Dopo
essere stato per quasi un secolo uno dei più clamorosi successi del teatro
d’opera di tutti i tempi, il Faust di Charles Gounod sembra attraversare
da alcuni decenni un periodo di relativa crisi. Forse agli spietati occhi
della modernità non ha giovato il confronto tra il dolceamaro libretto e
la complessa tragedia di Goethe; si tratta tuttavia di un’accusa mossagli
già dai primissimi spettatori, alla quale i recensori dell’epoca hanno risposto
notando che Gounod si era mantenuto fedele alla materia goethiana tanto
quanto il pubblico per cui l’opera era stata scritta era disposto a concedergli,
e comunque più di gran parte dei musicisti e dei drammaturghi che prima
di lui l’avevano portata sulle scene teatrali. La coppia Barbier e Carré,
premiata ditta cui si deve un buon numero di libretti di raffinata fattura,
concentra l’intreccio sulle sue principali coordinate sentimentali; l’elemento
fantastico è ridotto al minimo indispensabile ed è complessivamente limitato
a elementi più “di colore” che di visionaria profondità. Invano si cercherebbero
nella mite Notte di Valpurga di Gounod le deliranti accensioni che Berlioz
aveva saputo scatenare nelle sue pagine faustiane e, più ancora, nella Sinfonia
fantastica; tanto che, seguendo l’uso introdotto dalla fortunata versione
italiana, in più di un teatro l’intero quadro del V atto è stato per decenni
sistematicamente omesso.
La riduzione della vicenda è largamente basata su un dramma di Michel Carré
intitolato Faust et Marguerite, rappresentato con qualche fortuna a Parigi
nel 1850; si tratta di un tipico testo boulevardier, concepito per un pubblico
affamato di distrazione più che di riflessione, e a esso sono da ricondurre
buona parte dei meriti e delle colpe di lesa maestà letteraria riscontrabili
nel testo musicato da Gounod. La stesura del libretto è tuttavia da attribuirsi
nella sua sostanziale totalità a Jules Barbier: i due scrittori avevano
firmato un contratto per un’altra opera programmata per il 1859 all’Opéra
(Le Pardon de Ploërmel, del ben più famoso Meyerbeer), e quando una serie
di imprevisti portarono i due lavori a sovrapporsi decisero di dividersi
le responsabilità; Barbier avrebbe lavorato al libretto di Gounod con il
permesso di pescare a piacimento dal precedente testo teatrale di Carré,
mentre quest’ultimo si sarebbe dedicato al lavoro per Meyerbeer.
La commissione era arrivata a Gounod da Léon Carvalho, geniale impresario
del Théâtre-Lyrique, il che significa che il Faust nacque secondo le convenzioni
dell’opéra comique – il genere consueto alle tavole di quel palcoscenico
–, la più importante delle quali era la presenza di dialoghi parlati al
posto dei recitativi. Gounod lavorò alacremente alla partitura nell’estate
del 1858, e le prove ebbero inizio nell’autunno, con l’obiettivo di arrivare
in scena prima della fine dell’anno; vari imprevisti fecero poi slittare
il debutto fino al 19 marzo 1859. La compagnia di canto comprendeva una
sola grande stella del firmamento lirico, la soprano Marie Miolan-Carvalho,
consorte dell’impresario del Teatro, circostanza che naturalmente recò a
Gounod non pochi problemi di carattere diplomatico, date le classiche pretese
della primadonna. D’altronde Gounod non era uomo da subire passivamente
i capricci dei cantanti; è rimasto famoso quel «Soprattutto, la faccia brillante!»
gridato dal finestrino di una carrozza dalla Miolan-Carvalho al compositore
in procinto di scrivere la sua parte nella tragica Mireille: Gounod se ne
guardò bene, e la cosa non può certo dispiacerci. Faust si rivelò subito
un grande successo, e la sua diffusione portò ben presto il lavoro a subire
un gran numero di adattamenti: se infatti durante le prove del 1859 la partitura
aveva già perso non meno di un terzo della musica originariamente composta
da Gounod, i successivi tagli e rimaneggiamenti la condussero solo gradualmente
a diventare ciò che oggi solitamente ascoltiamo. Per favorirne la circolazione
internazionale, Gounod compose già nel 1860 i bei recitativi per rimpiazzare
i parlati; nel 1862 l’opera approdò alla Scala di Milano nella fortunata
traduzione italiana di Achille de Lauzières, che costituì per moltissimi
anni la versione più diffusa nel mondo intero – è in questa veste, per esempio,
che nel 1883 il Faust inaugurò il nuovo Metropolitan Theatre di New York.
Faust è insomma un’opera che più di altre porta impressa nel proprio corpo
l’orma delle vicende del gusto e della storia culturale; si tratta di un
segreto prezioso che, unito al piacere di una musica dal fascino senza tempo,
attendeva lo sguardo sensibile e consapevole del pubblico dei nostri giorni
per rivelarsi in tutta la sua ricchezza. |