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Bohème, dolore inaspettato di Daniele Martino |
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C’è
chi pensa che in realtà Bohème non sia una tragedia annunciata,
e che i suoi personaggi non siano, nel senso della tipologia tragica, soggetti
che si oppongano al corso del loro destino, rimanendone naturalmente schiacciati.
«Il che – scriveva Luca Zoppelli in Studi Pucciniani n. 1 –
non significa diminuire l’impatto emotivo, anzi: mutando la qualità
del taglio tragico, trasformando l’esito della vicenda in un colpo
casuale che si abbatte su un gruppo di anonime, deboli pedine del gioco
sociale, tutte fino all’ultimo momento prive di vera identità
e prigioniere della propria babele di linguaggi musicali, si esaspera nell’ascoltatore
l’angoscia e la ribellione morale contro l’insensatezza dell’esistenza».
Al di là della musica, ovviamente, quest’opera nata a Torino
cento e otto anni fa aveva cioè la capacità di far piangere.
Funzionava, Bohème, e dovrebbe ancora funzionare. La bohème
è un’opera molto interessante perché tra le fonti letterarie
del libretto e le parole cantate in partitura si sono disseminate molte
versioni, molte bozze, molte idee possibili per scolpire il grande materiale
a disposizione nel romanzo di Henry Murger, Scènes de la vie de bohème,
romanzo che derivò in pochi anni, nel 1851, dal flop di un feuilleton
su un giornale e dal successo di un dramma teatrale. Già nel libretto
la vicenda, fa capitare in scena meno cose di quante ne siano invece capitate
nella storia di Murger. Non c’è solo Lucia detta Mimì
che è sintesi bionica della Francine e della Mimì del romanzo.
Perché Rodolfo sarebbe così violentemente geloso, come racconta
Mimì alla Barrière d’Enfer a Marcello? Non abbiamo visto
niente, che lo dimostri. Chi è ‘sto viscontino che la mantiene?
Dove diavolo era finita Mimì dopo la Barrière d’Enfer
e dopo la stagion dei fior che avrebbe segnato la separazione tra i due
innamorati che non riuscivano a non litigare? Marcello e Musetta con attendibilità
divertente litigano in scena, si insultano live, ma Mimì e Rodolfo
vanno d’accordo, si amano, sono stati a letto e probabilmente hanno
convissuto: perché non convivono più? Ci pare di capire perché
Rodolfo non si è mai convinto che, nonostante la tisi, quella donna
non abbia smesso, come sartina dal basso reddito senza marito che vive di
espedienti, di cedere alla ambiguità morale del darsi a uomini ricchi
in grado di mantenerla con i loro doni, in cambio di merce sessuale. Come
Traviata e Alfredo. Ma Puccini era ossessionato dalla necessità di
evitare di somigliare troppo a quel modello verdiano. In un articolo in
cui Pier Giuseppe Gillio testimonia delle interessanti carte del lascito
Giacosa (sempre in Studi Pucciniani n. 1), zampillano pagine piene di rivelazioni
su tutti questi buchi nella storia. A un certo punto Mimì comincia
a parlare a Marcello di Rodolfo, chiarendoci un po’ le idee, e con
la massima fedeltà al romanzo, a cura di Luigi Illica: Sapete chi è Rodolfo... carattere impastato d’ira e di gelosia... Il mio amor proprio sotto i piedi l’ha pesto... M’uccide ad once... Ditemi se è vivere codesto? Ecco chi è, nel segreto del suo arrovellato privato, il poeta innamorato dell’Ideale! Certo che ha pensato di lasciarlo, Mimì, come le suggerisce Marcello: Non è molto, una sera, si decise dividerci il domani. Ci siam strette le mani come due amici, e si cenò, e si rise. I miei stracci raccolsi – ei m’ajutò poi ricordammo l’ore prima del nostro amore, come si visse e come ci si amò. La “Buona Sera” noi ci siamo detto sorridendo e contenti... ma, a lumi spenti, Marcello, che tortura quel letto! Io lo sentivo sempre singhiozzare!... freddo come un cadavere era!... l’udivo piangere ed il guancial di lagrime inzuppare!... E così via: non c’è spazio per continuare. Ma quel che volevo dire è che Bohème funziona, anche come storia, per questa capacità pucciniana di rappresentare musicalmente in teatro le sofferenze, le azioni incasinate che noi 108 anni dopo continuiamo a compiere anche se cambiano spazi e luoghi. Il regista di turno può anche cambiare un po’ le cose, anche con gusto, come ha fatto l’australiano Baz Luhrmann prima alla Sidney Opera nel 1990 e poi nel 2001 nel film Moulin Rouge con Ewan McGregor e Nicole Kidman, e nel 2002 in un teatro da musical con la sua Bohème-on-Broadway. Ma non c’è bisogno di aggiornare la tubercolosi con l’Aids per ritrovare in sala, davanti alla vecchia Bohème, altra gente compassionevole, in empatia con quei giovanotti che, cercando soltanto un po’ di bene, non se l’aspettavano di provare tanto dolore. |
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