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ADRIANO LUALDI

SALOME DI R. STRAUSS ALLA SCALA

16 NOVEMBRE 1923
SERATE MUSICALI pp. 67-69


Salome. Un'ora e tre quarti di - non sempre - musica.
Ma all'amico che mi diceva, ieri sera, nel Ridotto: «A me sembrano dieci minuti», io auguro lunga la vita come ha grande la pazienza e robusto lo stomaco; ma dargli ragione non posso.
Queste, di Salome che coi suoi fascini distrugga la nozione del tempo - di Salome irresistibile; di Salome «über alles», sono cose che si sentivan ripetere quindici anni or sono; quando la tormentata eroina di Oscar Wilde e di Riccardo Strauss aveva, con i capricci della sua lascivia, ubriacato un po' tutti.
E musicisti, e snobs, e critici erano d'accordo nel proclamare Salome un capolavoro (ma Arrigo Boito montava su tutte le furie e scriveva ad un amico: «Io sono stato, nei giorni scorsi, testimone di un oltraggio senza nome fatto ad una immortale non meno augusta della Fede. L'insolente è un tedesco lurco, chiamato Riccardo Strauss, vetrioleggiatore dell'arte. Fortunatamente, le forme divine della musica non sono visibili che all'anima...); e i professori insegnavano a noi giovani, nei Conservatorii d'Italia, Strauss essere il nuovo faro, Salome la nuova maestra di morale artistica - e se ne son visti nascere, poi, di bastardi, da questa moralità -; e Verdi era in gran ribasso perchè, già, poverino, si capisce.
Ma che oggi, dopo una guerra mondiale che ha fatto ancor più rumore e danni che non la Salome, dopo una dura prova vittoriosa nella quale anche i più pavidi fra noi avrebbero dovuto riacquistare l'antico senso di libertà e di indipendenza anche spirituale e artistica, e la fiducia nel nostro equilibrio e nel nostro buon gusto e nel nostro buon senso; che oggi si debba continuar ad osannare intorno a questo prodigio del barocchismo e della caricatura tragica che è Salome, mi sembra un po' esagerato.
Ma no, non v'è nulla di scandaloso e di pericoloso, per la salute dell'anima, nè nel dramma, nè nella musica. È Salome la rappresentazione e il ritratto della morbosa femminilità moderna? Lo è, ma in senso benevolo; perchè essa spasima d'improvviso amore - d'anima o di sensi, non importa - per Jokanaan; sa, può, vuole amare dunque; mentre un carattere saliente della moderna femminilità malata è di non sapere, non volere, non poter amare.
Persegue, Riccardo Strauss, in questo dramma, la sua convinzione, che è un po' la convinzione di tutti, che l'artista debba uscire dalle formule consacrate dalla tradizione, dall'uso, dal tempo, e tentare - tentare, almeno! - il nuovo?
Certo che sì,- ma con tutte le sue moltiplicazioni di sonorità, e con le tensioni, e con gl'improvvisi silenzii e coi sussulti, e coi suoi mille magistrali, portentosi lenocinii nuovo veramente, nel senso pieno della parola, nuovo e originale non è mai.
Impressionante, trascinante anche, qualche volta lo è; prolisso e tedioso - di quel tedio che Wilde chiamava «il peccato che non trova perdono» - anche, molte volte; grosso di quel grosso che dava tanto sui nervi a Verdi, assai sovente; persuasivo e poetico difensore della sua eroina - quando circonfonde di un bello e purificatore alone musicale la scena di Salome che bacia la mozza testa di Giovanni, - anche. Ma nuovo ed originale veramente, mai.
Perchè la novità non può essere nel mezzo, o nel modo d'espressione, o nella bravura, o nel virtuosismo anche il più geniale. Ha da essere nell'idea generatrice.
E quanto ad idee, Strauss, come tutti sanno, si parte dal Barbiere di Siviglia per passare - nostalgie di sole, di colori, di ritmi - attraverso altri italiani, a Wagner; e si trattiene lungamente e cordialmente in sua compagnia; non senza ristorarsi ogni tanto dalla truculenta fatica di impastar timbri scuri e di tenere il fiero cipiglio, tracannando qualche buon litro di birra, a suon di valzer, nei Cabarets viennesi.