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ADRIANO LUALDI

STRAUSS DIRETTORE D'ORCHESTRA

L'ARTE DI DIRIGERE L'ORCHESTRA

HOEPLI MILANO 1949

pp. 238-241

Anche da Richard Strauss - tenuto in così poco conto come direttore d'orchestra dai pensionati delle frasi fatte e delle opinioni correnti - il giovane che si avvia alla direzione può imparare qualche cosa di molto importante: di molto più importante che non da molti «specialisti» della bacchetta, e dagli agenti pubblicitari, in veste di critici, dei medesimi.

Egli raccontava un giorno a Vichy, dopo una rappresentazione di Salome che aveva diretta in occasione di un Festival musicale, e dopo la quale era ritornato fra gli amici semplice fresco e roseo, per nulla affaticato - senza una stilla di sudore sulla fronte e senza aver avuto bisogno, buon'anima di Henry Wood, di cambiarsi la camicia - che spesso una persona a lui molto cara e molto vicina gli diceva e gli dice, prima che egli salga sul podio direttoriale: «Ti raccomando, muoviti, fa qualche cosa: il pubblico vuole anche vedere». Ed egli, che durante la Salome non si era mosso affatto (esecuzione tutt'altro che impeccabile: ma l'orchestra rimaneva al suo posto di orchestra, e non usurpava quello, non suo, di protagonista; ma l'orchestra rimaneva in secondo piano rispetto al palcoscenico le cui voci la dominavano senza fatica; e assumeva così il suo vero significato, e una sua raddoppiata forza espressiva; e non era più il solito poema sinfonico con pantomima scenica che quasi sempre ci è tocctoo sentire dai divi della bacchetta: Salome era, diretta da Richard Strauss, come l'avevo sempre sentita da lui, a Milano e a Berlino, Tragedia e Teatro), sorrideva bonario e diceva: «No, a me non piace distrarre e disturbare il pubblico con i troppi movimenti; il pubblico vuole, sopratutto, sentire».

Il giorno dopo questa rappresentazione c'era congresso del Consiglio Permanente per la collaborazione internazionale fra Compositori di musica, ed ecco Richard Strauss, che ne è il fondatore e il Presidente, prendere la parola in difesa dei diritti morali ed artistici dei compositori di musica. Egli parla energico ed animato nel gesto e nel volto. Egli si accalora molto più nel sostenere ed illustrare gli scopi cui tende il Consiglio Permanente e nel dirigerne i lavori, che non nel dirigere, sul podio, le proprie opere.

Quando accenna alle profanazioni quotidianamente compiute ai danni di musiche e di musicisti insigni, e che rimangono impunite perchè nessuno si cura di assumeré la difesa dell'autore assente, o morto, o senza eredi, il braccio destro e la mano del gran Riccardo tagliano violentemente l'aria. Il suo pugno chiuso si abbatte sul tavolo e fa un discreto rumore; gli occhi suoi chiari hanno un lampo di acciaio. Nessuno di noi aveva veduto nulla di simile mentre egli dirigeva Salome a teatro: neppure quando la selvaggia ragazza afferra per i capelli e fa le moine alla mozza testa di Giovanni, neppure quando la vergine in foia cade a terra schiacciata dagli scudi dei soldati.

Il gigante bavarese pensa forse che quel caldo e vivo ausilio del gesto e dell'occhio, che non occorre più alle sue musiche, - da tanto tempo vittoriose ovunque - sia ora necessario alla vittoria delle idee e dei principi che egli e il Consiglio propugnano. Certo, a confrontare lo Strauss in piedi sul podio di orchestra con lo Strauss seduto al tavolo del Congresso c'è da rimanere trasecolati.

Anche in un concerto sinfonico diretto due o tre anni or sono a Roma, Richard Strauss si tenne al suo solito stile; e se la persona che gli è tanto cara e tanto vicina avesse, per avventura, ripetuta la raccomandazione: muoviti, fa qualche cosa, sarebbero stati tempo e fiato sprecati.
Egli diresse non soltanto Rossini e Haydn, ma anche la Vita d'Eroe, - questa suprema espressione del barocchismo musicale germanico, della lotta eroica (ed anche un po' enfatica nei gesti e negli accenti) per l'affermazione di una individualità e di un ideale; questa monumentale, esaltatissima, aggressiva (aggressiva ieri più di oggi) pagina autobiografica in cui lo spirito romantico di un'arte senza dubbio stupenda si abbandona agli eccessi più pittoreschi e più trascinanti, - con la imperturbabile lontananza di un classico integrale, cui certe faccende non riguardino.
Che ogni momento della partitura, tanto complessa e ricca nei suoi elementi ritmici e polifonici, sia apparso di una chiarezza assoluta e di una precisione tecnica impeccabile, sarebbe anche qui, come per Salome, esagerato affermare. Specialmente l'episodio del combattimento, dopo il secondo richiamo delle trombe, là dove il motivo amplificato degli Antagonisti si intreccia e alterna a contrasto con i temi dell'Eroe, col ricordo della Donna amata e con le fanfare marziali, portando man mano la costruzione sonora alle sue più alte vette; specialmente queste pagine avrebbero -richiesto un maggior vigore di accenti e una più efficace messa in valore di quello che Wagner chiamava il melos, e che è il midollo spinale di ogni partitura, antica e moderna, semplice o complessa.
Ma, a compensarci largamente di questi particolari nei quali le sonorità apparivano un po' brumose e i disegni non sufficientemente rilevati, quanta spiritualità e quanta intima forza seppe imprimere Richard Strauss a tutto il complesso della esecuzione!
Simile al gesto concentrato, raccolto, assolutamente privo di ogni istrionismo, ma fervido e illuminato da una grande fiamma interiore, l'esecuzione da lui diretta della Vita d'Eroe ha ricondotto, si può dire, il poema alla sua vera e certamente prinligenia espressione: che è quella di un intimo dramma, e non di una tragedia da arena, come troppo spesso ci è toccato sentire di questo e di altri poemi sinfonici straussiani, per merito di bacchette professioniste e specializzate.
Quello che, attraverso una auto-interpretazione, la musica di Richard Strauss perde in minuzie tecniche, in guizzi sorprendenti, in grandi sonorità (si direbbe quasi che, per gl'interpreti correnti, il forte e il mezzoforte non esistano nelle partiture straussiane; ma soltanto il fortissimo, lo strafortissimo, il catastrofico) guadagna ad usura in spiritualità, in profondità di senso poetico e musicale, in armonia e proporzioni di insieme. Trascura completamente la ostentazione del virtuosismo che considera, giustamente, mezzo di espressione, non fine a se stesso; ma pone, o si sforza di porre, nel, massimo risalto l'essenza spirituale dell'opera, la sua musicale sostanza. È meno fuoco d'artificio, ma più musica. E, in sede di concerto, credo che siamo tutti d'accordo nel preferire la musica al fuoco d'artificio.
Questa è la lezione che Richard Strauss impartisce - senza averne l'aria, forse senza volerlo - a quasi tutti i suoi interpreti, ogni volta che diriga in un teatro o in una sala; e che i suoi interpreti dovrebbero ben meditare e ricordare.