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ELVIO GIUDICI

LES INDES GALANTES DI RAMEAU
NELL'INTERPRETAZIONE DI WILLIAM CHRISTIE


L'OPERA IN CD E VIDEO

sub voce RAMEAU
pp. 1103-1104


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Con questa registrazione entriamo davvero in un altro mondo, e Rameau rivela la propria autentica statura musicale.
L'organico dello straordinario complesso Les Arts Florissants è piuttosto nutrito per un gruppo che suoni strumenti antichi, ma il numero di quarantasei esecutori riflette la composizione originaria, famosa infatti per l'insolito splendore dei suoi effetti ritmici e timbrici: ricreati da archi dalla prodigiosa ricchezza dinamica, in una moltiplicazione di staccati la cui incisività va sempre di pari passo con l'eleganza suprema di attacchi morbidi e sfumatissimi, a costituire una sorta di vellutato cuscino sonoro su cui s'adagiano gli interventi dei fiati in guisa di luccicanti gioielli, tramutando in altrettanti momenti elettrizzanti le pagine di maggior effetto come la tempesta nel primo episodio (o entrée, come venivano allora chiamati gli atti che si succedevano in seno a una stessa opera, legati tra loro non tanto da una continuatività di vicenda, quanto da un'affinità di concetto di fondo: in questo caso, quattro storie d'amore contrastato, sullo sfondo di altrettante ambientazioni differenti costituite dalla Turchia, dal Perù, dalla Persia e da una foresta americana, inframmezzate da divagazioni di tono più leggero o «galanti», come appunto si usava dire), il terremoto nel secono, lo squisito Ballet des fleurs nel terzo, la danza del Calumet della pace nel quarto.

La nitidezza luminosa e iridescente su cui si trapunta la complessità armonica d'una scrittura tanto elaborata, rende alla perfezione il clima d'elegante stilizzazione intellettuale che presiedeva alla creazione d'un organismo dalla marcata impronta spettacolare qual era l'opéra-ballet a cavallo tra il Sei e il Settecento: ma allo stesso tempo crea una non meno riuscita pulsazione sentimentale attraverso un accompagnamento e una valorizzazione del canto d'eccezionale sottigliezza.

Ciò non significa automaticamente che tutti i componenti del cast siano eccezionali: ma la compattezza dell'insieme, l'estrema competenza stiistica e il percettibilissimo entusiasmo, sono in grado di compensare quasi ovunque le pur presenti deficienze in materia di timbro e d'estensione. Grazie anche - lo nomino per ultimo, ma è elemento stilistico ed espressivo primario - alla totale padronanza linguistica di ciascuno, in grado così di rendere perfettamente uno dei cardini di questo tipo di teatro, dove la musica amplifica la portata scenica dell'oratoria col ridurre la struttura dell'aria sciogliendola in una sorta di recitativo- arioso incastonato in un rigoglio strumentale la cui marcata valenza melodica conferisce potenza espressiva il più delle volte assai superiore a quella dell'opera italiana contemporanea dove, al contrario, organizzazioni vocali di cospicue dimensioni erano inframmezzate da recitativi di una linearità spesso elementare.
L'effetto che su un ascoltatore italiano doveva fare questa musica ce lo descrive benissimo Goldoni nei Mémoires quando parla di una sua esperienza all'Opéra: «Aspettavo le arie. Credevo che l'atto dovesse finire con un'aria; ne parlo al mio vicino, che si burla di me e mi assicura che ce ne erano state sei nelle varie scene che avevo ascoltato. E io che le avevo prese per recitativi!.»
Nella doppia impersonificazione di Hébé e di Zima, la McFadderi sfoggia bel colore vocale e notevolissima musicalità, che fanno dimenticare il vibrato piuttosto eccedente: nel Prologo, «Musettes, résonnez» diventa così, sui liquidi arabeschi d'un'orchestra dai mille colori, un vero gioiello. Nella prima entrée - una sorta di Ratto dal serraglio ante litteram - notevole è il canto di Howard Crook e Miriam Ruggieri nei panni dei due giovani innamorati, e ancor di più lo è quello di Nicolas Rivenq come Osman (il quale replica poi la propria bravura impersonando anche Adario nella quarta entrée): baritono di marcata impronta lirica nel bel timbro chiaro e flessibile, è soprattutto interprete di grande sensibilità, che nel suo valorizzare ogni sillaba delle frasi che canta rivela quanto pre-
ziosa gli sia stata la scuola di Rossi Lemeni all'Università d'Indiana. Molto bravo
Delétré, che s'inserisce con autorità al centro della turbinosissima concertazione di Christie in un inno al sole dallo stupefacente caleidoscopio di colori. Nel magnifico quartetto «Tendre amour», i baritoni Fouchécourt e Corréas, insieme ai soprani Sandrine Piau e Noémi Rime, sono del tutto all'altezza della raffinata eleganza contrappuntistica con cui si dipana lo strumentale: questo trova poi, come ricordavo prima, un apice strepitoso nei nove numeri di cui si compone il magnifico balletto dei fiori posto come momento conclusivo d'un episodio da porre tra i vertici assoluti della musica francese.