RICHARD STRAUSS

Esperienze di un direttore d'orchestra
con i capolavori classici



NOTE DI PASSAGGIO
RIFLESSIONI E RICORDI


EDT TORINO 1991
pp. 54-58

A CURA DI SERGIO SABLICH

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Per la tecnica direttoriale vale questa regola: quanto più il gesto è breve, limitato alla sola articolazione della mano, tanto più precisa è la realizzazione. Quando si fa intervenire il braccio - una specie di leva del cui movimento non si può mai prevedere esattamente la fine - l'orchestra si paralizza e si smarrisce; a meno che - soprattutto con direttori imprecisi nel 'battere' - non sia predisposta ad attaccare e suonare a propria discrezione, quasi per un tacito accordo, senza dar troppa retta al gesto dell'interprete.

 

La mano sinistra non ha niente a che fare con la direzione d'orchestra. La cosa migliore è tenerla nel taschino del gilè, e impiegarla tutt'al più ogni tanto per dare un leggero cenno di diminuendo o un segno poco importante; ma per ottenere questo basta uno sguardo impercettibile.

Invece che col braccio è assai più conveniente dirigere con l'orecchio: il resto viene da sé, automaticamente.
In cinquant'anni di attività ho sperimentato quanto poco sia importante battere sempre tutti i quarti e gli ottavi. Decisivo è dare un attacco ritmicamente esatto, in cui sia contenuto già tutto a tempo che seguirà, e indicare poi i movimenti in battere in modo molto preciso. La seconda metà della battuta è di importanza secondaria, molto spesso le conferisco un carattere 'Alla breve'.
Già Richard Wagner esige che il direttore afferri esattamente il tempo di base, poiché questo è determinante per la giusta esecuzione di un pezzo di musica. Soprattutto nei tempi lenti è fondamentale abbracciare l'arco intero della musica, per esempio di una frase melodica di otto battute. Un direttore che intenda rettamente il tema dell'Adagio della Quarta Sinfonia di Beethoven non si lascerà mai indurre dalla figura ritmica di accompagnamento della prima battuta a spezzettare in crome questa nobile melodia. Dirigere soprattutto le frasi, i periodi; mai scandire battute!
Ottant'anni or sono, dirigendo a un festival musicale renano il Finale della Sinfonia in do maggiore di Schubert, Franz Liszt si preoccupava solamente del periodo: in altre parole dava un battere soltanto ogni quattro misure. La povera orchestra, non abituata a simili colpi di genio, non sapeva naturalmente dove mettere le terzine, e concluse che Liszt non sapeva dirigere! Infatti i direttori di seconda categoria, sottolineando meticolosamente i dettagli ritmici, molto spesso trascurano di rendere il senso profondo dell'intera frase, il significato dell'intera melodia, che dovrebbe essere percepita sempre dall'ascoltatore nella sua linea complessiva come un tutto unitario. Tutte le oscillazioni di tempo implicite nel carattere di una frase debbono rimanere impercettibili, in modo che l'unitarietà del tempo non appaia alterata.
Non si conoscono indicazioni metronomiche nelle opere dei nostri classici: solo i nostri critici musicali possiedono informazioni autentiche, direttamente dall'Olimpo.
È verosimile che il battito del polso della generazione odierna sia più rapido che all'epoca delle diligenze. Ne fa fede il fatto che i giovani d'oggi e le genti neolatine si ribellano alla 'lentezza' wagneriana: perché sono incapaci di sintonizzarsi da un punto di vista storico-culturale con il modo di sentire e di pensare delle epoche passate.
Richard Wagner ha scritto una volta che gli Allegri di Mozart vanno suonati «quanto più presto possibile». Va bene, ma non due volte più presto del possibile. L'Ouverture delle Nozze di Figaro, i due grandi finali quello del I atto di Così fan tutte e quello del II atto delle Nozze di Figaro, vengono regolarmente eseguiti troppo precipitosamente. I tempi che non devono essere superati sono:
Finale di Così fan tutte: metr. = 136 (re maggiore)
Finale delle Nozze di Figaro: metr. = 128 (mi bemolle maggiore).
Non si dimentichi che il 'lento' Wagner del 1850, dicendo «il più presto possibile», non poteva avere in mente neppure nei suoi peggiori incubi febbrili quei tempi folli che ci tocca di ascoltare oggi.
Il buon vecchio Franz Lachner, screditato un po' a torto come uno che batteva il tempo pedantemente, parlando una volta con mio padre fece questa giustissima osservazione: «Quando si dirigono Allegro veloci, e direttore e orchestra si 'infiammano' eccessivamente, l'arte del direttore sta nell'indovinare esattamente il punto in cui questa cieca corsa a precipizio può venir arrestata, sia riportandosi a poco a poco al Tempo primo sia anche trattenendo improvvisamente il tempo, se ce n'è il motivo». Un punto simile si trova nel re maggiore del finale di Così fan tutte: una tranquilla entrata della dominante dopo le due corone! Ho assistito io stesso in finali beethoveniani a siffatte corse sfrenate, precipitose, da parte di geni della bacchetta: come se al cavaliere fossero sfuggite di mano le redini di un cavallo imbizzarrito. Voglio ricordare anche il Finale della Sinfonia in si bemolle maggiore di Beethoven, un tranquillo Allegretto che viene sempre precipitato all'eccesso! 'Allegro' non significa record di velocità.
Prima di momenti di tensione e di esplosioni drammatiche (secondo movimento della Quarta e della Quinta Sinfonia), spesso Beethoven usa inserire passaggi di stile pianistico, quasi preludi improvvisati; un po' come una persona che al colmo dell'agitazione nervosa tamburelli meccanicamente sul tavolo, con apparente indifferenza. Debbono quindi venir eseguiti liberamente: per esempio la cadenza nell'Adagio della Sinfonia in si bemolle maggiore!
Insopportabile è anche quell'allargamento del tempo che è cosi frequente prima di un grande 'fortissimo', altrettanto dilettantesco del 'ritenendo' in passi di forte sonorità degli ottoni (per esempio il mi bemolle maggiore nella Marcia funebre del Crepuscolo degli dei), o quando vi sono entrate energiche. Temi che il compositore stesso ha già concepito in valori larghi non devono venir dilatati ancor di più (per esempio il passo dei legni nell'Ouverture Leonora n. 3 prima del 'prestissimo'). Orrendi sono anche i ritardandi delle battute di transizione al secondo tema nelle splendide ouvertures di C. M. von Weber, e specialmente atroce il ritenuto sentimentaleggiante dei violoncelli nell'Ouverture di Euryanthe. Strascicare pateticamente l'infocata melodia

 

 

e soprattutto il secondo tema in la maggiore dell'Ouverture dell'Oberon è assolutamente contrario allo stile di questi pezzi virtuosistici.

L'Ouverture del Tannhäuser offre un esempio inequivocabile dell'errato allargamento di frasi conclusive. Bisogna mantenere assolutamente il presto fino alla fine, senza allargare! Lo stesso vale per l'Ouverture dell'Olandese volante: non ci deve essere l'allargando nei tromboni prima dell'ultimo 'meno mosso', il quale va eseguito senza ritardando, rigorosamente in tempo (e non troppo lento!).

 

[circa 1940]