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GUIDO PANNAIN

RICHARD STRAUSS

ROMANTICO DI SECONDA MANO,
DECADUTO NON DECADENTE,
IL PIÙ GRANDE RIGATTIERE
DI MUSICA SINFONICA
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Parlare di Riccardo Strauss significa fare il processo al gusto artistico della borghesia europea sul volgere del XIX secolo: la grassa borghesia degli affari e delle industrie; ben munita di senso pratico e raffinata nell'intuire il momento dell'utilità, ma estremamente povera di spirito contemplatore; la classe che da mezzo secolo dominava la società civile e diede il tono alla vita economica e politica.


© 2003 Corbis Corporation

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Nel Settecento le cose erano andate diversamente, per l'arte. L'aristocrazia viveva di una sua estetica fatta di magnifiche esteriorità e di gentilezze dei sensi. L'armonia delle forme classiche coincideva spiritualmente con l'equilibrio tra immaginazione e senso. L'artista poteva essere benissimo di origine plebea e andare lo stesso a braccetto del gran signore. Haydn, se vestiva la livrea di servizio, in fondo era nel cuore del signore di Esterhazy. Le sale dorate a specchi, splendide di bagliori iridati, componevano i ritmi dell'anima, attraverso pitture e smalti, nel geometrico cadenzare degli archi e nel colorito cincischiare della tastiera a becco di penna. L'aristocrazia era una raffinata, preziosa clientela che l'artista forniva di spirituale cibo.
Bolliva in pentola il romanticismo. La vittoria della fantasia sulla forma obbligata fu una diretta conseguenza del rinnovarsi della Società, dopo la Rivoluzione francese. La borghesia acquistò una potenza imperiale. Dopo avere dominato militarmente, mutò a sua immagine la struttura della compagine sociale.
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Col progresso industriale comincia la decadenza della fantasia. Il profilo della Società si determina economicamente e si polarizza nella lotta fra macchina e manodopera. L'affare, come momento di scambio, diventa fine a se stesso con la speculazione di Borsa. Il popolo significa la massa operaia, meccanizzata nelle sue funzioni e nei suoi interessi, ed alla sua esistenza il socialismo traccia confini di animalità. La borghesia capitalistica ingrassa; la sua marcia verso la ricchezza viene segnata al ritmo della società anonima. La vita si svolge su di una base essenzialmente utilitaria. Qualunque sia il gradino o la funzione sociale, la giornata deve essere impiegata a far di conto o a prendere misure. L'attività economica, divenuta fondamentale, sfocia nella politica. Il Parlamento diventa il vivaio d'interessi contrastanti e il governo della Cosa pubblica è considerato come la funzione massima per la disciplina di questi interessi. Così sorge, s'afferma e predomina la figura dell'avvocato che è un mediatore fornito di autorità giuridica. La Società borghese mette su tanto di pancia che adorna d'una vistosa catena d'oro e si fa chiamare democrazia, in omaggio a gl'immortali princìpi con i quali ha fatto fortuna.



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La sensibilità democratica e degli affari non può che limitarsi ad una contemplazione meramente tecnica ed esteriore. Mentre le sfere sociali di minore consistenza economica si adattano alla loro piccola cerchia che, a volte, lacrima e s'inzucchera le labbra di tritumi sciroppati, il gran mondo si attacca alle abilità macchinose e complicate.
Il virtuoso era stato, ai suoi bei tempi, un intermediario di spiriti romantici tra l'autore e il pubblico. La bravura virtuosistica si espandeva come una specie d'irradiazione e di propulsione della fantasia romantica, alla quale occorrevano grandi gesti ed un prepotere di accenti, anche senza l'adeguata rispondenza dei palpiti interiori. Nella seconda metà dell'Ottocento, il virtuosismo democratico si svuota dell'originale sua ragion d'essere romantica e si riversa in un'abbagliante esteriorità nella quale la tecnica tiene il sopravvento come bravura intrinseca.
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Il virtuoso più ammirato è l'oratore. Nella Società democratica l'oratore prende il posto che nella Società romantica aveva tenuto il virtuoso musicista. Alla prima donna del foro. È il solista della parola. Nei tribunali, nelle piazze, in qualunque pubblica adunanza, dal mortorio alla festa ed alla concione elettorale, la parola infocata di suono è quella che vince e trascina, non per lo spirito che l'anima e la produce, ma per quella che essa è, in se stessa, come effetto di suoni.
La cultura diventa strumento del suono, che non la macera per farsene uno stile, ma ne approfitta per far bella figura. L'oratoria dà il carattere all'arte. Anche i più preparatí ed esteticamente ben disposti si lasciano abbagliare dall'effetto e nel giudicare tengono, più di tutto, alla somma delle conoscenze tecniche che occorrono per raggiungerlo. Di qui il predominio dell'abilità su l'essenzialità del contenuto spirituale.
Da questo orientamento, viene fuori Riccardo Strauss, romantico di seconda mano, creatore di una oratoria sinfonica in grande stile. Al Liszt, al Brahms, al Wagner egli si attacca per quello che in ognuno di essi lo prende dal di fuori. Stilizza musicalmente il gesto e il modo di porgere. La creazione artistica si determina, in lui, per un fenomeno di suggestione esterna. La sua musica sta tutta nella composizione fisica degli elementi e nella maestria del manipolare. Il Riemann l'aveva azzeccata giusta nel definirlo: «Signoreggia con rara maestria il colorito e la strumentazione».
Il tentativo di farsi un linguaggio musicale Strauss l'aveva provato da quando, in gioventù, s'era messo al sèguito di Brahms. I risultati li conosciamo; conosciamo la generica vuotaggine delle sue sonate per pianoforte, violino e simili. La strada non spunta. Una personalità musicale destituita di vita interiore non poteva far musica per se stessa; come non avrebbe potuto far poesia e non avrebbe potuto far pittura. La cultura di quella Società nella quale Riccardo Strauss respira l'aria nativa, non poteva consentire a un'arte concentrata in forme essenziali. Ci volevano forme vistose e folgoranti, sapienti e ben costrutte; una realtà sonora presentata con spavalderia di toni e ricchezza di contorni che all'accusa della vuotaggine ideale potesse contrapporre l'alibi della pienezza materiale.

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Nel giuoco espressivo di Strauss la magnificenza dell'apparato è il punto saliente. È un dominatore potente di masse strumentali. La popolazione mondiale dei musicisti spalanca gli occhi dalla meraviglia e s'inchina reverente dinanzi alla sua maestà d'imperatore delle orchestre. Ma l'incoronazione è transitoria e posticcia, come in certe vistose coreografie.
Il virtuoso era stato, ai suoi bei tempi, un intermediario di spiriti romantici tra l'autore e il pubblico. La bravura virtuosistica si espandeva come una specie d'irradiazione e di propulsione della fantasia romantica, alla quale occorrevano grandi gesti ed un prepotere di accenti, anche senza l'adeguata rispondenza dei palpiti interiori. Nella seconda metà dell'Ottocento, il virtuosismo democratico si svuota dell'originale sua ragion d'essere romantica e si riversa in un'abbagliante esteriorità nella quale la tecnica tiene il sopravvento come bravura intrinseca.
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Una volta slanciatosi alla corsa per l'effetto drammatico, un musicista senza scrupoli di stile avrebbe abbandonato le velleità della sinfonia per mettere tenda su un palcoscenico di teatro. Ma Strauss è saturo di esperienze sinfoniche; il congegno orchestrale lo attrae con forza irresistibile. La tradizione musicale tedesca, da Mozart in poi, gli bolle dentro e lo tiene in continua ansia. Tra musica e dramma non riuscirà mai a prendere un decisivo partito di stile; come musicista è troppo forte per rinunziare a se stesso e come artista è troppo debole perchè il senso musicale, che è di assimilazione e di scuola, si componga in una originale opera d'arte. Di qui gli aspetti della sua musica che non lampeggia al ritmo dell'idea ma s'industria a far scaturire l'idea dal ritmo. Ne viene fuori qualche cosa che artisticamente è e non è: un riversarsi di sonorità pregne, doviziose, autorevoli; uno spirito inventivo fiacco, d'una pesantezza macchinosa, inetto al volo. Nel teatro Strauss non può fare nè il dramma musicale in senso vagneriano o altrimenti concepibile, nè l'opera comune; e nell'orchestra non sa orientarsi verso la sinfonia classica o altra concezione di musica pura, ma riesce soltanto nel gesticolare oratorio del poema sinfonico. E questo equivoco di stile diventa la sua specialità.

In realtà, nella musica di Strauss, tra opera di teatro e poema sinfonico, non c'è una sostanziale differenza. La sua opera è un poema sinfonico rappresentato, il poema sinfonico è un'opera proiettata in orchestra. Nelle opere di Strauss la musica non individua l'azione, incorporandosi alla parola, ma ne rimane fuori, tutt'al più le si accosta, quale illustrazione e momento dello spettacolo visibile. Nell'accentuare l'immagine per quello che v'ha, in essa, di apparente, anzi di appariscente, la rappresentazione si raggela nel gesto. Il patos diventa contorcimento nevrotico. Il personaggio è visto di fuori. Le armonie sonore costituiscono uno scenario impressionante e vistoso; si condensano e si aggrovigliano in accordi ampollosi, catastrofici.
I poemi sinfonici di Strauss sono come libri fatti solo di figure. La musica è simile all'illustrazione di un poema a cui manchi precisamente la poesia. Il musicista ha dinanzi agli occhi la cosa che gli grandeggia nell'immaginazione ma non va oltre l'impressione fisica. Ha una tecnica magistrale, ma distaccata, fatta di elementi stilistici usati, incapaci di trasformarsi e rivivere. L'immagine ch'egli ti voleva presentare nella visione sonora, si congela in un tema qualunque ch'egli raccoglie tra residui d'ogni sorta e senza scrupoli di scelta.
Strauss è un pittore che va per cogliere lo spirito e non oltrepassa i tratti esterni. I veri strumenti della sua arte sono la macchina fotografica e il grammofono. La sua musica è come uno specchio che riflette il gesto della realtà; lo incorpora, lo riproduce, lo colora della momentanea impressione e finisce col dargli anche una certa impronta, ma in superficie. Il momento culminante è l'onomatopea.
Vi è, in Strauss, un dissonare tra il musicista e l'artista: tra la forma musicale, come sostanza stilistica, e la qualità espressiva che non è in essa ma le si sovrappone. Il procedimento di Strauss non si compenetra delle immagini letterarie che tuttavia lo promuovono. Qui è, appunto, il momento della sua originalità, onde egli si distingue e spicca: nel carattere esteriore delle sue vedute musicali, ma d'una esteriorità intrinseca che direi quasi lo stile dell'esteriorità. Perchè dell'esteriorità, che è il carattere del suo orientamento conoscitivo, Strauss tende seriamente a farsi una interiorità fino a un vero e proprio capovolgimento della realtà, presentando ciò che è intimo con accento di esteriorità e volgendo in narrazione e descrizione ciò che richiederebbe potenza di lirica evocazione. In Morte e Trasfigurazione la catarsi si riduce a gesto retorico estraneo allo spirito della musica: in Vita d'eroe la grandiosità epica si specchia solo realisticamente nell'iperbole sonora; nella Sinfonia domestica il disperato tentativo di rinnovare la forma della sinfonia si risolve in una esibizione autobiografica «a programma».
L'esteriorità della musica di Strauss potrebbe dirsi una esteriorità estetizzata; non quella che comunemente s'intende, delle opere d'arte deboli e superficiali, ma una esteriorità aderente al proprio mondo musicale, onde le suggestioni letterarie e le esperienze psicologiche si sovrappongono ad esso, non lo costituiscono. Poichè l'immaginazione musicale è, in Riccardo Strauss, coerente alla sua formazione tecnica ed alle condizioni spirituali dell'uomo in rapporto alla Società contemporanea. Di qui la grande considerazione in cui lo Strauss fu sempre tenuto dai musicisti e dal pubblico. Perchè egli presenta, anzi ostenta qualità atte ad appagare, per la loro vistosità materiale, le esigenze di gusto di una media cultura. Non universalità di vedute captate in un momento tecnico idealmente individuato, non opera di creazione, ma il processo specifico di una forma musicale calcolata in rapporto al suono in funzione di sé stesso. Rapporti sonori magistralmente dosati, privi di forza interiore, nei quali non si trasfonde il processo cosmico dell'intuizione che il tutto consuma nell'uno, ma elaborazione razionale di essi soltanto in superficie liricamente coloriti.



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Il virtuoso era stato, ai suoi bei tempi, un intermediario di spiriti romantici tra l'autore e il pubblico. La bravura virtuosistica si espandeva come una specie d'irradiazione e di propulsione della fantasia romantica, alla quale occorrevano grandi gesti ed un prepotere di accenti, anche senza l'adeguata rispondenza dei palpiti interiori. Nella seconda metà dell'Ottocento, il virtuosismo democratico si svuota dell'originale sua ragion d'essere romantica e si riversa in un'abbagliante esteriorità nella quale la tecnica tiene il sopravvento come bravura intrinseca.
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Una partitura di Strauss è, il più delle volte, un trattato di strumentazione applicata. È l'esperienza meccanizzata della sonorità che ha per fine se stessa. È la storia musicale, da Mozart in poi, svuotata del suo spirito, cioè di se stessa e ridotta ad astratta sintassi. Per ciò Strauss è inabile a produrre vera e propria sinfonia, perchè la sinfonia è vita musicale autonoma in quanto abbia macerato l'universale della conoscenza nel particolare dello stato d'animo, mentre il sinfonismo di Strauss è musica straniata dal mondo della interiore contemplazione.
Nella maniera di Strauss si determina questa curiosa posizione: che mentre il substrato dell'ordinamento musicale ricorda l'organismo polifonico di Wagner, l'atteggiamento generico del senso espressivo si riporta al romanticismo prevagneriano. La tecnica wagneriana aveva consumato universali di cultura in una grandiosa sintesi lirica. Strauss non poteva seguire quei voli.

Wagner ha le radici nella grande cultura tedesca. Strauss vive in una società pervasa degli spiriti del salsicciaio Cleone. Musicalmente si appropria del procedimento, ma ne ignora la portata spirituale. È lo stile wagneriano vuotato della sua ragion d'essere e riempito d'un sopravvissuto romanticismo, Wagner che diventa il manichino di Liszt.
L'elemento concreto, la sostanza, lo spirito inventivo passano in seconda linea. L'essenziale non è più nella elaborazione ma nella rielaborazione. Non lo stato d'animo che rinasce in istile, nel fervido inebriarsi della cultura, ma un atteggiarsi a coreografia dell'esperienza tecnica astratta nella contemplazione di se stessa. In questo senso le qualità musicali di Strauss svettano in una personalità esteticamente negativa. Ed è appunto in rapporto a questa sua negazione che nella società democratica borghese di cui è creatura prediletta, Riccardo Strauss è tenuto come il maggior musicista del suo tempo: col suo modo di porgere da parlamentare della musica che così abilmente si addice all'opportunismo dell'effetto, con quella sua maturità ed esperienza atte a suscitare istintiva reverenza anche nei timorati delle divinità accademiche.
Riccardo Strauss non è un decadente ma un decaduto. Egli sta a Wagner come Wundt sta a Hegel e Guglielmo II a Federico il Grande.
L'attitudine di Strauss alla rappresentazione di aspetti esteriori lo fa riuscire mirabilmente in certo umorismo grassoccio. L'apparenza si muta, nelle sue mani, in appariscenza che dà facilmente nella caricatura e nella deformazione. Il gesto, proiettato dal mondo della realtà in quello ideale dei suoni, appare tutt'altro nel differente giuoco di luci e d'ombre: caricato, tronfio, grezzo come la smorfia di una vignetta umoristica. Di sì fatti episodi è pieno il Don Chisciotte, cinematografia sinfonica, infarcita di virtuosismi strumentali. Il senso della comicità diventa parodistico nel Bourgeois gentilhomme, quando l'orchestra riesce ad incorporare spunti di musiche celebri volte ad intenzioni ridicole. Ed è una musica che, ogni altra avanzando tra quelle di Strauss, si fa particolarmente notare per la saldezza ritmica che dà energia vitale ad una piccola compagine di strumenti. Tentativo anche apprezzabile di musica allegra è il Till Eulenspiegel, per il riuscito compromesso tra la forma del rondò e l'assunto programmatico. Compromesso meno felicemente attuato nel Don Chisciotte con l'espediente della variazione.
La restaurazione dello spirito mozartiano rimane un pio sogno di Strauss, nel Cavaliere della rosa che è un pastiche: immane operetta che si affloscia in un appassito romanticismo da Lied. Strauss si accostò alla commedia musicale pensando a Mozart; non perchè il suo spirito vibrasse di armonie mozartiane (e come ciò sarebbe potuto essere?) ma per una sorta di ammirazione da visitatore di museo, fra il turista e il cattedratico. E quando si scioglie da questo stato d'animo provvisorio, dimentica Mozart e scivola nel valzer che è la vera realtà della sua comicità d'apparato.
Al Rosenkavalier, nel comico, fa riscontro, nel serio, la opera Die Frau ohne Schatten. Come nell'una l'aspirazione alla commedia d'ambiente rococò si dissolve nella beffa stilistica di una mistura sinfonica ed operettistica, nella Donna senza ombra il desiderio di creare il poema universale su mdtivi grandiosi si risolve in un melodramma farcito di retorica presunzione. Il simbolo romantico dell'ombra, che rappresenta la fecondità della donna, vorrebbe assurgere a valori espressivi, ma in realtà non appare efficace nè meno come pratico ritrovato da propaganda demografica. Incredibile miscuglio d'ideale e reale, di simbolismo, di moralismo, con fantocci d'ogni dimensione, cambiamenti a vista, scene nell'infinito, cozzi tra spiriti della vita e della negazione infernale, glorificazione simbolica della maternità, polemica allegorica contro le pratiche maltusiane. E la musica? Tema del matrimonio, coro di bambini non nati, melodie triviali armonicamente agghindate.
Strauss è incomparabile nell'arte di maneggiare oggetti usati e di rimetterli a nuovo. È il più grande rigattiere di musica sinfonica. La sua partitura è un magnifico bazar. Non s'era mai vista tanta sapienza di combinatore; i maggiori campioni della bravura orchestrale fanno la figura di scolari. Da lui prende il nome tutta una concezione dell'orchestra moderna. L'aggettivo straussiano è una qualifica piena di significato. La coscienza musicale del primo Novecento è impregnata di straussismo. La bottega straussiana importa i suoi generi da tutti i mercati e spesso la provenienza s'indovina al primo colpo.
Gli si affollano intorno, come spettri, motivi sopravvissuti alla loro discendenza romantica e gli ballano, nell'immaginazione, una disperata tregenda. Una gestazione di spunti e melodie consumate fiorisce dal terreno musicale. Lo stato d'animo rimane nella sua grezza natura di senso e dello stile assume soltanto la parvenza. Ne risulta una mezza personalità deforme ed imprecisa che si definisce nel procedimento tecnico svuotato della sua ragion d'essere. Un processo di elaborazione che rimane incompiuto. Il frammente vagneriano ha perduto il suo originario sapore e la vampa dello slancio, ma ha conservato, nella riproduzione, la forza motrice e l'ossatura. Diventato uno scheletro si è appena ricoperto della membranella straussiana. A questo musicista così straordinariamente dotato manca la forza di spiccare il volo in libertà. Sembra che un peso lo trattenga alla base. Per guadagnare lo spazio deve agitarsi con sforzo evidente. La massa sonora, grossa e corpulenta, ne impaccia i movimenti.
Il mostruoso erotismo di Salomè si accende liricamente in magnifici luoghi comuni. Caduta nelle mani di Hofmannsthal e di Strauss dagli alti cieli della poesia ellenica, Elettra ha perduto la tempra sofoclea. È una Nemesi ubriaca che affonda nel gesto e si consuma nel grido che diventa urlo. Lo spirito della vendetta ha preso le sembianze di una femminilità imbestiata. La passione vendicatrice è diventata delirante eccitazione d'isterico furore. Le Erinni da cui verrà assalito il matricida Oreste saranno di lei più umane perchè esse sono figlie della coscienza, ma la Furia che assale Elettra è figlia del senso e sarà implacabile finchè non l'abbia divorata. La vera scena dell'Elettra è in orchestra, una orchestra di tal prepotenza aggressiva che travolge ogni tentativo di resistenza e ferma il corso del pensiero. Serpentine di razzi sonori, suoni a strapiombo, curve provocanti e perfidie timbriche, frustate crepitanti. Ma l'audacia si affloscia nel cadenzare romantico. Fermenti di corruzione vagneriana si raccolgono in monconi affioranti dalla marea sonora come ossei frammenti del disfatto scheletro di Tristano. La concione si frantuma nel delirio.
Negli ultimi tempi della sua vita, come in una nostalgia di semplicità, alla ricerca del sostanziale, infaticabile anche nella vecchiezza, Riccardo Strauss si era volto a restringere e ridurre la vastità del panorama sonoro. Ma era un problema di qualità non di quantità. L'esteriorità del gesto oratorio, connaturata nel temperamento artistico, non poteva, certamente, dipendere dalle proporzioni dell'apparato sonoro.

(Prima stesura, Napoli 1930)