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FERNANDO PESSOA

FAUST

[Appunti di Pessoa sul Faust]

Il dramma nel suo insieme rappresenta la lotta fra l'Intelligenza e la Vita, lotta in cui l'Intelligenza risulta sempre perdente. L'Intelligenza è rappresentata da Faust e la Vita in varie forme, a seconda delle circostanze postulate dal dramma.
Nel 1º atto la lotta consiste nel fatto che l'Intelligenza vuole capire la Vita, ma viene sconfitta, e capisce soltanto che non potrà mai capirla. Così questo atto è fatto tutto di disquisizioni intellettuali e astratte in cui il mistero del mondo (tema generale di tutta l'opera, visto che è il tema centrale dell'Intelligenza) viene ripetutamente trattato.
Il 1º intermezzo è la ripetizione informa lirica delle conclusioni a cui il protagonista giunge nel 1º atto.
Nel 2º atto abbiamo l'Intelligenza che lotta nel tentativo di dirigere la Vita; questo tentativo fallisce ugualmente, anche se in modo diverso. La difficoltà consiste nel modo di rappresentare la Vita che l'Intelligenza tenta di dominare. La soluzione migliore è di rappresentare la Vita attraverso un discepolo o qualcosa di simile, sul quale le pretese volontà e imposizioni del Maestro (forse perché la sua sottilità e ambizione non vengono capite) non producono alcun effetto o producono una falsa impressione. Forse la cosa migliore in questo caso è di rappresentare la Vita qui attraverso tre discepoli o altri personaggi: uno, sul quale l'azione intellettuale è nulla, un altro dal quale l'azione intellettuale è accettata ma erroneamente, perversamente; e un terzo che istintivamente la combatte, anche grazie all'Intelligenza che in lui è un'arma, un mezzo, e uno strumento attraverso i quali l'istinto si può manifestare.
Il 2º intermezzo riassume la problematica umana posta dal 2º atto. Si tratta di un intermezzo lirico, come ilprimo. (Studiare il genere lirico che ispira essenzialmente questo intermezzo).
Il 3º atto concerne la lotta dell'Intelligenza per adattarsi alla Vita che, come è naturale, è rappresentata dall'amore, cioè da una figura femminile, Maria, che Faust tenta di sapere amare.

FAUST
Che fai?
Tento di saper amare.
È nato morto ciò che volli essere.

Anche in questo caso la disfatta dell'Intelligenza è flagrante. L'atto si chiude con il Monologo della Notte, di speciale amarezza, perché l'incapacità di adattamento alla vita è più amara del fallimento nel comprenderla e nel dirigerla. Il fallimento nel comprenderla è infatti più orribile (per il mistero essenziale), mentre il fallimento nel dingerla è più deludente (per la disparità fra i risultati, lo sforzo utilizzato e l'intenzione).
È difficile stabilire quale carattere deve avere 3º intermezzo, anch'esso lirico. (Non deve assolutamente essere l'intermezzo dionisiaco). (??).
Il tentativo mancato del 4º atto è l'annientamento della Vita perché la rabbia della vendetta fallisce difronte alla capacità di reazione della Vita, cadendo nell'Abitudine (i rivoltosi che riconoscono come loro signore il signore contro cui si rivoltano), nel Piacere Più Immediato e nell'Indifferenza per i grandi scopi, nonostante l'appello dell'istinto (il che è rappresentato dalla scena in cui gli innamorati sentono con indifferenza il tumulto della rivoluzione lontana).
Il 4º intermezzo deve essere il più freddo di tutti.
Infine, nel 5º atto, abbiamo la Morte, ilfallimentofinale dell'Intelligenza difronte alla Vita. Mentre si scherza e si balla durante un giorno difesta, Faust, ignorato da tutti, agonizza. E il dramma si chiude con la canzone dello Spirito della Notte, riproponendo l'elemento della paura del Mistero che avvolge sia la Vita come l'Intelligenza (una canzone semplice e fredda).
Una delle cose importanti che resta da studiare è la natura degli intermezzi. Indubbiamente il 1º deve essere di un lirismo metafisico, che finisce con la canzone La cateratta di sogno. Il 2° intermezzo, nel passaggio del fallimento dell'intelligenza al suo tentativo di adattarsi al suo fallimento, deve essere il più soave di tutti, sebbene un sapore delfallimento che si verificherà debba forse aleggiare nel tono lirico. Il 3º sarà senz'altro l'intermezzo dionisiaco perché è la tendenza dionisiaca dell'Intelligenza che la porta ad annientare la Vita, sia per l'errore dell'istinto che conduce a un eccesso assurdo e teorico, sia per la rabbia intrinseca a questo eccesso. Il 4º intermezzo, che sarebbe opportuno cominciasse con la canzone del Destino (??) chiude freddamente la serie lirica, il commento lirico che gli intermezzi rappresentano.
È questo, approssimativamente, l'ambiente drammatico del Primo Faust.
Un altro modo di porre lo stesso problema o meglio, la stessa tesi, è il seguente.

1º atto: conflitto dell'Intelligenza con se stessa.
2º atto: conflitto dell'Intelligenza con altre Intelligenze.
3º atto: conflitto fra Intelligenza e Emozione.
4º atto: conflitto fra Intelligenza e Azione.
5º atto: sconfitta dell'Intelligenza.

 

2, 3, 9, novembre 1932

Ah, tutto è simbolo e analogia!
Ti vento che passa, la notte che rinfresca
sono tutt'altro che la notte e il vento:
ombre di vita e di pensiero.

Tutto ciò che vediamo è qualcos'altro.
L'ampia marea, la marea ansiosa,
è l'eco di un'altra marea che sta
laddove è reale il mondo che esiste.

Tutto ciò che abbiamo è dimenticanza.
La notte fredda, il passare del vento
sono ombre di mani i cui gesti sono
l'illusione madre di questa illusione.

*

Tutto trascende tutto
ed è più e meno reale di quello che è.

*

(Faust nel suo laboratorio.)

FAUST (solo)
Onde di desiderio che vane vi perdete
senza neppure lambire il cuore e l'anima
del vostro sentimento; onde di pianto,
non riesco a piangervi, e in me crescete,
immensa marea mugghiante e sorda,
per frangervi sulla spiaggia del limite
che la vita impone all'Essere; onde nostalgiche
di un certo mare largo Dove la spiaggia sia
un sogno inutile, o di una certa terra
ignota più dell'eterna aura
dell'eterna sofferenza, e dove forme
non immaginate dagli occhi dell'anima
vagano, essenze lucide e (...)
dimentiche di ciò che chiamiamo
sospiri, lacrime, desolazione;
onde in cui non posso vaneggiare
sia dentro me stesso, in sogno, imbarcazione o isola,
sia transitoria speranza, sia
illusione generata dalla delusione;
o onde senza biancori e senza asprezze
ma rotonde come un olio e silenti
nel vostro interminabile e pieno rumore...
Oh, onde dell'anima, gettatevi in un lago
o innalzatevi aspre e bianche
con il sussurro acerbo della schiuma,
levatevi in temporali nel mio essere.
Voi siete un mare senza cielo, senza luce, senza aria,
sentito, non visto, rumoreggiante
sopra il fondo profondo della mia anima!
Lacrime, sento in me il vostro sapore amaro!
Non voglio piangervi! Se vi piangessi
come arrivare (tante siete!) ad esaurirvi?
Se vi esaurissi che cosa troverei poi?
Magari una disperata aridità,
un'ansia vana di non poter riportarvi
un'altra volta a me per piangervi
in vana consolazione, un'altra volta ancora!

Che l'anima non esista: vana idea anch'essa!
Che esista e sia immortale: sogno modesto
nei suoi confini, anche se coerente
con la sua modestia. Che altro? Che esista,
che esista e sia mortale, che muoia in un Tutto
Celeste? Vago, vano. Non ci sarà
oltre alla morte e all'immortalità
qualcosa di più grande? Ah, ci dev'essere
oltre alla vita e alla morte, all'essere, al non essere,
un Innominabile sovra-trascendente
Eterno Incognito e Inconoscibile!
Dio? Nausea. Cielo, Inferno? Nausea, nausea.
Perché pensare, se dovrà fermarsi qui
il corto volo dell'intendimento?
Più oltre, pensiero! Più oltre!

*

Il mistero degli occhi e dello sguardo
del soggetto e dell'oggetto, trasparente
sull'orrore che sta oltre se stesso; il muto
sentimento di ignorare se stessi,
e la tormentata commozione che nasce
dall'avvertire la follia del vuoto;
l'orrore di, un'esistenza incompresa
quando da' tale orrore si giunge all'anima
rende ogni dolore umano un'illusione.
Quello è il supremo dolore, la vera croce.
Vogliono disprezzare il tuo senso di orgoglio,
Cristo!

Allora io vedo - orrore - l'intima anima,
il mistero perenne che attraversa
come un sospiro i cieli e i cuori.

*

Appena uscito da un'infanzia
vagamente triste e diversa,
una volta, nel contemplare da un colle
la linea maestosa dei monti
che azzurrina, in profili, scompariva
all'orizzonte, nel contemplare i campi,
mi parve all'improvviso che tutto
scomparisse, prendendo (...)

e che un abisso invisibile, una
cosa che non somigliava all'esistenza
occupasse - non lo spazio, ma il modo
in cui io pensavo il visibile.

E allora l'orrore supremo che poi
mai più m'abbandonò, ma che sempre più grande
e sempre lo stesso,
mi invase...
Oh prima visione interiore
del mistero infinito, in cui crollò in un'ora
la mia vita giovanile!

*

Non leggo più; vorrei aprire un libro
e trovarvi esibita tutta la scienza...
Almeno poter credere che, se leggessi,
se per lunghe ore leggessi e leggessi,
mi resterebbe alla fine qualcosa
dell'essenziale del mondo, che salirei
per lo meno più vicino
al Mistero... E, anche senza raggiungerlo,
almeno lo avrei sfiorato...
Non fossi tutto un (...)
come un bambino che simula di salire
i gradini che ha dipinto per terra...

Non leggo. Per ore interminabili,
a tutto estraneo, se non a una dolorosa
coscienza vuota di me stesso,
come un freddo in una notte intensa,
davanti al libro aperto io vivo e muoio...
Nulla... E l'impazienza fredda e dolorosa
di leggere per non sognare, e aver perduto
il sogno! CosI come un (...) mulino
che, abbandonato, lavora ancora invano,
senza nesso e senza scopo, io macino
e rimacino l'illusione del pensiero...
E ora dopo ora nella mia anima sterile
più profondo si apre l'abisso fra il mio essere
e me, e in quel (...) abisso non vi è nulla...

Felice quel tempo in cui sognavo, e talvolta
interrompevo la lettura per seguire
dentro di me i cortei... Amore, orgoglio,
– anch'essi illusioni! – colorivano i miei sogni...
e con molta insistenza, ero (...)
l'amante di bellezze (...)
e il re di popoli vaghi e sottomessi;
e in grembi che sognavo, o fra
le file (...) prostrate, vivevo
sublimi nienti, allegrie incolori.
Ma
oggi nessuna immagine, nessun volto
evoco dentro di me... Solo un deserto dove
neppure il colore di un arenile o un'aria morta
posso sognare... Ma possedendo solo l'idea,
avendo del colore solo il pensiero,
vuoto, vano, senza calore o freddo,
senza posizione o direzione o (...)
solo il posto vuoto del pensiero...


Il sospiro del Mondo

Vita, morte,
riso, pianto
è ilmanto
che mi copre.
Natura,
amore, bellezza,
tutto quanto
l'anima scopre.

Il Mistero
di questo mondo,
il tuo fondo
sguardo l'ha letto.
Di là da esso
(chiudi l'anima
per il terrore!)
io provengo.
Nulla, nulla
ormai lenisce
il tuo dolore.
Tu sai bene
che la mia voce
è più atroce
di muto orrore
in quel che tace,
e solo tu senti
e intuisci.
Chiudi, o infelice,
chiudi l'anima tua
al mio terrore!

(Faust, con gli occhi chiusi, rannicchiato nella poltrona, trema come per un gran freddo).

*

Il mistero supremo dell'Universo,
l'unico mistero, tutto e in tutto,
è che ci sia un mistero dell'universo,
è che ci sia l'universo, qualcosa,
è che ci sia l'esserci. Oh forma astratta e vaga
in cui questo fluido esserci tanto in me indugia,
pensare questo è come un gelo nel corpo
che soffia d'oltre terra e d'oltre tomba
e va dall'anima a Dio.

*

Il mistero di tutto
si avvicina talmente al mio essere,
giunge così vicino agli occhi della mia anima
che mi dissolvo in tenebre e avvolto
in tenebre oscuramente mi atterrisco.

*

Ah, non poter distaccare da me gli occhi,
gli occhi della mia anima dalla mia anima
(da ciò che chiamo anima).
Conosco solo due cose, e sono in esse
profondamente assorto: me e l'universo;
l'universo e il mistero, e io che sento
l'universo e il mistero, spenti
umanità, vita, amore, ricchezza.

Oh, uomo comune, uomo felice!
Chi di noi sogna di phi, io o te?
Tu che vivi incosciente, che ignori
questo orrore che è l'esistere,
l'essere al cospetto di un pensiero
che non scioglie l'essere con soluzioni, tu
o io, il cui pensiero folle e vinto
sento sempre più smarrito,
mentre analizzo e divago
e penetro (...) nelle essenze;
io che sempre più sento come se
sognando di meno, con la coscienza sveglia,
stessi solo sognando più profondamente...
E quest'idea, nata dalla stanchezza
e dalla confusione del mio pensare,
porta con sé innumerevoli orrori, poiché porta
materia nuova al mistero eterno,
materia metafisica nella quale
mi smarrisco a ricercare.

*

Il pensare, e il pensare sempre
provoca in me una forma intima e (...)
di sentire che mi rende disumano.
Più non riesco ad affratellare il sentimento
con l'altrui sentimento, misantropo

ineluttabilmente e nella mia essenza.
Ogni allegria mi gela, mi suscita odio,
ogni tristezza altrui mi infastidisce,
assorto come sono nella mia, più grande assai
di altre. E l'allegria mi fa odiare
poiché non posso più essere allegro
e, anche non volendo,
sento che la mia anima non tollera
che qualcuno sia più felice di lei.
Il riso mi offende perché esiste,
sento di non volere che qualcuno rida
fintanto che io non possa farlo! Se per caso tento
di sentire, di volere, voglio solo cose incoerenti
di indefinita immensa aspirazione,
smisurata perfino nel suo sogno.
E a volte con il pensare sento crescere
in me pazzie di (...)
e impulsi che mi paralizzano
ma sono soltanto (...) e passano.
Più che mai è in me (quando non penso
e sono oscurato nel pensiero)
una vaga e (...) aspirazione
acquiescente, febbrile e dolorosa
nata dal (...) pensiero
e che lo accompagna emotivamente
nelle inerzie oscure del mio essere.

[...]