capelli tutti arruffati, il sangue che mi usciva dal naso e il mio turpe persecutore ancora impegnato a raggiungere il suo scopo, insensibile ai miei pianti e al mio stato, Marta rimase in piedi, confusa e senza parole. Per quanto avvezza e indifferente a situazioni simili, si commosse a quella scena e, immaginando che il turpe disegno concordato a mio danno fosse stato messo in atto riducendomi nelle condizioni in cui ero, prese immediatamente le mie parti e consigliò al gentiluomo di scendere e lasciarmi sola perché potessi riprendermi. Avendo la cameriera usato un tono risoluto, e, intuendo che le cose non si sarebbero aggiustate finché lui fosse rimasto, il mostro prese il cappello e lasciò la stanza, borbottando e aggrottando la fronte come un vecchio scimpanzè; così fui finalmente liberata dall'orrore della sua presenza. Appena fu uscito, Marta mi offrì teneramente il suo aiuto proponendomi di annusare qualche goccia di ammoniaca e di lasciarmi mettere a letto; cosa che dapprima rifiutai con forza, temendo che il mostro potesse approfittare dell'occasione. Lei riuscì tuttavia a farmi coricare, persuadendomi e assicurandomi che per qualla notte non sarei stata molestata; in verità io ero cosÌ stremata dalla lotta, cosÌ impaurita che non avevo neppure la forza di stare seduta sul letto, né di rispondere alle insistenti domande con le quali la curiosa Marta aumentava la mia confusione.
Tanto crudele era il mio destino, che io temevo l'incontro con Madama Brown, come se io fossi stata la colpevole e lei la parte lesa; un errore che, lei signora, non troverà tanto strano, considerando che né la virtù né i principi morali ebbero la benché minima parte nella mia strenua difesa, ma che questo fu soltanto dovuto alla forte antipatia che avevo subito provato per il primo brutale e tremendo attentatore alla mia innocenza.
Passai il tempo sino al ritorno di Madama Brown in preda a un'ansia fatta di paura e di agitazione, facilmente immaginabile. Verso le undici di sera le mie due signore tornarono a casa; ricevuto un resoconto piuttosto favorevole da Marta - ma senza aver parlato con il signor Crofts (così si chiamava il mio bruto), che se ne era andato stanco di aspettare il loro ritorno - corsero subito su da me. Vedendomi pallida, il volto insanguinato, e con tutti i segni di un completo abbattimento, si adoperarono più a confortarmi e rincuorarmi, che a rimproverarmi. Ritiratasi la signora Brown, Phoebe venne subito a letto con me, e un po' con le risposte che riuscì a strapparmi, e un po' con la pratica del palpeggiamento che usava per soddisfare se stessa, non tardò a capire, che io ero stata più spaventata che danneggiata; al che si addormentò profondamente, rimandando, credo, ammonimenti e istruzioni alla mattina seguente; ed io rimasi incapace di prender sonno a causa della mia inquietudine. Dopo essermi agitata e rigirata la maggior parte della notte, tormentata dalle apprensioni per l'accaduto, piombai, vinta dalla stanchezza, in un sonno leggero e pieno di incubi dal quale, la mattina dopo, mi svegliai scossa da una febbre violenta e in condizioni così critiche da me ttermi al sicuro, almeno per qualche tempo, dagli attacchi di quel turpe individuo, infinitamente più orribile, per me, della stessa morte. Grazie alle risorse della mia fibra giovanile bastarono pochi giorni per vincere la furia della febbre; ma ciò che maggiormente contribuì alla mia perfetta guarigione e alla mia riconciliazione con la vita, fu la provvidenziale notizia che il signor Cofts, che conduceva affari di notevole importanza, era stato accusato di contrabbando per un valore di circa quarantamila sterline: la sua situazione era così compromessa che, anche volendo, non avrebbe potuto rinnovare i suoi attacchi su di me; infatti fu immediatamente messo in carcere, con poche probabilità di uscire tanto presto. La signora Brown che aveva ricevuto le sue cinquanta ghinee, pagate in anticipo per un risultato così misero, e svanita la speranza nelle altre cento, incominciò a considerare il mio comportamento verso di lui con occhio più benevolo, e poiché aveva capito che avevo un'indole facilmente influenzabile e docile ai suoi desideri, permise alle ragazze del suo allevamento di venire a farmi visita. Diede loro anche suggerimenti sulla conversazione da tenere con me, per disporre il mio animo alla più completa acquiescenza. La gaiezza birichina e spensierata, nella quale quelle creature sconsiderate passavano il loro tempo libero, mi fece invidiare la loro condizione (della quale vedevo solo il lato bello) al punto da far nascere in me il desiderio di essere come una di loro: sentimento questo, che esse coltivavano con ogni cura, tanto che ormai non desideravo altro che guarire rapidamente, per sottopormi al rito della iniziazione. I discorsi, l'esempio, ogni cosa insomma, contribUÌ in quei giorni a corrompere la mia naturale purezza che non aveva avuto radici nell'educazione; mentre, in quella casa, il desiderio di piaceri sconosciuti, così facile ad accendersi in un'età come la mia, operò stranamente dentro di me; e tutta la modestia, praticata più per abitudine che per consapevolezza, nella quale ero stata allevata, cominciò a svanire come la rugiada al calore del sole; per non dire di come feci di necessità vizio, a causa del continuo terrore che avevo di essere cacciata via e morir di fame.
Mi rimisi presto abbastanza bene, e in certe ore della giornata mi fu concesso di girare per la casa, ma prudentemente si evitò che mi incontrassi con chiunque prima dell'arrivo da Bath di Lord B... alla cui stima la signora Brown, considerando la sua provata generosità in simili occasioni, intendeva sottoporre la mia preziosa gemma, a cui veniva dato tanto valore.
Sua Signoria era atteso in città entro quindici giorni, e per quel tempo la signora Brown riteneva che avrei interamente riacquistato la mia bellezza e freschezza, tanto da permetterle di concludere un affare migliore di quello che aveva fatto con il signor Crofts.
Nel frattempo, mi ero completamente - come esse dicevano - convertita e lasciata incantare dai loro flauti; tanto che, se la porta della mia gabbia fosse stata lasciata aperta, non avrei affatto pensato a fuggire, e non mi lamentavo per nulla della situazione, ma aspettavo tranquillamente, quali che fossero, le deçisioni della signora Brown, la quale, da parte sua, con la complicità delle sue alleate, prendeva più precauzioni del necessario per cullare e assopire ogni mia riflessione sul mio destino. Fino ad allora ero debitrice verso le ragazze della casa solo della corruzione della mia innocenza: i loro discorsi pieni di suggestioni sensuali e il racconto dei loro incontri con gli uomini mi avevano dato un'immagine suggestiva della natura e dei misteri della loro professione, accendendo, nello stesso tempo, di forte desiderio il sangue in ogni mia vena. Ma più d'ogni altra la mia compagna di letto, Phoebe, della quale in particolare fui allieva, mise tutto il suo ingegno nel darmi il primo gusto del piacere; mentre la natura, ormai eccitata e sfrenata da scoperte così interessanti, stimolò in me una curiosità che, assecondata ad arte da Phoebe, di domanda in domanda, mi portò alla conoscenza dei più nascosti misteri di Venere. Ma in una casa come quella, non avrebbe potuto passare altro tempo senza che io finissi col diventare una testimone oculare di qualcosa di più di quanto, attraverso le descrizioni, io fossi riuscita a immaginare.
Una mattina, verso mezzogiorno, rimessa del tutto dal mio malessere, mi trovavo da non più di mezz'ora nella buia anticamera della signora Brown a riposare sul divano della cameriera, quando sentii un fruscìo nella vicina camera da letto, separata dall'anticamera da due porte a vetri sulle quali erano tirate due tende di damasco giallo che ne occultavano non completamente l'interno.
Subito scivolai ad appostarmi in modo da poter vedere tutto in ogni particolare senza essere vista: e chi altri avrebbe dovuto entrare in quella camera, se non la venerabile Madre Badessa in persona? La accompagnava un muscoloso garzone, alto come un granatiere, modellato come un giovane Ercole: tutto sommato, la migliore scelta che avrebbe potuto fare la dama di Londra più esperta in tali cose.
Oh! Come rimasi immobile e silenziosa al mio posto, temendo che il più piccolo rumore potesse deludere la mia curiosità facendomi scoprire da Madama in quel nascondiglio! Ma io non avevo molte ragioni di temere che ciò avvenisse, perché lei era tanto presa dall'impegno di quel momento che non avrebbe potuto essere distratta da alcuna cosa.
Estremamente buffo a vedersi, il suo goffo corpo si lasciò cadere pesantemente a sedere ai piedi del letto, di fronte alla porta dell'anticamera, per cui io ebbi una vista completa e diretta di tutte le sue bellezze. Il suo amante sedette accanto a lei: pareva un uomo di pochissime parole e forte stomaco, perché, passando immediatamente all'azione, le schioccò alcuni sonori baci, e con le sue mani la liberò dal busto: a dispetto della loro abituale costrizione, le poppe saltarono fuori, e non più trattenute penzolarono più in basso dell'ombelico. Di più enormi i miei occhi non ne avevano mai viste, né di colore più brutto e neppure così flaccide, tuttavia quel divoratore di quarti di manzo le palpava con la più disgustosa avidità, cercando invano di imprigionare o coprirne una con la mano, che era un po' più piccola di una spalla di montone. Dopo che ebbe giocato così con esse per un po' come se ne fossero state degne - piuttosto bruscamente mise Madama a giacere e le sollevò le sottane, quasi nascondendo la sua faccia larga e rossa, che avevo visto arrossire solo per il brandy. Lui mi voltava le spalle, ed io ebbi quindi la certezza che si era gettato nella voragine soltanto dalla direzione dei suoi movimenti e dalla impossibilità di mancare un tale bersaglio. Intanto il letto cominciò a traballare, le cortine oscillarono rumorosamente, al punto che riuscii appena a udire i sospiri, i mugolii, i gemiti e l'ansimare che accompagnarono l'azione dall'inizio alla fine; i cui suoni e la cui vista mi fecero fremere sino in fondo all'anima, e versarono lava infuocata in ogni vena del mio corpo, e l'emozione aumentò così violentemente da mozzarmi quasi il respiro. Preparata e invogliata com'ero dai discorsi delle mie compagne, non può meravigliare che un simile spettacolo diede il colpo mortale alla mia giovanile innocenza. Quando tutto fu finito, uscirono insieme tenendosi amorevolmente abbracciati, non prima che la vecchia signora avesse fatto al suo ganzo un regalo, per quanto potei vedere, di tre o ,quattro monete. Egli era non solo il suo favorito per quei particolari servigi, ma 'anche un dipendente della casa. Lei, fino ad allora, mi aveva prudentemente tenuta nascosta ai suoi sguardi per paura che lui non avesse potuto aspettare pazientemente l'arrivo del mio signore, ma avesse insistito per essere il primo a degustarmi; cosa a cui la signora non avrebbe saputo opporsi, essendo completamente soggetta a lui. Tutte le ragazze della casa, infatti, erano passate, una dopo l'altra, dalle sue mani, e ogni tanto veniva il turno della vecchia signora a cui lui era obbligato per il compenso che riceveva, e che nessuno avrebbe potuto giudicare immeritatamente guadagnato. Quando li sentii scendere per le scale, scivolai quietamente nella mia camera, dove la mia assenza non era stata fortunatamente notata; e là cominciai a respirare liberamente, dando sfogo alle calde emozioni che quello spettacolo aveva fatto nascere in me. Ma quando Phoebe venne a letto, io dormivo già da tempo. Non appena sveglie, fu naturale che le nostre chiacchiere, mentre indugiavamo nel letto, avessero per argomento la mia eccitazione. Phoebe non riuscì ad ascoltare il mio racconto sino alla fine, senza interrompermi più di una volta con scrosci di risa, e il mio modo ingenuo di descrivere ciò che era successo, la mise di buonumore. Mi chiese se conoscevo Polly Philips.
"Senza dubbio» dissi, «la bella ragazza che è stata così sollecita con me quando stavo male, e che è qui solo da due mesi come tu mi hai detto».
"Proprio lei» confermò Phoebe. «Devi sapere che è la mantenuta di un giovane mercante genovese, nipote prediletto di un ricchissimo zio che lo mandò qui con il pretesto di sistemare alcuni affari, ma in realtà per assecondare la sua inclinazione ai viaggi e a vedere il mondo. Egli una volta incontrò per caso Polly, e sentendo simpatia per lei, la volle esclusivamente per sé, cosa che lei trovò molto conveniente. La viene a trovare due o tre volte la settimana: Polly lo riceve nel suo appartamento privato, al secondo piano, dove lui fa l'amore immagino con il calore del suo paese e, forse, secondo i suoi bizzarri costumi. Non ti dico altro: ma siccome domani è il suo giorno, tu stessa vedrai cosa succede tra di loro da un nascondiglio conosciuto solamente da me e da Madama».
Può star sicura, signora, che, nello stato in cui mi trovavo, non ebbi nessuna obiezione da fare a quella proposta, tanto mi struggevo dalla voglia di vederla realizzata.
Alle cinque del pomeriggio del giorno dopo, Phoebe, mantenendo la promessa, venne nella mia camera e mi fece segno di seguirla. Scendemmo la scala piano piano; poi, aprendo la porta di un buio ripostiglio dove erano conservati vecchi mobili e alcune casse di liquori e mi tirò dentro. Chiusa la porta, non rimase altra luce tranne quella che penetrava da una lunga fenditura nella parete di divisione tra il nostro ripostiglio e il salotto dove si sarebbe svolta la scena; di modo che, sedute sulle casse, potevamo con grande facilità e molto chiaramente vedere, non viste, ogni cosa, avvicinando gli occhi alla fessura, dove la modanatura di un pannello si era un po' piegata e staccata dalla parete.
Il primo personaggio che vidi fu il giovane gentiluomo, che, con le spalle volte verso di me, guardava una stampa. Polly non era ancora arrivata; però, in men di un minuto, la porta si aprì, e lei entrò. Al rumore della porta il giovane si voltò, e le andò incontro, con una espressione tenera e soddisfatta.
Dopo averla salutata la guidò verso un divano, proprio di fronte a noi, dove si sedettero; il giovane genovese le offrì un bicchiere di vino e dei biscotti napoletani su un vassoio. Dopo averle rivolto poche parole in un inglese stentato ed essersi scambiati alcuni baci, lui si spogliò, rimanendo in camicia. Come questo fosse stato un segnale convenuto per togliersi tutti gli abiti - disegno che il caldo della stagione favoriva perfettamente - Polly cominciò a liberarsi degli spilli e poiché non aveva corsetti da slacciare, in breve, con l'aiuto del suo amoroso, fu spogliata di tutto fuorché della camicia. A quella vista, lui slacciò immediatamente le brache, sia alla cintura che ai ginocchi e le fece scivolare giù, sbottonò pure il collo della sua camicia; quindi, non senza aver dato a Polly un bacio di incoraggiamento, il giovane le rubò, così per dire, l'ultimo indumento che indossava, mentre lei, pur essendo abituata, suppongo, ai capricci di lui, arrossì; ma meno di quanto io facessi, al vederla apparire in piedi, nuda, proprio come uscì dalle mani di madre natura: i capelli neri, liberi e ondeggianti sul collo e sulle spalle di una bianchezza splendente, mentre l'incarnato più roseo delle sue guance sfumava gradatamente in un lucido candore di neve. Questa era la delicata gamma dei colori splendenti sulla sua pelle.
Non poteva avere più di diciotto anni: il volto regolare e disegnato dolcemente, le forme squisite. Né potei fare a meno di invidiarle i maturi deliziosi seni delicatamente carnosi, ma al tempo stesso così rotondi, solidi, che si sostenevano da soli a dispetto di ogni busto: i capezzoli, puntati ciascuno in una direzione diversa, mettevano in risalto la loro piacevole divergenza; quindi, al disotto dei seni, il delizioso tratto del ventre terminante in una fessura carnosa e appena discernibile, sembrava modestamente ritirarsi verso il basso a cercare un rifugio tra le cosce ben tornite: il ricciuto boschetto che coprendole la parte anteriore sembrava vestirla del più ricco zibellino dell'universo.
In breve, lei era evidentemente un soggetto per pittori che l'avrebbero desiderata come modello della bellezza femminile, in tutto l'orgoglio della nudità. Il giovane italiano, ancora in camicia, ammirava affascinato quella bellezza che avrebbe eccitato un eremita morente; i suoi occhi bramosi la divoravano, mentre lei cambiava atteggiamento, assecondandolo nei suoi desideri; né le sue mani furono private della loro parte nel grande festino; anzi vagavano alla ricerca del piacere su ogni parte del corpo di lei, squisitamente adatto a offrirne in abbondanza. Il giovane gentiluomo - a giudizio di Phoebe - doveva aver circa ventidue anni. Era alto; il corpo ben modellato e di struttura robusta, spalle quadrate e torace ampio; il volto non particolarmente bello, eccetto che per il profilo romano, gli occhi grandi, neri e brillanti; il colorito acceso delle sue guance rendeva piacevole la carnagione piuttosto scura.
I suoi capelli troppo corti per essere annodati, scendevano giù sul collo in corti morbidi riccioli e una rada peluria sparsa intorno ai capezzoli adornava il torace come segno di forza e virilità.
Finalmente, la passione diventò troppo violenta per rispettare qualsivoglia ordine o misura; i loro movimenti diventarono più febbrili, i loro baci troppo ardenti e audaci perché natura umana potesse sopportarne più a lungo la furia. Sembravano tutt'e due essere fuori di sé. I loro occhi lanciavano fiamme. «Oh!... oh!... non lo posso sopportare... è troppo... non resisto più ... muoio», erano le espressioni estatiche di Polly. Il desiderio di lui era più silenzioso: ma presto mormorii spezzati, sospiri che salivano dal cuore e infine un ultimo furioso impulso. Poi, l'immobile languore del suo corpo indicò che il momento dell'orgasmo era giunto per lui; orgasmo a cui lei diede segni evidenti di partecipare, con il selvaggio agitarsi delle mani, chiudendo gli occhi e con un profondo singhiozzo nel quale sembrava dovesse spirare in una agonia di suprema beatitudine. Dopo poco essa si alzò e, gettandogli le braccia intorno al collo, sembrò molto soddisfatta della prova alla quale lui l'aveva sottoposta, almeno giudicando dall'affettuosità con la quale lo guardava e si stringeva a lui.
Da parte mia non pretenderò di descrivere ciò che sentii dentro di me durante questa scena, ma da quell'istante furono messi in fuga tutti i tImori di ciò che un uomo avrebbe potuto farmi: essi si erano ormai trasformati in un desiderio così ardente, in una smania così irrefrenabile, che avrei tirato per la manica il primo uomo che avessi incontrato per offrirgli quell'ornamento della mia adolescenza, la perdita del quale, - pensavo - fosse un guadagno da procurarsi il più presto possibile. Anche Phoebe, che aveva una maggiore esperienza, e alla quale simili spettacoli non erano nuovi, non restò tuttavia insensibile a una scena così eccitante e tirandomi via, dolcemente, dal posto di osservazione per timore di essere sentita mi portò, - passiva e obbediente a ogni suo minimo cenno - più vicino alla porta e alleviò la febbrile eccitazione che mi rendeva impaziente di vedere la continuazione degli amplessi dei nostri amanti Soddisfatta del suo successo, mi portò di nuovo allo spiraglio così provvidenziale per la nostra curiosità.
Eravamo state solo pochi IÌlinuti lontane da questo e tuttavia al nostro ritorno vedemmo che tutto era pronto per riprendere le tenere ostilità.
Il giovane straniero era seduto sul divano proprio di fronte a noi e teneva Polly sulle ginocchia, le braccia di lei intorno al suo collo; l'estrema bianchezza della pelle della ragazza contrastava deliziosamente con la bruna lucentezza di quella dell'amante. Chi avrebbe potuto contare gli innumerevoli ferventi baci dati e ricevuti? Da parte mia non sopportai di guardare oltre. Ero così sopraffatta, così infiammata dal secondo atto della commedia, che diventata come folle, mi strinsi con furia a Phoebe, come se lei avesse avuto il potere di aiutarmi. Compiaciuta e impietosita dal turbamento che sentiva in me, lei mi condusse verso la porta, e avendola aperta il più silenziosamente possibile fuggimmo via, senza essere viste, nella mia camera, dove, non potendo stare in piedi per la grande agitazione mi gettai sul letto, compie mente fuori di me, anche se vergognosa di quanto sentivo. Per farla breve, avevo tutta l'aria di non essere capace di aspettare l'arrivo del mio signore Lord B... benché fosse ormai questione di pochi giorni; né lo aspettai; perché l'amore stesso prese l'iniziativa di disporre di me, a dispetto dell'interesse e della lussuria.
Due giorni dopo quella scena mi alzai verso le sei del mattino, e lasciando la mia compagna di letto ancora addormentata, desiderando prendere un po' d'aria fresca, andai nel piccolo giardino dietro la casa sul quale si apriva il salotto, e dal quale la mia reclusione mi escludeva quando in casa v'erano ospiti. Ma in quell'ora, sonno e silenzio regnavano su ogni cosa. Aprii la porta del salotto e rimasi ben sorpresa nel vedere, presso il caminetto semi spento, un giovane gentiluomo completamente addormentato sulla poltrona della vecchia signora, con le gambe accavallate. Era stato lasciato lì dai suoi spensierati compagni, che lo avevano fatto bere più di quanto potesse sopportare, e se ne erano andati con le loro amanti, mentre lui era rimasto per la cortesia della vecchia matrona, che non volle disturbarlo né cacciarlo in quelle condizioni all'una di notte, pur non disponendo, cosa più che verosimile, di un solo letto libero.
Sul tavolo vi era ancora un recipiente per il punch e dei bicchieri sparsi nel disordine usuale dopo una notte di baldoria.
Mi avvicinai per vedere la persona addormentata e ... Cielo! che vista! No! né il passare del tempo, né i colpi della fortuna, potranno mai cancellare la fulminea impressione che ebbi vedendolo. Sì! Carissimo oggetto della mia prima passione, io avrò per sempre nei miei occhi estasiati il ricordo della tua prima apparizione ... questo ricordo ti richiama alla mia presenza e io ti rivedo adesso! Immagini signora un bel giovane di circa diciannove anni, con il capo reclinato su un bracciolo della poltrona, i riccioli scomposti che coprivano il volto come un'ombra irregolare, sul quale il roseo fiore della giovinezza e tutte le grazie virili si univano per attirare i miei occhi e il mio cuore. Perfino il languore e il pallore di quel volto - sul quale il trionfo momentaneo del giglio sulla rosa era certamente dovuto agli eccessi delle notti precedenti - davano una inesprimibile dolcezza ai più delicati lineamenti che si possano immaginare: i suoi occhi chiusi nel sonno mostravano un bellissimo bordo di lunghe ciglia; sopra di essi nessuna matita avrebbe potuto disegnare due archi più perfetti di quelli che ornavano la sua fronte, alta, bianca, perfettamente liscia. Le labbra vermiglie, sporgenti e tumide, come se un'ape le avesse punte da poco, sembravano invitarmi ad accettare la sfida di quell'amabile dormiente; ma la modestia e il rispetto, che in tutt'e due i sessi accompagnano sempre la vera passione arrestarono i miei impulsi. Ma, alla vista del suo petto candido come la neve, completamente scoperto, il piacere di contemplarlo non riuscì a sviare la mia attenzione dal rischio che incombeva sulla sua salute. L'amore, che mi aveva resa timida, mi insegnò anche a essere tenera. Con mano tremante presi la sua mano e più delicatamente che potei lo svegliai: egli trasalì, e con espressione dapprima un po' spaventata mi guardò e chiese con voce che al mio cuore giunse come dolce armonia: "Di grazia, signorina che ore sono?»
Gli risposi, e lo avvertii che avrebbe potuto prendersi un raffreddore, se avesse continuato a dormire col petto nudo esposto alla fresca aria del mattino. Mi ringraziò con una dolcezza che si accordava perfettamente a quella del suo volto e all'espressione dei suoi occhi, i quali ormai completamente aperti mi osservavano con vivo desiderio e portavano dritte al mio cuore le vivide scintille che da questi si sprigionavano.
Era successo che avendo bevuto troppo prima di gettarsi nelle mischie amorose insieme con alcuni compagni, egli si fosse trovato disarmato per competere con loro e coronare la propria serata con la conquista di un'amante. Vedendomi vestita discintamente, non ebbe alcun dubbio che io fossi una della casa, mandata a lui per recuperare il tempo perduto; ma pur fermamente convinto di ciò, il che poteva essere ovvio, sia per l'impressione non comune che ricevette dal mio aspetto, sia per la sua naturale educazione, si ri· volse a me in maniera tutt'altro che rude, anche se adatta all'ambiente in cui si trovava: e dandomi il primo bacio che avessi mai nella mia vita gustato da un uomo, mi chiese se potevo concedergli il piacere della mia compagnia, assicurandomi che avrebbe fatto in modo perché ne valesse la pena anche per me. Ma anche se l'amore appena nato, quello che purifica ogni desiderio, non si fosse opposto a una così immediata resa, il timore di essere sorpresa fu ostacolo sufficiente alla mia condiscenza. Gli dissi quindi, con tono ispiratomi dall'amore stesso, che non potevo rimanere con lui per ragioni che non avevo tempo di spiegargli, e che forse non lo avrei rivisto mai più; e a queste ultime parole si unì un sospiro che salì dal profondo del mio cuore. Il mio conquistatore, il quale - come mi avrebbe detto più tardi, - era stato colpito dal mio aspetto (e a cui ero piaciuta più di quanto avrebbe potuto piacergli qualunque altra del mio presunto genere di vita), mi chiese subito se volevo divenire la sua mantenuta; nel qual caso, mi avrebbe comprato una casa, e mi avrebbe riscattata da qualsiasi impegno che com'egli presumeva - mi legasse alla casa. Per quanto impetuosa, improvvisa, sconsiderata e perfino pericolosa, apparisse un'offerta simile, proveniente da persona estranea e per di più giovanissima e spensierata, il meraviglioso amore dal quale ero stata colpita aveva dato alla sua voce un fascino irresistibile che mi rese sorda a ogni obiezione. Sarei stata capace, in quell'istante, di morire per lui: pensate se avrei potuto resiste all'invito di vivere con lui! Così, il mio cuore battendo impetuoso a quell'offerta, dettò la risposta, in non meno di un minuto: avrei accettato la sua proposta, sarei fuggita con lui nel modo che preferiva, e mi sarei affidata completamente a lui, bene o male che fosse. Mi sono spesso stupita, da allora, che una disinvoltura così grande non lo avesse disgustato rendendomi ai suoi occhi una conquista troppo facile. Ma il mio destino aveva tutto predisposto. Temendo il rischio offerto dalla città, egli cercava da tempo una donna da mantenere; per uno di quei miracoli riservati all'amore accadde che la mia persona lo colpì. Stringemmo il patto all'istante, sigillandolo con uno scambio di baci, di cui egli si accontentò, nella speranza di maggiori ininterrotti piaceri. Mai la preziosa giovinezza profuse, come nella sua persona, maggiori doni che giustificassero la follia di una ragazza, e la rendessero capace di affrontare qualsiasi conseguenza, per seguire un amante. Oltre a riunire tutte le perfezioni della bellezza maschile, egli aveva un'aria fresca e gentile e un'eleganza di portamento che lo distingueva ancora di più. Secondo il nostro piano, io avrei dovuto cercare di uscire dalla casa la mattina dopo verso le sette, mentre egli mi avrebbe aspettato in fondo alla strada in una carrozza, per portarmi via in tutta sicurezza; dopo di che egli avrebbe provveduto a saldare ogni mio debito contratto durante il soggiorno presso Madama Brown, la quale, a suo giudizio, non sarebbe stata certo contenta di perdere una ragazza tanto adatta ad attirare clienti in casa sua. Allora gli suggerii di non dire a nessuno della casa di avermi visto, per le ragioni che gli avrei spiegato più tardi. Infine, temendo di mettere a repentaglio la buona riuscita del nostro progetto lasciandoci sorprendere insieme, mi staccai da lui molto a malincuore; salii piano piano in camera mia dove trovai Phoebe ancora addormentata. Mi tolsi in fretta i pochi abiti, e mi coricai vicino a lei in un dolcissimo stato di gioia mista ad ansia, che può essere più facilmente immaginato che espresso. Il calore della fiamma che si era appena accesa in me, dissolveva tutti i timori di delusioni, disgrazie o miserie; e perfino quello che la signora Brown potesse scoprire il mio piano. Vedere, toccare, trovarmi anche per una sola notte con l'idolo del mio appassionato cuore di vergine, mi sembrava una felicità al disopra del possesso della libertà e della vita. Che mi facesse pure del male, se voleva! Lui era il mio signore! Felice, troppo felice sarei stata di ricevere perfino la morte da una mano così cara. Questi i pensieri, le riflessioni durante quell'intero giorno, ogni minuto del quale mi parve una piccola eternità. Quante volte guardai l'orologio! E fui addirittura tentata di far avanzare quella noiosa lancetta, come se ciò avesse potuto far passare il tempo più in fretta. Se qualcuno della casa avesse prestato la minima attenzione a me, avrebbe potuto notare qualcosa di straordinario nell'agitazione che non potevo far a meno di tradire: soprattutto quando a pranzo si parlò del molto affascinante giovane che era stato nella casa, e vi aveva fatto colazione: «Oh! Era così bello! ... Sarei morta per lui... Ci si accapiglierebbe per lui...» e simili sciocchezze, che tuttavia gettavano olio su di un fuoco, che io dovevo dolorosamente soffocare. L'agitazione della mia mente per tutto il giorno ebbe il buon effetto di farmi dormire per pura stanchezza, abbastanza bene fino alle cinque del mattino; allora mi alzai, mi vestii e attesi - torturata dal timore e dall'impazienza - il momento convenuto. E venne finalmente il momento tanto desiderato, quando sorretta solo dal coraggio che l'amore mi dava, mi avventurai in punta di piedi giù per le scale, abbandonando il mio bagaglio, per paura di essere sorpresa con esso, mentre me ne andavo. Raggiunsi la porta che dava sulla strada, la cui chiave si trovava sempre sulla sedia vicino al nostro letto, sotto la custodia di Phoebe; questa, non sospettando minimamente che io avessi progettato di fuggire, non aveva preso alcuna speciale precauzione. Aprii la porta con grande facilità; l'amore che mi aveva rincuorato mi diede anche protezione; arrivata nella strada sana e salva, vidi il mio angelo custode in attesa davanti allo sportello aperto di una carrozza. Come lo raggiunsi, non so: credo di essere volata; ma in un attimo fui sulla carrozza vicino a lui che subito mi strinse fra le sue braccia e mi baciò per darmi il benvenuto. Il cocchiere aveva già avuto gli ordini e partì immediatamente. D'improvviso mi si riempirono gli occhi di lacrime, ma lacrime della più deliziosa gioia. Trovarmi tra le braccia di quel meraviglioso giovane costituiva una tale estasi che il mio piccolo cuore ne fu sommerso. Il passato e il futuro mi erano pure indifferenti. Non mi mancavano da parte di lui i più teneri abbracci, le più lusinghiere espressioni, intese ad assicurarmi del suo amore, a escludere ogni possibilità di dovermi pentire in futuro dell'audace passo compiuto, fidandomi così ciecamente del suo onore e della sua generosità. Ma, ahimè! Questo non era un merito per me, perché vi fui spinta da una passione troppo impetuosa per poterle resistere, e feci ciò che feci perché non potevo farne a meno.
In un attimo - il tempo non aveva più misura per me - giungemmo a una locanda di Chelsea, comodo e ospitale rifugio per due amanti, dove ci fu servita una colazione a base di cioccolata. Il padrone, un vecchio allegro e perfetto conoscitore della vita, fece colazione con noi, e, lanciandomi lunghe occhiate, si rallegrò e ci disse che eravamo proprio una coppia ben assortita; aggiunse che la sua casa era frequentata da molti gentiluomini e dame, ma non aveva mai visto una coppia più bella... ed era sicuro che io fossi un fiore fresco... sembravo così semplice, così innocente! Ebbene! Il mio sposo era un uomo molto fortunato! Parole che, pur essendo frutto della normale adulazione di locandiere, non solo mi piacquero e mi lusingarono, ma mi aiutarono anche a vincere la mia confusione nel trovarmi col mio nuovo sovrano, di cui, avvicinandosi il momento dell'intimità, cominciavo ad avere un po' di paura. Desideravo, stupidamente, di poter morire per lui: e tuttavia non so né come, né perché, temevo quel momento che avevo così ardentemente bramato; i miei polsi tremavano di paura nel tumulto dei più caldi 'desideri. Tale lotta di passioni, tale conflitto tra modestia e desideri amorosi mi fecero scoppiare di nuovo in lacrime, che lui continuò ad attribuire soltanto all'ansietà e all'emozione per l'improvviso cambiamento della mia vita, dovuto al fatto di essermi affidata alla sua protezione; e quindi si mise a confortarmi meglio che poteva. Dopo la colazione Charles (il caro familiare nome, che debbo usare d'ora innanzi per indicare il mio Amore) con un sorriso pieno di significato mi prese gentilmente per una mano dicendo: «Vieni, mia cara, ti mostrerò una bella stanza che domina una stupenda vista su alcuni giardini», e senza attendere una risposta, cosa che mi mise a mio agio, mi guidò verso una camera piena di luce e ariosa, dalla quale la vista promessa era fuori discussione, salvo che era visibile anche un letto, il quale aveva dovuto costituire il miglior motivo per la scelta di quella stanza. Charles aveva appena fatto scorrere il chiavistello della porta, e correndo, mi strinse tra le braccia, e sollevandomi da terra con le labbra appiccicate alle mie mi portò tremante, affannata e languente di delicati timori e teneri desideri verso l'alcova, dove la sua impazienza non gli permise di spogliarmi, ma soltanto di togliermi gli spilli che fermavano le mie vesti e di slacciarmi il busto.
Il mio petto era ora nudo e sollevandosi in caldi palpiti, offriva alla vista e al tatto di lui le ferme, dure prominenze di due seni giovani e incontaminati, quali si possono immaginare in una fresca ragazza di campagna, non ancora sedicenne; ma, nonostante l'orgogliosa bianchezza, la graziosa forma, la piacevole resistenza alla pressione, essi non frenarono il vagare delle sue mani inquiete; anzi per avere ogni libertà, alzarono le mie sottane e il principale centro d'attrazione rimase esposto alla loro dolce invasione.
Una istintiva paura, comunque, mi fece stringere meccanicamente le cosce; ma il semplice tocco della sua mano, insinuata fra esse, le fece schiudere aprendo la via al primo assalto.
Intanto, giacevo completamente esposta all'esame degli occhi e delle mani di lui, silenziosa e senza fare alcuna resistenza; quindi egli procedette spavaldamente fermo nella sua convinzione ch'io fossi non nuova a certe faccende, avendomi incontrata in una casa pubblica. lo non lo avevo avvertito della mia verginità, perché se l'avessi fatto, lui avrebbe potuto pensare che lo giudicavo un credulone tale, da gabellargli simili panzane.
Troppo eccitato per un ulteriore indugio, egli si sbottonò e tirato fuori lo strumento delle battaglie d'amore lo guidò direttamente in quella che lui riteneva una breccia già aperta... Allora per la prima volta sentii quel membro rigido, duro come un corno, urtare contro la tenera parte; ma! si figuri la sua sorpresa, quando dopo alcune vigorose spinte che mi fecero tremendamente male, egli si accorse di non aver fatto il minimo progresso.
Mi lamentavo, ma fievolmente; non lo potevo sopportare... mi faceva davvero male!... Ma lui continuò a pensare che la potenza giovanile causasse una maggiore grossezza del suo membro facendogli incontrare tutta quella difficoltà; o che, forse, io non fossi mai stata goduta da uomo meglio dotato di lui. Non gli passò mai per la testa l'idea che il fiore della mia verginità non era stato ancora colto; e avrebbe considerato, del resto, una inutile perdita di tempo e di parole interrogarmi su tale argomento.
Eccolo tentare di nuovo: ancora accesso interdetto, ancora nessuna penetrazione: solo il mio dolore si rinnovava, benché il grande amore mi facesse sopportare qualunque pena senza quasi un gemito. Infine, dopo ripetuti infruttuosi tentativi, si sdraiò ansimante al mio fianco, baciò le lacrime che bagnavano il mio volto e mi chiese teneramente perché soffrivo tanto: non l'avevo io sopportata da altri meglio che da lui? Gli risposi con suadente semplicità che egli era il primo uomo che io avessi avvicinato. Charles, non esitò a credermi, mi colmò di baci e mi pregò in nome dell'amore di avere un po' di pazienza, affermando che sarebbe stato con me, più delicato che se si trattasse della sua stessa carne. Ahimè! Conoscere il suo desiderio bastava per sottomettermi con gioia al suo volere, per quanto acuta sarebbe stata la pena. Riprese quindi i suoi tentativi: violento e non più padrone di sè stesso: trasportato impetuosamente dalla furia e dall'ardore senza limiti del suo membro, come animato da ancestrale rabbia, irruppe, travolgendo ogni ostacolo e, con un ultimo violento spietato affondo, lo spinse fino all'elsa dentro di me... Allora ogni coraggioso proposito mi abbandonò, lanciai un grido e persi i sensi per l'intensità del dolore.
Quando rinvenni, mi trovai svestita e a letto, tra le braccia del dolce distruttore della mia verginità, il quale, chino su di me e teneramente addolorato, mi porgeva un cordiale che, essendomi offerto dal pur sempre amatissimo autore di tanta pena, io non potei rifiutare.
I miei occhi però, umidi di lacrime e languidamente rivolti a lui, sembravano rimproverarlo per la sua crudeltà e chiedergli se queste erano le ricompense dell'amore.
Ma Charles, a cui ero infinitamente più cara dopo il suo completo trionfo sulla mia inaspettata verginità, intenerito dalla pena che mi aveva procurato per ottenere il più alto dei piaceri, soffocò la sua esultanza, e si mise con molta dolcezza e caLdo affetto a lenire e confortare i miei deboli lamenti, che in realtà esprimevano più amore che risentimento: quindi rapidamente annegai ogni sensazione di dolore nel piacere di vederlo e di pensare che appartenevo a lui, che era adesso l'assoluto depositario della mia felicità e del mio destino. La ferita era ancora fresca, perché Charles mi sottoponesse a un'altra prova; e siccome non potevo muovermi né attraversare la stanza, lui ordinò che il pranzo fosse servito a letto dove, non senza difficoltà, riuscii a mangiare un'ala di pollo e a bere alcuni bicchieri di vino, aiutata dal mio giovane amante, che insistette con quell'adorabile e irresistibile autorità di cui l'amore l'aveva investito nei miei riguardi.
Finito il pranzo, dopo che era stato portato via, tutto eccetto il vino, Charles mi chiese molto disinvoltamente il permesso - la cui concessione poteva benissimo leggere nei miei occhi, - di venire a letto con me, e quindi cominciò a spogliarsi molto rapidamente; e io non potei assistere al procedere dei suoi gesti, senza strane sensazioni di paura e piacere.
Lui era a letto con me, per la prima volta e in pieno giorno; avendo tirato su la sua camicia assieme alla mia, giaceva con il corpo nudo e splendente vicino al mio... Oh! Che insopportabile piacere! Che rapimento sovrumano! Quale pena non sarebbe diventata insieme a lui, un piacere appassionante? Non sentivo più il fuoco della mia ferita e avvicinandomi a lui con la tenacia di un viticcio, come se temessi di privare qualche parte del suo corpo della fervente aderenza del mio, ricambiai i suoi abbracci e i suoi baci, con un trasporto e un piacere, quali solamente l'amore può far provare, del tutto sconosciuti alla semplice lussuria.
Quante volte, acquietati la passione e il tumulto dei sensi nello struggente orgasmo, mi sono chiesta freddamente in una tenera meditazione se la natura riservava a tutte le sue creature una felicità come la mia. Oppure, che valore potevano avere i dubbi, i timori di eventuali conseguenze, se messi a confronto con tutti i godimenti di una sola notte, trascendenti la capacità di gioire dei miei occhi e del mio cuore, quali mi venivano offerte da quella deliziosa, appassionata, incomparabile giovinezza? Così passammo l'intero pomeriggio sino alla cena, in un continuo avvicendarsi di delizie amorose, di baci, di carezze, tubando come due tortorelle, divertendoci in giochi erotici, in un vero festino di piacere. Infine, ci servirono la cena; Charles che si era rivestito, non so bene per quale ragione, si sedette vicino all'alcova e usammo il letto e le lenzuola come tavola e tovaglia, non permettendo a nessuno di aiutarci. Mangiò con un robusto appetito, e sembrava incantato a vedermi mangiare. Da parte mia, ero talmente stupita della mia fortuna, così compiaciuta, paragonando le delizie in cui ero allora immersa con la stupidità della mia vita passata, che giudicavo tali beni acquistati a buon mercato, anche se la mia completa rovina oppure il rischio di perderli fosse stato il loro prezzo. Non potevo pensare ad altro se non a ciò che in quel momento possedevo.
Quella notte dormimmo insieme - non dopo aver più volte gareggiato nel prodigarci scambievolmente il piacere, - quando la natura, sopraffatta ed estenuata, ci immerse fra le braccia del sonno, che fu per me più delizioso, perché avevo coscienza di essere cinta da quelle del mio diletto giovane amante. Mi svegliai per prima, nel tardo mattino mentre lui dormiva ancora profondamente; e mi svincolai delicatamente dal suo abbraccio, respirando appena per timore di interrompere il suo riposo; la mia cuffietta, i capelli, la camicia, tutto era in gran disordine per le gioiose schermaglie sostenute. Approfittai di quell'occasione per riordinarmi meglio che potevo, mentre ogni tanto i miei occhi correvano con incomparabile tenerezza e diletto al giovane dormiente, e, ripensando al dolore che mi aveva procurato, ammisi tacitamente che il piacere mi aveva ripagato di ogni sofferenza.
Era ormai giorno pieno. Sedevo sul letto, le cui coperte, in gran scompiglio, erano scivolate via per i nostri movimenti agitati, e per il gran caldo umido della stagione. Non potei rifiutarmi il piacere, che mi tentava irresistibilmente, di deliziare i miei occhi con tutti i tesori della giovanile bellezza che avevo goduto, e che ora giacevano quasi completamente nudi; la camicia era infatti tutta arrotolata in su, ma il caldo nella stanza era tale da togliermi ogni preoccupazione per la sua salute. Mi chinai su di lui in adorazione, divorando quell'affascinante nudità con i miei soli due occhi, mentre avrei voluto averne almeno cento per un più completo godimento della vista.
Oh! Fossi io capace di dipingere il suo corpo come lo vedo ancora adesso presente alla mia commossa memoria! Una perfetta bellezza virile superbamente esposta in tutta la sua completezza.
Pensi, Signora, a un volto senza un difetto, splendente come un fiore che si apre, e al quale la primaverile freschezza dell'età conferiva una bellezza quasi senza sesso; ché solo una leggera peluria appena visibile sul labbro superiore cominciava a dissipare tale dubbio.
Dalle sue labbra vermiglie socchiuse esalava un respiro più puro e più fresco dell'aria stessa che respirava. Ah! Che sacrificio mi costò rinunciare alla tentazione di un bacio! E, poi, un collo squisitamente tornito, ingentilito dai capelli che scendevano in morbidi riccioli univa la testa a un corpo di forme perfette e della più vigorosa struttura, la cui robustezza e virilità erano ingentilite nell'aspetto dalla delicatezza dell'incarnato, dalla levigatezza della pelle, dalla floridezza della carne. L'ampia compattezza del suo petto bianco come la neve, ma virilmente proporzionato, suggeriva nella vermiglia sommità dei capezzoli l'idea di una rosa ancora in bocciolo. La sua camicia non mi impediva di ammirare la simmetria delle membra, la perfetta rotondità dei fianchi nel punto in cui la vita termina e inizia la curva dell'addome; dove la pelle liscia e di una bianchezza lucente imbrunisce, tendendosi sulla carne soda e piena, e così elastica che le impronte di una leggera pressione o di un tocco sarebbero sparite di colpo scivolando come sulla superficie del più liscio avorio.
Infine Charles si svegliò e voltandosi verso di me mi chiese gentilmente come avevo dormito, ma non mi diede il tempo di rispondergli e mi stampò sulle labbra uno dei suoi baci brucianti di estasi che mi infiammarono il cuore, diffondendo l'incendio per tutto il mio corpo, come se volesse prendersi un'orgogliosa rivincita sulla mia ispezione alle sue scoperte bellezze. Gettò via le lenzuola, e tirandomi su la camicia fin sopra la testa, deliziò a sua volta gli occhi con tutti quei doni che la natura aveva sparso sulla mia persona, e, anche le sue mani irrequiete vagarono freneticamente su ogni parte di me. L'acerba e deliziosa durezza del seno ancora in boccio, il biancore e la pienezza delle carni, la regolarità e la freschezza dei lineamenti, l'armonia del corpo, tutto sembrò confermare in lui la soddisfazione della sua scelta.
Poi mi riempì talmente di piacere che ne rimasi soffocata, senza respiro, in uno estatico amplesso. Oh! Gli innumerevoli baci! Ognuno di essi mi procurava una gioia indicibile, e ogni gioia si perdeva in una crescente estasi. In quel succedersi di piacevolezze e in quello scambio di abbracci era ormai passata gran parte della mattinata, per cui fu necessario fare tutt'uno della colazione e del pranzo.
Durante gli intervalli di maggiore calma, Charles mi raccontò di se stesso con parole che risultarono vere. Era l'unico figlio di un uomo debole, che avendo un modesto impiego all'ufficio imposte, spendeva più del suo reddito e aveva dato a questo giovane gentiluomo un'istruzione molto scarsa e nessuna preparazione per l'esercizio di una professione. Aveva invece deciso di provvedere a lui comprandogli un grado nell'esercito purché naturalmente fosse riuscito a raccogliere il danaro necessario, oppure a ottenerlo a interesse: in ognuna di queste due clausole c'era più desiderio che speranza. In mancanza di migliori progetti questo padre imprevidente aveva lasciato crescere il figlio, - un giovane di grandi promesse -, fino all'età della virilità o poco meno, in un ozio quasi completo e, fra l'altro, non si era preso pena di dargli i comuni insegnamenti o consigli contro i vizi della città, i pericoli di ogni genere che incontrano gli inesperti e gli incauti.
Charles viveva modestamente in casa con suo padre, che aveva anche un'amante e che per il resto, purché il figlio non chiedesse danaro, era abbastanza gentile con lui. Poteva dormire fuori casa quando voleva - bastava una scusa qualsiasi - e anche i suoi rimproveri erano così miti da far supporre più una certa connivenza che un serio controllo o una costrizione.
Ma per far fronte alle sue necessità finanziarie Charles aveva, da parte della madre, prematuramente morta, una nonna che gli dava tutto quello che poteva. Essa aveva una rendita annua considerevole e donava a quel suo nipote favorito ogni scellino di cui potesse fare a meno, suscitando un po' di gelosia nel padre del ragazzo, il quale si lamentava non perché la nonna favorisse, così, certe stravaganze di Charles, ma perché preferiva Charles a lui, e ben presto vedremo quale fatale cambiamento quella gelosia mercenaria provocò nell'animo di un padre.
Il generoso affetto della nonna diede a Charles la possibilità di mantenersi un'amante, così facilmente accontentabile quale l'amore mi aveva resa poiché fu la mia buona fortuna - così debbo chiamarla - che mi aveva messo sulla sua strada nel modo narrato, proprio quando lui si era messo in cerca di una donna. La dolcezza del suo carattere lo faceva sembrare nato per la felicità familiare: era tenero, di una gentilezza innata e di modi cortesi; se litigi o animosità fossero sopravvenuti a turbare la calma che sapeva mantenere e alimentare in ogni modo, non sarebbe stato certo per colpa sua. Pur non possedendo quelle brillanti qualità che fanno di un uomo un genio, oppure lo impongono all'attenzione del mondo, aveva quelle modeste doti che fanno piacevolmente accogliere un uomo in seno alla società, e un semplice buon senso, sottolineato dalla grazia, dalla modestia e dalla bontà, faceva di lui una persona, se non ammirata, universalmente amata e stimata, cosa che rende molto più felici. Ma all'inizio della nostra relazione, solo la sua bellezza e il suo fascino fisico avevano attirato i miei sguardi e suscitato in me la passione, né ero allora in grado di giudicare quei meriti morali che avrei scoperto e approfondito in seguito. Tanto che in quella sconsiderata e leggera età quale era la mia, se le stesse qualità morali avessero costituito innegabile dote di un uomo meno adatto a colpire i miei sguardi, esse non avrebbero minimamente toccato il mio cuore.
Dopo aver consumato il pranzo a letto nel più voluttuoso disordine, Charles si alzò e mi salutò accoratamente perché doveva lasciarmi sola per qualche ora. Doveva andare in città per consultare un giovane astuto avvocato, e quindi andare insieme a lui dalla mia venerabile padrona dalla quale ero fuggita solo il giorno prima. Voleva sistemare ogni cosa con lei in modo da eliminare definitivamente ogni eventuale ripensamento da parte di lei.
Ma, mentre si dirigevano verso la casa, il giovane avvocato, riflettendo su quanto Charles gli aveva narrato, vide la possibilità di dare alla loro visita uno scopo diverso da quello concertato, e venne quindi deciso di chiedere, anziché offrire soddisfazione.
Appena entrarono, le ragazze della casa si affollarono intorno a Charles, che conoscevano bene, non sospettando minimamente la sua complicità nella mia fuga, poiché ignoravano - presumo - il nostro incontro, e cominciarono a corteggiarlo insieme al suo compagno, che ritenevano un nuovo cliente. Ma l'avvocato le interruppe subito chiedendo della padrona, con la quale, aggiunse con l'aria grave di un uomo di legge, doveva definire un affare. Chiamata immediatamente Madama e invitate le signorine a lasciare la stanza, l'avvocato le chiese con severità se avesse conosciuto e corrotto, con l'allettante promessa di un posto di cameriera, una giovane ragazza appena venuta dalla campagna, che rispondeva al nome di Fanny Hill; e mi descrisse, servendosi di ogni particolare fornitogli dal racconto di Charles.
È caratteristica del vizio tremare davanti alle domande della giustizia; e la signora Brown, la cui coscienza non era certo tranquilla per quanto mi concerneva, quantunque furba ed esperta nel destreggiarsi tra i pericoli della sua professione, non poté fare a meno di preoccuparsi a tale domanda, soprattutto quando l'avvocato si mise a citare giudici di pace, tribunali, atti d'accusa e pene come la deportazione o l'esser messi alla gogna come tenutaria di bordello.
Madama, immaginando probabilmente che io avessi sporto una denuncia contro la sua casa, impallidì e si mise a mormorare scuse e proteste. Comunque, per farla breve, i mie paladini lasciarono la casa trionfanti portando via la mia famosa cassa, sulla quale, se Madama non fosse stata così spaventata, avrebbe certo mercanteggiato, e persino ottennero una dichiarazione con la quale venivo liberata da qualsiasi rivendicazione da parte della casa. E tutto ciò non costò loro più di una coppa di «punch» che rifiutarono, insieme alla possibilità di una ragazza.
Charles, per tutto il tempo, si comportò come se fosse un compagno occasionale dell'avvocato, il quale l'avrebbe portato con sé perché conosceva il luogo, e sembrava non esser per nulla interessato alla discussione. Comunque, si accorse con piacere che tutto il mio racconto corrispondeva a verità. Phoebe, la mia cara tutrice, in quel momento era uscita probabilmente alla mia ricerca; e se fosse stata presente, di certo la storiella preparata dei miei amici non sarebbe stata accettata altrettanto facilmente.
Questi negoziati richiesero parecchio tempo, che mi sarebbe apparso invero molto più lungo, sola in una casa estranea, se la locandiera una donna molto materna alla quale Charles mi aveva raccomandata, non fosse venuta a farmi un po' di compagnia. Prendemmo il tè insieme e le sue chiacchiere mi distrassero piacevolmente, poiché il mio piacere costituì argomento della conversazione.
Ma quando scese la sera e l'ora stabilita per il suo ritorno trascorse senza che lui si fosse visto, non potei allontanare da me la malinconia, l'impazienza e le dolci paure che nel nostro sesso l'amore provoca in proporzione alla sua intensità. Tuttavia non dovetti soffrirne: la vista di lui mi ripagò presto di ogni tristezza e i deboli rimproveri che avevo preparato morirono sulle mie labbra, da lui chiuse con un bacio. Ero ancora a letto e incapace di usare le gambe se non goffamente. Charles mi corse incontro, mi strinse in un dolce abbraccio e subito mi fece un racconto particolareggiato di ciò che aveva fatto e del successo ottenuto, interrompendosi di tanto in tanto per baciarmi teneramente.
Non potei fare a meno di ridere ascoltando la descrizione della paùra che aveva preso la vecchia megera, una paura che la mia ignoranza e l'inesperienza erano ben lontane dal farmi immaginare. Sembrava che essa avesse capito che io ero fuggita dalla sua casa per rifugiarmi presso qualche parente in città a causa del dispiacere provocato da ciò che mi avevano fatto: onde l'intervento dell'avvocato. Come Charles aveva giustamente pensato, nessuno dei vicini aveva notato, a quell'ora del mattino, la mia fuga, la carrozza o la sua presenza. Né in casa si poteva sospettare che io avessi parlato con lui e tanto meno concluso in tal fretta un patto simile, con un giovane completamente sconosciuto.
Cenammo insieme con tutta l'allegria di due giovani spensierate creature al culmine dei loro desideri, e poiché avevo gioiosamente messo nelle mani di Charles il fardello della mia felicità futura, non pensavo ad altro che al dolce piacere del possesso di lui. Infine, lui venne a letto, e, in quella seconda notte, essendo il dolore alquanto attenuato, assaporai nella loro pienezza tutte le effusioni di un godimento perfetto: mi immersi, sprofondai nell'estasi, finché non piombammo entrambi nel sonno, conseguenza naturale della soddisfazione del desiderio e della sazietà dei sensi; né ci svegliammo se non con la rinascita del desiderio.
Così, godendo appieno l'amore e la vita, rimanemmo nella locanda per circa dieci giorni, durante i quali Charles si preoccupò di dare giustificazioni credibili della sua assenza a casa, mentre mantenne buoni rapporti con la benevola nonna, dalla quale continuava a ricevere i mezzi sufficienti per il mio mantenimento, che costituiva certo un peso ben piccolo per lui, se confrontato con la sua precedente, irregolare vita di piaceri disordinati.
Charles mi trasferì poi in un appartamento ammobiliato a St. James, dove pagava mezza ghinea la settimana per due stanze e un'anticamera al secondo piano; appartamento alla cui ricerca aveva dedicato non poco tempo, e più adatto alla frequenza delle sue visite, di quanto non fosse la locanda, che tuttavia lasciai con dispiacere; là ero stata posseduta da Charles per la prima volta, perdendo un gioiello che non si può perdere due volte. Il padrone, comunque, non ebbe ragione di dispiacersi di nulla, anzi la prodigalità di Charles lo compensò largamente dell'averci perduti come clienti.
Appena giunti al nostro nuovo alloggio, ricordo di averlo trovato molto bello benché fosse alquanto comune; anche se mi avessero portata in una prigione sotterranea, la presenza di Charles sarebbe stata sufficiente per farla sembrare una piccola Versailles.
La padrona, signora Jones, ci accompagnò al nostro appartamento e con gran parlantina ci illustrò tutte le comodità di cui potevamo usufruire; disse che ci avrebbe servito la sua cameriera personale... che nella sua casa alloggiava gente di alto rango... che il primo piano era affittato a un segratario d'Ambasciata con la moglie... e che io avevo l'aspetto di una signora di buona indole. Alla parola «signora» arrossii lusingata nella mia vanità: era troppo per una ragazza delle mie condizioni; Charles aveva usato la precauzione di farmi vestire con abiti meno vistosi di quelli che indossavo al momento della fuga e mi fece passare per la moglie segretamente sposata e tenuta nascosta ai suoi amici. Oserei giurare che questa versione dovette sembrare estremamente improbabile a una donna che conosceva la vita della città così bene come la signora Jones, ma lei non se ne preoccupava affatto. Era impossibile avere meno scrupoli di lei, e poiché il guadagno ricavato dall'affitto delle sue stanze era il suo unico scopo, la verità non l'avrebbe scandalizzata affatto, né le avrebbe impedito di fare i suoi affari.
Una breve descrizione della sua figura e della sua vita la preparerà a capire la parte che costei sostenne nei miei riguardi.
Aveva circa quarantasei anni. Era alta e magra, i capelli rossi, un viso insignificante e ordinario come lo si può incontrare dovunque, senza richiamare la nostra attenzione. Da giovane era stata mantenuta da un gentiluomo che, morendo, le aveva lasciato un vitalizio di quaranta sterline l'anno e una figlia avuta con lei; questa all'età di diciassette