Sistema Musica ottobre  2004
teatro regio
  Bohème, dolore inaspettato
di Daniele Martino


Un manifesto della Boheme
C’è chi pensa che in realtà Bohème non sia una tragedia annunciata, e che i suoi personaggi non siano, nel senso della tipologia tragica, soggetti che si oppongano al corso del loro destino, rimanendone naturalmente schiacciati. «Il che – scriveva Luca Zoppelli in Studi Pucciniani n. 1 – non significa diminuire l’impatto emotivo, anzi: mutando la qualità del taglio tragico, trasformando l’esito della vicenda in un colpo casuale che si abbatte su un gruppo di anonime, deboli pedine del gioco sociale, tutte fino all’ultimo momento prive di vera identità e prigioniere della propria babele di linguaggi musicali, si esaspera nell’ascoltatore l’angoscia e la ribellione morale contro l’insensatezza dell’esistenza». Al di là della musica, ovviamente, quest’opera nata a Torino cento e otto anni fa aveva cioè la capacità di far piangere. Funzionava, Bohème, e dovrebbe ancora funzionare. La bohème è un’opera molto interessante perché tra le fonti letterarie del libretto e le parole cantate in partitura si sono disseminate molte versioni, molte bozze, molte idee possibili per scolpire il grande materiale a disposizione nel romanzo di Henry Murger, Scènes de la vie de bohème, romanzo che derivò in pochi anni, nel 1851, dal flop di un feuilleton su un giornale e dal successo di un dramma teatrale. Già nel libretto la vicenda, fa capitare in scena meno cose di quante ne siano invece capitate nella storia di Murger. Non c’è solo Lucia detta Mimì che è sintesi bionica della Francine e della Mimì del romanzo. Perché Rodolfo sarebbe così violentemente geloso, come racconta Mimì alla Barrière d’Enfer a Marcello? Non abbiamo visto niente, che lo dimostri. Chi è ‘sto viscontino che la mantiene? Dove diavolo era finita Mimì dopo la Barrière d’Enfer e dopo la stagion dei fior che avrebbe segnato la separazione tra i due innamorati che non riuscivano a non litigare? Marcello e Musetta con attendibilità divertente litigano in scena, si insultano live, ma Mimì e Rodolfo vanno d’accordo, si amano, sono stati a letto e probabilmente hanno convissuto: perché non convivono più? Ci pare di capire perché Rodolfo non si è mai convinto che, nonostante la tisi, quella donna non abbia smesso, come sartina dal basso reddito senza marito che vive di espedienti, di cedere alla ambiguità morale del darsi a uomini ricchi in grado di mantenerla con i loro doni, in cambio di merce sessuale. Come Traviata e Alfredo. Ma Puccini era ossessionato dalla necessità di evitare di somigliare troppo a quel modello verdiano. In un articolo in cui Pier Giuseppe Gillio testimonia delle interessanti carte del lascito Giacosa (sempre in Studi Pucciniani n. 1), zampillano pagine piene di rivelazioni su tutti questi buchi nella storia. A un certo punto Mimì comincia a parlare a Marcello di Rodolfo, chiarendoci un po’ le idee, e con la massima fedeltà al romanzo, a cura di Luigi Illica:
Sapete chi è Rodolfo... carattere impastato
d’ira e di gelosia...
Il mio amor proprio sotto i piedi l’ha pesto...
M’uccide ad once... Ditemi se è vivere codesto?

Ecco chi è, nel segreto del suo arrovellato privato, il poeta innamorato dell’Ideale! Certo che ha pensato di lasciarlo, Mimì, come le suggerisce Marcello:
Non è molto, una sera, si decise
dividerci il domani.
Ci siam strette le mani
come due amici, e si cenò, e si rise.
I miei stracci raccolsi – ei m’ajutò
poi ricordammo l’ore
prima del nostro amore,
come si visse e come ci si amò.
La “Buona Sera” noi ci siamo detto
sorridendo e contenti...
ma, a lumi spenti,
Marcello, che tortura quel letto!
Io lo sentivo sempre singhiozzare!...
freddo come un cadavere
era!... l’udivo piangere
ed il guancial di lagrime inzuppare!...

E così via: non c’è spazio per continuare. Ma quel che volevo dire è che Bohème funziona, anche come storia, per questa capacità pucciniana di rappresentare musicalmente in teatro le sofferenze, le azioni incasinate che noi 108 anni dopo continuiamo a compiere anche se cambiano spazi e luoghi. Il regista di turno può anche cambiare un po’ le cose, anche con gusto, come ha fatto l’australiano Baz Luhrmann prima alla Sidney Opera nel 1990 e poi nel 2001 nel film Moulin Rouge con Ewan McGregor e Nicole Kidman, e nel 2002 in un teatro da musical con la sua Bohème-on-Broadway. Ma non c’è bisogno di aggiornare la tubercolosi con l’Aids per ritrovare in sala, davanti alla vecchia Bohème, altra gente compassionevole, in empatia con quei giovanotti che, cercando soltanto un po’ di bene, non se l’aspettavano di provare tanto dolore.
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