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Deludenti regia e
scenografia
IMPECCABILE
E AUTOREVOLE
DIREZIONE DI NELLO
SANTI
Apprezzabile nel suo
complesso il cast
FOTO DI SCENA
© Suzanne Schwiertz
Delphinstrasse 9 CH-8008 ZÜRICH
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Musikalische Leitung: Nello Santi
Inszenierung: Gilbert Deflo
Ausstattung: William Orlandi
Choreographie:Berta Vallribera
Mir
Lichtgestaltung: Hans Rudolf Kunz
Chor:
Jürg
Hämmerli
La Gioconda:
Sylvie
Valayre
Laura Adorno:
Mariana
Pentcheva
La Cieca: Francesca
Franci
Enzo Grimaldi:
Walter
Fraccaro
Barnaba: Juan Pons
Alvise Badoero:
Roberto
Scandiuzzi
Zuàne /
voce: Giuseppe Scorsin
Isèpo /
voce: Miroslav Christoff
Un cantore:
Sergey
Aksenov
Un Bernabotto:
Valeriy
Murga
Un pilota:
Hartmut
Kriszun
Chor, Zusatzchor und
Kinderchor des Opernhauses Zürich
Statistenchor des Opernhhauses
Zürich
Orchester der Oper Zürich
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Sebbene La Gioconda,
tassello fondamentale nellevoluzione del melodramma
ottocentesco, sia molto popolare, non pochi sono i rischi di una sua
rappresentazione, come spesso capita quando i libretti delle opere
sono drammaturgicamente deboli o presentano situazioni talmente
assurde da apparire ridicole. Se si mettono in scena tali opere con
la filologia delle didascalie, l'esito in molti casi
può essere esiziale. La rappresentazione scenica per
così dire «museale», se da una parte accontenta un
pubblico avverso alla sperimentazione, alla ricerca spesso legata
all'attualizzazione della vicenda, dallaltra avvilisce lo
spettatore che pretende dal regista una rilettura dellopera,
non arbitraria, ma connessa più alle intuizioni musicali del
compositore che non al testo e alle didascalie del librettista.
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Lo scenografo William Orlandi si colloca per
così dire a metà strada, optando per levocazione
di quegli aspetti tetri e diabolici della città lagunare che
sono lo specchio o il contesto ideale dellintricata, terrifica
vicenda. Purtroppo la sciattezza delle scene, soprattutto nel primo
atto e nel terzo atto, e la guida superficiale delle dramatis
personae da parte del regista Gilbert Deflo hanno prodotto,
sul piano teatrale, uno spettacolo di scarsa valenza drammaturgica,
privo di tensione, in netto contrasto, come vedremo, con la lettura
incandescente del maestro concertatore e direttore d'orchestra Nello
Santi. Solo nel quatto atto, nella notte veneziana resa cupa e
minacciosa anche dallo spazio vuoto immenso (in assenza di elementi
scenografici), il regista ha saputo conferire un adeguato spessore a
Gioconda, e proprio nel momento in cui le lacerazioni interiori della
protagonista sono allo spasimo.
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Sul piano musicale, essendo
Gioconda unopera in cui Ponchielli da una parte dimostra
di aver assimilato con acume e sapienza stilemi e strutture della
tradizione precedente, verdiana in particolare (manifesti sono gli
influssi del Ballo, di Aida, di Simon
Boccanegra,di Don Carlos), ma non solo (Meyerbeer,
Wagner...), dallaltra anticipa in modo folgorante certi aspetti
del verismo, mascagnano, leoncavalliano, perfino pucciniano (penso in
particolare a Tosca e a Madama Butterfly). Inoltre, e
il fatto è veramente sconcertante, nel personaggio Barnaba
sono presenti aspetti che Verdi, complice lo stesso librettista
Boito, farà genialmente confluire, affinandoli e sviluppandoli
ulteriormente, nella satanica figura di Jago in Otello, tra i
sommi raggiungimenti operistici di ogni epoca. Unopera
importante Gioconda, quindi, estremamente composita sul piano
stilistico, non solo per le disparate influenze e per le sconcertanti
anticipazioni di cui sopra, ma anche per la commistione efficace dei
registri drammaturgico-musicali (dal sublime al satanico, dal
popolaresco al raffinato...): sulla base di un testo mediocre,
Ponchielli ha compiuto un piccolo miracolo, attenuando con la forza,
lo scavo, la pertinenza della sua musica le debolezze del libretto,
soprattutto nel terzo e quarto atto che a volte Boito fa tralignare
nel ridicolo.
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Con queste premesse, è evidente che
padroneggiare una simile partitura non è impresa da poco. Ed
è facile immaginarsi una Gioconda diretta da un maestro
che poco conosca del contesto culturale e musicale in cui è
nata... Ricordo un Nerone (il riferimento è
tuttaltro che casuale e non solo per il fatto che lautore
di Nerone ha firmato il libretto di Gioconda...)
allestito a Praga in cui il direttore si limitava a battere
(maluccio) il tempo: una vera e propria sciagura sia per lo
spettatore ignaro, sia per chi sa quanto può essere
interessante questa partitura se sul podio cè, a
esempio, uno specialista come Gianandrea Gavazzeni...
Laspetto più riuscito dello spettacolo
zurighese è senza alcun dubbio la direzione di Nello Santi: la sua
profondissima conoscenza del background culturale di Ponchielli,
della musica di Ponchielli stesso, delle opere posteriori influenzate
da Gioconda, lamore che nutre per questa partitura
(lha diretta a memoria con una vibrante partecipazione emotiva,
senza mai distogliere locchio dallorchestra e dagli
interpreti, cantando a mo di suggeritore con loro, in continua
tensione: uno spettacolo nello spettacolo, talvolta più
coinvolgente di quel che si vedeva sulla scena...) hanno suscitato
uninterpretazione inesorabilmente coesa e cesellata,
trasparente e raffinata, anche laddove non di rado è dato
sentire, in teatro e su disco, paccottiglia musicale.
Magnifici i colori orchestrali evocanti la pittura veneziana certo
più delle scenografie e delle luci; incalzante e variato il
ritmo narrativo, grazie ai tempi sempre pertinenti; dolcissimi e
intensi gli abbandoni melodici, padroneggiati con rara maestria i
notevoli concertati, splendido l'accompagnamento dei cantanti...
Nello Santi ha dimostrato, se ancora ce ne fosse bisogno, che la
musica di Ponchielli riesce a raddrizzare e rendere
architettonicamente e drammaturgicamente plausibile un libretto
sciagurato come quello di Boito, che, forse per vergogna, ha firmato
il suo lavoro con lo pseudonimo di Tobia Gorrio.
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Non si può certo dire che la
performance di Sylvie
Valayre sia una pietra miliare nella storia
dellinterpretazione di Gioconda. Certo, le note ci sono
(non tutte impeccabili, peraltro), tuttavia è ben noto che con
le sole note non si può fare teatro... Lintonazione
è in generale buona, gradevole il timbro, ma il fraseggio
è scarsamente analitico: si ha cioè limpressione
che il soprano francese non scavi allinterno del personaggio.
Inoltre la presenza scenica poco carismatica, evidenziata da una
regia superficiale e lacunosa, impediscono al personaggio-chiave
della vicenda di apparire ciò che in realtà è:
uneroina tragica lacerata da opposte passioni. Quando la
Valayre cantò questo ruolo alla Scala, leminente e
autorevole musicologo Elvio Giudici fu cortesemente spietato:
«la cosa più gentile da farsi è tacerne il
nome» [della protagonista]. Questo accadde otto anni fa. Da
allora la situazione è certo migliorata, ma, torno a
ripeterlo, un personaggio come Gioconda si regge sul piano
drammaturgico solo se vocalmente si riesce a soddisfare le richieste
estremamente gravose di Ponchielli.
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Un discorso analogo lo si può fare
per il tenore Walter
Fraccaro: discreto il timbro, buona la tecnica,
ma il fraseggio è monocorde e quindi il personaggio, pure lui
penalizzato dal librettista, risulta scialbo ed evanescente. E non
basta certo lesagitazione scenica imposta dal regista per
mitigare le carenze del canto.
Sia ben chiaro: le osservazioni fin qui formulate non
devono essere intese come stroncature: si è infatti pur sempre
di fronte a una Gioconda e a un Enzo di discreto livello, che
contribuiscono a rendere godibile questo spettacolo. |
Mariana
Pentcheva ha interpretato con piglio energico
(forse troppo) il ruolo di Laura: bel timbro e fraseggio
apprezzabile, sorretti da una buona tecnica. Purtroppo è stata
mal guidata dal regista e in un paio di occasioni la tragedia si
è mutata involontariamente, verdianamente (Ballo...),
in... commedia, o meglio in opera buffa.
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Roberto
Scandiuzzi ha giganteggiato nel ruolo di
Alvise: limperiosa sontuosità della sua voce dal timbro
stupendo ha evidenziato la protervia, la durezza, il disprezzo del
bieco Badoero, senza mai opprimere laspetto aristocratico del
personaggio, carismatico come un Doge.
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Juan Pons ha offerto una efficace interpretazione del perfido
Barnaba, mettendo in rilievo soprattutto lefferatezza e la
volgarità del satanico personaggio. Ma Barnaba è anche
subdolo, ipocrita... Pons e il regista sono riusciti solo in parte a
cogliere e a rappresentare questo aspetto.
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Anche Francesca Franci, contralto dal
bel timbro, nellimportante ruolo della Cieca, ha conferito
scarso spessore al personaggio.
Senza infamia e senza lode i comprimari. Molto buona
la prestazione del coro. Brillante, con pochi momenti di veniali
défaillances, lorchestra. Modesta la coreografia della
«Danza delle Ore».
Torno a ripeterlo: coi tempi che corrono questa
è una Gioconda meritevole di essere vista e ascoltata,
se non altro per il fatto che lo spettatore riesce a coglierne la
grandezza nellambito della copiosa produzione di fine
Ottocento. E questo non è poco...
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