Carlida Steffan Struttura musicale dell'opera
Ezio Toffolutti L'isola delle rivelazioni. Alcune riflessioni sulla messa in scena
Maria Giovanna Miggiani Bibliografia
Mirko Schipilliti Wolfgang Amadeus Mozart
Luca Fontana Così fan tutti,o sia l'amara scuola degli amanti.
Daniel Heartz Così fan tutte di Mozart

Carlida Steffan
Struttura musicale dell'opera

Orchestra: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti (1 clarinetto di bassetto), 2 fagotti, 2 corni,
2 trombe, timpani, archi; basso continuo: cembalo e violoncello; in scena: tamburo militare.

Ouvertura
Andante - Presto (C|, Do maggiore)

Atto primo
scena i
n. 1 Terzetto (Ferrando, Guglielmo, Don Alfonso)
"La mia Dorabella"; Allegro (C, Sol maggiore)
Recitativo (Guglielmo, Don Alfonso, Ferrando)
"Fuor la spada: scegliete"
n. 2 Terzetto (Don Alfonso, Ferrando, Guglielmo,)
"È la fede delle femmine"; Allegro (C|, Mi maggiore)
Recitativo (Ferrando, Guglielmo, Don Alfonso)
"Schioccherie di poeti!"
n. 3 Terzetto (Ferrando, Guglielmo, Don Alfonso)
"Una bella serenata"; Allegro (C, Do maggiore)

scena ii - iii
n. 4 Duetto (Fiordiligi, Dorabella)
"Ah guarda sorella"; Andante - Allegro - Adagio (3/8 - 2/4, La maggiore)
Recitativo (Fiordiligi, Dorabella)
"Mi par che stamattina"
n. 5 Aria (Don Alfonso)
"Vorrei dir, e cor non ho"; Allegro agitato (C|, Fa minore)
Recitativo (Fiordiligi, Don Alfonso, Dorabella)
"Stelle! Per carità, signor Alfonso"

scena iv
n. 6 Quintetto (Guglielmo, Ferrando, Don Alfonso, Fiordiligi, Dorabella)
"Sento oddio, che questo piede"; Andante (C|, Mi bemolle maggiore)
Recitativo (Guglielmo, Ferrando, Don Alfonso, Fiordiligi, Dorabella)
"Non piangere, idol mio"
n. 7 Duettino (Ferrando, Guglielmo)*
"Al fato dàn legge"; Andante (2/4, Si bemolle maggiore)
Recitativo (Don Alfonso, Ferrando, Fiordiligi, Dorabella)
"La commedia è graziosa"

scena v
n. 8 Coro
"Bella vita militar"; Maestoso (C|, Re maggiore)
Recitativo (Don Alfonso, Fiordiligi, Dorabella, Ferrando, Guglielmo)
"Non v'è più tempo, amici"
n. 8a Quintetto (Fiordiligi, Dorabella, Guglielmo, Ferrando, Don Alfonso)
"Di scrivermi ogni giorno"; Andante (C, Fa maggiore)
n. 9 Coro
"Bella vita militar"; Maestoso (C|, Re maggiore)

scena vi
Recitativo (Dorabella, Don Alfonso, Fiordiligi)
"Dove son? - Son partiti. - Oh dipartenza"
n. 10 Terzettino (Fiordiligi, Dorabella, Don Alfonso)
"Soave sia il vento"; Andante (C|, Mi maggiore)

scena vii
Recitativo (Don Alfonso)
"Non son cattivo comico!"
Recitativo [accompagnato] (Don Alfonso)
"Nel mare solca e nell'arena semina"; Allegro moderato

scena viii - ix
Recitativo (Despina, Fiordiligi, Dorabella)
"Che vita maledetta"
Recitativo [accompagnato] (Dorabella)
"Ah scostati, paventa il tristo effetto"; Allegro assai - Maestoso
n. 11 Aria (Dorabella)
"Smanie implacabili"; Allegro agitato (C|, Mi bemolle maggiore)
Recitativo (Despina, Dorabella, Fiordiligi)
"Signora Dorabella"
n. 12 Aria (Despina)
"In uomini, in soldati"; Allegretto (2/4 - 6/8, Fa maggiore)

scena x
Recitativo (Don Alfonso, Despina)
"Che silenzio! Che aspetto di tristezza"

scena xi
n. 13 Sestetto (Don Alfonso, Ferrando, Guglielmo, Despina, Fiordiligi, Dorabella)
"Alla bella Despinetta"; Allegro - Molto allegro (C - 3/4 - C|, Do maggiore)
Recitativo (Don Alfonso, Dorabella, Fiordiligi, Ferrando, Guglielmo, Despina)
"Che sussurro! Che strepito"
Recitativo [accompagnato] (Don Alfonso, Ferrando, Guglielmo, Despina, Fiordiligi)
"Stelle! Sogno, o son desto?"; Allegretto (C)
"Temerari, sortite" (Fiordiligi); Allegro
n. 14 Aria (Fiordiligi)
"Come scoglio immoto resta"; Andante maestoso - Allegro - Più allegro (C, Si bemolle maggiore)
Recitativo (Ferrando, Guglielmo, Don Alfonso, Dorabella, Fiordiligi)
"Ah non partite! - Ah barbara restate!"
[n. 15 Aria (Guglielmo)*
"Non siate ritrosi"; Andantino (2/4, Sol maggiore)]
n. 15a Aria (Guglielmo)
"Rivolgete a lui lo sguardo"; Allegro - Allegro molto (C - C|, Re maggiore)

scena xii
n. 16 Terzetto (Don Alfonso, Ferrando, Guglielmo)
"E voi ridete?"; Molto allegro (3/4, Sol maggiore)
Recitativo (Don Alfonso, Guglielmo, Ferrando)
"Si può sapere un poco"
n. 17 Aria (Ferrando)
"Un'aura amorosa"; Andante cantabile (3/8, La maggiore)

scena xiii
Recitativo (Don Alfonso, Despina)
"Oh la saria da ridere"
scena xiv - xvi
n. 18 Finale (Fiordiligi, Dorabella, Ferrando, Guglielmo, Don Alfonso, Despina)
"Ah che tutta in un momento"; Andante (2/4, Re maggiore)
"Si mora sì, si mora"; Allegro (C|, Sol minore, Sibemolle maggiore)
"Giacché a morir vicini" (Mi bemolle maggiore)
"Eccovi il medico"; Allegro (3/4, Sol maggiore)
"Dove son! Che loco è questo!"; Andante (C, Si bemolle maggiore)
"Dammi un bacio, o mio tesoro"; Allegro - Presto (C|, Re maggiore)

Atto secondo
scena i
Recitativo (Despina, Fiordiligi, Dorabella)
"Andate là, che siete due bizzarre ragazze!"
n. 19 Aria (Despina)
"Una donna a quindici anni"; Andante - Allegretto (6/8, Sol maggiore)

scena ii
Recitativo (Fiordiligi, Dorabella)
"Sorella, cosa dici? - Io son stordita"
n. 20 Duetto (Dorabella, Fiordiligi)
"Prenderò quel brunettino"; Andante (2/4, Si bemolle maggiore)

scena iii
Recitativo (Don Alfonso, Dorabella)
"Ah correte al giardino"

scena iv
n. 21 Duetto con coro (Ferrando, Guglielmo, Coro)
"Secondate, aurette amiche"; Andante (3/8, Mi bemolle maggiore)
Recitativo (Don Alfonso, Fiordiligi, Dorabella, Despina, Ferrando, Guglielmo)
"Il tutto deponete"
n. 22 [Quartetto] (Despina, Don Alfonso, Ferrando, Guglielmo)
"La mano a me date"; Allegretto grazioso - Allegro - Recitativo - Tempo primo - Presto (6/8 - C, Re maggiore)

scena v
Recitativo (Fiordiligi, Ferrando Dorabella, Guglielmo)
"Oh che bella giornata!"
n. 23 Duetto (Guglielmo, Dorabella)
"Il core vi dono"; Andante grazioso (3/8, Fa maggiore)

scena vi
Recitativo [accompagnato] (Ferrando, Fiordiligi)
"Barbara! Perché fuggi?"; Allegro - Adagio
n. 24 Aria (Ferrando)*
"Ah lo veggio quell'anima bella"; Allegretto - Allegro (C|, Si bemolle maggiore)

scena vii
Recitativo [accompagnato] (Fiordiligi)
"Ei parte... senti!... Ah no... partir si lasci"; Allegretto
n. 25 Rondò (Fiordiligi)
"Per pietà, ben mio, perdona"; Adagio - Allegro moderato (C, Mi maggiore)

scena viii
Recitativo (Ferrando, Guglielmo)
"Amico, abbiamo vinto"
Recitativo [accompagnato]
"Il mio ritratto! Ah perfida! - Ove vai?"; Allegro - Andante - Allegro
n. 26 Aria (Guglielmo)
"Donne mie la fate a tanti"; Allegretto (2/4, Sol maggiore)

scena ix
Recitativo [accompagnato] (Ferrando)
"In qual fiero contrasto"; Allegro - Andante
n. 27 Cavatina (Ferrando)
"Tradito, schernito"; Allegro (C|, Do minore - Do maggiore)
Recitativo (Don Alfonso, Ferrando, Guglielmo)
"Bravo: questa è costanza - Andate, o barbaro"

scena x
Recitativo (Despina, Dorabella, Fiordiligi)
"Ora vedo che siete una donna di garbo"
n. 28 Aria (Dorabella)
"È Amore un ladroncello"; Allegretto vivace (6/8, Si bemolle maggiore)

scena xi - xii
Recitativo (Fiordiligi, Guglielmo, Despina, Don Alfonso)
"Come tutto congiura"
n. 29 Duetto (Fiordiligi, Ferrando)
"Fra gli amplessi in pochi istanti"; Adagio - Con più moto - Allegro - Larghetto - Andante (C| - 3/4 - C|, La maggiore - Do maggiore)

scena xiii
Recitativo (Guglielmo, Don Alfonso, Ferrando)
"Ah poveretto me! Cosa ho veduto!"
n. 30 [Terzetto] (Don Alfonso, Ferrando, Guglielmo)
"Tutti accusan le donne"; Andante (C|, Do maggiore)

scena xiv
Recitativo (Despina, Ferrando, Don Alfonso, Guglielmo)*
"Vittoria padroncini!"

scena xv - xviii
n. 31 Finale (Despina, Don Alfonso, Fiordiligi, Dorabella, Ferrando, Guglielmo, Coro)
"Fate presto, o cari amici"; Allegro assai (C, Do maggiore)
"Benedetti i doppi coniugi"; Andante (C|, Mi bemolle maggiore)
"E nel tuo, nel mio bicchiero"; Larghetto (3/4, La bemolle maggiore)
"Miei signori, tutto è fatto"; Allegro (C|, Mi maggiore)
"Bella vita militar"; Maestoso (C|, Re maggiore)
"Misericordia!"; Allegro (3/4, C|, Mi bemolle maggiore)
"Sani e salvi agli amplessi amorosi"; Andante (C|, Si bemolle maggiore)
"Non signor, non è un notaio"; Con più moto
"Giusto Ciel! Voi qui scriveste"; Allegro (Mi bemolle maggiore)
"Ah, signor, son rea di morte"; Andante (Si bemolle maggiore)
"A voi s'inchina, bella damina"; Allegretto (Re minore)
"Il ritrattino pel coricino"; Andante (3/8, Fa maggiore)
"Ed al magnetico"; Allegretto (Do maggiore)
"V'ingannai, ma fu l'inganno"; Andante con moto - Allegro molto (C|)

NB: l'asterisco segnala i numeri tagliati nell'attuale produzione, dove si esegue invece l'aria n. 15a, destinata all'interprete di Guglielmo, Francesco Benucci, la sera della prima rappresentazione assoluta.


Ezio Toffolutti
L'isola delle rivelazioni
Alcune riflessioni sulla messa in scena

Lavorando su Così fan tutte, ho sentito fino a che punto la presenza della natura e del mare potesse trasparire dalle parole e dai sentimenti espressi dai personaggi.
Ho immaginato un'isola ove si recano in villeggiatura due signore di Ferrara, Fiordiligi e Dorabella, non distante dalla guarnigione dei fidanzati, gli ufficiali Guglielmo e Ferrando. Esse desiderano divertirsi e vivere esperienze inconsuete.
L'intrigo di Così fan tutte parte da una scommessa un po' folle pronunciata al termine di una notte di libagioni, di cui ognuno subirà conseguenze molteplici. Da questo gioco di travestimenti 'turcheschi', che esaltano la stranezza e la diversità, i personaggi impareranno a conoscersi e sveleranno la loro vera personalità.
La pièce non dura che un giorno, ma all'interno dell'unità teatrale i personaggi di questa "scuola degli amanti" vivono un'iniziazione, forse un apprendistato - la perdita delle illusioni? -, sotto la guida di Don Alfonso, che tira le fila degli avvenimenti. (Per creare questo personaggio Da Ponte, in esilio a Vienna, ha potuto ispirarsi all'amico Giacomo Casanova, altro esule veneziano; lo stesso librettista, in seguito, finirà per assomigliare al 'vecchio filosofo' di sua invenzione, accanito artefice di intrighi, sempre assetato di denaro e di riconoscimenti.)
Alla cultura e al sapere del filosofo si aggiungono l'astuzia e il gusto per il gioco della cameriera Despina. Le macchinazioni da loro 'messe in scena' rappresentano un'esperienza filosofica e morale tipicamente illuministica. La pièce si situa in un'epoca instabile, di grandi cambiamenti, una fin de siècle per certi versi simile alla nostra, in cui si guarda al passato con un po' di nostalgia.
Ho inserito i personaggi dell'opera all'interno di un'architettura che si chiude come un labirinto privo d'uscita. Questo 'capriccio' riflette l'esperienza dei personaggi e costituisce una modesta eco alla musica di Mozart la quale, più di fornirci risposte, ci pone piuttosto interrogativi.

Parigi, 1996

Per quanto riguarda la scena:

L'isola è un luogo separato ma nel contempo aperto e privo di frontiere, in quanto circondato dall'acqua, ed è in grado di sollecitare sentimenti e comportamenti contrastanti.Il mio spazio teatrale, come d'altra parte la musica di Mozart, offre la possibilità di una convivenza felice e creativa degli esseri umani, ma anche il suo contrario.Un certo degrado architettonico che reca segnali visibili del passato implica sia distruzione sia costruzione.Il passato è visto come unica possibilità per il futuro.

Venezia, 2002

Maria Giovanna Miggiani
Bibliografia

Scopo di questo resoconto non è fornire una bibliografia mozartiana scientificamente esaustiva, già agevolmente rintracciabile nelle voci di noti repertori musicologici come il Deumm,1 il Grove Opera2 e l'ultima edizione aggiornata del New Grove Dictionary.3 Si è preferito invece segnalare alcuni volumi in italiano, in prevalenza tuttora reperibili, non rivolti esclusivamente a un pubblico di specialisti e per ragioni analoghe non si menzionano gli articoli pubblicati in riviste italiane ed estere di stampo scientifico-accademico.
Sono moltissime le biografie e gli studi su Mozart, la cui proposta in Italia ha ricevuto grande impulso dalle celebrazioni per il bicentenario della morte nel 1991.
Punto di partenza imprescindibile per la conoscenza della vita del compositore
salisburghese, del suo ambiente e della sua produzione è la vasta biografia primo-novecentesca di Hermann Abert: frutto della rielaborazione di un precedente lavoro di Otto Jahn,4 essa è disponibile in un'edizione aggiornata con ottimi indici.5 Particolare spicco hanno le monografie di Einstein,6 Paumgartner7 e Hildesheimer,8 la quale si differenzia dalle precedenti per un taglio più spregiudicato e letterariamente discorsivo. Sono consultabili utilmente anche i lavori mozartiani di Mila,9 Greither,10 Dal Fabbro,11 Stinchelli,12 Faravelli,13 Casini,14 Carli Ballola in collaborazione con Franco Parenti.15 La dettagliata voce compilata da Stanley Sadie per il New Grove in venti volumi curato dal medesimo è stata pubblicata da Giunti, corredata dal catalogo delle opere e una vasta bibliografia.16 Brillante nell'esposizione e denso d'intuizioni è lo studio dello psichiatra e musicologo americano Maynard Solomon.17 Un delizioso piccolo libro è quello di Karl Barth, ove sono riportati quattro brevi omaggi mozartiani del grande teologo novecentesco, tradotti per la prima volta integralmente.18 Un tono agilmente divulgativo caratterizza invece il volumetto di Michel Parouty apparso inizialmente presso l'editore Gallimard.19
Un aspetto circoscritto dell'esistenza di Mozart è preso in considerazione da Langegger nel suo lavoro sul rapporto edipicamente assai complicato tra Leopold e Wolfgang Mozart.20 Sui viaggi in Italia di Mozart ha indagato per la prima volta una pubblicazione miscellanea a cura di Barblan e Della Corte del 1956.21 Il recente volume di Cattelan, che ripercorre passo passo il soggiorno di Wolfgang adolescente a Venezia e a Padova nel 1771, fornisce vari spunti per approfondire la conoscenza degli influssi italiani nell'opera mozartiana della maturità.22 Per quanto riguarda gli stessi anni si può seguire l'itinerario di Mozart a Napoli attraverso le lettere ai familiari,23 mentre per Milano si dispone dell'elegante sintesi di Armando Torno.24 Un grande specialista di Haydn e di Mozart, Robbins Landon, ha compiuto uno studio illuminante sulla fase creativa conclusiva del musicista, cioè la decade 1781-91,25 oltre a un lavoro dedicato esclusivamente al difficile e controverso ultimo anno di vita del compositore.26
Molto importanti per avvicinare direttamente la personalità del musicista sono le sue lettere, di cui purtroppo non esiste un'edizione completa in italiano. Alcune di esse sono state pubblicate da Elisa Ranucci27 e da Enrico Castiglione;28 altre, le famose missive erotiche rivolte alla cugina, sono state curate da Juliane Vogel,29 mentre Olimpio Cescatti ha ideato un piacevole volume con lettere destinate esclusivamente ad interlocutrici femminili.30
Interessanti per il lettore d'oggi sono anche le prime biografie dedicate postumamente a Mozart da contemporanei, in particolare quelle di Schlichtegroll (1793) e di Niemetscheck (1798)31 e la celebre Vita di Mozart scritta da Stendhal all'inizio dell'Ottocento (1814).32 In Francia, dopo Stendhal, molti scrittori si sono mostrati attenti alla musica di Mozart, da Taine a Marcel Proust, da Georges Duhamel a François Mauriac fino a Pierre-Jean Jouve: esplora l'interesse, meno noto, che Lamartine prese per Mozart un libro di Wanda Rupolo.33 Alla fortuna di Mozart è peraltro dedicato l'ampio, utilissimo studio di Gernot Gruber,34 cui si può aggiungere la disamina della situazione italiana tra Sette-Ottocento di Galliano Ciliberti.35 Al contesto creativo coevo del compositore è dedicata una miscellanea curata da Annalisa Bini.36 Un contributo orientato in senso sociologico su ciò che Mozart rappresentò per i contemporanei è invece offerto da un grande studioso come Norbert Elias.37
Un approccio scientifico alla vasta produzione mozartiana è stato reso possibile dal monumentale catalogo Köchel, da cui deriva la K. che segue usualmente i titoli delle composizioni mozartiane, pubblicato per la prima volta nel 1862.38 Sopperisce alla difficoltà di accedervi il volume più pratico e snello di Poggi e Vallora pubblicato da Einaudi.39 Appartiene al genere anglosassone del companion il libro curato da Sergio Durante, che riporta in traduzione alcuni contributi dei massimi studiosi del compositore salisburghese e un'accurata bibliografia ragionata, con preziose indicazioni sugli ultimi esiti della ricerca mozartiana.40 Altre indicazioni su questo tema sono altresì desumibili dal lavoro di Georg Knepler.41
Sul librettista Lorenzo Da Ponte è consigliabile innanzitutto la lettura delle sue godibilissime Memorie, pubblicate per la prima volta a New York nel 182342 ed inoltre dell'Estratto, di poco precedente (1819).43 Vivace e appassionante è la biografia dapontiana di Aleramo Lanapoppi,44 che si aggiunge a precedenti lavori di Eduardo Rescigno45 e Sheila Hodges.46 Del librettista cenedese sono stati di recente pubblicati anche un volume di Lettere47 e un'Aggiunta e appendice alle Memorie,48 sempre a cura di Giampaolo Zagonel. Una descrizione stimolante del background letterario di Da Ponte è contenuta nel volume di Daniela Goldin che racchiude studi decisivi su questo ed altri poeti teatrali tra il xviii e il xix secolo.49 Illumina più specificamente l'attività viennese del librettista tra il 1783 e il 1791 il documentato volume di Gian Giacomo Stiffoni.50 Il libretto di Così fan tutte si può reperire in molte edizioni affidabili come la silloge curata da Giovanna Gronda e Paolo Fabbri per i Meridiani Mondadori51 e i volumi contenenti tutti i libretti mozartiani curati da Marco Beghelli52 e Piero Mioli.53
Per inquadrare Mozart nel contesto musicale del suo tempo resta fondamentale il volume di Giorgio Pestelli incluso nella Storia della musica promossa dalla Società italiana di musicologia e pubblicata da Edt.54 Il lavoro di riferimento più ricco e aggiornato, di taglio analitico, sul teatro mozartiano è oggi costituito dallo studio di Stefan Kunze,55 cui si possono aggiungere i contributi di Charles Osborne56 e soprattutto, anche se cronologicamente precedente, di Edward Dent.57 Informazioni di qualche interesse si possono desumere anche dal volume di Stefano Crise sugli interpreti mozartiani al tempo del compositore.58
Una partitura criticamente vagliata di Così fan tutte è accessibile sin dal 1991 nella Neue Ausgabe sämtlicher Werke.59 Per una prima informazione generale su quest'opera possono essere consultate le voci rispettive in repertori di buona accessibilità come il Dizionario dell'opera lirica60 o il più recente Dizionario dell'opera 200261 oppure la scheda di Cesare e Ida Paldi nel loro volume sulle principali opere teatrali di Mozart.62 È utile per comprendere la caratteristiche stilistiche di quest'opera il volume curato da Diego Bertocchi che appartiene alla collana di guide musicali Utet.63 Tra gli studi particolari dedicati a Così fan tutte si segnalano quello pionieristico di Massimo Mila,64 di Francesco Degrada,65 le riflessioni di Joseph Kerman,66 il volume sulla trilogia italiana di Alberto Jona67 e quello dedicato interamente a quest'opera di Alessandro Di Profio.68 Meritano particolarmente di essere lette le pagine aggiornate e ricche di spunti di Mary Hunter.69
Tra le riflessioni più stimolanti sul teatro, per novità d'approccio tra analisi e critica sociale, spiccano i contributi di Daniel Heartz (nei due capitoli del suo Mozart's Operas, che si leggono tradotti in questo stesso programma di sala, pp. 129-169, e, cinque anni dopo, in Haydn, Mozart and the Viennese School),70 e alcuni saggi che combinano metodi della semiotica e dell'analisi musicale, dovuti al compianto Frits Noske, nel suo bel libro dedicato a Mozart e a Verdi.71

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1 Dizionario enciclopedico universale della musica e dei musicisti [Deumm], 13 voll., diretto da Alberto Basso, Torino, Utet, 1983-1990.
2 The New Grove Dictionary of Opera, 4 voll., ed. Stanley Sadie, London, Macmillan, 1992.
3 The New Grove Dictionary of Music and Musicians, 29 voll., ed. Stanley Sadie, London, Macmillan, 2001.
4 Otto Jahn, Wolfgang Amadeus Mozart, 4 voll., Leipzig, Breitkopf & Härtel, 1856.
5 Hermann Abert, Mozart, 3 voll., a cura di Paolo Gallarati, Milano, Il Saggiatore, 1984-86 (ed. originale: Wolfgang Amadeus Mozart, Leipzig, Breitkopf & Härtel, 1919-21).
6 Alfred Einstein, W. A. Mozart. Il carattere e l'opera, Milano, Ricordi, 1951, rist: 1991 (ed. originale: Mozart. His Character, His Works, New York, Oxford University Press, 1945).
7 Bernhard Paumgartner, Mozart, Torino, Einaudi, 19944 (ed. originale: Mozart, Berlin, Atlantis, 1927).
8 Wolfgang Hildesheimer, Mozart, Milano, Sansoni, 1979; rist. Milano, Rizzoli, 1982 (ed. originale: Mozart, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1977).
9 Massimo Mila, Wolfgang Amadeus Mozart, Torino, Einaudi, 1946; rist. Pordenone, Studio Tesi, 1980.
10 Aloys Greither, Mozart, Torino, Einaudi, 19683 (ed. originale: Wolfgang Amadé Mozart, Hamburg, Rowohlt, 1962).
11 Beniamino Dal Fabbro, Mozart. La vita. scritti e appunti 1945-1975, Milano, Feltrinelli, 1975.
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12 Enrico Stinchelli, Mozart. La vita e l'opera, in Mozart. Tutti i libretti d'opera, 3 voll., a cura di Piero Mioli, Roma, Newton Compton, 1986.
13 Danilo Faravelli, Wolfgang A. Mozart 1756-1791. Un musicista fra Antico Regime e Mondo Nuovo, Roma, Editori Riuniti, 1989.
14 Claudio Casini, Amadeus. Vita di Mozart, Milano, Rusconi, 1990.
15 Giovanni Carli Ballola e Franco Parenti, Mozart, Milano, Rusconi, 1990.
16 Stanley Sadie, Mozart, Firenze, Giunti, 1987 (trad. della voce Mozart in The New Grove Dictionary of Music and Musicians, 20 voll., London, Macmillan, 1980).
17 Maynard Solomon, Mozart, Milano, Mondadori, 1996 (ed. originale: Mozart. A Life, London,
Pimlico, 1996).
18 Karl Barth, Wolfgang Amadeus Mozart, Brescia, Queriniana, 1980.
19 Michel Parouty, Mozart prediletto dagli dei, Milano, Universale Electa/Gallimard, 1992.
20 Florian Langegger, Mozart padre e figlio, a cura di Piero Buscaroli, Milano, Mondadori, 1982.
21 Mozart in Italia. I viaggi. Le lettere, a cura di Guglielmo Barblan e Andrea Della Corte, Milano, Ricordi, 1956.
22 Paolo Cattelan, Mozart. Un mese a Venezia, Venezia, Marsilio, 2000.
23 Mozart a Napoli nelle lettere di Wolfgang e Leopold, a cura di Pasquale Scialò, Napoli, Guida, 1991.
24 Armando Torno, Mozart a Milano, Milano, La vita felice, 1996.
25 Hans Christian Robbins Landon, Mozart, Gli anni d'oro, Milano, Garzanti, 1989 (ed. originale: Mozart. The Golden Years, 1781-91, London, Thames & Hudson, 1989).
26 Hans Christian Robbins Landon, L'ultimo anno di Mozart, Milano, Garzanti, 1988 (ed. originale: 1791. Mozart's Last Year, New York, Schirmer, 1988).
27 Wolfgang Amadeus Mozart, Lettere, a cura di Elisa Ranucci, Parma, Guanda, 1981, 19913.
28 Wolfgang Amadeus Mozart, Epistolario, a cura di Enrico Castiglione, Roma, Logos, 19915.
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29 Wolfgang Amadeus Mozart, Lettere alla cugina, a cura di Juliane Vogel, Milano, Es, 1996.
30 Wolfgang Amadeus Mozart, Lettere alle donne, a cura di Olimpio Cescatti, Milano, Bompiani, 1991.
31 Franz Xaver Niemetscheck, Leben des k. k. Kappelmeisters Wolfgang Gottlieb Mozart, nach Originalquellen beschrieben, Prag, 1798, 18082 e Friedrich von Schlichtegroll, Johannes Chrysostomus Wolfgang Gottlieb Mozart, "Nekrolog auf das Jahr 1791", Gotha, Perthes, 1793, ora in trad. it. in Franz Niemetscheck e Friedrich von Schlichtegroll, Mozart, a cura di Giorgio Pugliaro, Torino, Edt, 1990.
32 Stendhal, Vita di Mozart, prefazione di Enzo Siciliano, Firenze, Passigli, 1982.
33 Wanda Rupolo, Lamartine e Mozart, Napoli, Guida, 1991.
34 Gernot Gruber, La fortuna di Mozart, Torino, Einaudi, 1987 (ed. originale: Mozart und die Nachwelt, Salzburg-Wien, Residenz Verlag, 1985).
35 Galliano Ciliberti, Mozart e l'editoria musicale italiana del Settecento e dell'Ottocento, in Mozart. Gli orientamenti della critica moderna, a cura di Giacomo Fornari, Lucca, Lim, 1994.
36 Mozart e i musicisti italiani del suo tempo, a cura di Annalisa Bini, Lucca, Lim, 1994.
37 Norbert Elias, Mozart. Sociologia di un genio, Bologna, Il Mulino, 1991.
38 Ludwig von Köchel, Chronologich-thematisches Verzeichnis sämtlicher TonwerkeWolfgang Amadé Mozarts, hrsg. F. Giegling, A. Weinmann, G. Sievers, Wiesbaden, Breitkopf & Härtel, 19646.
39 Amedeo Poggi e Edgar Vallora, Mozart. Signori, il catalogo è questo!,Torino, Einaudi, 1991.
40 Mozart, a cura di Sergio Durante, Bologna, Il Mulino, 1991.
41 Georg Knepler, Wolfgang Amadé Mozart: nuovi percorsi, Milano, Ricordi, 1995 (ed. originale: Wolfgang Amadé Mozart. Annäherungen, Berlin, Henschel, 1991).
42 Lorenzo Da Ponte, Così fan tutte, in Memorie. I libretti mozartiani, a cura di Giuseppe Armani, Milano, Garzanti, 1976.
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43 Lorenzo Da Ponte, Estratto dalla vita con la storia di diversi drammi da lui scritti e fra gli altri il Figaro, il Don Giovanni e La scola degli amanti, musica di Mozart, a cura di Marina Maymone Siniscalchi e Franco Carlo Ricci, Napoli, Esi, 1989.
44 Aleramo Lanapoppi, Lorenzo Da Ponte. Realtà e leggenda nella vita del librettista di Mozart, Venezia, Marsilio, 1992.
45 Eduardo Rescigno, Da Ponte poeta e libertino tra Mozart e il Nuovo Mondo, con una postfazione di Giovanni Carli Ballola, Milano, Bompiani, 1989.
46 Sheila Hodges, Lorenzo Da Ponte. La vita e i tempi del librettista di Mozart, Vittorio Veneto, Kellermann, 1992.
47 Lorenzo Da Ponte, Lettere, epistole in versi, dedicatorie e lettere dei fratelli, a cura di Giampaolo Zagonel, Vittorio Veneto, De Bastiani, 1995.
48 Lorenzo Da Ponte, Aggiunta e appendice alle Memorie, a cura di Giampaolo Zagonel, Vittorio Veneto, De Bastiani, 1996.
49 Daniela Goldin, La vera fenice. Librettisti e libretti tra Sette e Ottocento, Torino, Einaudi, 1985.
50 Gian Giacomo Stiffoni, Non son cattivo comico. Caratteri di riforma nei drammi giocosi di Da Ponte per Vienna, Torino, Paravia/De Sono, 1998.
51 Libretti d'opera italiani dal Seicento al Novecento, a cura di Giovanna Gronda e Paolo Fabbri, Milano, Mondadori, 1997.
52 Tutti i libretti di Mozart, a cura di Marco Beghelli, Garzanti, Milano, 1990 (ora anche Torino, Utet, 1995).
53 Mozart. Tutti i libretti d'opera, 3 voll., a cura di Piero Mioli cit. (cfr. n. 12: il vol. i contiene la monografia di Stinchelli, i voll. ii-iii i libretti musicati da Mozart).
54 Giorgio Pestelli, L'età di Mozart e Beethoven, Torino, Edt, 1979.
55 Stefan Kunze, Il teatro di Mozart. Dalla "Finta semplice" al "Flauto magico", Venezia, Marsilio, 1990 (ed. originale: Mozarts Opern, Stuttgart, Reclam, 1984).
56 Charles Osborne, Tutte le opere di Mozart, Firenze, Sansoni, 1982 (ed. originale: The Complete Operas of Mozart. A Critical Guide, London, Gollancz, 1978).
57 Edward Joseph Dent, Il teatro di Mozart, a cura di Paolo Isotta, Milano, Rusconi, 1994 (ed. originale: Mozart's Operas, Oxford, Oxford University Press, 1947).
58 Stefano Crise, Come una veste al corpo. Interpreti mozartiani e prassi esecutiva all'epoca e nei luoghi di Mozart, Milano, Polyhymnia, 1995.
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59 Wolfgang Amadeus Mozart, Così fan tutte, vorgelegt von Faye Ferguson und Wolfgang Rehm, in Neue Ausgabe sämtlicher Werke, serie ii (Bühnenwerke), vol. 18, Kassel-Paris-London-New York, Bärenreiter, 1991. La stessa partitura è stata ristampata in edizione minor assieme al Don Giovanni nella Werkausgabe in 20 Bänden, Kassel-München-Paris-London-New York, Bärenreiter/Dtv, viii (Bühnenwerke 5).
60 Dizionario dell'opera lirica, a cura di Michele Porzio, Milano, Mondadori, 1997 (voce di Renata Leydi).
61 Dizionario dell'opera 2002, a cura di Piero Gelli, Milano, Baldini & Castoldi, 1996, 20012 (voce di Marco Emanuele).
62 Cesare e Ida Paldi, Le grandi opere liriche di Mozart, Roma, Palombi, 1985.
63 Wolfgang Amadeus Mozart, Così fan tutte ossia La scuola degli amanti, a cura di Diego Bertocchi, Torino, Utet, 1975.
64 Massimo Mila, Razionalismo di "Così fan tutte", in Mozart, a cura di Franco Armani, Milano, Edizioni della Scala, 1955; successivamente riproposto in versione rielaborata col titolo La geometria amorosa di "Così fan tutte" in Id., I costumi della Traviata, Pordenone, Studio Tesi, 1984.
65 Francesco Degrada, Splendore e miseria della ragione: a proposito di "Così fan tutte", nel suo Il palazzo incantato. Studi sulla tradizione del melodramma dal Barocco al Romanticismo, 2 voll., Fiesole, Discanto, 1979, ii, pp. 3-18.
66 Joseph Kerman, L'opera come dramma, Torino, Einaudi, 1990 (ed. originale: Opera as Drama, New York, Knopf & Random House, 1956; rist. aggiornata: Berkeley-Los Angeles, University of California Press, 1988)
67 Alberto Jona, Il paggio, il libertino, il filosofo. Per una parabola mozartiana di eros e finzione, Milano, Unicopli, 1990.
68 Alessandro Di Profio, "Così fan tutte" e i suoi codici di lettura, Roma, Università La Sapienza, 1992.
69 Mary Hunter, The Culture of Opera Buffa in Mozart's Vienna, Princeton, Princeton University Press, 1999.
70 Daniel Heartz, Mozart's Operas, edited, with contributing essays, by Thomas Bauman, Berkeley, University of California Press, 1990; Id., Haydn, Mozart and the Viennese School, New York-London,W. W. Norton & Company, 1995.
71 Frits R. Noske, Dentro l'opera. Struttura e figura nei drammi musicali di Mozart e Verdi, Venezia, Marsilio, 1993 (ed. originale: The Signifier and the Signified. Studies in the Operas of Mozart and Verdi, Den Hague, M. Nijhoff, 1977; rist.: Oxford, Oxford University Press, 19902).

Mirko Schipilliti
Wolfgang Amadeus Mozart
 

Non so scrivere in modo poetico, non sono un poeta. Non so distribuire frasi con arte, in modo che proiettino ombra e luce, non sono un pittore. Non so neppure esprimere i miei sentimenti e i miei pensieri con cenni e con la mimica, non sono un ballerino. Ma posso farlo con la musica, perché sono un musicista.
W. A. Mozart

1756
Il 27 gennaio Johannes Chrysostomus Wolfgangus Theophilus Mozart nasce a Salisburgo, figlio di Leopold Mozart (1719-1787) e Anna Maria Pertl (1720-1778), fratello minore di Maria Anna (Nannerl). La madre è originaria dei dintorni di Salisburgo; il padre, autore di un fondamentale Metodo per lo studio del violino, è originario di Augusta (dove la presenza dei Motzhart risale al 1486), insegna violino e suona in orchestra presso la corte del principe-arcivescovo di Salisburgo Siegmund von Schrattenbach, dove viene promosso vice-maestro di cappella nel 1763.

1758
Il padre ne coglie il raro intuito musicale, insegnandogli a suonare il cembalo e i primi rudimenti di armonia e composizione. A quattro anni verrà sorpreso a comporre un concerto per cembalo. Le testimonianze sulla precocità del fanciullo provengono soprattutto da Johann Andreas Schachter, amico dei Mozart.

1761
Realizza le prime composizioni, forse non completamente originali, in parte corrette o ritoccate dal padre che le trascrive. Non si tratta del tradizionale Minuetto K. 1 indicato nel vecchio catalogo Köchel (probabilmente redatto da Leopold Mozart), ma di quattro brevi pezzi (un Andante K. 1a, due Allegro K. 1b e K. 1c, un Minuetto K. 1d).

1762
A sei anni impara a suonare il violino. Leopold condiziona i primi anni della vita del figlio, impartendogli un'istruzione che non segue una tradizionale formazione scolastica: un po' di latino, italiano, francese, aritmetica, storia, geografia, senza un insegnamento sistematico del contrappunto. Il padre organizza una serie di viaggi per far conoscere Wolfgang, dando così inizio a un periodo di spostamenti che durerà circa un decennio. Il primo viaggio, in gennaio, è a Monaco, ove il piccolo conquista la corte. Invitato dall'imperatrice Maria Teresa d'Austria a Vienna (a Schönbrunn sbalordisce tutti), viene a contatto con la tecnica del pianista e compositore di corte Georg Cristoph Wagenseil e si esibisce nei palazzi più sfarzosi. Suona anche a Passau, Linz, Bratislava.

1763
Secondo lungo viaggio: è di nuovo a Monaco, poi ad Augusta (dove ascolta il violinista Pietro Nardini), Ludwigsburg (apprezzato dal compositore Niccolò Jommelli), Schwetzingen (ascolta la famosa orchestra di Mannheim), Heidelberg, Treviri, Magonza, Francoforte (lo ascolta il giovane Goethe), Coblenza, Bonn, Colonia, Liegi, Bruxelles. Ad Aquisgrana suona per la principessa Amalia, a Parigi si esibisce presso la famiglia reale. A questo periodo risalgono le sonate per pianoforte e violino K. 6-9, prime pubblicazioni di Mozart.

1764
A Londra, dove suona dai reali d'Inghilterra, frequenta l'ultimo dei figli di Bach, Johann Christian. Si avvicina alla musica italiana e al bel canto, prendendo lezioni dal sopranista Giovanni Manzuoli. Qui scrive nel 1764-65 le prime sinfonie, alcuni brani vocali (la prima aria da concerto K. 21) e una raccolta di quarantatré pezzi pianistici, il "quaderno musicale londinese" (il Londoner Skizzenbuch o Chelsea-Notenbuch).

1766
Durante il viaggio di ritorno sosta all'Aja (ove nel 1765 aveva suonato dalla principessa Caroline von Nassau-Weilburg e dal principe Guglielmo v d'Orange), Amsterdam, Utrecht, Parigi (vi scrive il primo lavoro sacro, il Kyrie K. 33), Lione, Losanna e in Germania.

1767
Ormai famosissimo in tutta Europa, torna a Salisburgo dove prosegue gli studi e compone con altri autori l'oratorio Die Schuldigkeit des ersten Gebotes (L'obbligo del primo comandamento) K. 35 su invito dell'arcivescovo. Prima esperienza teatrale è l'intermezzo Apollo et Hyacinthus. Scrive il primo concerto per pianoforte e orchestra K. 37, rielaborazione di sonate di Raupach e Honauer, e scrive divertimenti e musiche per fiati. Da settembre soggiornerà a Vienna per due anni, ove il padre spera di farlo esibire.

1768
A Vienna compone le prime due messe (fra cui quella in Do minore K. 139), quattro sinfonie, l'opera buffa La finta semplice su libretto di Goldoni e il Singspiel Bastien und Bastienne. Il lavoro intenso mina la sua salute: sono anni non facili, segnati da un'epidemia di vaiolo che lo colpisce insieme alla sorella e da una certa diffidenza e invidia verso la sua precocità. A Vienna ha modo di studiare e conoscere opere di Gluck (Alceste), Hasse, Piccinni, Haydn, Dittersdorf, Wanhall, Gassmann.

1769
Nuovamente a Salisburgo scrive musica sacra, danze, serenate, cassazioni. Diventa primo violino nell'orchestra di corte accanto a Michael Haydn. La vita famigliare è subordinata alla sua attività musicale: con il padre intraprende in dicembre il primo viaggio in Italia (dal 13 dicembre). Leopold vuole metterlo in contatto con i migliori musicisti italiani, mostrarne le doti di compositore, ottenere impieghi importanti. In ogni città il suo talento è sottoposto a dure prove.

1770
A Verona suona all'Accademia Filarmonica e l'anno seguente riceve il titolo di maestro di cappella onorario. Di passaggio per Mantova e Cremona, a Milano è esaminato da una commissione di cui è membro Giovanni Battista Sammartini, che lo incarica di scrivere quattro sinfonie, l'opera Mitridate re di Ponto e la serenata teatrale Ascanio in Alba su libretto di Parini. Conosce Piccinni, a Lodi compone il primo Quartetto per archi K. 80, a Bologna incontra il castrato Farinelli e il noto compositore e didatta padre Giambattista Martini, da cui riceve lezioni di contrappunto. Dopo Firenze si reca a Roma: nella cappella Sistina ascolta il Miserere di Allegri, che trascrive a memoria. A Napoli conosce i compositori De Majo e Paisiello, assiste all'Armida abbandonata di Jommelli. A Bologna entra a far parte dell'Accademia Filarmonica.

1771
Da Torino si reca a Venezia, dall'11 febbraio al 12 marzo, durante il carnevale ("Venezia mi piace moltissimo"). Nella città lagunare si divide fra divertimenti e concerti. Di passaggio per Padova ottiene la commissione per l'oratorio Betulia liberata e in marzo ritorna a Salisburgo. Durante il secondo viaggio in Italia (dal 13 agosto al 13 dicembre) è rappresentato a Milano Ascanio in Alba.

1772
Per la nomina del nuovo arcivescovo di Salisburgo, il conte Hieronymus Colloredo, compone l'azione drammatica Il sogno di Scipione. Scrive i divertimenti K. 136-138. In dicembre - terzo viaggio in Italia, fino al marzo 1773 - si reca a Milano per il Lucio Silla (per il castrato Rauzzini, interprete dell'opera, scriverà nel 1773 il mottetto Exsultate, jubilate). Compone i sei quartetti per archi K. 155-160. Incontra nuovamente Giovanni Paisiello.

1773
La situazione economica dei Mozart è soddisfacente, ma a Salisburgo l'ambiente musicale non promette bene. Si sposta a Vienna col padre per due mesi, nella speranza di qualche incarico a corte, ma ottiene solo la commissione delle musiche di scena per il dramma Thamos, König in Ägypten. Inizia a conoscere la musica di Haydn. Scrive i quartetti per archi K. 168-173, il primo concerto per pianoforte e orchestra interamente originale (K. 175) e porta a più di trenta le sinfonie con sette lavori nuovi. Fino al 1777 rimarrà a Salisburgo al servizio dell'arcivescovo Colloredo: qui comporrà alcune celebri sinfonie, fra cui le K. 183, K. 201, del 1774, anno in cui scriverà le prime cinque sonate per pianoforte.

1775
A Monaco va in scena l'opera buffa La finta giardiniera. Per la corte di Salisburgo compone Il re pastore e i cinque concerti per violino e orchestra. Si dedica alla musica sacra e da camera (otto divertimenti nel 1776).
1777
Nonostante il rifiuto iniziale di Colloredo, si dirige a Parigi, viaggiando con la madre. A Monaco non riesce a essere assunto da Massimiliano iii, ad Augusta ammira i pianoforti di Johann Andreas Stein e alloggia dallo zio. Qui fa amicizia con la cugina Anna Thekla, con cui manterrà un ambiguo rapporto e una densa corrispondenza. A Mannheim stringe amicizia con Christian Cannabich, virtuoso della celebre orchestra locale, e diventa amico della famiglia Weber: il soprano Aloysia Weber è il primo amore di Mozart, tristemente non corrisposto. A lei il compositore dedicherà le arie K. 295 e K. 316.

1778
A Parigi sosta in un clima d'indifferenza. Qui compone la sinfonia K. 297 (Pariser), le musiche per il balletto Les petits riens, il concerto per flauto e arpa e dà lezioni ad alcune nobildonne. L'editore Sieber pubblica le sei sonate per pianoforte e violino K. 301-306. Rinuncia all'incarico d'organista a Versailles. A Parigi muore la madre lasciandolo solo. Il viaggio non si rivela vantaggioso e la famiglia accumula debiti, il che spinge Leopold a richiamarlo urgentemente a Salisburgo.

1779
Di nuovo a Salisburgo, riassunto grazie al padre e nominato organista di corte al duomo, compone il concerto per due pianoforti K. 365, la sinfonia concertante K. 364, quattro sinfonie, divertimenti, una serenata per fiati, sonate da chiesa, molta musica sacra fra cui la celebre Krönungsmesse K. 317. Nelle giornate salisburghesi Mozart alterna attività musicali a visite ad amici, giochi di carte, birilli, tiro a segno ...

1781
Recatosi a Monaco, assiste al suo Idomeneo re di Creta, ma le speranze per un impiego a corte vengono abbandonate. Scrive le sonate per pianoforte K. 330-333. Per doveri di servizio viene richiamato a Salisburgo dall'arcivescovo, dal quale si licenzia definitivamente il 10 maggio. Le sei sonate per pianoforte e violino pubblicate anche da Artaria sono la prima opera stampata a Vienna, ove il compositore si stabilisce. Il suo sostentamento si basa per lo più su lezioni e sottoscrizioni, cioè su adesioni in denaro per la realizzazione di concerti, le cosiddette 'accademie'. A tal fine Mozart compose ed eseguì soprattutto concerti per pianoforte e orchestra: ne scriverà diciassette tra il 1782 e il 1786.

1782
A Vienna si rappresenta con enorme successo il Singspiel Die Entführung aus dem Serail (Il ratto dal serraglio: al commento dell'imperatore "molte note" Mozart risponde con la celebre frase "esattamente quelle necessarie, Maestà"). Entra nella cerchia del barone van Swieten, direttore della biblioteca di corte, che lo spinge allo studio del contrappunto e alla revisione d'opere del passato. Nel 1788 Mozart verrà nominato direttore musicale della società di musica antica capeggiata da van Swieten, dirigerà e riorchestrerà quattro lavori di Händel (Acis and Galatea, Messiah, Alexander's Feast, Ode for St. Cecilia's Day). Progetta un libro di pedagogia musicale, "una piccola critica musicale con esempi". In ottimi rapporti con la famiglia Weber, presso cui aveva alloggiato a Vienna, stringe amicizia con Konstanze Weber, che sposa dopo i pettegolezzi sulla relazione e le pressioni della futura suocera (per la sorella Nannerl "fu quasi sempre un bambino e tale rimase"). Avrà sei figli, di cui solo due sopravviveranno: Karl Thomas (1784-1858), impiegato statale, e Franz Xaver Wolfgang (1791-1844), compositore e pianista.

1783
Gli viene commissionata un'opera in italiano, L'oca del Cairo, abbandonata per necessità economiche. Mozart lavora a Lo sposo deluso, anch'essa incompiuta, e conosce Lorenzo Da Ponte in casa del barone Wetzlar von Plankenstern. Si dedica all'incompiuta messa in Do minore K. 427, eseguita a Salisburgo, mentre a Linz viene composta ed eseguita la sinfonia K. 425 (Linz).

1784
A Vienna entra nella massoneria, per la quale scriverà musiche di circostanza. Intravede in essa una società giusta, valori autentici, una religiosità non dogmatica, il senso del dovere e l'assiduità nel lavoro: saranno gli amici massoni ad aiutarlo economicamente nel momento del bisogno. Inizia a redigere un catalogo tematico delle proprie opere. Compone il quintetto per pianoforte e fiati K. 452.

1785
Sono gli anni migliori: compone i concerti per pianoforte K. 466-467, K. 482, il quartetto per pianoforte e archi K. 478, Das Veilchen K. 476, Lied su versi di Goethe. Porta a compimento i sei quartetti per archi dedicati a Joseph Haydn (definito nella dedica "mio amico carissimo"), il quale avrà modo così di dichiarare al padre del compositore: "Io Le dico, dinanzi a Dio, da uomo onesto, che suo figlio è il più grande compositore che io conosca di persona e di nome". Mozart non rinuncia a spese e lussi, è generoso e concede prestiti, ha una rete di amicizie vastissima. Di solito si alza alle sei, svegliato ogni mattina da un parrucchiere che viene appositamente per pettinarlo, dalle sette alle nove o alle dieci compone, poi fino all'una dà lezioni. Pranza alle due o alle tre, poi si dedica a visite di società fino alle cinque-sei per ritornare a scrivere anche fino a notte tarda.

1786
Lavora alla commedia con musica in un atto Der Schauspieldirektor (L'impresario teatrale) su incarico imperiale. La folle giornata, o Le nozze di Figaro, che inaugura la fortunatissima collaborazione con Da Ponte, debutta trionfalmente al Burgtheater di Vienna. In giugno conclude la serie dei quattro concerti per corno. I compensi di questi periodi provengono anche dal quartetto per pianoforte e archi K. 493, tre trii per pianoforte e archi, i concerti per pianoforte K. 488 e K. 491.

1787
Iniziano a scarseggiare incarichi e compensi, peggiora lo stato di salute. Il suo stile innovativo non incontra sempre i favori degli ascoltatori. Compone il sestetto Eine Musikalischer Spass, la celebre Eine Kleine Nachtmusik e tre quintetti per archi. Per Praga scrive Don Giovanni, secondo libretto di Da Ponte, e coglie un altro importante successo. L'imperatore lo nomina compositore da camera di corte a Vienna, successore di Gluck ("Mozart fu preso a servizio della corte espressamente per evitare che un artista di tanto genio fosse costretto a cercarsi da vivere all'estero", secondo un memorandum di corte del 1792). Purtroppo il nuovo incarico si limita alla composizione di musica da ballo.
1788
Scarsi sono i consensi per Don Giovanni a Vienna, pochi i concerti pubblici. Le difficoltà economiche lo costringono a chiedere aiuto finanziario ad amici. Nel giro di tre mesi nascono le ultime tre sinfonie (K. 543, K. 550, K. 551, detta "Jupiter").

1789
Le richieste di esibizioni pubbliche viennesi continuano a scarseggiare. Nel tentativo di trovare fortuna altrove, viaggia al seguito del principe e amico massone Karl Lichnowsky verso Praga, Dresda, Lipsia, Berlino e Potsdam, ottenendo dal re Federico Guglielmo ii di Prussia l'incarico per sei quartetti e sei sonate per pianoforte. Per il clarinettista Anton Stadler scrive il quintetto per clarinetto e archi. Dopo i consensi ottenuti dalle riprese di Don Giovanni e delle Nozze di Figaro, l'imperatore Giuseppe ii commissiona Così fan tutte, o sia La scuola degli amanti, che Mozart inizia a comporre in ottobre.

1790
Così fan tutte va in scena al Burgtheater di Vienna il 26 gennaio; le repliche sono interrotte per la morte di Giuseppe ii. L'opera riscuote moderati consensi, ma procura un compenso soddisfacente (200 ducati) e viene replicata in giugno, luglio e agosto, mentre nell'anno successivo verrà rappresentata anche a Praga, Francoforte, Magonza, Lipsia, Dresda e successivamente a Berlino, Augusta, Breslavia, Monaco. Compone i quartetti per archi K. 589-590 e il quintetto per archi K. 593.

1791
L'attività riprende intensamente: nei primi mesi scrive il quintetto per archi K. 614, il concerto per pianoforte e orchestra K. 595 e alcuni pezzi per organo meccanico, oltre a quelli per Glasharmonika. La moglie si reca spesso a Baden per cure termali: per il maestro di cappella della parrocchia locale Mozart scrive l'Ave verum corpus K. 618. Gli viene commissionata da Praga l'opera seria La clemenza di Tito, per l'elezione del nuovo imperatore Leopoldo ii, rappresentata in settembre. Il consiglio municipale di Vienna lo nomina assistente del maestro di cappella, intanto lavora alla Zauberflöte (Il flauto magico) su libretto dell'impresario Emanuel Schikaneder: il Singspiel va in scena al Theater auf der Wieden di Vienna con grande successo. Per Stadler compone il concerto per clarinetto K. 622. Il conte Franz Walsegg zu Stuppach lo incarica tramite un anonimo committente di scrivere un Requiem per la morte della moglie, che in realtà avrebbe fatto eseguire come proprio. L'ultima composizione compiuta è la piccola cantata massonica Laut verkünde unsre Freude, K. 623. Sempre più malato dalla fine di novembre, costretto a letto, continua ugualmente la composizione del Requiem, provandolo in casa con alcuni cantanti il giorno prima di morire. Lasciandolo incompiuto, spira il 5 dicembre poco prima dell'una di mattina per "febbre miliare acuta". A stroncarlo fu quasi sicuramente un'insufficienza renale causata da una nefrite (forse conseguenza delle frequenti tonsilliti che lo avevano colpito da bambino) complicata da una broncopolmonite. Girano a torto dicerie su un presunto avvelenamento che coinvolgono Salieri, il quale peraltro se ne autoaccusa nel 1823, quando viene colpito da demenza senile. Mozart viene sepolto in una fossa comune nel cimitero viennese di Sankt Marx; ai funerali presenziano forse Salieri, Süssmayer, van Swieten. Molti saranno i concerti commemorativi a Vienna, Praga, Kassel, Berlino, ma non a Salisburgo; l'imperatore ne patrocinerà uno in favore della famiglia e assegnerà una pensione alla moglie.

Luca Fontana
Così fan tutti, o sia l'amara scuola degli amanti

È legge di natura,
e non prudenza sola: amor cos'è?
Piacer, comodo, gusto,
gioia, divertimento,
passatempo, allegria: non è più amore
se incomodo diventa,
se invece di piacer nuoce e tormenta.
despina, i.13
Tutti accusan le donne, ed io le scuso
se mille volte al dì cangiano amore,
altri un vizio lo chiama ed altri un uso
ed a me par necessità del core.
don alfonso, ii.13

Una commedia sgradevole

In che tempo si svolge - o forse, verbo più preciso: avviene - Così fan tutte? Domanda preliminare e necessaria per poter comprendere la varietà di risposte, dalla tiepida accoglienza al tempo del suo debutto (1790) al rigetto assoluto per tutto l'Ottocento - paradigmatico, oltre al disprezzo di Wagner, il giudizio di Eduard Hanslick: "Ciò che dà il colpo di grazia alla deliziosa musica mozartiana di Così fan tutte, è l'onnipresente, smisurata insulsaggine del libretto. Con tutta la buona volontà, la cultura del nostro tempo non può averci più niente a che fare" - rigetto durato almeno fino agli anni '30 del nostro secolo, quando Fritz Busch la resuscitò a Glyndebourne, e disprezzo che si è protratto ben più a lungo, e ancora non è del tutto sopito, e forse, col mutar dei tempi, non è detto che non riprenda vigore. Il tempo esterno del teatro, si sa, è il presente immediato, accade qui e in questo momento, ma l'abilità massima del drammaturgo, e ancor più del drammaturgo in musica è dare una direzione a quel tempo. Può volgersi al proprio interno e diventare un presente storico, definito con minuta vividezza da uno scintillio di dettagli di realtà, come nelle Nozze di Figaro, al punto da apparirci nel ricordo come un mondo vero, un luogo, un aleph, per dirla alla Borges, che contiene tutta la vita - di Casa d'Almaviva, conosciamo non solo ogni persona, ma ogni oggetto, ogni crepa, ogni barbaglio di luce sul muro, ogni parola non udita perché mormorata in un sussurro maligno o amoroso. E ogni ora del giorno e della notte, nella perfetta unità aristotelica di tempo, parla la sua musica, dal solare mattino dell'inizio, al notturno nella caverna di tutti gli inganni e disinganni, da cui si esce rigenerati - per un po', almeno - alla luce del dolore. Le nozze si offre allo spettatore che la contempla con un proprio tempo reale, e a ogni rappresentazione lo confronta al nostro. Oppure, può essere un tempo aperto, in fuga, come una freccia; un tempo prodotto dallo scorrere delle peripezie, dal moto rettilineo e perenne di due personaggi che entrano in una storia ed escono da un'altra, moto picaresco in un'eterna notte che corre a perdifiato verso il nulla, come in Don Giovanni.
Ma qual è il tempo scenico di Così fan tutte? È quello della sua durata reale sulla scena, dall'ouverture al finale secondo. Testo metateatrale per eccellenza, il libretto di Da Ponte porta alle conclusioni estreme l'aspetto di dimostrazione matematica di un teorema sui sentimenti umani implicito nel genere stesso della commedia, e spesso reso esplicito da un sottotitolo che anticipa quod erat demonstrandum (si pensi a Il dissoluto punito). La scuola degli amanti, appunto, da cui i personaggi, e noi pubblico con loro, dovranno trarre una lezione. E della commedia per musica, o meglio di un suo sottogenere, il mezzo carattere, con tratti realistici e buffi accanto a situazioni mi-larmoyantes - "Pianti, sospir, carezze, svenimenti", come li riassume Don Alfonso - assume tutte le convenzioni per scardinarle. Il corrosivo che le sgretola è l'elemento farsesco iniziale, il travestimento, che permette il rovesciamento incrociato delle coppie. Si dimostrerà che l'aritmetica dell'emozione è il rovescio dell'aritmetica dei numeri. Invertendo l'ordine dei fattori il prodotto cambierà eccome. Sul piano dei sentimenti, le coppie invertite saranno più giuste. Anticipando la metafora chimica usata da Goethe (1809) in quello straordinario romanzo che si vuole indagine sperimentale dei meccanismi del cuore, simile si incontrerà con simile per affinità elettive: i due caratteri giocosi abituati, e con gusto, al badinage amoroso, Dorabella e Guglielmo; e i due gran sentimentali, Fiordiligi e Ferrando, che già dall'inizio sembrano marcati da un precedente dolore. Sul piano psicologico - e logico - il maligno meccanismo messo in atto da Da Ponte, produce un ulteriore risultato. Dal momento in cui assumono una falsa identità, i due uomini mentono sapendo di mentire - o così credono. Le due donne mentono, inconsapevolmente, a sé stesse e ai propri sentimenti. Ma questo è solo l'inizio del gioco che prevede una dissimmetria di vantaggio dalla parte degli uomini, se non arrivasse a ristabilire una dolorosa simmetria quell'imponderabile "necessità del core". Per tutto il second'atto, ciascuno dei due amanti nelle nuove coppie che si sono formate è, rispetto all'altro, vero e falso a un tempo. In ciascuno di loro albergano entrambe le anime dei due soldati posti a guardia delle due porte nell'antico paradosso logico: dietro una c'è la salvezza, dietro l'altra, la morte. Uno dei due dice sempre la verità, l'altro mente sempre. A chi, e cosa chiedere?
Decostruzione poderosa delle convenzioni della commedia. Ma le convenzioni teatrali coincidono sempre con le convenienze morali della società che le ha dettate. Decostruendo la recita sociale dell'amore, Da Ponte smonta dinanzi agli occhi dello spettatore la morale proclamata che la impone. E ponendo lo spettatore nella dissimetrica posizione di vantaggio di colui che sa quel che i personaggi sulla scena non sanno, lo rende complice e partecipe dell'azione, lo costringe a essere - volente, ma più spesso nolente - il vero osservatore ironico, consapevole di tutti i lati della finzione. Ma più ancora, quel tempo sospeso sulla scena, il tempo della dimostrazione del teorema, viene a coincidere col tempo dello spettatore. Il tempo dell'azione è il tempo della decostruzione stessa dell'azione, contemporaneo al tempo dello spettatore. Per età moralmente timorate, è pretendere troppo che lo spettatore si renda complice della distruzione dei propri principî, o della propria ipocrisia. È questo paradosso che quasi certamente sta alla radice del rigetto aggressivo con cui dall'età romantica in poi alcune belle menti e molto pubblico reagiscono a quest'opera. Libretto "insulso", indegno del "divino" Mozart? In realtà, "mai più bella commediola non si è vista o si vedrà", hanno ragione Ferrando e Guglielmo: è la più perfetta delle commedie, o delle anticommedie, poiché giunge a dissolvere persino il presupposto su cui si basa ogni commedia, l'assunzione dei valori o pregiudizi morali di un tempo, dato come metro per giudicare gli scarti rispetto a essi nel comportamento dei personaggi. Non c'è più una morale giusta a condannarli o assolverli, ma quello che Diderot avrebbe chiamato le point de vue physiologique, ossia "leggi di natura", seconda la filosofa empirica Despina, o "necessità del core", secondo il filosofo etico Don Alfonso.
Con Così fan tutte, Da Ponte e Mozart l'hanno fatto veramente grossa, hanno gravemente peccato di improntitudine e intempestività. Sembra abbiano voluto ignorare consapevolmente o, peggio, consapevolmente aggredire i segni di quella nuova sensibilità - empfindlich la si definisce in tedesco, o sentimental, in inglese, da noi si dice con termine più da antologia scolastica pre-romanticismo - che sta vigorosamente fiorendo attorno a loro, etica dei sentimenti delle nuove classi borghesi emergenti, e che condurrà a sovraccaricare l'amore di alti - troppo alti? - significati etici, sotto il peso dei quali rimarrà, forse per sempre, schiacciato. Kabale und Liebe (Amore e intrigo) di Schiller è del 1784, Léonore, ou l'amour conjugal (appunto!), l'opéra-comique del francese Pierre Gaveaux, da cui Beethoven trarrà spunto per Fidelio (si consideri il nome allegorico) è del 1798. Come aver la faccia di dire di fronte a un pubblico viennese del 1790, che l'amore altro non è che "diletto e spassetto", e che la gioia implicita nel gioco amoroso, vale anche il rischio di soffrire le pene d'amor perduto.
Come ha dimostrato Wolfgang Hildesheimer nella sua fondamentale anti- biografia di Mozart, volta a distruggere - ed era ben l'ora! - tutti i leggendari e santini devozionali costruiti sul mito del "divino fanciullo", è difficile se non impossibile estrarre dall'immenso epistolario mozartiano un'idea della visione morale o politica di Mozart - un intero mondo e il laboratorio della sua arte in atto in quel mondo invece ci sono sono tutti. E anche quel capolavoro della letteratura italiana che è l'autobiografia di Da Ponte, poco ci dice sulle sue idee. È un'abile drammaturgia della propria vita trattata col rigore e l'eleganza di uno dei suoi libretti, intesa più a nascondere che a rivelare. L'altra faccia della luna, nella vita di Da Ponte, a partire dal dramma originario della conversione forzosa al cristianesimo di Immanuele Conegliano, e alla faticosa assunzione della nuova identità di Abate Lorenzo Da Ponte, ci è stata mostrata da una bella biografia di Aleramo Lanapoppi, condotta su rigorose ricerche documentali. In essa si individua nettamente un tratto caratteriale di Da Ponte. Il biografo sta parlando delle Nozze di Figaro, ma tanto più s'attaglia a Così fan tutte:
Metterla in musica significava lanciare una sfida a quegli stessi ambienti della nobiltà e della grossa borghesia dai quali dipendeva in ultima analisi la carriera di un artista. Ma qui riconosciamo lo stile di Da Ponte: come in tante altre occasioni della sua vita, si gettò con entusiasmo in quel progetto audace, con il quale immaginava di scandalizzare e divertire, presentandosi come l'alfiere di una verità che nessun altro osava affermare apertamente. E come il solito si dispose ad agitare la bandiera di quella verità proprio davanti agli occhi di coloro che avevano tutto l'interesse a negarla e tutti i mezzi per mettere a tacere lo scomodo personaggio che se ne faceva banditore.1
In Così fan tutte, l'affronto è ancora più grande perché si va a toccare proprio la nuova morale sorgente e che con Rivoluzione francese e romanticismo si pretenderà universale. Con Da Ponte Mozart ha composto ben tre opere. In tutte e tre, le point de vue physiologique, sull'amore e sui suoi inganni, è lo strumento d'osservazione e dissezione privilegiato. Non è proprio il caso di supporre disparità di intenti tra i due membri di questa formidabile ditta.

Sta a veder che il libertino / mi farà precipitar...

La nature, indécente, si vous voulez,
presse indistinctement un sexe vers l'autre...
Denis Diderot,
Supplément au voyage de Bougainville.
"In tutto questo c'erano molte cose che si pensano e in base alle quali ci si comporta, ma che non si dicono. Ecco in verità la differenza più marcata tra il mio uomo e la maggior parte dei nostri contemporanei. Lui ammetteva i vizi che aveva, e che hanno gli altri, ma non era ipocrita. Non era né più né meno abominevole di loro; era soltanto più franco e più coerente, e a volte profondo nella sua depravazione." In un a parte riflessivo così Diderot coglie alla radice l'atteggiamento mentale da cui muove la libertà di pensiero del suo scandaloso e in fondo saggio interlocutore nel Nipote di Rameau (1762). E nel corso del dialogo col nipote scroccone e pitocco del grande compositore, Diderot, il filosofo, scopre in lui un alter ego, un essere pensante che usa della propria abiezione come punto di vantaggio per scavare verità dallo spesso strato di ipocrisia che protegge la società. Don Alfonso, definito filosofo nel libretto, di quel nipote è certo parente e affine, anche se meno "depravato". E affine è il suo pensiero in eleganti versi a quello che si esprime nella scintillante prosa dialogica di Diderot. Si confronti questo passo dal Supplément au voyage de Bougainville, pubblicato postumo nel 1796, ma scritto agli inizi degli anni Ottanta. È in discussione perché mai sia l'uomo a far la corte alla donna e non viceversa, e già sappiamo che sia Diderot sia il suo interlocutore concordano che nella donna esisterebbe un surplus di nature, e ciò è visto come un vantaggio, non come una predisposizione al "peccato", secondo la visione cristiana, che ne definirebbe una presunta inferiorità. Ora, se ci fosse un vero stato "natura", della cui esistenza in questo mondo, persino a Tahiti, Diderot dubita, come avverrebbe il gioco amoroso? "L'intervallo che separerebbe un uomo da una donna sarebbe valicato dal più innamorato. Se i due si attendono, se si fuggono, se si inseguono, se si evitano, se si attaccano, se si difendono, è perché la passione, ineguale nei suoi progressi, non si manifesta in essi con la stessa forza. Da qui deriva che la voluttà si diffonda, si consumi e si spenga da un lato, mentre appena comincia a crescere dall'altro, ed entrambi ne restano tristi. Ecco l'immagine fedele di quel che accadrebbe tra due esseri liberi perfettamente innocenti". Liberi e perfettamente innocenti, ma pur sempre destinati a rimanere alla fine entrambi tristi per la disparità innata nel modo d'amare, poiché il paradosso è che la donna, pur più prossima alla natura, è al tempo stesso più influenzata dall'éducation, dalla cultura. Da questa dissimmetria di "sentire", la necessità nel libretto di un altro punto di vista "filosofico", quello femminile di Despina, profonda conoscitrice delle ragioni del core del proprio sesso. La citazione da Diderot sembrebbe un fulmineo commento al libretto di Da Ponte, il quale non ha potuto leggere il Supplément prima di comporlo, ma è certo lecito sospettare che avesse letto con gusto altri dialoghi filosofici di Diderot quali, oltre al Neveu de Rameau, le Rêve de D'Alembert, con il suo importantissimo addendum, Suite de l'entretien précédent, testo fondamentale, anzi fondativo, in cui, per la prima volta in assoluto, la sessualità umana, nella sua cruda verità, e in tutti i suoi aspetti, da "les action solitaires" all'omosessualità, diviene oggetto di osservazione e di discorso.
Che la mente di Lorenzo Da Ponte fosse come la casa di Don Giovanni "aperta a tutti quanti" - col grido di giubilo che segue: "Viva la libertà!" - ci è chiaro da tutta l'opera e dalla vita del geniale abate - si consiglia la lettura anche degli altri libretti dapontiani, e dell'autobiografia tenendovi accanto la biografia sopracitata. Non è illegittimo sospettare che in pensiero e in atto - quanto agli atti sarebbe necessario conoscere meglio quell'altra faccia della sua vita che ci ha reso invisibile proprio con l'autobiografia - l'Abate si schierasse tra i miglior fiori del libertinismo illuminista del xviii secolo e che sullo sfondo di Così fan tutte si agiti quel brulichio di idee che mirava a smascherare la nuda natura che i più alti concetti morali cercano di nascondere, soffocando nel processo ogni possibilità di gioia e jouissance immediate per l'uomo e la donna. La strepitosa fortuna di cui l'opera sta godendo in questi ultimi trent'anni - dovuta oltre che a profondi cambiamenti nella morale proclamata delle società attuali, anche a una radicale rivoluzione dell'interpretazione mozartiana,2 - ci permette oggi di cogliere meglio lo sfondo filosofico su cui si agita la vicenda dei personaggi. Ne cogliamo forse meglio anche l'intensa tenerezza, la pietà creaturale di cui la musica di Mozart anima quella vicenda, che la distanzia infinitamente da rozzi esperimenti mentali di cinismo corrosivo come la in fondo modesta Philosophie dans le boudoir - cui peraltro è stata varie volte accostata - del monomaniaco Marchese de Sade, con la sua infantile e ossessa genitalità.
Opera libertina, quindi. Ma per lo spettatore e ascoltatore d'opera attento, quell'aggettivo accostato a quel sostantivo evoca un lignaggio più antico che lo rinvia, aiutato anche dagli agili venetismi del linguaggio di Da Ponte, alle origini dell'opera veneziana. Anche L'incoronazione di Poppea di Monteverdi (1643) e il suo miracoloso libretto, dell'avvocato veneziano Giovanni Francesco Busenello, - quel che di più si avvicina a Shakespeare in tutta la storia del teatro italiano - si muove su uno sfondo di "naturalismo" radicale. Avidità e lussuria ne animano i personaggi, gli alti concetti proclamati, persino da Seneca, vengono agilmente decostruiti per mostrarvi al fondo un grumo di passioni quasi animali. E in un clima più giocoso, con quanta divertita eleganza La Calisto di Cavalli (1651), su mirabile libretto di Giovanni Faustini, dissolve nella luce abbagliante di una goduta lussuria ogni convenzione amorosa e persino ogni troppo ferma identità sessuale. E nel libretto dell'Agrippina di Handel, del cardinal Vincenzo Grimani, scritta più di mezzo secolo dopo (1709) ancora si respira un lucido naturalismo razionalista che disgrega ogni pretesa di grandezza dei personaggi, ogni mascheramento in posa plastica. So benissimo di muovermi su un terreno puramente congetturale perché non esiste alcuno studio organico - o forse le mie ricerche sono state inette - del filone libertino nell'opera veneziana, e dell'humus culturale circostante che ha tenuto viva, anche in ambienti clericali, un'irridente vena di razionalismo anche nella soffocante atmosfera dell'Italia controriformata. Da parte mia il sospetto è forte che si possa rintacciare una discendenza che conduce sino a Lorenzo Da Ponte, e al suo più bel libretto per musica fornito a stimolo della più ricca e complessa opera di Mozart.3 Chissà se nei seminari in cui fu ingabbiata la bollente gioventù di Immanuele Conegliano-Lorenzo Da Ponte, e dalle cui finestre lui fuggiva - com'è documentato - per dar sfogo con le contadine dei dintorni al suo "buon natural" assai "vasto e benigno", si leggeva ancora clandestinamente il De admirandis naturae reginae deaque mortalium arcanis, di Giulio Cesare Vanini (1616), che è da ritenersi il manifesto europeo del libertinismo erudito. Il nesso tra libertinismo intellettuale e opera veneziana, a mio parere, resta ancora da indagare e uno studio attento potrebbe aprire nuove prospettive critiche.
Il Vanini, vero e proprio ateista fulminato, povero lui, fece fine assai brutta. Fu arso vivo, previa amputazione della lingua e strangolamento, sulla piazza di Tolosa il 9 febbraio 1619. Con Così fan tutte Da Ponte e Mozart si sono giocati e per un secolo e mezzo il favore delle classi medie colte che desideravano profondamente poter credere nell'amore e nella fedeltà coniugale come valori assoluti fondanti di ogni eticità della vita.
Ironia e verità
fiordiligi e dorabella: Mi si divide il cor, bell'idol mio ...
ferrando e guglielmo: Addio, addio, addio!
don alfonso: (Io crepo, se non rido.)
Così fan tutte, i.5, Quintetto n. 9
In una lettera del 7 maggio 1783, a proposito di un progetto per una nuova opera il cui libretto avrebbe dovuto essere scritto da Giovanni Battista Varesco, autore di quello dell'Idomeneo, così Mozart scrive al padre Leopold: "la cosa cui tengo di più è che nel complesso sia veramente comico. Se possibile vi dovrebbe inserire due ruoli femminili di ugual valore. Una parte dovrebbe essere seria, l'altra invece un mezzo carattere. Per qualità le due parti devono essere del tutto uguali. La terza parte femminile, però, può anche essere tutta buffa, e così anche gli uomini, se necessario". La definizione delle voci, maschili, femminili, gravi, acute, nella genesi di un'opera, è l'embrione preliminare di ogni drammaturgia per musica. Nel tardo xviii secolo, il passo successivo era la definizione del "carattere" della vocalità dei cantanti in base alla separazione dei generi: serio, di mezzo carattere, buffo. In questo schema primario, pensato circa sette anni prima, è interessante notare un tratto tipico dell'opera mozartiana, in particolare della trilogia dapontiana: la commistione dei generi. Fiordiligi, la seria, Dorabella, di mezzo carattere, Despina, tutta buffa, in un certo senso, hanno già assegnato il tipo di scrittura vocale che le definirà nell'azione scenica. Ma attenzione, quando sette anni dopo, quel casting già così preciso in testa di Mozart, prima ancora di avere un qualsiasi contenuto, un qualsiasi schema di fabula da narrare nell'azione musicale, animerà il "dramma giocoso", o commedia per musica - i due termini sono intercambiabili - di Così fan tutte, e due dei tipi vocali si saranno arricchiti di nuovi tratti definitori: Dorabella sarà sì un mezzo carattere, ma capace all'occorrenza di canto in stile agitato da eroina tragica, e Ferrando sì sarà precisato come tenore tutto serio, nelle parti solistiche e nei duetti con Fiordiligi, e con tratti buffi negli insiemi del primo atto - la commistione dei generi di vocalità avrà conseguenze affatto straordinarie, forse uniche in tutta la storia dell'opera.
Così fan tutte, non c'è dubbio, è una commedia, con forti tratti buffi, persino di farsa, e tocchi di "mezzo carattere" sentimentale. Ma seguiamone una sequenza fondamentale, il lungo addio, la si potrebbe chiamare, ossia la scena quinta e sesta: n. 8 Coro: "Bella vita militar"; recitativo, n. 8a Quintetto, "Di scrivermi ogni giorno". C'è caso che Da Ponte intendesse il quintetto in senso tutto buffo, alti sentimenti proclamati in tutta insincerità col cinico commento di Don Alfonso - "(Io crepo, se non rido!)" - pronto a sgonfiarli subito, e che forse neanche lo avesse pensato come un pezzo concertato. Ma qui accade il primo miracolo - non c'è altra parola - di questa miracolosa opera. Un inizio stentato in scrittura ritmica canonica con le parole pronunciate in sillabe staccate - un tratto realistico quasi: la parola si frantuma sotto il peso dell'emozione, spezzata dai singhiozzi: "Di-scri-ver-mi..." - e questa minima idea motivica gira su se stessa immobilizzando il tempo per un istante su un morbido cuscino di viole, poi è Fiordiligi, sulle parole "Sii costante a me sol" a lanciare una immensa melodia dolorosissima, di intensità quasi religiosa, sino alle parole "mi si divide il cor bell'idol mio", dove ogni parametro, metrica, ritmo, armonia, strumentazione, perfettamente integrati creano una perfetta, e straziante figura musicale di quella lacerazione del cuore.4 È un intenso momento di verità musicale, e persino Don Alfonso ne pare commosso, poiché su quel vertice di emozione tace, per riprendere il suo borbottio irridente solo nelle ultime quattro battute.5 La situazione - il punto di scena avrebbe detto Verdi - è totalmente falsa, gli uomini fingono i loro sentimenti, le donne agiscono sentimenti che hanno ricevuto per cultura, eppure i quattro, sotto il freddo occhio esterno di Don Alfonso, da quei sentimenti finti o indotti, o forse proprio dalla musica, vengono travolti sino a un attimo di verità. Ci sarebbe un terzo occhio che osserva e orecchio che ode, quello dello spettatore, a cui la drammaturgia di Da Ponte affida il ruolo di vero ironista nell'azione, ma anche costui è annichilito da quella paradisiaca e dolorosa bellezza che sospende in lui ogni giudizio e lo pone in una situazione di conflitto emotivo, verità e falsità si mescolano fino a dividergli il core, non c'è più ironia, non c'è più distacco, tutto si solleva in uno spazio di irresolvibile ambiguità. Nello spettatore attento e di cor gentile la reazione è spesso la sorpresa di trovarsi gli occhi, proprio malgrado, inondati di lacrime.
E dopo una ripresa del Coro, "Bella vita militar", che svanisce in distanza uscendo di scena, il lungo addio si corona in un'ancora più alta ambiguità, col Terzettino n. 10. Un convenzionale augurio d'addio, anzi addirittura un pezzo di genere convenzionale dell'opera napoletana, uno "zefiro", come chiarisce qui accanto il saggio di Daniel Heartz, attinge a un altro vertice di ambigua verità. Falsa la situazione, dal punto di vista esterno dello spettatore, falsificata sulla scena dalla presenza interna di Don Alfonso, ma su quel fluire tenero e cullante di semicrome dei violini con sordina - si direbbe un ricordo trasposto in maggiore dell'accompagnamento del coro d'apertura della Passio secundum Johannem di Bach, "Herr, unser Herrscher" - una calma assoluta avvolge i personaggi e noi in teatro, calma di passioni contemplate da lontano, nel ricordo, come se le due donne, e anche Don Alfonso, che qui non si rifugia nella sua lucida irrisione dall'esterno ma canta in contrappunto le stesse parole, fossero misteriosamente consapevoli che l'età dell'innocenza è ormai finita, e da lontano, da molto lontano, la ricordassero con nostalgia. Non sto certo descrivendo la musica, compito affatto impossibile, e sconsigliabile. Sto cercando di dar voce alle reazioni di un ipotetico e sperimentale spettatore che, anche qui e su un livello ancor più alto, si trova avvolto in una dimensione musicale di assoluta e indicibile bellezza - la parola "verità", gli sorgerà subito alla mente, assieme a una commozione raccolta, ben oltre la possibilità della parola, e il suo ruolo di osservatore esterno ironico sarà del tutto annullato. Sto anche cercando di cogliere, io per primo, quella misteriosa chimica che si produce all'incontro tra la drammaturgia predisposta da Da Ponte e la finale drammaturgia musicale di Mozart, e che dà come risultato qualcosa di ben al di là dell'iniziale ironia presente nel libretto, qualcosa per cui non si ha parola migliore di "ambiguità", uno spazio emotivo sottratto al tempo in cui ogni passione e ogni suo contrario sono presenti, sospesi oltre il dolore, oltre la gioia.
Lo spettatore degli ultimi anni del xviii secolo era perfettamente al corrente dei diversi generi e dei precisi stili vocali che li caratterizzavano. Che poco dopo la separazione, scena nona, Dorabella irrompa in scena, e sotto gli occhi esterrefatti di Despina, si lanci in una grande aria in stile agitato, "Smanie implacabili" (n. 11), degna dell'Elettra dell'Idomeneo (si confronti con "Tutte nel cor vi sento / furie del crudo averno", i.6), doveva per un istante fare un effetto da Helzapoppin, quasi la cantante avesse sbagliato teatro e opera quella sera. Meno marcato lo stridore per uno spettatore di oggi, ma pur sempre evidente che qui Mozart gioca non di semplice sarcasmo - avrebbe potuto affidare a Dorabella un'aria buffo-grottesca, come forse era nelle intenzioni originarie del libretto che di proposito mima lo stile tragico alto in vari pezzi solistici. Mozart prende quelle parole alla lettera, e le musica secondo i moduli convenzionali dell'opera seria, certo innalzati a livelli irraggiungibili da qualsiasi altro compositore del suo tempo, fidando che sia il contrasto tra cornice comica e stile tragico dell'aria a produrre ironia per straniamento. Ma per quanto il sentimento espresso da Dorabella sia finto in quanto è sentimento indotto dalla convenzionalità dell'educazione sentimentale delle donne, la sofferenza che il personaggio prova è intensamente vera, e come tale Mozart la accetta e l'esprime, sospendendo di nuovo lo spettatore in un momento di ambigua indecidibilità emotiva. E lo stesso meccanismo è usato, con ancora maggior sottigliezza nell'aria di Fiordiligi che a quella di Dorabella farà poco dopo da pendant, "Come scoglio", n. 14, che conclude l'undicesima scena dell'atto primo. Nel testo, Da Ponte mima fino alla parodia un tòpos tra i più convenzionali dell'opera sei-settecentesca, divenuto addirittura stereotipo nell'opera metastasiana, l'aria di paragone. Il genere esige un paragone, appunto, tra un sentimento umano, di solito una virtù, e un elemento o fenomeno naturale, che nella musica sarà evocato o imitato. La prima quartina di Fiordiligi è tipica fino alla stereotipia:
Come scoglio immoto resta
contro i venti, e la tempesta,
così ognor quest'alma è forte
nella fede, e nell'amor.
Come l'aria di Dorabella, anche questa è straniata dal contesto comico, ma qui in modo ancor più stridente, poiché preceduta dal comicissimo primo corteggiamento dei due uomini in cui, stimolato dal buffonesco arcaismo del testo di Da Ponte, parodia quasi di un libretto di cent'anni prima con concettosità barocche come l'assimilazione delle "fulgide pupille" a "farfallette amorose e agonizzanti", Mozart compone un arioso arcaizzante in stile secentesco, accettando quindi la parodia che il librettista gli propone. Ma con l'imperioso, "Temerari!" di Fiordiligi l'atmosfera cambia di colpo. Siamo in pieno clima tragico. Delle convenzioni dell'aria di paragone, Mozart ne accetta una fondamentale, l'onomatopoiesi orchestrale della tempesta - quel pedale di tromba, a esempio, che traccia come un cielo lontano minaccioso - ed estende altri tratti fin quasi all'eccesso: il grandioso canto di sbalzo, con salti di decima, dodicesima e ottava abnormi. La drammaturgia di Da Ponte implica come necessaria la presenza del terzo occhio ironico dello spettatore. Abbiamo appena assistito al prodursi di una prima piccola crepa in quella rocciosa virtù, e sappiamo che presto lo scoglio si sgretolerà sotto la pressione dei marosi. La reazione più immediata sarebbe un cinico, "Ma figurati!", e un ghigno d'intesa. Ma la grandiosa aria mozartiana ci proietta invece addosso la sofferenza vera e bruciante di una Fidalma già scossa dalla colpa. Possiamo solo restare a bocca aperta, paventando con lei una tragica caduta.
Il miracolo - ricasco in questa parola che sempre torna utile quando non si riesca a spiegare un fenomeno - dell'ironia e del suo superamento nella verità che sta oltre la convenzionalità sociale dei sentimenti costruiti si produce quindi dall'incontro di due metateatralità, una drammatica e una musicale, da cui nasce un nuovo spazio teatrale, un luogo dell'ambiguità dove il giudizio umano si sospende e gli opposti si conciliano offrendosi a un tempo alla calma contemplazione della conoscenza raggiunta, e all'insanabile dolore della perdita estrema, del lutto.
Conoscenza per dolore
Les soleils mouillés
De ces ciels brouillés
Pour mon esprit ont les charmes
Si mystérieux
De tes traîtres yeux,
Brillant à travers leurs larmes.
Baudelaire, L'invitation au voyage.
Così fan tutte è un viaggio verso la conoscenza e l'individuazione, verso un'umanizzazione utopicamente sognata: un giorno saremo esseri umani interi, non più amputati, tutti, uomini e donne, e non soffriremo più. E in un certo senso è un'utopia, o la verifica della sua impossibilità - in musica. Per gran parte del primo atto le due coppie si esprimono a due a due separati per sessi. Sarà il ricombinamento delle coppie d'amanti che permetterà ai caratteri di rivelarsi, come già si è detto. Nel secondo atto, duettando a coppie miste sbagliate, per così dire, poco a poco i personaggi scopriranno la propria individualità. Punto culmine del processo di umanizzazione è il duetto tra Fiordiligi e Ferrando del second'atto (scena dodicesima, n. 29). C'è un sottilissimo dettaglio di pura genialità teatrale che lo introduce. Fiordiligi ha deciso di allontanare da sé e dalla sorella ogni tentazione di cedere, raggiungendo al campo i propri legittimi amanti e, forse per meglio passare attraverso le linee nemiche, chissà, ha deciso che tutte e due si travestiranno da uomo. Si fa portare da Despina le uniformi di Guglielmo e Ferrando - si noti che le tenevano nell'armadio in casa loro, le due sorelle - e così dice: "L'abito di Ferrando / sarà buono per me; può Dorabella / prender quel di Guglielmo". Sublime atto di chissà quanto inconsapevole feticismo, si impossessa del corpo del nuovo amante attraverso l'abito, un ulteriore e simbolico scambio. Una volta travestita, si volta, si guarda nello specchio, si trova bella e lancia il duetto - "Tra gli amplessi in pochi istanti" - una complessa struttura musicale in cinque movimenti in rapida successione, che sembra però iniziare come un'aria. Non fosse che nel frattempo Ferrando silenzioso le si avvicina da dietro - mentre Guglielmo sempre più furioso e amareggiato contempla il tutto in quinta - e l'interrompe trasformando la situazione in duetto e privandola di una possibile seconda quartina che avrebbe concluso l'aria - straordinario come qui il teatro dissolva vecchie forme musicali per crearne di nuove - poi, grido di stupore di Fiordiligi - "Cosa veggio! Son tradita" - e su un frammento melodico ingiunge a Ferrando: "Deh, Partite!". Ferrando le ruba quel frammento di bocca e lo sviluppa in un arioso agitato in cui le chiede di ucciderlo con la spada. Il gesto melodico di ripulsa le si ritorce contro, è lei che ha fornito a Ferrando il pretesto per rovesciare la situazione prendendo lui l'iniziativa. Segue una seconda sezione dell'Allegro in cui Fiordiligi tenta di chiudere la bocca a Ferrando con un "Taci, ahimè!", il tempo sembra rallentare col passar da semicrome a crome (violini); attraverso una serie di microepisodi si giunge al duetto vero e proprio in cui le due voci si allacciano. "Ah, non son, non son più forte ...", implora lei sospirosa, e il cedimento definitivo avverrà su una straziante cadenza dell'oboe: "Fa' di me quel che ti par". Come distinguere in questo duetto l'elemento teatrale da quello musicale? Si noti che non è un tradizionale duetto d'amore puramente contemplativo, ma un duetto d'azione, azione che si svolge nel presente immediato teatrale. Ferma decisione, scambio d'iniziativa tra i due personaggi, abbandono d'ogni resistenza e cedimento tutto avviene lì in quel momento, espresso da pure forme musicali, ciascuna delle quali appare trasfigurazione di un gesto fisico del corpo, di un moto interiore dell'anima. Il momento contemplativo si ha nell'Andante finale, dove le due voci si rincorrono a fiorire all'infinito la parola "sospirar". Pur nel complesso travestimento, da albanese-turchesco lui, da soldato lei, mai si è vista coppia più nuda, l'una di fronte all'altro nella loro fragile, creaturale verità.
Poteva essere un imbarco per Citera, Così fan tutte, ma quell'isola di luxe, calme et volupté, come dice la poesia di Baudelaire qui citata in esergo, non sarà mai raggiunta. Il farsesco finale, con Despina travestita da notaio, il finto ritorno dei due amanti rivestiti della propria identità originaria, la ricombinazione delle coppie secondo convenzione sociale e non secondo natura, lascerà a tutti un lungo amaro in bocca. Si può supporre che vissero poi infelici e scontenti. Fissando di lontano le rive dell'isola sognata per un momento.

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1 Aleramo Lanapoppi, Lorenzo Da Ponte. Realtà e leggenda nella vita del librettista di Mozart, Venezia, Marsilio, 1992, p. 139.
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2 Il "divino fanciullo" è scomparso; la classicità vezzosa di biscuit e marzapane del Mozart di Glyndebourne e Salisburgo, anni '30-'50 del secolo appena scorso, è stata finalmente frantumata da interpretazioni decisive in quest'ultimo ventennio. Val la pena di citare direttori come Harnouncourt, Gardiner e Abbado. Decisivo anche l'apporto della nascita di nuovi e preparatissimi cantanti, italiani o perfettamente italofoni che hanno restituito vigore e accento alla parola intonata nei recitativi, o assoluta nitidezza al brulichio verbale degli insiemi. Grazie a loro - a partire dalla pioniera Mirella Freni, la più grande Susanna che mai sia stata vista e udita fino a oggi - le opere di Mozart hanno riacquistato il loro senso più pieno: teatro assoluto in cui perfette forme musicali producono nell'istante dell'esecuzione, scena, caratteri e dramma.
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3 Ha scritto un grande librettista moderno, il poeta Wystan Hugh Auden, a proposito della sua collaborazione con Stravinskij per il Rake's Progress (Carriera di un libertino): "I versi del librettista non si rivolgono al pubblico; sono in realtà una lettera privata del librettista al compositore. Hanno un loro momento di gloria, quello in cui suggeriscono una determinata melodia; dopodiché sono da abbandonarsi [...] Devono farsi dimenticare". Ha ragione quasi in tutto, meno che in quest'ultima frase. I versi di Da Ponte si ricordano eccome, i suoi "drammi giocosi" - dovrebbe esser ormai chiaro, dato che la definizione di genere dramma giocoso appare sia sul frontespizio di Don Giovanni che su quello di Così fan tutte, che niente di drammatico nel senso romantico del termine è da rintracciarsi nel Don Giovanni - sono i più scintillanti esempi di conversation pieces nel teatro italiano, da accostarsi ai grandi autori del teatro inglese, da Congreve a Sheridan, a Oscar Wilde.
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4 Idea melodico-armonico-ritmica simile si troverà nel mottetto Ave verum corpus K. 618, scritto il 17 giugno del 1791.
5 Per un'analisi minuziosa e profonda di questo momento e del successivo Terzettino n. 10, si veda Il teatro di Mozart. Dalla "Finta semplice" al "Flauto magico", di Stefan Kunze (Venezia, Marsilio, 1990, pp. 606-625). Il libro è oggi l'opera capitale sulla drammaturgia musicale di Mozart, che di gran lunga supera e definitivamente rimpiazza l'ormai invecchiato studio di Edward Dent.

Daniel Heartz*
Così fan tutte di Mozart

1. Le tre scuole degli amanti, o sia "Così fan tutte le belle"

Se il successo praghese delle Nozze di Figaro nel gennaio 1787 portò alla commissione del Don Giovanni, la replica viennese delle Nozze nell'estate 1789, altrettanto fortunata, spianò il cammino alla terza ed ultima collaborazione fra Mozart e Da Ponte. Il frutto di questo incontro creativo vide le scene del Burgtheater pochi mesi più tardi, all'inizio del 1790, col titolo Così fan tutte, o sia La scuola degli amanti.
Nelle sue memorie Da Ponte utilizza unicamente il sottotitolo (La scuola degli amanti) per menzionare l'opera; infatti solo in un secondo tempo Mozart avrebbe pensato di farlo precedere dall'odierno titolo principale. Da Ponte ricorda di aver scritto il libretto pensando soprattutto ad Adriana Gabrielli Del Bene detta la Ferrarese, grande soprano operante a Vienna dal 1788. Il ruolo di Fiordiligi fu creato appositamente per lei, sulla scorta di quello di Susanna interpretato sempre dalla Ferrarese nelle Nozze viennesi del 1789. In quell'occasione Mozart aveva notevolmente ampliato la parte di Susanna e l'aria "Al desio di chi t'adora", un elaborato rondò concertante composto ex novo proprio per la cantante, costituisce di fatto uno studio preparatorio per il personaggio di Fiordiligi. Da Ponte ricorda la Ferrarese anche per la voce celestiale, la bocca incantevole, gli splendidi occhi, tutte qualità che avevano acceso l'entusiasmo del pubblico viennese oltre alla devozione sua personale (destinata tuttavia a mutarsi in amaro rimpianto, visto che proprio le diatribe dell'artista avrebbero causato il licenziamento di entrambi dal servizio imperiale). Null'altro egli riferisce sulla genesi dell'opera a parte il fatto di considerarla la "terza sorella" nata dall'ultimo incontro con Mozart e in questo modo accentuandone la parentela con le due opere italiane precedenti. Più che di sorellanza, tuttavia, sarebbe forse più corretto parlare di una vera e propria filiazione e dunque riconoscere in Così fan tutte la figlia delle Nozze di Figaro tanto sul piano musicale che su quello drammaturgico. Come nel caso analogo del Don Giovanni, ciò che muta è solo la linea di discendenza, lo specifico ramo genealogico.
Anche Le nozze di Figaro, non meno di Così fan tutte, potrebbe ben meritarsi il sottotitolo di "La scuola degli amanti". Infatti la gamma di sentimenti amorosi esplorati nelle Nozze non è certo meno ampia, tale da spaziare nello sconfinato universo affettivo definito da Andrew Porter come "l'amore e gli effetti dell'amore in tutta la loro varietà: tenerezza idilliaca, devozione tenace, inganno, infatuazione, gelosia, ossessione". La Folle journée, il capolavoro di Beaumarchais, costituisce anche la punta di diamante di un'antica tradizione comico-teatrale francese che vede in Molière l'autorevole capostipite e in Marivaux il modello più tipicamente settecentesco, in un certo senso più galant.
Gran parte delle commedie di Marivaux sono imperniate su intrighi erotici che coinvolgono due o più coppie di amanti, descritti con un'abilità e una leggerezza di tocco comparabili in àmbito pittorico al Watteau delle Fêtes galantes. Proprio nel suo Pèlegrinage à l'île de Cythère, incantevole dipinto del 1717, leggiadre coppie di amanti si imbarcano nell'inconfondibile naviglio adorno di fiori che di lì a poco sarebbe diventato uno dei più classici topoi scenografici della commedia galante e che non a caso ritroviamo ancora in Così fan tutte. Fra i motivi più ricorrenti nell'intera opera di Marivaux - non solo nelle commedie, ma anche nel fortunato romanzo La vie de Marianne (1731-41) - vi è anche l'intima rivelazione del proprio sentimento amoroso soprattutto da parte di fanciulle giovanissime e belle. Talvolta il processo di innamoramento è esaminato con l'occhio clinico e distaccato di un personaggio più anziano e tipicamente 'filosofico', come ad esempio nelle Fausses confidences; questa commedia, particolarmente popolare a Vienna, fu più volte rappresentata al Burgtheater proprio fra il 1776 e il 1790, lo stesso anno di Così fan tutte.1
Se Marivaux si dimostra piuttosto severo con gli uomini, mal tollerandone le debolezze come lo stupido orgoglio e il narcisismo, egli appare molto più comprensivo nei confronti della fragilità femminile in tutte le sue manifestazioni (e in tal senso anticipando il discorso finale di Don Alfonso che culmina nel motto eponimo: "Tutti accusan le donne, ed io le scuso / se mille volte al dì cangiano amore; / altri un vizio lo chiama ed altri un uso, / ed a me par necessità del core"). Pochissimi altri autori - è il caso di dirlo! - hanno guardato al cuore femminile con altrettanta partecipazione. Per questa sua innata capacità di illustrare con delicatezza ogni sfumatura del sentimento amoroso, Marivaux fu a suo tempo paragonato a un grande pittore contemporaneo come Chardin.2 Di un suo dipinto del 1735, Une dame qui prend du thé, Pierre Rosemberg ha scritto che "emana un sentimento di gentilezza e tenerezza quale solo Chardin nel suo secolo era in grado di catturare e fissare sulla tela".3 Si potrebbe aggiungere qui che solo Mozart ha saputo esprimere musicalmente qualcosa di simile.
Tanto nelle Nozze di Figaro quanto in Così fan tutte gli amanti maschili escono più o meno provati dalla severa lezione sentimentale che viene loro impartita. I personaggi minori, per quanto strapazzati da continui colpi di scena, non subiscono alcun mutamento sostanziale. Il paggio Cherubino, per quel che ci è dato di sapere al termine del dramma, sembra destinato a diventare un vero Don Juan sull'onda di un successo adolescenziale estremamente promettente. Basilio, il pretazzo sardonico e trafficone, maestro di musica della Contessa d'Almaviva, già Rosina, rimane fino alla fine un farabutto impenitente. Eppure è proprio la sua musica, insieme al suo particolare punto di vista, a stabilire un legame tutt'altro che secondario fra la prima e l'ultima opera di Mozart-Da Ponte.
Nella celebre scena settima del primo atto delle Nozze di Figaro, quando il Conte d'Almaviva sorprende Cherubino nella stanza di Susanna, Basilio ridacchia compiaciuto e il Conte sfoga tutto il suo sdegno pensando di essere stato ingannato da Susanna, la quale a sua volta cerca di giustificarsi come può. Nel corso del terzetto è proprio Basilio a ripetere con insistenza la frase "Così fan tutte le belle, / non c'è alcuna novità", che nell'intonazione di Mozart - una sorta di trillo scritto per intero in coppie di crome legate, seguito da un'altrettanto rapida discesa melodica - risuona davvero come un bisbiglio subdolo e pettegolo:
esempio 1. Le nozze di Figaro, n. 7

La musica di Basilio ritornerà nell'ouverture di Così fan tutte, in coda al tema principale del Presto, non lasciando più alcun dubbio sul nesso verbale-musicale esistente tra le due opere. Ma non è certo questo l'unico punto in cui Mozart si è servito dell'assurdo motivo trillato di Basilio.
Nel secondo atto delle Nozze di Figaro assistiamo alla macchinosa progettazione di due abili stratagemmi da parte di Figaro e di entrambe le dame, uniti nell'intento di dare al Conte la lezione che si merita. Dapprima Figaro scrive una lettera anonima per gettare un'ombra sulla fedeltà della Contessa e si serve proprio di Basilio per farla recapitare. Si tratta di una contromossa forse un po' estrema ma non certo ingiustificata, a giudicare dalle parole disperate con cui la Contessa, rivolgendosi a Susanna, si era poco prima lamentata del marito, paragonandone l'assurdo comportamento a quello di tutti "i moderni mariti: per sistema / infedeli, per genio capricciosi, / e per orgoglio poi tutti gelosi". L'intento di Figaro è quello di distrarre in qualche modo il Conte dal suo ostinato proposito di deflorare Susanna prima delle nozze. L'altra fase del piano prevede che Cherubino, nei panni di Susanna, incontri segretamente il Conte nel giardino del castello. Questi sopraggiunge in camera della moglie proprio mentre sono in corso gli ultimi ritocchi del travestimento. Cherubino è quindi di nuovo costretto a nascondersi, stavolta in un contiguo gabinetto che la Contessa si rifiuta di aprire per quanto pressata dalle richieste sempre più furiose del marito. Mentre i due coniugi lasciano la stanza alla ricerca di un'altra chiave, Susanna si nasconde nel gabinetto al posto di Cherubino, il quale a sua volta se ne fugge dalla finestra.
Il finale ha inizio col ritorno in scena della Contessa e del Conte: l'una ammette tutta la verità, ma chiede al marito di perdonare Cherubino, mentre l'altro, lungi dal concedere il perdono, apre finalmente la porta del gabinetto e vi trova proprio Susanna, la quale gli si rivela al suono di un grazioso minuetto in Si bemolle maggiore, Molto andante. La stessa tonalità è mantenuta nel successivo Allegro, allorché la Contessa, dapprima sbigottita e confusa, si mostra via via sempre più indignata collo zotico consorte. "Ma far burla simile / è poi crudeltà" - protesta il Conte, accompagnato da una progressione di terze discendenti che richiama il terzetto dell'atto primo. Ma l'allusione retrospettiva non finisce qui: quando il Conte chiede a Susanna di aiutarlo a placare l'ira della moglie, è ora la cameriera a riappropriarsi del motivo trillato di Basilio alle parole "Così si condanna / chi può sospettar" - e il richiamo motivico può essere stato stimolato anche solo dal ritorno dell'iniziale così:
esempio 2. Le nozze di Figaro, n. 15

Si può notare come in questa nuova versione il trillo venga esteso anche all'accompagnamento orchestrale così da coinvolgere complessivamente ben tre parti. Esattamente le stesse altezze della parte vocale, Si bemolle e Do, sono in seguito riprese da Susanna nell'atto di implorare la padrona: "Signora!"; il Conte le ripropone subito un'ottava sotto, quasi in atto servile, chiamando "Rosina!", provocando così lo sfogo della moglie: "Crudele! / Più quella non sono, / ma il misero oggetto / del vostro abbandono". È forse un caso che Don Giovanni si rivolga a un'amante appena abbandonata, Donna Elvira, esattamente allo stesso modo?
esempio 3. A: Le nozze di Figaro, n. 15; B: Don Giovanni, n. 3

Ma il trillo di Basilio è ancora ben lungi dall'aver esaurito tutto il suo potenziale espressivo. Quando il Conte chiede spiegazioni in merito alla lettera anonima, entrambe le belle confessano: "Di Figaro è il foglio, / e a voi per Basilio"; a questo nome il trillo viene amplificato, nel Forte, dall'intera orchestra, tanto da sopraffare il susseguente "Ah perfidi!" del Conte:
esempio 4. Le nozze di Figaro, n. 15

Dopo ulteriori preghiere da parte del povero Conte la Contessa si raddolcisce e infine lo perdona, rivolgendosi però così a Susanna: "Ah quanto, Susanna, / son dolce di core! / Di donne al furore / chi più crederà?". Così le risponde Susanna: "Cogli uomin, signora, / girate, volgete, / vedrete che ognora / si cade poi là". Per illustrare una condizione così traballante (non va dimenticato che in passato per designare un trillo si usava il termine tremblement), Susanna riprende ancora una volta il trillo di Basilio nella versione a tre parti, eseguendo però la linea più grave dell'armonia e ottenendo così un colore nuovo, più cupo, esattamente come il messaggio che traspare dalle sue parole: determinati comportamenti discutibili delle donne sono dettati solo dalla necessità di sopravvivere.
Nel quarto atto, giunta ormai al crepuscolo la folle journée, Figaro si trova intrappolato nelle sue stesse macchinazioni tanto da convincersi che Susanna abbia effettivamente ceduto alle avances del Conte. Anche lui insomma, come ogni amante troppo geloso e sospettoso, si merita una bella lezione. Dapprima Susanna dà il meglio di sé adescandolo nell'aria in giardino ("Deh vieni, non tardar, o gioia bella" destinata nel 1789 ad essere sostituita dal formidabile rondò per la Ferrarese), per poi punirlo severamente nel finale, quando Figaro si ritrova a corteggiarla nei panni della Contessa. In precedenza - in una scena spesso tagliata per ovviare all'eccessiva lunghezza del quarto atto - la ritrovata madre di Figaro, Marcellina, lo aveva avvisato in termini chiarissimi dell'inaffidabilità di Susanna. Le sue parole rivelano una visione quanto mai attuale della condizione femminile: "Ogni donna è portata alla difesa / del suo povero sesso, / da questi uomini ingrati a torto oppresso". Così subito dopo Marcellina continuava nell'aria "Il capro e la capretta", ispirata a un passo ariostesco dell'Orlando furioso: "le più feroci belve / per selve e per campagne/ lascian le lor compagne / in pace e libertà. // Sol noi, povere femmine, / che tanto amiam questi uomini, / trattate siam di perfidi / ognor con crudeltà".
Una folle journée tira l'altra, è il caso di dirlo. Se viene intesa come una battaglia tra i sessi, la prima opera di Mozart-Da Ponte finisce senza vincitori né vinti: infatti non vi è alcuna certezza che gli uomini abbiano tratto giovamento dalle pur dure lezioni loro impartite. D'altra parte, un soggetto così ampio e ricco avrebbe potuto difficilmente esaurirsi entro un'unica opera e ciò anche a prescindere dalle non comuni capacità sintetiche del librettista e del compositore. La loro ultima collaborazione nacque anche dalla necessità di riprendere e sviluppare i temi già trattati nelle Nozze di Figaro, anche se in circostanze più controllate e avendo a disposizione un cast più ristretto.
I critici romantici hanno visto in Così fan tutte solo un immorale esperimento clinico, messo a punto da uno scienziato senza cuore, Don Alfonso, con l'aiuto di una sordida assistente di laboratorio, Despina. Una lettura del genere si rivela scorretta e fuorviante un po' da tutti i punti di vista. Il già citato modello di Marivaux cui Da Ponte si è senz'altro ispirato non ha davvero nulla di cinico o immorale ed è semmai animato da una spiritualità lieve e spensierata. Don Alfonso non è uno scienziato ma un "vecchio filosofo" di stampo illuministico giuseppino, tutto teso alla conquista del bene e della verità, molto simile a Sarastro anche per la durezza del metodo didattico.
All'inizio dell'opera Ferrando e Guglielmo vengono presentati come due bellimbusti infarciti di ridicoli luoghi comuni sull'amore e sull'onore e dunque bisognosi di cure urgenti non meno delle rispettive amanti, Fiordiligi e Dorabella, fanciulle fatue ed esibizioniste. È subito evidente, insomma, che la "scuola" sentimentale di Don Alfonso è destinata ai rappresentanti d'entrambi i sessi; una bella differenza rispetto alle Nozze di Figaro ove la lezione d'amore veniva impartita solo agli uomini, mentre i personaggi femminili si dimostravano fin da subito più forti, responsabili e intimamente consapevoli. E così Mozart, sin dagli esordi dell'opera, si prende musicalmente gioco non solo della credulità di Dorabella o della nevrotica teatralità di Fiordiligi, ma anche dei loro rispettivi amanti. Un primo effetto comico viene ottenuto nei tre terzetti d'apertura, ove il compositore fa continuamente cantare Ferrando e Guglielmo rendendoli indistinguibili uno dall'altro.
Quando Don Alfonso, provocato dalle loro bravate, dà inizio al secondo terzetto e sentenzia che "È la fede delle femmine / come l'araba fenice, / che vi sia ciascun lo dice, / dove sia nessun lo sa", l'orchestra risponde alla domanda "dove sia?" con una serie di terze discendenti che anticipano il motto "Così fan tutte". Gli stessi indimenticabili intervalli sono destinati a ritornare più avanti nell'opera, proprio nel momento in cui i due amanti invocano i nomi di Fiordiligi e Dorabella. È chiaro che Mozart si sta divertendo alle spalle dei due ignari giovanotti.
Il terzo terzetto, aperto da Ferrando e Guglielmo, è di carattere bellicoso ed eroico, ma solo entro certi limiti. Quando i tre personaggi maschili alzano i calici per brindare all'amore, e Mozart ne innalza le voci per formare un accordo sostenuto nel registro acuto, l'orchestra prorompe in un assurdo trillo a tre parti che risuona proprio come una risata di scherno, ancor più evidenziata dall'immediata ripetizione nel forte. (Si noti come lo stesso espediente sia impiegato nelle Nozze quando Susanna e la Contessa rimproverano il Conte per la finta lettera recapitatagli da Basilio.) Lo stesso trillo sarà poi ripreso per caratterizzare in modo altrettanto spassoso le sembianze false assunte da Despina.
A loro volta le due sorelle di Ferrara iniziano sembrando quasi identiche alle rispettive controparti maschili. Mozart affida subito loro un incantevole duetto da innamorate in un "giardino sulla spiaggia del mare" nel golfo di Napoli. Come in molti duetti d'amore napoletani è utilizzata la soave tonalità di La maggiore (con clarinetti): una convenzione che Mozart è ben felice di rinnovare nelle sue opere e che per estensione si rivela adatta anche alle scene di seduzione (come quelle tentate dal Conte, da Don Giovanni e da Ferrando nei confronti rispettivamente di Susanna, Zerlina e Fiordiligi). Va qui notato che le tonalità dei primi cinque numeri dell'opera (scene 1-3) sono concatenate l'una all'altra in modo da formare una successione di terze discendenti. Quando le sorelle cantano finalmente da sole, entrambe reagiscono in modo esagerato alla propria immaginaria sventura come se fossero le protagoniste di un'opera seria, dando così a Mozart l'occasione di parodiare lo stile dei suoi stessi melodrammi a partire dall'Idomeneo. Di certo nessuna delle due va presa sul serio, neppure per un istante: la loro è solo una posa teatrale, atta a rappresentare il tipico atteggiamento assunto da un'eroina d'opera nel momento dell'abbandono o del tradimento. Sembra davvero che entrambe abbiano appreso molto di più dai libretti d'opera che dalla vita reale. Si rammentino, a questo proposito, le parole di Leporello al suo primo incontro con Donna Elvira: "pare un libro stampato". Come Elvira che proprio attraverso le proprie sofferenze matura profondamente fino ad acquisire una personalità autentica, così le due sorelle - e Fiordiligi in particolare - scoprono via via nel proprio intimo, probabilmente per la prima volta, emozioni sempre più intense e sconvolgenti.
La connessione di entrambe le sorelle con la città di Ferrara non fu certo casuale, e anzi dovette rimandare - in una sorta di spiritoso sottinteso facilmente afferrabile dal pubblico viennese - alle effettive origini delle due cantanti: non solo la Ferrarese per eccellenza, Adriana Gabrielli Del Bene nel ruolo di Fiordiligi, ma anche Luisa Villeneuve, probabilmente sua sorella nella realtà e prima interprete di Dorabella. Da Ponte aveva inizialmente proposto di ambientare la vicenda a Trieste, importante punto di scambio commerciale dell'impero asburgico sull'Adriatico. Da parte sua Mozart dovette di gran lunga preferire un'ambientazione pittoresca ed evocativa come Napoli. Se è davvero difficile pensare a Trieste come al luogo di soggiorno ideale per due le palpitanti gentildonne ferraresi, ben diverso è il caso di Napoli, all'epoca grandiosa capitale del Regno, metropoli fra le più sviluppate d'Europa, centro indiscusso dell'illuminismo italiano (dunque naturale residenza di un filosofo come Don Alfonso) e sede del più prestigioso teatro lirico della penisola, il San Carlo, ma anche epitome vivente del conflitto fra sensi e ragione alla base di Così fan tutte.
Ancora una volta è il sensuale Sud che seduce il compassato Nord: un mito, certo, ma come molti altri miti adattissimo a essere messo in scena. Ci importa molto sapere che Donna Elvira è nativa di Burgos, quasi un antecedente spagnolo della jamesiana "young lady from Boston": Elvira infatti è così profondamente posseduta dal mito da soccombere senza scampo al fascino del libidinoso gentiluomo di Siviglia. In Così fan tutte la deviazione dal mito potrebbe essere riassunta più o meno così: Ferrando e Guglielmo non fanno un Don Giovanni e anche il loro innamoramento è poco più di un gioco (almeno prima del trattamento di Don Alfonso). Quel che semmai seduce le dame è l'irresistibile dolcezza ma anche la forza della musica mozartiana, realmente capace di evocare le atmosfere del golfo di Napoli con le sue tiepide brezzoline, lo sciabordio delle onde, le serenate notturne. Il terzettino "Soave sia il vento" non è altro che un sublime tributo di Mozart alla tradizione operistica napoletana degli "zeffiri", cui rimanda anche l'impiego della rarefatta tonalità di Mi maggiore. Si può ben immaginare che il pittore di scena abbia contribuito in modo determinante all'effetto illusionistico d'insieme, ma purtroppo nulla che possa dare un'idea dell'apparato visivo di Così fan tutte è stato conservato. Tuttavia un'illustrazione tratta da un'edizione veneziana delle opere di Goldoni (1788-95) ci offre un quadro abbastanza suggestivo dello stile in voga in Italia attorno al 1790 nel campo dell'abbigliamento come dell'arredamento da giardino; vi si possono riconoscere anche i tipici "sedili erbosi" richiesti dagli scenografi del tempo (vedi illustrazione a pag. 137). La scena ricorda molto da vicino quella in cui Don Alfonso, nel primo atto di Così fan tutte, commenta in tono sardonico il congedo degli amanti.
Ma è forse al provenzale Fragonard, di casa anche a Roma e a Napoli, che dobbiamo le rievocazioni visive più fedeli dell'atmosfera mediterranea. Nei celebri disegni che raffigurano i giardini di Villa d'Este a Tivoli, risalenti al suo primo tour italiano (1756-61), ci sembra quasi di riconoscere i verdeggianti "viali leggiadri" lungo i quali Ferrando passeggia con Fiordiligi; e anche tutto il resto ben si accorda alle impressioni registrate dal giovane Mozart durante le sue indimenticate visite nel sud della penisola (vedi illustrazione a pag. 143). Compositore ed artista, evidentemente, avevano in comune anche qualcos'altro oltre al genio: entrambi, pur rappresentando la quintessenza dello spirito galante settecentesco, dovettero anche saperlo trascendere per conquistarsi un'assoluta originalità; e ciascuno di essi, a suo modo, sentì che una simile svolta artistica sarebbe stata possibile solo a costo di varcare le Alpi e spingersi verso Sud. Fragonard cercò di ravvivare la propria ispirazione artistica con un secondo viaggio in Italia, negli anni 1773-74, e anche negli ultimi anni parigini continuò a rievocare con impressionante freschezza la solare luminosità del giardino mediterraneo.4 Quanto a Mozart, si può dire che Così fan tutte rappresenti proprio il suo ultimo viaggio a Napoli: un viaggio dei sensi e dell'intelletto insieme, forse anche un ritorno spirituale alle origini.

* * *

Dal suo debutto sino ad oggi il Don Giovanni non ha mai smesso di affascinare intere generazioni di melomani. Nel 1787 il teatro di Praga pensò di ospitare un novello Figaro ed in effetti tra le due opere esiste qualche somiglianza sia nella natura del cast sia nella tipologia delle voci. Ancor più significativo è il fatto che Mozart poté trarre massimo profitto dagli enormi progressi compiuti durante la composizione della sua prima opera dapontiana. Eppure, diversamente sia dalle Nozze sia da Così fan tutte, Don Giovanni non è certo una pièce bien faite. Qui le bienséances della tradizione francese sono tutt'al più oggetto di scherno, sostituite semmai dal capriccio sregolato della commedia morale spagnola. Una simile divergenza genealogica, d'altra parte, non impedisce al Don Giovanni di essere a suo modo una "scuola degli amanti". Zerlina e Masetto, come pure Ottavio e Anna, finiscono per conoscere se stessi come mai sarebbe stato possibile se il demoniaco Don Giovanni non fosse sopraggiunto a sconvolgere il loro piccolo mondo. E se a Leporello è concesso d'imparare poco o nulla, a loro volta Donna Elvira e Don Giovanni ci danno più d'un motivo di riflessione.
L'originale intuizione della commedia spagnola era d'offrire un insegnamento morale tramite la rappresentazione del male nella persona di Don Giovanni, di per sé incarnazione quintessenziale della lussuria. Nella sua versione Molière aggiunse il personaggio di Elvira, anch'essa vittima del proprio desiderio erotico. Entrambi potevano essere visti come anti-eroi sentimentali, a didascalica dimostrazione di come mai gli amanti dovrebbero comportarsi. Un uomo come Don Giovanni, che trasgredisce impunemente ogni precetto morale solo per soddisfare i sensi, è tutto tranne un vero amante e ai fini dell'insegnamento morale rappresenta unicamente un valore negativo. Nel suo inesorabile procedere verso la dannazione finale egli ha comunque modo di titillare un pubblico settecentesco illuminato, non esattamente incline a condanne morali o a punizioni fatali. La questione etica del delitto e del castigo non era certo al centro degli interessi di Mozart, né tantomeno del suo pubblico, di fatto assai più sensibile ad allusioni politiche come quelle già riversate a piene mani nel libretto delle Nozze.
Il commediografo che più d'ogni altro volle identificare Don Giovanni con una precisa posizione politica fu Molière nel Dom Juan, ou Le festin de pierre (1665). Nella prima scena, Sganarelle/Leporello (interpretato dall'autore stesso) declama una sorta di motto dell'intera commedia: "Un grand seigneur méchant homme est une terrible chose" ("Che cosa terribile un gran signore che si comporta da malvagio"). Oltre ad essere un assassino, adultero e ateo, Don Juan desidera persino la morte del padre, il quale a sua volta rimprovera il figlio in termini inequivocabili: "Et qu'avez-vous fait dans le mond pour être gentilhomme? Croyez-vous qu'il suffise d'en porter le nom et les armes, et que ce nous soit une gloire d'être sorti d'un sang noble, lorsque nous vivons en infâmes? Non, non, la naissance n'est rien où la vertu n'est pas".5 La prima domanda ci ricorda inevitabilmente quella che Beaumarchais mette in bocca a Figaro a proposito del Conte: "Noblesse, fortune, un rang, des places: tout cela rend si fier! Qu'avez-vous fait pour tant de biens? Vous êtes donné la peine de naître, et rien plus; du rest, homme assez ordinaire!".6
Naturalmente sentimenti del genere erano troppo forti per l'opera e dunque andavano censurati. Ma il punto è un altro: se il bestseller di Beaumarchais era noto a tutti - grazie ad innumerevoli edizioni e traduzioni - altrettanto può essere detto della commedia di Molière. Lo stesso Beaumarchais e Da Ponte dimostrano di averla letta con attenzione, proprio come Mozart, il quale nella sua musica assorbì molta dell'ironica audacia con cui entrambi gli autori francesi avevano condannato gli abusi della nobiltà. I tormenti della carne che avevano afflitto la povera Elvira di Molière non potevano certo essere rappresentati sulle scene imperiali di Praga e Vienna. Tuttavia Mozart, grazie al suo linguaggio universale, riuscì a far rinascere quelle sofferenze nel commovente ritratto di Donna Elvira, la donna ingannata. Non vi è forse prova migliore di questa per dimostrare che il compositore, spingendosi ben oltre il librettista, aveva raggiunto una libertà e un'ampiezza di visuale proprie solo ai grandi spiriti creativi, qualità che permettono loro di comunicare al di là di ogni barriera spazio-temporale.
2. Citazione, allusione e richiamo in Così fan tutte
Già nel Don Giovanni Mozart aveva abituato il suo pubblico a richiami musicali d'ampio respiro, ad esempio facendo risuonare l'Andante dell'ouverture al momento del ritorno del Commendatore. In Così fan tutte la marcia guerresca con coro che accompagna il presunto imbarco dei due ufficiali innamorati, "Bella vita militar" (n. 8), risuona due volte nel corso del primo atto e ritorna verso la fine del secondo per segnalare il loro ritorno altrettanto posticcio dalla guerra. L'intera opera è percorsa da simili richiami musicali, alcuni scoperti e palesemente riconoscibili in quanto tali, altri più lievi e dissimulati, quasi celati in una dimensione più intima. Ciò avviene ad esempio nell'ouverture, verso la fine del Presto, col trasversale accenno scherzoso al "Così fan tutte le belle" delle Nozze di Figaro. In questo caso è il nesso poetico-testuale a indicarci senz'ombra di dubbio che Mozart era ben consapevole del riferimento, anche se probabilmente pochi altri ascoltatori dovevano essere in grado di coglierlo.
Da Ponte gli spianò la strada introducendo nel libretto una quantità davvero insolita di citazioni poetiche. Com'è naturale aspettarsi, queste coinvolgono soprattutto il vecchio e sagace Don Alfonso, adatto più d'ogni altro ad esibirsi in frasi proverbiali e in detti saggi e arguti. Quando i due giovanotti sono convinti d'aver già vinto la scommessa, incoraggiati in ciò dal bizzarro comportamento delle fidanzate durante il quintetto (n. 6), Don Alfonso li apostrofa con una secca frase in latino: "Finem lauda" ("riservate alla fine le vostre lodi", o meglio, "ride bene chi ride ultimo"). E quando Guglielmo pensa ormai che sia tutto perduto - visto l'apparente cedimento di Dorabella e la pur faticosa resistenza di Fiordiligi - il vecchio filosofo gli ricorda altrettanto puntualmente che "folle è quel cervello, / che sulla frasca ancor vende l'uccello". D'altra parte già nella sua prima disputa con i due giovani (n. 2) Don Alfonso era giunto a citare letteralmente un'intera quartina del Demetrio di Metastasio (1731).
Non si tratta di un prestito molto originale, visto che già Goldoni aveva apertamente citato gli stessi versi metastasiani nella Scuola moderna del 1748 (i.8):
leonora: E la fede?...
drusilla: Che fede? Io vi rispondo
la mia Leonoretta,
come dice il poeta in un'arietta:
È la fede degli amanti
come l'araba fenice;
che vi sia, ciascun lo dice,
dove sia, nessun lo sa.
Più Da Ponte e Goldoni vengono messi a confronto, più diviene evidente il debito dell'uno nei confronti dell'altro. E infatti, alla già sterminata lista di possibili fonti poetico-drammaturgiche di Così fan tutte,7 si può aggiungere anche un libretto di Goldoni, Le pescatrici (1752): questo "dramma giocoso per musica" ambientato sulle sponde del golfo di Taranto, nel Regno delle Due Sicilie, è anch'esso caratterizzato dal disvelamento finale di un disegno doppiamente dissimulato. Le due parti serie sono Lindoro, principe di Sorrento, e la nobildonna Eurilda, i quali si giurano eterna fedeltà. Mastriccio, un vecchio e saggio pescatore, ha modo di emergere in un tableau corrispondente alla penultima scena del terzo atto, una tipica scena d'imbarco con accompagnamento corale. La partenza marittima per un viaggio d'amore è uno di quei temi galant capaci di unificare un intero secolo, tali da ispirare alcune delle più grandi opere pittoriche: dal nostalgico capolavoro di Watteau (1717) al più tempestoso L'île d'amour dell'ultimo Fragonard.8 Goldoni assolve al suo compito descrivendo nel modo più semplice e bello le condizioni atmosferiche in cui si svolge la scena:
coro: Soavi zeffiri
al mar c'invitano,
son l'onde placide,
non v'è timor.
Procelle torbide
dal mar spariscono
quando si naviga
col dio d'Amor.
lindoro: Andiam, sposa diletta.
eurilda: Io seguo i passi vostri.
mastriccio: Oh come i voti nostri
tutto, tutto seconda:
ciel sereno, aure liete
e placid'onda.
L'affinità col terzettino (n. 10) di Così fan tutte è evidente anche nelle scelte lessicali:
Soave sia il vento,
tranquilla sia l'onda,
ed ogni elemento
benigno risponda
ai nostri desir.
In brani di questo genere la convenzione musicale andava di pari passo con quella poetica, a partire dall'impiego della tonalità di Mi maggiore. Una scelta che anche a Mozart dovette sembrare obbligata sin dai suoi primissimi esordi di operista; per non parlare poi dell'Idomeneo, ove la si riscontra in entrambi i pezzi sul tema degli zeffiri ["Soavi zeffiri soli spirate", ii.5, "Zeffiretti lusinghieri", iii.1 - ndt]. È istruttivo osservare il comportamento di Haydn di fronte al "Soavi zeffiri" nella sua resa operistica delle Pescatrici (1770): anch'egli optò subito per il Mi maggiore, in parte guidato da un istinto infallibile, ma aiutato anche da un'approfondita conoscenza dei compositori napoletani, le cui opere aveva spesso diretto in qualità di Kapellmeister alla corte degli Esterházy. Eppure, quant'è diverso il suo zeffiro musicale da quello di Mozart! Manca nel vecchio maestro anche la più vaga traccia della dolcezza sensuale che invece trabocca dai brani mozartiani. Non può essere una mera coincidenza il fatto che Haydn non abbia mai avuto contatti diretti con l'Italia e tanto meno con Napoli, di cui Mozart aveva invece interiorizzato vedute, suoni, profumi e clima.
Nella scena finale delle Pescatrici Goldoni chiude bruscamente la mascherata messa in atto dai due giovani pescatori, Burloto e Frisellino, travestiti da gentiluomini per mettere alla prova la fedeltà delle loro fidanzate, Nerina e Lesbina (tutte parti buffe). Dopo che i due si fanno riconoscere - provocando la sorpresa, ma anche la rabbia delle due fanciulle - Mastriccio li sgrida severamente per aver pur solo osato pensare a una simile messinscena. Anch'egli, come il Don Alfonso dapontiano, è convinto che la colpa sia tutta degli uomini. Identica è anche la soluzione proposta da entrambi i vecchi per rimediare al danno. "Sposarle", risponde Don Alfonso dopo che Guglielmo, indignato per il cedimento di Fiordiligi, gli chiede quale possa essere la punizione più adeguata. Mastriccio avrebbe potuto essere altrettanto conciso se Goldoni non si fosse divertito a mettergli in bocca un proverbio popolare dietro l'altro:
mastriccio: E chi, pazzi, v'insegna
le femmine tentare? In caso tale
che avreste fatto voi,
sciocchi che siete?
Se bene a lor volete,
sposatele, tacete, e non parlate:
si strapperà se troppo la tirate.
burloto: Amico, il giuramento.
frisellino: Sì, sì, me lo rammento.
E voi?
burloto: Ed io pentito
son della trista prova.
mastriccio: Chi va il mal cercando, il mal ritrova.
Dopo che Mastriccio ha finalmente riunito le coppie originali, mano nella mano, queste si uniscono a loro volta agli altri personaggi - Mastriccio stesso nel lido e la coppia nobile sul naviglio - nell'ensemble finale "Discendi, Amore, pietoso". "Perdona e dimentica" con animo generoso: questa è la lezione che Goldoni vuol dare attraverso il vecchio pescatore, quasi un cugino povero di Don Alfonso. "Chi va il mal cercando, il mal ritrova" non è poi molto diverso da quanto afferma Don Alfonso nel mettere in guardia gli arroganti giovinastri nel primo numero di Così fan tutte:
O pazzo desire
cercar di scoprire
quel mal che trovato
meschini ci fa.
Ma quel che accomuna i due poeti è anche il punto di vista morale alla base delle rispettive opere. Da Ponte, figlio dell'illuminismo ancor più di Goldoni, ebbe lo scrupolo di far spiegare a Don Alfonso l'intento sostanzialmente benefico della sua mascherata:
V'ingannai, ma fu l'inganno
disinganno ai vostri amanti
che più saggi omai saranno,
che faran quel ch'io vorrò.
(Li unisce e li fa abbracciare.)
Qua le destre: siete sposi.
Abbracciatevi e tacete.
Tutti quattro ora ridete,
ch'io già risi e riderò.
Incapaci di tacere, le damine accolgono i loro antichi fidanzati con le ennesime, solenni dichiarazioni di fedeltà eterna, musicalmente rese con intervalli di terza in dolce concatenazione, ancor più delicate esitazioni e infine con oscillazioni cromatiche proporzionali all'incorreggibile affettazione delle due civettuole fanciulle. Sorge il forte dubbio che esse non abbiano proprio imparato nulla dalla scuola di Don Alfonso. Nel caso dei due giovani ufficiali, almeno, si può notare qualche ravvedimento, come ad esempio la simultanea risposta alle promesse delle fidanzate: "Te lo credo, gioia bella / ma la prova far non vo'". In un modo assai simile il Burloto goldoniano aveva espresso il proprio rimpianto per aver perpetrato "la trista prova".
Don Alfonso è un autentico philosophe nella moderna accezione di pensatore illuminato e di benefattore. È anche un virtuoso della parola, spesso impegnato a disseminare piccole ma preziose perle di saggezza: con prontezza, ad esempio, egli adatta ai propri fini il primo verso della quartina metastasiana ("È la fede degli amanti"), mutandolo in "È la fede delle femmine". La parabola presa qui in prestito provoca il puntuale sbottare di Ferrando ("Scioccherie di poeti!"), il più colto dei due gentiluomini: la sua esclamazione segnala fra le righe che egli abbia subito colto la citazione. In un altro passo Da Ponte si serve addirittura delle virgolette per incorniciare l'ennesimo aforisma di Don Alfonso. Dopo l'incantevole terzettino (n. 10), concluso poco prima con l'uscita di Fiordiligi e Dorabella, Don Alfonso prorompe in un "Non son cattivo comico!" - nell'imminenza di raggiungere "i due Campioni / di Ciprigna e di Marte" - per commentare poi così il comportamento delle donne:
[...] Quante smorfie,
quante buffonerie!...
Tanto meglio per me ...
cadran più facilmente:
questa razza di gente è la più presta
a cangiarsi d'umore: oh poverini!
Per femina giocar cento zecchini?

"Nel mare solca e nell'arena semina
e il vago vento spera in rete accolgere
chi fonda sue speranze in cor di femina."
Ancora una volta Don Alfonso ha visto giusto, almeno riguardo a Dorabella, destinata in breve tempo a capitolare e dunque, come si conviene in simili scene operistiche, ad esibirsi in moine degne della sorella, proprio com'è la prima della due a prorompere in un'aria sulla sua situazione. Ben diversa tempra, più misurata e austera, dimostra invece Fiordiligi. Poeta e compositore sono impegnati a fondo per differenziare sottilmente i due personaggi femminili sin dalla loro prima apparizione.
La citazione conclusiva di Don Alfonso, "Nel mare solca ...", che il pubblico più colto è sfidato a riconoscere, è l'ennesimo giochetto letterario di Da Ponte.9 In questo caso il dictum catulliano sull'incostanza femminile è tratto nientemeno che dall'Arcadia di Sannazaro.10 È come se Don Alfonso e il suo artefice divenissero un unico personaggio, interessato prevalentemente a impressionare il pubblico con la sua sapienza e saggezza straordinarie. La Vernunft di Don Alfonso, ovvero la Ragione in persona, si scontra con l'Empfindsamkeit (sensibilità) e la Schwärmerei (immaginazione) degli amanti. Che questa sia l'idea madre dell'intera opera - come alcuni studiosi hanno già osservato11 - è confermato anche dell'uso esclusivo da parte di Da Ponte del sottotitolo La scuola degli amanti. Come già si è detto, fu invece Mozart nel corso della composizione ad esigere il titolo proverbiale Così fan tutte,12 cui il manifesto della prima rappresentazione conferì tutto il possibile rilievo tipografico (vedi illustrazione a pag. 128). Se Da Ponte condì il suo libretto con le più svariate spezie letterarie, sul piano musicale Mozart non gli fu certo inferiore nel creare una rete di allusioni retrospettive altrettanto fitta, difficilmente concepibili senza un'approfondita riflessione sull'intera tradizione melodrammatica settecentesca e sulla propria produzione operistica precedente.
L'impiego di richiami motivici su vasta scala si può già ravvisare nell'Idomeneo, mentre nella Entführung il ciclico ricorrere di elementi musicali "turcheschi" contribuisce all'unità complessiva dell'opera. Il personaggio che dà il titolo alle Nozze di Figaro è provvisto di una specie di calling card musicale che gli consente di porsi continuamente in relazione col Barbiere di Paisiello o col Don Juan di Gluck. Il Don Giovanni mozartiano si spinge ancor oltre: basti solo pensare al ruolo svolto dalla figurazione cromatica discendente dalle prime fino alle battute conclusive dell'opera. Le tre citazioni riconoscibili nella scena del banchetto del Don Giovanni, culminanti nel "Non più andrai" delle Nozze, anticipano gli altrettanti richiami a scene di mascherata che si susseguiranno nel secondo finale di Così fan tutte. Anche qui, come nel Don Giovanni, citazioni, allusioni e richiami proliferano senza posa, fino ad avvolgere l'intera opera in un denso reticolo.
Nell'ouverture di Così fan tutte i riferimenti alle Nozze di Figaro non si riducono certo allo stupido trillo di Basilio o alla figura discendente di "Così fan tutte le belle", entrambi ripresi per chiudere il tema principale del Presto. A battuta 59 Mozart introduce un ritmo furtivo, associato al modo minore,
esempio 5

che rimanda naturalmente all'incipit dell'ouverture delle Nozze. Da questa sembra derivare anche il blocco di fanfare nel Forte, armonicamente oscillante fra i e iv46, che si rivelerà cruciale ai fini dell'intera opera. Sin dalle premesse iniziali Mozart ci fa capire che la sua ultima collaborazione con Da Ponte non è altro che un'opera sull'opera. A quel tempo l'imperatore Giuseppe aveva ormai i giorni contati e forse Mozart aveva intuito che la sbandata di Da Ponte per la Ferrarese/Fiordiligi avrebbe presto condotto alla loro rovina. Secondo Stefan Kunze l'aura nostalgica, quasi di congedo, che aleggia su Così fan tutte andrebbe letta addirittura come un presagio mozartiano di morte; lo confermerebbe una disperata missiva di questo periodo scritta da Mozart a Michael Puchberg.13 Ma la fitta rete di allusioni musicali intessuta dal compositore deriva più che altro dall'intensificazione estrema di un procedimento ormai abituale in Mozart, cui il compositore sin dagli esordi mai ha saputo rinunciare.
L'idea di far cantare il titolo di un'opera nelle sue fasi finali, accentuandone il carattere di motto proverbiale, non era esattamente una novità. I personaggi principali de Il barbiere di Siviglia, ovvero La precauzione inutile di Paisiello (1782), dopo essersi rilanciati a vicenda la "precauzione inutile" del titolo, in una sorta di dialogo giocoso, solamente nel finale la riprendono in forma di canzone, così riassumendo il contenuto morale dell'intera opera. Sotto questo aspetto ancor più strettamente legata a Così fan tutte è il fortunatissimo opéra-comique On ne s'avise jamais de tout (1761) di Michel-Jean Sedaine e Pierre-Alexandre Monsigny (da cui è tratto l'esempio 6). In Mozart, esattamente come in Monsigny, la ripetizione del motto corrisponde all'iterazione di un'unica frase musicale, di cui viene progressivamente rinforzata la risoluzione cadenzale:
esempio 6. A: Monsigny, On ne s'avise jamais de tout, Vaudeville; B: Così fan tutte, n. 30

Ne risulta un periodo simmetrico composto da due frasi isoritmiche in rapporto di antecedente e conseguente, la prima demarcata appena da una cadenza d'inganno sul vi grado, la seconda chiusa effettivamente da una cadenza autentica sulla tonica. La stessa formula ricorre in innumerevoli composizioni strumentali di Mozart e di molti altri compositori del tempo, il più delle volte a chiusura d'un movimento veloce: proprio il suo carattere banale ma incisivo la rende ideale veicolo musicale di titoli-motto come quello di Così fan tutte.
Se le due sorelle ferraresi in visita a Napoli avessero meditato un po' di più sulla realtà circostante, di certo avrebbero nutrito qualche sospetto sulla chiamata militare dei loro fidanzati. "Al marzial campo / ordin regio li chiama" - annuncia Don Alfonso, ma di quale battaglia poteva mai trattarsi? Infatti sotto Ferdinando i e Maria Carolina d'Asburgo per quasi mezzo secolo il Regno delle Due Sicilie era riuscito ad estraniarsi da qualsiasi conflitto bellico; proprio in quel periodo, dal 1750 circa fino agli ultimi anni Novanta, il resto d'Italia subiva le ripercussioni del terribile scontro in atto fra la Francia post-rivoluzionaria e l'Impero asburgico.
In realtà non vi poteva essere un modo più efficace per mostrare sin dall'inizio la natura credulona delle due fanciulle e dunque per rendere perfettamente verosimile la loro incapacità di scoprire il travestimento dei fidanzati. Se neppure l'astuta cameriera Despina si accorge di nulla, evidentemente si tratta di travestimenti piuttosto elaborati e convincenti (è infatti essenziale che Ferrando sia un bel biondo e Guglielmo un bruno di carnagione scura). Ma la svista delle due sorelle potrebbe significare anche che nessuna di loro ha mai realmente osservato da vicino il proprio fidanzato (forse dovendo accontentarsi di un ritratto?).
Agli occhi di Da Ponte le donne sembrano distinguersi anche per la loro leggerezza e superficialità. Quando Don Alfonso, dopo il secondo numero, chiede agli uomini perché si sentano così sicuri delle loro fidanzate, questi se n'escono con tutta una serie di banalità - "Nobil educazion ... / Pensar sublime ... / Analogia d'umor ... / Disinteresse ... / Immutabil carattere ..." - di cui il librettista sottolinea con evidente compiacimento l'assoluta falsità. L'educazione delle sorelle, ad esempio, è talmente raffinata da non far loro comprendere neanche il latino elementare con cui Despina - travestita da medico - le saluta nel primo finale: al suo "Salvete, amabiles / bonae puellæ" (mutato da Mozart nello scorretto e dunque più verosimile "bones puelles") esse rispondono infatti "Parla un linguaggio / che non sappiamo". Quanto poi al "pensar sublime" e al "disinteresse", già dal primo dialogo in recitativo si capisce subito che i loro pensieri, come quelli di ogni ragazza normale, si riducono al desiderio di accasarsi prima possibile. La premessa dell'intera vicenda sta proprio nel fatto che il loro unico obiettivo, sposarsi, prescinde totalmente dalla specifica identità del futuro coniuge. Guglielmo, in particolare, è convinto di avere un temperamento simile a quello di Fiordiligi, ma gli eventi dimostreranno esattamente il contrario; uno dei motivi conduttori dell'opera, tale da poterne costituire il titolo stesso, è proprio questa "mutevolezza di carattere".
Molto è stato scritto sul carattere diverso di Fiordiligi e Dorabella, assai meno su quello altrettanto antitetico di Ferrando e Guglielmo, che pure ha modo di manifestarsi a tutti i livelli sin dal terzo numero dell'opera. Da un lato il sentimentale Ferrando, convinto di vincere la scommessa, si ripromette di spendere tutto il denaro in "una bella serenata" da offrire alla sua "Dea"; il più godereccio Guglielmo preferisce invece un sontuoso banchetto "in onor di Citerea". Mozart rende ancor più netta la distinzione affidando al tenore una cantilena d'andamento nobile, percorsa da giri melodici in stile galant e sospinta da note prolungate su un frusciante accompagnamento in crome e semicrome degli archi. Di lì a un anno e mezzo lo stesso incipit sarebbe stato ripreso nella Clemenza di Tito (n. 26) per caratterizzare la nobile figura di Sesto (vedi esempio 7 A-B).
E proprio come Sesto - o gli altri suoi pari, Idamante, Belmonte e Ottavio - Ferrando esibisce qui tutti i tratti più tipici dell'amante da opera seria. Quel suo triadico librarsi in volo fino al Sol acuto, in preparazione alla cadenza finale, sfiorando appena il La prima di ridiscendere per gradi alla tonica, ha di certo ispirato il tema dell'oboe all'inizio dell'ouverture. L'assolo di Ferrando si rivela di fondamentale importanza anche sul piano strutturale, visto che è destinato a ritornare più tardi in forma variata in uno dei momenti chiave dell'opera: il duetto d'amore tra Fiordiligi e Ferrando (n. 29), poco prima che l'una ceda alla corte dell'altro (vedi esempio 7 C). Curiosamente, è Fiordiligi stessa a iniziare con la musica di Ferrando, riproponendone il caratteristico giro melodico su armonie di i46 e i. L'ardente ascesa in semiminime della versione originale (b. 7) genera ora due risalite (doppiamente focose!) e anche l'episodio preparatorio alla cadenza viene dilatato, ma la sostanza non muta. Come non intendere tutto questo passaggio come un riferimento assolutamente preciso? E come non apprezzare l'effetto ironico dovuto all'inaspettato rovesciamento dei ruoli, laddove l'ardore stesso del corteggiatore Ferrando nei confronti di Dorabella gli viene inaspettatamente restituito in forma intensificata proprio da colei che dovrebbe essere l'oggetto ritroso del suo corteggiamento?
Il giro melodico con discesa su i46 - I caratterizza anche il quintetto (n. 6) del primo atto, ove è eseguito da entrambe le donne per terze parallele, a sottolineare il climax dell'intero ensemble (esempio 7 D).14
esempio 7. A: Clemenza di Tito, n. 26; B: Così fan tutte, n. 3; C: Così fan tutte, n. 29; D: Così fan tutte, n. 6



Lo sentiamo sopraggiungere dopo un lungo pedale di dominante, nel momento in cui le damigelle si disperano per l'imminente partenza dei fidanzati. Dorabella è disposta a straziarsi il cuore piuttosto di essere abbandonata (la stessa espressione è usata da Donna Elvira di fronte all'eventualità che Don Giovanni si rifiuti di tornare da lei). Fiordiligi, appena più controllata, segue comunque la sorella sia per quanto riguarda la melodia, sia nel suo desiderio di morire ai piedi dell'amante, il che le conduce entrambe a declamare i versi più atrocemente pomposi dell'intero libretto, "Il destin così defrauda / le speranze de' mortali.". Tanto le terze parallele, così sdolcinate e lungamente tenute, quanto il brillante accompagnamento in semicrome degli archi rendono questo momento tutt'altro che fatale. Vi riconosciamo semmai la "bella serenata" già intonata da Ferrando al momento della promessa! (Vedi esempio 7 B.)
Nel terzetto (n. 3) Guglielmo/Francesco Benucci rimane in secondo piano rispetto a Ferrando/Vincenzo Calvesi, non potendo neppure lontanamente emularne il respiro melodico e la nobile eleganza. La sua linea melodica è infatti più discontinua, l'accompagnamento del basso molto più animato e nella vivace figura in semicrome dei primi violini sembra semmai risuonare la musica turca della Entführung (esempio 8 A-B). Guglielmo si avvicina quasi al motto operistico quando ripete "in onor di Citerea...", ma è probabile che in questa fase della composizione Mozart non avesse ancora in mente il nuovo titolo. Si ha così l'ennesima riprova che l'associazione di un motto a una sorta di cadenza non costituiva nient'altro che un cliché dello stile buffo. Lo stesso può essere detto degli unisoni o anche dei bruschi contrasti dinamici. Evidentemente Mozart non ha dimenticato i superbi ruoli comici (Figaro e Leporello) interpretati in passato da Benucci, il quale rimane un tipico primo buffo - impegnato ad intonare quasi esclusivamente linee di basso - anche nei panni di un ufficiale napoletano alias nobile albanese:
esempio 8. A: Entführung, n. 5b; B: Così fan tutte, n. 3

Il vago accenno di turcheria suggerito dalla raffica di semicrome potrebbe essere letto come un'anticipazione dell'imminente travestimento. In base alla foggia dei loro abiti Despina identifica subito i due falsi stranieri come "turchi" o "vallacchi" (rumeni della regione intorno a Bucarest). E in effetti a quel tempo l'Albania, come anche la Romania, si trovava da secoli sotto il dominio turco.15
Avendo contrapposto fin da subito l'idealismo romantico di Ferrando all'edonismo più godereccio di Guglielmo, nel resto dell'opera poeta e compositore hanno modo di sviluppare e rifinire ancor più questa cruciale distinzione. Il personaggio di Ferrando è ben messo a fuoco anche grazie all'impeccabile perizia di Da Ponte nella sublime aria d'affetto in La maggiore "Un'aura amorosa" (n. 17). Alla protesta di Guglielmo sempre più ossessionato dal cibo - "Ed oggi non si mangia?" - Ferrando risponde che val la pena aspettare, visto che la cena sarà molto più saporita dopo la vittoria; il loro ristoro finale, spiega nell'aria, sarà tutto spirituale:
Un'aura amorosa
del nostro tesoro
un dolce ristoro
al cor porgerà.
Al cor che nudrito
da speme, da Amore,
di un'esca migliore
bisogno non ha.
Metastasio sarebbe stato orgoglioso di questi versi, in cui è facile riconoscere il suo stesso tocco mellifluo, la sua concisione, persino il suo tipico vezzo di collegare le due stanze con un'anafora (l'iterazione di "al cor" all'inizio dei due versi centrali).
Da parte sua Mozart risponde con un'aria da opera seria in tutto e per tutto. Anch'essa rimane al di fuori dell'azione, un po' come le arie di meditazione amorosa già cantate da Ottavio nel Don Giovanni, "Dalla sua pace" e "Il mio tesoro". Per quanto Dent l'abbia giudicata un'aria "piuttosto superflua", lo studioso avrebbe probabilmente cambiato idea se ne avesse considerato la funzione musicale nel complesso dell'opera. Elemento intermedio di tre numeri in La maggiore, quest'aria getta un ponte fra il duetto d'innamoramento delle due sorelle (n. 4) e il vero e proprio duetto d'amore (n. 29). Oltre alla tonalità, l'aria e i duetti hanno in comune vari tratti musicali: come ad esempio, nel caso dei nn. 4 e 17, l'impiego dei clarinetti in La, o persino la stessa successione armonica d'apertura, i-ii246,-vii/i, o v7/i-i. L'ardente impennata di Ferrando fino al quarto grado, nel n. 29 (vedi, più sopra, l'esempio 7 C, bb. 29-30), è prefigurata già nella sua aria (n. 17, bb. 34-35) tanto da costituirne uno dei vertici estremi. Un'altra vetta melodica è raggiunta da Ferrando quando, poco prima della cadenza finale, la sua voce si spinge fino al La acuto in corrispondenza alla successione iv-i46, così da echeggiare la chiusa dell'aria di Belmonte (n. 4 della Entführung), anch'essa in La maggiore ed espressione d'un cuore straripante d'amore:
esempio 9 A: Entführung, n. 4; B: Così fan tutte, n. 17; C: Così fan tutte, n. 29


Quel che segue al momento di sosta dell'aria di Ferrando (b. 67) è un inaspettato prolungamento dell'armonia di sottodominante (bb. 68-70), che permette alla melodia vocale, col solo accompagnamento dei fiati, di distendersi in un'ampia e articolata cadenza quasi di sapore plagale (bb. 68-73). La risoluzione autentica conclusiva (i46/v>i) è accompagnata in crescendo dall'intera orchestra, dando così inizio ad uno dei più estesi ed emblematici postludi dell'intera opera. La melodia principale, che campeggia nei primi violini sugli accordi in ritmo puntato degli altri strumenti, mette ancora una volta in risalto tutta la nobiltà d'animo di Ferrando e dà adeguata veste musicale all'elevatezza dei suoi sentimenti. Come si può vedere, questa musica non serve certamente solo a sancire la presunta partenza dei due ufficiali (tanto più che Guglielmo, durante l'intera effusione sentimentale dell'amico, non ha certo potuto placare il suo attacco di fame).
Alle battute 76-77, i violini imitano Ferrando risalendo per gradi congiunti fino alla tonica, La, sull'accordo di settima diminuita in secondo rivolto sostenuto in piano dai fiati. Su questa stessa armonia diminuita (ora allo stato fondamentale) Fiordiligi è destinata a cedere le armi di fronte a Ferrando, nel n. 29 ("hai vinto..."), quando il solo oboe raggiunge altrettanto gradatamente la tonica superiore, quasi a sancire quella vittoria (esempio 9 C). Dapprima l'oboe riprende l'ascesa cromatica di Ferrando, Mi-Mi#-Fa#, già corrispondente all'intonazione di "idol mio" (bb. 88-89); poi, in preparazione alla cadenza, ripropone la voluta melodica intorno al quinto grado con finale discesa alla tonica (b. 100), risalente all'assolo di Ferrando nel n. 3 (vedi esempio 7 B), cui Mozart nel corso dell'opera sembra conferire un rilievo superiore anche allo stesso motto. Fiordiligi, che ha già civettato con questa figura nell'aria del primo atto (n. 14, bb. 19-22), la canta di nuovo nel rondò del secondo atto (n. 25), dapprima in forma abbastanza sommessa (bb. 10-11), ma in seguito dandole massimo risalto proprio nella cadenza di collegamento fra la sezione lenta e quella veloce (bb. 34-35).
Il significato di questa vera e propria simbiosi melodica è evidente: sin dalle prime battute dell'opera Fiordiligi e Ferrando sono destinati ad amarsi. Né può essere casuale che all'inizio dell'ouverture Mozart abbia affidato all'oboe proprio solo quella figura chiave: il compositore sembra subito voler avvertire lo spettatore che, almeno dal suo punto di vista, le figure più romantiche e idealiste dell'opera non sono meno importanti del tema dell'apprendistato amoroso tanto caro al librettista.
Vi è tuttavia una circostanza, per quanto eccezionale, in cui Ferrando sembra precipitare dal sommo piedistallo di amore idealistico in cui sentimenti e musica lo hanno innalzato. Nella cavatina "Tradito, schernito" (n. 27), dopo aver appreso del successo di Guglielmo con Dorabella, Ferrando dà subito sfogo alla sua rabbia con gesti melodici tanto brevi e disarticolati quanto esplosivi, rimanendo nella tonalità di Do minore. In breve però, come ci si aspetta da un tipico innamorato da opera seria, il violento sfogo iniziale cede il passo a una melodiosità più fluida e distesa in modo maggiore, chiara espressione di un rinascente sentimento di speranza. La stessa logica fa sì che nella Entführung la romanza d'apertura di Belmonte inizi con una fiduciosa affermazione in maggiore, già adombrata nel bel mezzo dell'ouverture, ma in modo minore. La tessitura di entrambi i numeri è pressoché identica (si noti come, nella parte vocale, il pedale acuto di Sol s'innalza fino al La per raggiungere il climax di entrambi i brani).
Più problematica è l'aria di Ferrando, "Ah lo veggio" (n. 24), generata da ciò che in origine era stato concepito come il rondò finale del Quintetto per clarinetto K. 581, risalente al 29 settembre 1789. Vi si riscontrano infatti i tratti tipici del rondò bipartito - fondato sulla contrapposizione fra un ritmo di gavotta ed una scrittura per fiati più concertante - che nell'opera seria è in genere affidato al protagonista maschile. Particolarmente evidente è il carattere strumentale della melodia principale, proiettata fino al Si bemolle acuto sia per gradi congiunti sia per ampi salti ascendenti e dunque tale da poter essere eseguita solo da un tenore di straordinaria agilità. L'Allegretto d'apertura, in tempo tagliato, ha modo di espandersi per quasi cento battute prima di confluire nell'Allegro finale, corrispondente ai due versi di congedo. All'inizio di quest'ultima sezione il tema del rondò passa all'orchestra, mentre Ferrando intona "Ah cessate" con un salto di sesta discendente, Fa-La, e successiva risoluzione su Si bemolle (bb. 100-101). (È questa un'eco letterale dell'"Ach Konstanze!" nel n. 15 della Entführung, bb. 19-20, anch'esso un rondò bipartito in Si bemolle maggiore: a riprova che la figura di Ferrando è modellata su quella altrettanto ardente e fervida di Belmonte.) A giudicare dalla scrittura vocale di "Ah lo veggio", Calvesi doveva essere superiore persino al collega tenore Valentin Adamberger quanto a fluidità d'emissione e controllo tecnico del registro tenorile nella sua intera estensione. È ben comprensibile che lo stesso Mozart, abbia autorizzato l'interprete con un'annotazione autografa ad evitare un simile tour de force. E se il compositore fu addirittura sul punto di fare a meno dell'intero lavoro confluito nel rondò di Ferrando, ciò non dipese solo da esigenze di sintesi (l'opera rischiava di estendersi oltre misura), ma anche dal fatto che in esso venivano anticipati non pochi tratti caratteristici del numero successivo, il gran rondò di Fiordiligi "Per pietà ben mio" (n. 25).
La parte che in assoluto causò maggiori problemi, tanto a Mozart quanto a Da Ponte, fu però senz'altro quella di Guglielmo. Francesco Benucci, in qualità di primo buffo veterano, insostituibile pilastro della troupe, era ovviamente degno della massima considerazione. È verosimile pensare che gli autori fossero impazienti sia di compiacere una star così ambita, sia di sfruttarne al meglio le straordinarie qualità istrioniche; difficile altrimenti spiegare perché Mozart abbia per una volta rinunciato al suo abituale acume drammaturgico, consentendo a Da Ponte di confezionargli un variopinto repertorio di stravaganze, a cominciare dall'aria di Guglielmo "Rivolgete a lui lo sguardo" (n. 15a, vedi il libretto qui riprodotto alle pp. 29-30 del facsimile ), ove il librettista spazia allegramente dalla mitologia alla storia, dall'Orlando innamorato di Boiardo al canto dell'usignolo, dalle più remote località geografiche ai passi di danza di un famoso ballerino coevo. Prima di arrivare a riconoscere l'assoluta inadeguatezza di quest'aria [poi sostituita da "Non siate ritrosi", n. 15 - ndt] anche a causa della sua estensione e collocazione, Mozart ne portò a termine la composizione definendo anche gli ultimi dettagli dell'orchestrazione. In particolare l'impiego di trombe e timpani in associazione alla tonalità di Re maggiore caratterizzerà anche l'imminente Finale del primo atto, il che costituisce una curiosa anomalia, visto che nella prassi operistica mozartiana il finale si distingue dai numeri precedenti tanto per tonalità che per orchestrazione (arricchita proprio tramite l'aggiunta di trombe e timpani).
A giudicare dal contenuto stesso della musica, Mozart fece di tutto per propiziare l'ennesimo trionfo di Benucci, sulla scia del "Non più andrai, farfallone amoroso" delle Nozze. Inconfondibili, sin dall'incipit, i vigorosi accenti in battere della parte vocale nel contesto di un altrettanto concitato Allegro in tempo comune; all'aria di Figaro (b. 15) rimanda anche il successivo passaggio al tempo di gavotta, nel momento in cui Guglielmo si volge a Dorabella (b. 22). Di fronte a un testo così esteso e a un simile catalogo di assurdità Mozart ha dovuto necessariamente ricorrere a una scrittura fluida e narrativa, assolutamente scevra di ripetizioni o ricorrenze strofiche e dal carattere insolitamente modulante; pure, nonostante l'ammirevole sforzo di sintesi, più di cento battute separano l'inizio dell'aria dai suoi due versi culminanti: "E qualche altro capitale / abbiam poi che alcun non sa". L'ingegnosa chiusa di Da Ponte, d'altra parte, dovette permettere a Benucci di suggerire con un semplice gesto (o forse con un'occhiata compiaciuta) il punto esatto in cui era celato quel suo "capitale": una formula, questa, pressoché identica a quella già impiegata nell'aria conclusiva di Figaro ("Il resto nol dico, / già ognuno lo sa").
Se in un'aria del genere un cantante comico qualsiasi sarebbe stato facilmente portato a strafare soprattutto sul piano mimico-gestuale, agli occhi di Mozart questo non poteva essere il caso di Benucci, allora universalmente apprezzato anche per l'insolita naturalezza e la capacità d'autocontrollo. Ce lo conferma eloquentemente una recensione berlinese del 1793 secondo cui Benucci "combina una voce di basso estremamente rotonda, bella e piena ad una recitazione eccellente, mai forzata. È un cantante completo e al contempo un attore di prima scelta. Ha la rara e altamente raccomandabile abitudine di evitare ogni esagerazione".16 Il successo stesso della nuova opera sarebbe in gran parte dovuto proprio alla meritata fama di Benucci, al prestigio altrettanto elevato goduto dal cantante presso la corte imperiale ed il pubblico viennese: Mozart ne era perfettamente consapevole ed agì di conseguenza. Solo in questa prospettiva è possibile comprendere lo spropositato errore di calcolo rappresentato da un'aria come "Rivolgete a lui lo sguardo". Anche nell'eventualità che essa riscuotesse un buon successo di pubblico, l'equilibrio complessivo dell'opera ne avrebbe risentito in modo irreparabile. Considerate anche le vaste proporzioni già assunte dal primo atto, l'idea di inserire proprio nel bel mezzo del secondo atto un'aria di sei minuti abbondanti è del tutto priva di senso. Era dunque inevitabile che alla fine Mozart vi rinunciasse. Un'eco di sconsolata rassegnazione si può ancora percepire nell'annotazione aggiunta separatamente nel catalogo delle opere, in corrispondenza al mese di dicembre [1789]: "Eine arie welche in die oper Così fan tutte bestimmt war für Benucci" ("Un'aria che nell'opera Così fan tutte fu in origine concepita per Benucci").
Poeta e compositore dovettero così rimettersi al lavoro per ottenere la più concisa ed efficace aria sostitutiva "Non siate ritrosi" (n. 15): un Andantino in 2/4, nella tonalità di Sol maggiore, naturalmente collegato - senza bisogno di transizioni - alle risate del successivo terzettino, anch'esso in Sol maggiore (n. 16). Se la nuova soluzione era senz'altro più adeguata, soprattutto per la sua brevità, bisognava ancora fare i conti con i rimanenti 17 numeri che la separavano dal finale, di contro ai 14 delle Nozze e ai 12 del Don Giovanni.
Nella prima metà dell'atto Mozart aveva avuto modo di soffermarsi a lungo sugli addii e sulla partenza degli amanti, rendendo così problematica la stesura della metà rimanente. L'aria di Benucci non fu certo l'unica a metterlo in crisi e anche altrove fu necessario lavorare di forbici. Uno dei tagli più drastici portò all'omissione integrale della musica in Re minore citata da Ferrando nel secondo finale (esempio 10 A), con la quale egli si era presentato a Fiordiligi nei panni di un nobile albanese. Secondo Alan Tyson quest'aria perduta si sarebbe trovata appena prima o poco dopo quella di Fiordiligi, "Come scoglio" (n. 14),17 il che non ha molto senso, visto che in quel frangente lo stesso Ferrando è in procinto di esibirsi nella sua cruciale aria in La maggiore (n. 17). Altri studiosi vi scorgono invece un duetto in origine destinato ai due albanesi.18
Più verosimile, a mio parere, è che il perduto modello del richiamo di Ferrando fosse in una sezione tratta dal sestetto (n. 13). Nell'insieme il sestetto è così esteso ed articolato, così vario per metro e tonalità, insomma così simile a un finale da rischiare di attenuare l'atteso effetto esplosivo del finale vero e proprio. Da un punto di vista drammaturgico, è abbastanza strano che il dubbio sollevato da Despina - "Io non so se son Vallacchi / o se Turchi son costor" - rimanga tale nel corso dell'intero sestetto; per ottenerne la soluzione, ovvero per apprendere che le sembianze assunte dai fidanzati sarebbero quelle di due semplici albanesi (e dunque non proprio turchi, ma quasi), dobbiamo attendere fino al termine dell'opera, quando viene stipulato il contratto matrimoniale. Curioso è anche il modo in cui all'inizio della seconda sezione (un Allegro in 3/4, non più in Do ma in Fa maggiore) Despina "si ritira" senz'alcun preavviso per far sì che i due uomini vengano scoperti da Fiordiligi e Dorabella.
Qui più che altrove possiamo aspettarci che Ferrando si presenti a Fiordiligi come un aristocratico cavaliere d'Albania, sfoggiando magari uno dei suoi inchini più elaborati, poco prima che Guglielmo faccia altrettanto con Dorabella. Quanto mai appropriata è anche la scelta del modo minore, ennesimo tratto caratteristico della musica turca mozartiana (si vedano, per esempio, il finale "alla turca" della Sonata in La maggiore K. 331, e il finale del Concerto per violino in La maggiore K. 219, il cui tema è tratto dal balletto Le gelosie del serraglio K. 135a). In combinazione con gli austeri e pomposi ritmi puntati del suo declamato e con l'affettazione cortese del suo linguaggio (caratterizzato da espressioni come "bella damina", rivolta a Fiordiligi), l'esotico Re minore di Ferrando si presta bene a mettere in risalto l'aspetto bizzarro dei due forestieri. In assenza di tutto ciò, invece, la reazione delle donne finisce per essere stimolata esclusivamente dall'apparenza visiva, di per sé certamente insufficiente a spiegare o provocare il loro scoppio di stridula indignazione. Inoltre la presentazione dei due albanesi avrebbe agevolato anche il loro successivo approccio, che li porta quasi a inginocchiarsi insieme a Despina per chiedere perdono nel breve terzettino in La minore.
Ma è la musica stessa di Ferrando, nella sua rievocazione finale, a segnalarci in modo chiarissimo la sua vera origine. I ritmi puntati e gli accenti esplosivi a metà battuta sono gli stessi che caratterizzano già il sestetto sin dall'inizio, cioè da quando Don Alfonso presenta i suoi bizzarri amici a Despina ("Alla bella Despinetta"). Un inaspettato accento dinamico, sempre a metà misura, si può notare anche nel breve assolo di Ferrando (b. 498); ancor più impressionante è la corrispondenza fra questo assolo e la sezione finale del sestetto, Molto allegro in tempo tagliato (esempio 10 B):
esempio 10. A: Così fan tutte, n. 31; B: Così fan tutte, n. 13

Il Re all'unisono negli archi, eseguito in forte nel passaggio di Ferrando, corrisponde all'altrettanto accentato e unisono Do che dà inizio al Molto allegro, anch'esso animato da una vera e propria schermaglia fra accenti in battere e in levare (o meglio, fra accenti nella prima e nella seconda metà della battuta in tempo tagliato). Un'accentazione in battere similmente brusca e vigorosa si può riscontrare anche altrove nell'opera, in particolare nel duetto femminile del secondo atto "Prenderò quel brunettino" (n. 20, a partire da b. 54), a sottolineare la decisione appena presa da Dorabella e Fiordiligi (all'una andrà il "brunettino", all'altra il "biondino"); oppure nell'Allegro molto del secondo finale (n. 31, b. 592), quando ormai tutto è stato deciso. Qui il primo accento in battere è sulla dominante, proprio come all'inizio del n. 3, dopo che la scommessa è stata definita in ogni suo dettaglio.
Per dare una veste adeguata alle scene in cui le giovani dame ferraresi si prendono esageratamente sul serio, atteggiandosi ad improbabili eroine tragiche, Mozart trasse ispirazione dall'amato Idomeneo. Benché il compositore avesse più volte tentato di farla rappresentare a Vienna, l'opera era stata messa in scena solo in forma semiprivata nel teatro del palazzo del principe Auersperg durante la stagione pasquale del 1786. Dunque la fama di quest'opera non era neppure paragonabile a quella della Entführung, delle Nozze di Figaro o del Don Giovanni. Il conflitto tragico alla base dell'Idomeneo è in sostanza quello di un padre costretto a sacrificare il figlio. Particolarmente memorabile è il momento in cui il re Idomeneo riconosce il figlio Idamante sulla spiaggia (i.8): alle parole "E il padre mio!", pronunciate da Idamante, i violini all'unisono saettano fino al Re acuto per poi ripetere la stessa risalita sul quarto grado. L'importanza cruciale di queste movenze nell'intera opera è confermata dalla loro presenza già nell'ouverture (bb. 23-26). Nella scena ottava del primo atto il momento tragico della presa di coscienza iniziale, accompagnato da rumorose esplosioni sonore, cede il passo a un'incontenibile commozione e dunque anche all'affievolimento dei valori sia dinamici sia tonali, con la digressione verso tonalità bemolli. Le stesse movenze tragicamente conflittuali ritornano più avanti, in preparazione al gran rondò d'Idamante, "Non temer, amato bene" (1786).
Potrà sembrare incredibile, ma ad una strategia compositiva pressoché identica Mozart ricorse anche in Così fan tutte per introdurre l'aria di Dorabella, "Smanie implacabili" (n. 11). "Ah scòstati" - Dorabella intima a Despina - "paventa il tristo effetto / d'un disperato affetto": a queste ultime parole i primi violini si rincorrono su e giù per la scala di Re maggiore, nel forte, per poi passare rispettivamente a Re minore e alla sottodominante, Sol minore. Anche in virtù della loro concitata oscillazione ascendente/discendente queste minacciose ondate di semicrome rimandano direttamente sia alle misteriose e lugubri scale che animano l'ouverture del Don Giovanni (Andante), sia a quelle emergenti nelle Nozze di Figaro ove il Conte d'Almaviva invoca la morte di Cherubino (n. 16, "Mora, mora", bb. 83-108). Anche in questo caso la tensione eroica è seguita una sorta di distensione soave, ottenuta con la discesa per terze dei primi violini su di uno statico e riposante accordo di Mi bemolle maggiore in primo rivolto:
esempio 11. Così fan tutte, Atto I, scena 9, recitativo

"Chi schernisce il mio duol... chi mi consola?" - chiede l'indignata Dorabella a una Despina tutt'altro che terrorizzata dall'accesso di collera della padrona e anzi incapace di trattenere il riso. Anche i brevi gesti vacillanti in ritmo puntato sono familiari all'Idomeneo e ricordano in particolare il primissimo recitativo di Ilia (n. 1, "Quando avran fine ormai l'aspre sventure mie?"), alle parole "Oh sorte!" (bb. 36-37). In Così fan tutte li ritroviamo con identico valore connotativo, in associazione alla parola chiave "destin", anche alla fine del quintetto (n. 6).
La commovente risalita cromatica di Dorabella seguita da salto discendente di quarta, a "chi mi consola?", rievoca quanto già cantato da Fiordiligi nel quintetto (n. 9) in corrispondenza alle parole "Mi si divide il cor" (bb. 15-17). Anche questo bel giro di frase deriva dall'Idomeneo: poco prima del rondò d'Idamante esso accompagna le parole di supplica da lui rivolte ad Ilia. Persino la nuova concitazione ritmico-dinamica degli archi, con moto contrario di semicrome nel Forte, ed il violento scontro che ne deriva, costituiscono l'ennesimo richiamo all'Idomeneo.19 La risposta alla domanda di Dorabella - "chi mi consola?" - è fornita dalla musica stessa: proprio le viole, predilette da Mozart per il loro timbro vellutato, continuano a rimanere immobili sul pedale di Fa, mentre gli altri archi riprendono a vacillare in ritmo puntato. E se nell'Idomeneo Mozart aveva iniziato a impiegare sistematicamente le viole in funzione di prolungato sostegno melodico e armonico, esempi ancor più mirabili della stessa scrittura si ritrovano nel quintetto (n. 9) e nel terzettino (n. 10) di Così fan tutte.
Despina può forse ridere della padroncina, non però Mozart che aderisce semmai con tutto il cuore alla sua angoscia pur immaginaria. Proprio calandosi nello stato d'animo di Dorabella, senza dimenticare le passate sofferenze di Ilia e Idamante, il compositore può trovare gli accenti giusti per l'infuriata aria successiva, "Smanie implacabili" (n. 11). Tanto il testo quanto la musica ricordano molto da vicino l'aria finale di Elettra nell'Idomeneo, "D'Oreste, d'Aiace ho in seno i tormenti", in Do minore e caratterizzata dall'ossessiva ripetizione da parte degli archi di una piccola figura fluttuante che a Mozart dovette sembrare adattissima anche per caratterizzare la furia di Dorabella; infatti un analogo bisbiglio in crome terzinate è affidato anche qui dall'inizio alla fine dell'aria ai violini: essi lo ripropongono a tutti i possibili livelli sonori e dinamici, fermandosi solo alle parole "col suono orribile" (bb. 89-93), per consentire ai fiati di accompagnare Dorabella negli abissi del suo inferno privato. Dobbiamo ridere o piangere di fronte a un simile ritratto delle terrificanti Eumenidi? Come non sorridere, invece, alla parodia finale dei sospiri amorosi? Visto che in un raro momento di leggerezza (duetto n. 20) la stessa Fiordiligi fa la parodia della parodia, puntualmente seguita da Despina nel quartetto (n. 22):
Esempio 12. A: Così fan tutte, n. 11; B: Così fan tutte, n. 20; C: Così fan tutte, n. 22

Tanto più che Don Alfonso, già nella discussione d'apertura, si è preso allegramente gioco ("Lasciatemi un po' ridere!") di simili "pianti, sospir, carezze, svenimenti". Affermazioni del genere, apparentemente sparse quasi casualmente, gli sono servite in realtà per preparare accuratamente il terreno da percorrere nelle fasi successive della messinscena. E tutto il merito va qui a Da Ponte. Solo Mozart, d'altro canto, avrebbe potuto piangere con Dorabella e nel contempo unirsi a Despina e a Don Alfonso per ridere di lei.
Ma gli echi reciproci fra le due sorelle non si riducono certo ai soli sospiri musicali. Strategie tonali già familiari all'Idomeneo vengono ora riutilizzate da Mozart per aumentare la tensione subito prima delle rispettive arie di Dorabella (n. 11) e di Fiordiligi ("Come scoglio", n. 14). In quest'ultimo caso un'impennata orchestrale in Re maggiore (b. 50), poi ribadita in Sol minore (b. 54), è seguita - alle parole "l'intatta fede" - da una ritirata su di un accordo di Mi bemolle maggiore in primo rivolto, nel piano, e infine dal ritorno della piccola figura vacillante in ritmo puntato. Tratti analoghi caratterizzano le parti vocali.
Ancora una volta Mozart ritorna all'Idomeneo per poter meglio immedesimarsi nelle emozioni che i suoi personaggi - in questo caso Fiordiligi - sono convinte di provare. Si tratta di emozioni eroiche al sommo grado: come la fedeltà sino alla morte, senza badare al mondo circostante e a dispetto del destino. La tipologia è quella dell'aria di paragone, com'è evidente sin dai due versi iniziali: "Come scoglio immoto resta / contro i venti e la tempesta" (da Virgilio dell'Eneide, "Velut [...] rupes immoto restat"). Similitudini del genere, di cui Metastasio era impareggiabile maestro, erano assolutamente consuete nell'opera seria. Sul piano musicale "Come scoglio" assomiglia alla prima aria d'Idamante, "Non ho colpa e mi condanni", anch'essa in Si bemolle maggiore e dall'incipit pressoché identico. A partire dalla sezione in tempo Più allegro, le esplosioni orchestrali e le altrettanto pirotecniche risposte vocali (bb. 79-89) cominciano a risuonare come l'ennesima dimostrazione di costanza e forza d'animo, un po' come nel caso di Konstanze all'apice dell'ardore in "Martern aller Arten" (in particolare l'Allegro assai, b. 160 e segg.).
Si sono appena illustrate somiglianze fra arie diverse più che vere e proprie allusioni. Eppure il materiale dell'Idomeneo che possiamo considerare preparatorio alle arie di Dorabella e Fiordiligi nel primo atto è così specifico che può essere percepito come un preciso riferimento a quell'opera tragica. Tanto più che in questo modo - considerando cioè questi punti come precise allusioni tragiche - la sensazione che i personaggi si stiano prendendo troppo sul serio diviene ancor più netta. Quando Fiordiligi, nella sesta scena del secondo atto, si accinge all'ennesima effusione eroica, Mozart ripete quasi alla lettera alcune delle frasi musicali già cantate da lei in preparazione a "Come scoglio"; in particolare nell'accompagnamento a "l'intatta fede" (nei confronti di Guglielmo), ella canta a Ferrando "Tu vuoi tormi la pace", accurata premonizione evidentemente non priva d'ironia.
Poco prima dei tre richiami alla musica da mascherata, nel finale del secondo atto, una ben più sottile citazione riprende una melodia già apparsa quasi all'inizio dell'opera. Fiordiligi punta il dito contro Despina e Don Alfonso, accusandoli di esser due loschi imbroglioni - "Per noi favelli, il crudel, la seduttrice" - con una melodia che aveva già cantato prima (vedi esempio 13 A-B). La lezione che si può trarre da questa allusione, ancora una volta, è inequivocabile: in Così fan tutte è la musica, e nient'altro che la musica, a svolgere il ruolo di seduttrice. Vi si può notare nel contempo un inconfondibile riferimento all'aria di sortita di Donna Elvira, sedotta ed ingannata (esempio 13 C):

Esempio 13. A: Così fan tutte, n. 31; B: Così fan tutte, n. 10; C: Don Giovanni, n. 3


Un attento esame del secondo finale rivelerebbe innumerevoli altre reminiscenze di questo tipo, riferite a musiche già ascoltate non solo in quest'opera ma anche in altre precedenti.
Il lieto fine di Così fan tutte, col ritorno delle due sorelle ai fidanzati d'origine, è anche la parte dell'opera che più ha fatto discutere in assoluto. Pure in esso si rinnova la tradizione che già aveva indotto Goldoni a concludere le Pescatrici con un perdono finale altrettanto repentino e assoluto. Non è escluso che Mozart e Da Ponte siano stati fortemente tentati di ricorrere a un epilogo del tutto diverso: che bella coppia avrebbero potuto formare due splendidi amanti d'opera seria come Ferrando e Fiordiligi! Resta il fatto che lo stesso Da Ponte definì il suo libretto, come già quello del Don Giovanni, un "dramma giocoso" e che Mozart nel suo catalogo personale riservò ad ambedue le opere la definizione di "opera buffa".
Si può ben comprendere la perplessità dei critici di fronte al ritorno della briosa Fiordiligi fra le braccia del lagnoso Guglielmo. Ma a parte l'incompatibilità caratteriale che emerge dal libretto, è la musica stessa a segnalare in modo inequivocabile che il secondo assortimento coniugale è di gran lunga preferibile a quello di partenza. Se è vera - per non dire disposta dal Cielo - la legge secondo cui in un'opera le voci più acute devono essere appaiate, allora il soprano Fiordiligi è senza dubbio destinato al tenore Ferrando.20 In altri casi un precetto simile avrebbe forse avuto minor peso, ma in un'opera sull'opera ci si aspetta che la prima donna dia il meglio di sé in ispirati duetti d'amore, accompagnata però da un tenore, non da un basso.
Forse è proprio su questo punto che poeta e librettista finirono per trovarsi in disaccordo. Nel qual caso gli argomenti di Da Ponte-Don Alfonso ebbero sicuramente la meglio. L'ensemble finale è infatti interamente permeato della filosofia razionale e ottimistica dapontiana:
Fortunato l'uom che prende
ogni cosa pel buon verso,
e tra i casi e le vicende
da ragion guida si fa.
Non ci si può ormai più stupire che anche dietro questi sentimenti si celi l'ennesimo monumento letterario del passato, Le misanthrope di Molière; termini analoghi erano già stati usati dal saggio e mondano Philinte per rimproverare il protagonista, capace di vedere solo il lato negativo della realtà:
Je prends tout doucement les hommes comme ils sont,
j'accoutume mon âme à souffrir ce qu'ils font;
et je crois qu'à la cour, de même qu'à la ville,
mon flegme est philosophe autant que votre bile.21
Neanche il flemmatico Don Alfonso avrebbe potuto esser più eloquente. Forse Da Ponte si sarebbe accontentato di finir lì e fu Mozart a esigere un'altra quartina per poter conferire all'ensemble finale il necessario contrasto musicale oltre che il carattere di un vero e proprio commiato.
Quel che suole altrui far piangere
fia per lui cagion di riso,
e del mondo in mezzo ai turbini
bella calma troverà.
Nella sua perfetta semplicità l'espressione "bella calma" riassume meglio di ogni altra lo stato d'animo in cui si trova alla fine dell'opera. Ma lasciamo che sia Dent a emettere il giudizio definitivo: "Così fan tutte è il miglior libretto di Da Ponte e la più raffinata opera di Mozart".

(Traduzione di Stefano La Via)
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Esempi musicali

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es 10a
es 10b
es 11
es 12
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* Il presente saggio è costituito dai capitoli 13 (Three Schools for Lovers, or "Così fan tutte le belle") e 14 (Citation, Reference and Recall in Così fan tutte) del volume di Daniel Heartz, Mozart's Operas, edited, with contributing essays, by Thomas Bauman, Berkeley, University of California Press, 1990, pp. 217-252.
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1 Franz Hadamowsky, Die Wiener Hoftheater (Staatstheater 1766-1966), Wien, Prachner, 1966-75, n. 366.
2 Così scriveva Thomas L'Affichard nei suoi Caprices romanesques (Amsterdam, 1745, p. 63): "Le commedie [di Marivaux] non sono commedie, ma racconti che fanno ora ridere, ora piangere. Il suo stile è unico, o meglio non è uno stile: infatti per poter scrivere in quel modo bisogna essere completamente sé stessi. Egli scrive come Chardin dipinge. È un genere speciale, assai apprezzato ma inaccessibile a qualunque altro artista: chi volesse tentare di imitarlo non produrrebbe nient'altro che mostruosità" (cit. in Pierre Rosemberg, Chardin, 1699-1779: A Special Exhibition Organized by the Réunion des Musées Nationaux, Paris, The Cleveland Museum of Art and Museum of Fine Arts, Boston, Cleveland, Cleveland Museum of Art, 1979, p. 81).
3 Rosemberg, Chardin, 1699-1779 cit., p. 218.
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4 Come ad esempio nel disegno, firmato e datato "frago 1786" dallo stesso pittore, oggi presso la E. B. Crocker Gallery (Sacramento, California) e riprodotto in Eunice Williams, Drawings by Fragonard, Washington, National Gallery of Art, 1978, n. 52.
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5 "E cos'hai mai fatto tu per diventare un gentiluomo? Credi forse che basti avere un nome e delle armi, e che continui ad esservi gloria nel sangue nobile di chi vive nell'infamia? No e poi no: la nascita non è nulla dove non c'è virtù" (iv.5).
6 "Nobiltà, fortuna, un certo rango, una posizione; tutto ciò rende così fieri! E cos'hai fatto per meritarti tutti questi privilegi? Hai avuto la pena di nascere, e nient'altro; a parte questo, sei un uomo del tutto ordinario!" (v.3).
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7 Si veda in proposito Andrew Steptoe, The Sources of "Così fan tutte": A Reappraisal, "Music & Letters", lxii, 1981, pp. 281-94.
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8 Il suo titolo più noto, La fête à Rambouillet, è relativamente recente e risale in realtà a non prima del xix secolo, mentre L'île d'amour era già in uso nel secolo precedente, come è ben documentato in Pierre Rosemberg, Fragonard, New York, Metropolitan Museum of Art, 1988, pp. 355-57.
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9 Le fonti latine, francesi ed italiane di molte citazioni dapontiane, non però di quella in questione, sono state rintracciate da Kurt Kramer, Da Ponte's "Così fan tutte", in "Nachrichten der Akademie der Wissenschaften in Göttingen. Philologisch-historische Klasse", xi, 1973, pp. 3-27.
10 Cfr. in proposito Wolfgang Osthoff, Gli endecasillabi villotistici in "Don Giovanni" e "Nozze di Figaro", in Venezia e il melodramma nel Settecento, a cura di Maria Teresa Muraro, Firenze, Olschki, 1981, 2 voll., ii, pp. 293-94 e Daniela Goldin, La vera fenice. Librettisti e libretti tra Sette e Ottocento, Torino, Einaudi, 1985, p. 147, n. 9.
11 Cornelia Kritsche e Herbert Zeman, Das Rätsel eines genialen Opernentwurfs - Da Pontes Libretto "Così fan tutte" und das literarische Umfeld des 18. Jahrhunderts, in Die österreichische Literatur: Ihr Profil an der Wende vom 18. zum 19. Jahrhundert (1750-1830), hrsg. Herbert Zeman, Graz, Akademische Druck- und Verlaganstalt, 1979, pp. 355-77.
12 Cfr. Alan Tyson, Notes on the Composition of Mozart's "Così fan tutte", "Journal of the American Musicological Society", xxxvii, 1984, pp. 356-401: 371, 377 (riguardo al motto).
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13 Stefan Kunze, Il teatro di Mozart. Dalla "Finta semplice" al "Flauto magico", Venezia, Marsilio, 1990, p. 542.
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14 Un'adeguata spiegazione di questo tipo di ricorrenza - secondo cui i personaggi non si citano a vicenda, ma è semmai Mozart che fa l'occhiolino al suo pubblico - è stata proposta da Frits R. Noske, Dentro l'opera. Struttura e figura nei drammi musicali di Mozart e Verdi, Venezia, Marsilio, 1993 (Le nozze di Figaro: la citazione musicale come procedimento drammaturgico, pp. 17-31: 30).
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15 È stato stimato che nel xviii secolo oltre la metà del popolo albanese aveva già abbandonato la religione cristiana. E infatti Da Ponte assegna ai suoi albanesi dei nomi tutt'altro che cristiani quali Tizio e Sempronio; in modo altrettanto coerente, al loro risveglio nel finale del primo atto, entrambi credono di trovarsi al cospetto di Giove. Mozart elaborò le scorrevoli figure di semicrome, tipiche della sua musica turca, in associazione a Guglielmo, nella grande aria per Benucci del primo atto (n. 15a); dopo la sua sostituzione, molti di quei tratti - compresi l'impiego di trombe e timpani - furono trasferiti nella sua aria del secondo atto (n. 26).
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16 "Er vereinigt mit seinem ungezwungen vortrefflichen Spiel eine äußerst runde, schöne, volle Baßstimme. Er ist ein ebenso vollkommener Sänger, wie er ein trefflicher Schauspieler ist. Er hat die seltene, sehr löbliche Gewohnheit, dass er nichts übertreibt", cfr. la "Berliner musikalische Zeitung", 1793, p. 138 (citato in Christof Bitter, Wandlungen in den Inszenierungsformen des "Don Giovanni" von 1787 bis 1928. Zur Problematik des musikalischen Theaters in Deutschland, Regensburg, Bosse, 1961, p. 54).
17 Cfr. A. Tyson, Notes on the Composition of "Così fan tutte", cit., p. 376.
18 Cfr. in particolare William Mann, The Operas of Mozart, London, Cassell, 1977, pp. 540-41.
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19 Cfr. le convergenti linee melodiche dei violini all'inizio del primo recitativo di Ilia (bb. 4-5), a loro volta rievocate in preparazione al rondò d'Idamante (n. 10b, bb. 44-45).
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20 Johann Adam Hiller - nel suo "Wöchentliche Nachrichten und Ammerkungen, die Musik betreffend", ii, 1767, p. 118 - sostiene che le voci rispettivamente più acute e più gravi non dovrebbero mai cantare insieme, in un duetto, a meno che non si tratti di un numero comico: "da sich, ausser dem comischen, diese beyden äussersten Stimmen nie zu einem Duett schicken".
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21 "Io prendo sempre gli uomini per quel che sono, / abituo l'anima ad accettare quel che fanno; / e credo che a corte, così come in città, / la mia flemma sia filosofica quanto la vostra bile" (i.1).