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BRUNO BARILLI

RIMPIANTO DELLA DANZA

PRIMA REDAZIONE PUBBLICATA SU

«Il Tevere», il 17 dicembre 1927


Le parti in comune sono evidenziate con l'uso dello stesso colore. Le parti che non trovano corrispondenza nei due testi sono lasciate in nero.
L'arte è sempre in regola con il passato e tuttavia in perfetto orario con l'avvenire. All'alba del dí spinta oltre dal suo alacre travaglio di esplorazione essa è già fuori all'avanguardia. Dietro di lei il mondo di ieri annaspa ancora nella notte, decade, si capovolge e maledicendo scompare agli antipodi.
Essendo l'arte, nel suo compito fortunato di rinascere e di rinnovarsi, cosa febbrile e distruttiva, l'odio, il sospetto, l'antipatia e il biasimo la colgono sulla strada, e tutto vale come arma d'offesa per la razza refrattaria e formicolante che s'informa a tentoni e blatera, nel buio dormitorio, di morale e di salute pubblica.
È difficile assai di fare comprendere a questi cosí detti benpensanti che per esempio si può essere buoni padri di famiglia ma l'arte è un'altra cosa. Se poi ti affanni a parlare di idee nuove, di forze giovani, di tendenze moderne vedrai una parte, la piú rispettabile del pubblico, infischiarsene in un modo che non potrebbe essere piú fatale, e l'altra volgersi appena a fiutarti cosí obliquamente come fa la vacca quando annusa il vitellino morto.

Fra tutte le arti eternamente vittoriose e deluse una ve n'ha appartata abbandonata e infelicissima, quella della danza.
Vacilla sulle sue labbra uno strenuo sorriso in cui muore la sua ultima terrestrità, mentre ella volgendosi appena si leva insalutata eterea - Autunnale partenza, triste come il volo senza gridi delle rondini.
Cosí svanisce quel che non fu che un effimero giuoco di forme.
Poesia e giovinezza si confondono silenziosamente, in quest'arte piena di turbini che rallentano, di nodi che si sciolgono.
Non avendo la danza, al pari della musica, una scrittura convenzionale i suoi gesti se li beve l'aria. Piú labile d'una bolla di sapone che dileguando lascia cadere una stilla.

Fra la ginnastica e la danza qualche volta non c'è che una differenza di poco. Un sorriso.
Sembra nulla, e tuttavia danza e ginnastica sono agli antipodi e rischiano di non incontrarsi mai.
Il ginnasta ha un mare di musica da traversare se vuol impadronirsi di quel sorriso che ci pare quasi trascurabile.
Guardando le giovani signore che ascoltano la musica vediamo quell'espressione disegnarsi senza volere sulle loro bocche - È come la tacita risposta a un invito segreto.
Cosí sorridono le ballerine.
Come s'apre un fiore scosso al soffio dell'estate.
Su quelle labbra dischiuse c'è l'anelante offerta a un bacio.
Inconsapevole perversità - quel sorriso venuto su dal fondo è il segno che si è formato l'anello: saldatura fra il corpo e lo spirito. Ora il serpente si morde la coda.
Quel senso riman vago e sospeso senza precipitare, trattenuto ambiguamente come la tentazione amorosa. E anche la danza annunzia a quel modo, assopita sul ritmo d'essere un privilegio femminile.
Creature assorte in simile fervore le trovi nei collegi delle figlie nobili, e nella sala di pronto soccorso dell'istituto di maternità, dove giacciono dissanguate le piú lamentevoli sgualdrine - sorriso che non perdona, sempre innocente, perché il peccato, la donna lo provoca, ma lo commette l'uomo.

Immerse nel sogno, lente, attaccate, fedeli, onestamente e senza tregua - immagini che traboccano lievi dal moto pensieroso deì cieli calano in girevoli catene fino a toccare l'approdo che risuona di flutti morenti.
È l'ora in cui il tremulo concerto delle onde che si frangono echeggia sulla spiaggia e si diffonde chiesasticamente, come l'argento del mattutino al povero campanile dell'eremita.
Con un accordo muto e fidente le dilettissime alunne scendono in coro a lambire queste rive terrestri.
Un santo affanno inonda i volti chiusi: mansuetudine angelica, pianto caldo e violento del risveglio.
Dal labbro s'invola con dei sospiri rapiti il peso crudo della vita. E petto s'ínfiamma, il cuore s'affretta e corre - sotto la carezza del giorno che rinasce il corpo s'apre, liscio e vivente come l'ala dei piccione.
In fondo all'orizzonte le guata l'aurora e il suo acceso rossore tradisce i segreti infantili e delicati che i lunghi veli adombrano.

«Raccogliere il proprio fluido», dice Alessandro Sakaroff «proiettarlo nell'enorme vano del teatro, prodigarsi fino a credere di toccare con le dita il soffitto e le estreme pareti della sala».
Chi non conosce le mortali stanchezze di questi corifei? La loro fatica sta nel costruire un ritmo che riecheggi a lembi quando essi sono caduti.
Arte incorruttibile perché non si traduce, brucia, non lascia scorie. Quel loro creare si strugge totalmente nell'esecuzione. Immensa fatuità che soffia da immaginose regioni. Ebbrezza, lettera morta che il vento si porta. Singolare destino di tutto quel che muore per rinascere nel fuoco.
Ma quasi a farlo apposta ecco Strawinski affermare che un vero ballerino ha da essere senza cervello.
Forse il genio di questi arcangeli mutilati s'è sparso per tutto il loro corpo come un liquido vivo e vola e fluttua alle estremità. Veh! quelle mani tormentate si torcono come dei piccoli ventagli di piuma.
Quando la figurazione della danza va scarseggiando, come per un risucchio, con lievi ondulazioni, il diminuendo s'avvia verso l'ultimo silenzio verso la solitudine. Le danzatrici hanno nell'occhio l'oblío immobile delle creature che stanno per entrare nel regno dei cieli. Sul limitare irretite e sospese tremano di respirare come un bosco d'olivi sorpresi dal tramonto sul pendío della collina.


BRUNO BARILLI

RIMPIANTO DELLA DANZA

SECONDA REDAZIONE PUBBLICATA SU

«La Nazione», 17 dicembre 1927

L'arte è sempre in regola con il passato e tuttavia in perfetto orarier con l'avvenire. All'alba del dí spinta oltre dal suo alacre travaglio di esplorazione essa è già fuori all'avanguardía. Dietro di lei il mondo di ieri annaspa ancora nella notte, decade, si capovolge e maledicendo scompare agli antipodi.
Essendo l'arte, nel suo compito fortunato di rinascere e di rinnovarsi, cosa febbrile e distruttiva, l'odio, il sospetto, l'antipatia e il biasimo la colgono sulla strada, e tutto vale come arma d'offesa per la tazza refrattaria e formicolante che s'informa a tentoni e blatera, nel buio dormitorio, di morale e di salute pubblica.
È dífficile assai di fare comprendere a questi cosí detti benpensanti che per esempio si può essere buoni padri di famiglia ma l'arte è un'altra cosa. Se poi ti affanni a parlare di idee nuove, di forze giovani, di tendenze moderne vedrai una parte, la piú rispettabile del pubblico, infischiarsene in un modo che non potrebbe essere piú fatale, e l'altra volgersi appena a fiutarti cosí obliquamente come fa la vacca quando annusa il vitellino morto.
Fra tutte le arti eternamente vittoriose e deluse una ve n'ha appartata abbandonata e infelicissima, quella della danza.
Vacilla sulle sue labbra uno strenuo sorriso in cui muore la sua ultima terrestrità, mentre ella volgendosi appena si leva insalutata, eterea. Autunnale partenza, triste come il volo senza gridi delle rondini.
Cosí svanisce quel che non fu che un effimero mistero di forme.
Poesia e giovinezza si confondono silenziosamente in quest'arte piena di turbini che rallentano, di nodi che si sciolgono.
Non avendo la danza, al pari della musica, una scrittura convenzionale i suoi gesti se li beve l'aria. Piú labile d'una bolla di sapone che dileguando lascia cadere una stilla.
Luce dell'anima, i tuoi contorni si sciupano in una esalazione spaziosa.
Con un accordo muto e fidente le tue dilettissime alunne scendono in coro a lambire queste rive terrestri.
È l'ora in cui il tremulo concento delle onde che si frangono echeggia sulla spiaggia e si diffonde chiesasticamente, come l'argento del mattutino al povero campanile dell'eremita.
Immerse nel sogno, lente, attaccate, fedeli, onestamente e senza tregua, immagini che traboccano lievi dal moto pensieroso dei cieli voi calate in girevoli catene fino a toccare l'approdo che risuona dì flutti morenti.
Un santo affanno innonda i vostri volti chiusi: mansuetudine angelica, pianto caldo e violento del risveglio. Dal vostro labbro s'invola con dei sospiri rapiti il peso crudo della vita. Il vostro petto s'infiamma, il cuore s'affretta e corre - sotto la carezza del giorno che rinasce il vostro corpo s'apre, liscio e vivente come l'ala del piccione.
In fondo all'orizzonte vi guata l'aurora e il suo acceso rossore tradisce i segreti infantili e delicati che i vostri veli adombrano.
«Raccogliere il proprio fluido», dice Alessandro Sakaroff, «proiettarlo nell'enorme vano del teatro, prodigarsi fino a credere di toccare con le dita il soffitto e le estreme pareti della sala».
Chi non conosce le mortali stanchezze di questi corifei? La loro fatica sta nel costruire un ritmo che riecheggi a lembi quando essi sono caduti.
Arte incorruttibile perché non si traduce, non lascia scorie. Quel loro creare si strugge totalmente nell'esecuzione. Fatuità che soffia da immaginose regioni. Ebbrezza, lettera morta che il vento si porta. Singolare destino di tutto quel che muore per rinascere nel fuoco.
Ma quasi a farlo apposta ecco Strawinski affermare che un vero ballerino ha da essere senza cervello.
Forse il genio di questi arcangeli mutilati s'è sparso per tutto il loro corpo come un liquido vivo e vola e fluttua alle estremità. Oh! quelle mani tormentate si torcono come dei piccoli ventagli di piuma, ondeggianti.
Quando la figurazione della danza va scarseggiando come per un risucchio bisogna vedere con quali ondulazioni il diminuendo s'avvia verso l'ultimo silenzio e la solitudine. Le danzatrici hanno nell'occhio l'oblio immobile delle creature che stanno per entrare nel regno dei cieli. Sul limitare irretite e sospese da un anatema celeste tremano di respirare come un bosco d'olivi sorpresi dal tramonto sul pendio d'una collina.
Appunto per questo suo carattere [non rintracciabile] effimero e solitario l'interesse per la danza può assumere forma di manía. Il critico che la segue diventa un detective sulle piste di un criminale e può, trascinato dallo zelo, trovarsi piú in là ed aspettarla al varco dove non passerà piú.
Intorno a quell'attesa la musica cresce silenziosamente come il grano al sole.
Perplessità, rimpianti, fonte di acerbi lai!
Al levarsi d'un oceanico respiro tace quella voce di pianto soverchiata da un basso e diffuso clamore di cori, e l'ansia cresce in cima agli improvvisi silenzi. Ecco allora macere torme, figure oscillanti in grembo alla bonaccia venirgli incontro. Sembrano costoro naufraghi logori che rabbrividiscano contro corrente su dune piene di conflagrazioni subacquee, e van mostrando la loro grinta estatica e furiosa che bruciò al fuoco di cento ribalte.
Mirali, son essi, gli eroi di primo piano flosci, inzuppati e ridotti in una neghittosa posizione a fare da tapezzeria su uno scenario che si spegne lontano. Parvenze che ardono in fila lungamente fin che nelle tenebre non restano, di quel che fu la danza, che colori, profumi, sonno e desiderii pigiati insieme a languire - Cosí a lungo la brage si vela nel buio e s'addormenta l'attizzatore del fuoco.

BRUNO BARILLI

IL CARILLON MAGICO

«Il Tempo», 12 marzo 1919

Da noi c'era in funzione, pochi anni or sono, quel grosso, polveroso e detestabile divertimento strategico chiamato ballo coreografico, enorme e strapazzoso festival mimico-danzante che si svolgeva con un lusso di eroismi girinastici inauditi, uno spreco spassoso di evoluzioni tattiche e di geometrie atletiche, fra i prodigi del cartone dorato, in mezzo alla gloria sventolante dei pennoni e delle bandiere internazionali contornato da emblemi e da targhe feudali che splendevano sotto il crudele flagello dei riflettori in un'abbacinante apoteosi di lumi allegorici. Entro l'agone mirabolante un'accolta di concetti elefantiaci: Il Progresso, la Politica, la Scienza, il Carnevale, la Storia patria, e la Geografia in costume, zompavano e piroettavano con un satirico e infernale disordine sui ritmi di una tripudiante musica da banda municipale. Noi abbandoniamo volentieri ai nostri bimbi piú piccoli, e a quelli che hanno letto le avventure di Saturnino Farandola e i fasti del nostro risorgimento su qualche conciso manualetto, e ai decrepiti peccatori, ai vecchi bebé ringalluzziti, ai Gagà incartapecoriti che ritrovano nell'angolo buio di qualche palco i sontuosi ricordi di gioventú, questo ibrido genere di arte nazionale, questa produzione preistorica e mattacchiona, che oggi sembra ormai esautorata, bestemmiata e seppellita.
Sembra, ma non si sa mai, e non trascureremo tuttavia di vigilare poiché la pigra e conservatrice fazione italiana ama le sue inveterate abitudini e dimostra tutt'ora un'ostinata avversione, rispettabile del resto, per i cambiamenti a vista: chi è vecchio vuol vedere al loro posto le cose abituali, sudicie, polverose, tarlate, inutili che siano, nulla deve essere spostato, tutto ha da morire insieme a chi muore. Tra il deperimento e la Contemplazione corrono i rapporti piú profondi sul declinare dell'età, il tanfo del passato è il profumo dei vecchi; e però, molta opinione pubblica è fatta di cotesti attaccamenti semi-cadaverici: Lo spettacolo del pappagallo impagliato è ancora il piú consolante. Siccome poi l'arte deve continuamente rinascere e rinnovare, e visto che essa è la piú scoperta, la piú sincera e la piú invincibile manifestazione dell'avvenire, l'odio, il sospetto, l'antipatia e il biasimo la colgono sulla sua via ai primi passi, e tutto vale, come arma offensiva, in questo mondo di provincia che è il nostro, specialmente la morale.
È difficile assai il fare modestamente comprendere ai piú, certe distinzioni, diremo cosí capziose e sottili, per esempio, che si può essere buoni padri di famiglia, ma la musica è un'altra cosa: Se voi parlate poi di idee nuove, di forze giovani, di tendenze moderne, una parte, la piú rispettabile del pubblico se ne infischia in un modo che non potrebbe essere piú fatale, e l'altra si volge pigramente e vi fiuta cosí obliquamente come la vacca quando guarda ruminando e annusa il vitello morto.
Oggi si tratta di instaurare su basi piú degne l'arte del Ballo in Italia ed è con vivissima considerazione e con particolare sollecitudine che noi ci volgeremo verso coloro, artisti o musicisti, che intendono ingentilire e ravvivare a casanostra questo genere di spettacolo tanto seducente e tanto decaduto. Abbiamo veduto quello che sanno inventare gli artisti russi sulle musiche di Borodin, di Rimsky-Korsakoff e di Scarlatti e quel che sa fare il famoso corpo di ballo della grande scuola imperiale di Pietroburgo, conosciamo i balletti del pianista ungherese Donany, ci siamo incantati a guardate negli estaminets di Salonicco le fanciulle greche che danzavano e cantavano su le tavole perdutamente con un'arte e uno stile che ci parvero quelli delle epoche antichissime, sentivamo che anche da noi si sarebbe manifestato un principio di redenzíone, siamo ora grati a Pietro Mangiagalli che ha voluto dedicarsi con competenza e con passione al risorgimento del balletto italiano, d'aver scritto per quello una musica piena di squisito equilibrio e di delicata personalità, e di essersi assunto solo e senza collaboratori adeguati, eccezione fatta per le tre principali interpreti, la fatica improba e scoraggiante di organizzare in brevissimo tempo una esecuzione del suo graziosissimo lavoro in un paese nel quale la scuola della danza non offre piú che masse neglette e viziate ed istruttori caparbi e male informati per non dire analfabeti del tutto, e il teatro una tecnica e un'arte scenografica assolutamente priva di gusto e d'illusione [e di decenza].
L'impresa era piú che ardua, disperata, conosciamo bene quel gaio sciame che vive sgambettando su le scene dei nostri teatri e sappiamo abbastanza di quale mangime culturale si nutre per non immaginare quanta felice incomprensione sarebbe scoppiata sul palcoscenico all'uscita del corpo di ballo; ora che la recita è finita dobbiamo riconoscere per questa volta che qualche attenuazione alla ridicola meccanica del passo convenzionale, qualche timida adesione all'ondeggiamento orchestrale, qualche parvenza di legato, di ritmo, di carattere, di rapporto, di significazione e d'opportunità musicale si è potuta ottenere qua e là, tutte cose straordinariamente nuove per i nostri per i nostri pensatori maestri di ballo. Anche per questo agitarsi embrionale di intendimenti moderni il merito principale va dato al compositore del balletto che ha dovuto fare tanto per difendersi e per persuadere.
Da tutte queste premesse risulta evidente la nostra irresistibile inclinazione ad apprezzare con vivacità e convincimento lo sforzo compiuto dal giovane e simpaticissimo maestro czeco-milanese Pick-Mangiagalli. Non abbiamo purtroppo il tempo di fare un'analisi né una critica né una cronaca un po' distesa dell'avvenimento che ebbe a spettatore un pubblico foltissimo e intelligente. Il Mangiagalli non ha bisogno di sapere che nel teatro, e specialmente in quello della pantomima mimico-danzante, l'azione deve rispondere a un bisogno di logica cosí immediato, da non incorrere nel pericolo di generare giustificate discussioni; le false relazioni tra causa ed effetto, l'impreveduto che non risolve ma complica la fatica dell'attenzione diminuiscono disastrosamente l'interesse col quale ognuno si offre al cominciare di una recita. Le rotture logiche là dove manca la parola e il canto sono inaccettabili in ogni caso; il pubblico, lo spettatore, colui che sogna al di fuori della propria realtà non deve essere disincantato, per nessuna sorta di ragioni, né tecniche né costrutrive, né sopratutto per ragioni d'insufficienza privata; certi schieramenti del corpo di ballo prima di cominciare la danza sono ad esempio inamissibili nella pantomima moderna come la confusione delle luci che vanno e tornano con uno scopo illustrativo poco plausibile verso la fine del ballo.
Cia Formaroli, fra i rosei vapori delle vesti di Colombina, espresse il suo giuoco malizioso, volubile e provocante con tutta l'ardente castità del suo stile; danzatrice piena di accortezza e di slancio compose in meravigliose figurazioní le parole ritmiche del ballo. Si sarebbe detto che ella sbocciasse ad ogni passo, riempiendo l'immaginazione degli spettatori del profumo di grazie fantasiose. Ileana Leonidoff correva al suo pallido destino con la leggerezza delle lucciole e dei sogni: tutta la tradizionale fatalità di Pierrot era nel suo giuoco acceso e svenevole; e il languido figlio delle malinconie lunari diceva la sua bianca follia amorosa per la principessa del sogno con tanta accorata persuasione che tutti i sospiri del mondo sembrava che le alitassero intorno. Furbesco e insolente, Arlecchino. Erminia Vignati lo fece risorgere dal secolo d'oro della festosa tradizione italica, e gli dette movenze rapide, eleganti e parodistiche. Lo squillo della sua risata e il colpo secco della sua spatola rivelavano ancora una volta il suo secolare amore per l'inganno e per la facezia.
Un primo applauso si ebbe dopo l'intermezzo nelle rose nel quale Ileana Leonidoff dette tutta la misura della sua potenza di espressione. E al chiudersi del velario l'autore, il direttore d'orchestra e le tre danzatrici furono evocati quattro volte al proscenio dagli entusiastici applausi del pubblico.