RICHARD STRAUSS

Esiste un partito progressista nella musica

NOTE DI PASSAGGIO
RIFLESSIONI E RICORDI


EDT TORINO 1991
pp. 16-20

A CURA DI SERGIO SABLICH

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Provo un'estrema riluttanza a proporre una specie di programma per gli obiettivi che si dovrebbero prefiggere le riflessioni artistiche e le esposizioni critiche dedicate alla musica in questo periodico, «Der Morgen» [rivista settimanale di cui Strauss fu direttore per un breve periodo]

 

Non amo i programmi. A uno promettono troppo; su un altro esercitano un'influenza eccessiva; un terzo afferma che il programma intralcia l'attività della sua fantasia; un quarto, piuttosto che tentare di riflettere sulle idee propostegli da altri, preferisce non pensare proprio niente; il quinto se la cava con un'altra scusa: in breve, i programmi lasciano il tempo che trovano. Vero è che mi si attribuisce un grande fiuto per il sensazionale; e, come alcuni perspicui contemporanei hanno già acutamente scoperto, in realtà tutto il giorno non farei altro che almanaccare sul modo migliore per venire incontro alla moda della prossima stagione (sarei dunque una specie di sarto della musica). E così, per essere sempre ultramoderno, vorrei innanzi tutto varare la sezione musicale di questo giornale senza alcun programma editoriale; tanto più che così potrei indulgere alla mia avversione quasi insormontabile per l'attività letteraria.

Ma gli editori hanno continuato a insistere: «Se Ella, caro signor Strauss, figura come direttore, non è ammissibile che agisca solo di quando in quando da 'spiritus rector' dietro la scena. Ella, 'uomo di punta della musica moderna', 'capo del partito progressista', deve presentare il nostro 'mattino' [Der Morgen, in tedesco] musicale con una dichiarazione, seppur breve, ma tanto più significativa».
Detesto cordialmente dichiarazioni di tal genere. Nonostante le migliori intenzioni mi è quasi impossibile evitare di parlare più o meno pro domo mea, e la mia regola è che in proprio favore bisogna far intervenire le azioni e le opere e non le parole. In ogni caso nemmeno le opere più audaci degli artisti hanno mai causato tanta confusione quanto le dichiarazioni cartacee dei loro avversari, i quali si sforzano di combattere le opere con le parole. Lascerò dunque anche in futuro tali dichiarazioni a coloro che non amano vivere senza parole d'ordine o che credono di poter arrestare il naturale, necessario progresso con proibizioni dogmatiche; per esempio agli avversari della musica dell'avvenire o anche a quei wagneriani che - tradendo lo spirito del Maestro - si sono fossilizzati, come a suo tempo fecero i mozartiani della cerchia di Franz Lachner, i mendelssohniani stretti attorno a Carl Reinecke o i lisztiani al seguito di Draeseke.
Come detto, rifiutavo ostinatamente. Ma espressioni seducenti come «uomo di punta della musica moderna» e «capo del partito progressista», di cui in questi tempi si fa un uso tanto assiduo quanto sconsiderato, mi si fissarono a poco a poco in testa con sempre maggiore insistenza e cominciai a riflettere un po', soprattutto sul partito progressista.
Riflettere è sempre spiacevole. Ma questa volta ne risultò, e fu un bene, che mi ponessi finalmente la domanda: esiste un partito progressista? E in conclusione dovetti rispondere a questa domanda con un reciso No!
Anche la cerchia più stretta dei wagneriani veri e propri era solo una unione di discepoli dalle idee affini, il cui obiettivo era spiegare e diffondere le idee del Maestro, rimuovere errori e fraintendimenti, scuotere gli indifferenti, rafforzare i bendisposti e respingere gli oppositori. Ma alla fine non sono stati questi partigiani a forzare il progresso; il fattore trainante e decisivo che ha portato alla vittoria definitiva anche Richard Wagner, come ogni altro grande innovatore, è stato in ultima istanza la grande massa del pubblico che ascolta e reagisce spontaneamente e che, nella sua schietta disponibilità ad accogliere ogni proposta artistica nuova e importante, si è dimostrato di regola il portatore più fidato di ogni pensiero progressista. Di fronte al fatto, continuamente riconfermato dalla storia, che una grande personalità artistica viene rettamente afferrata dal pubblico per istinto, come un dato di fatto naturale, anche se non è compresa e chiaramente giudicata nei singoli particolari, l'azione di una cerchia più ristretta di intenditori, definibile per esempio come partito progressista, non è di importanza determinante.
Il fattore principale è il contatto effettivo tra il genio creatore e la massa disposta a progredire, la quale oltrepassa di gran lunga l'ambito di ogni possibile partito. Non bisogna lasciarsi ingannare dal fatto che lo stesso grande pubblico acclami spesso anche ciò che è piacevole e facile, accessibile a tutti e persino banale, altrettanto e per un certo tempo anche più di ciò che è ricco di significato, nuovo, in anticipo sui tempi. Vero è che il pubblico nutre due anime nel suo seno. Ma gliene manca una terza. Il pubblico è restio ad accettare e ad amare un'arte che non sia comprensibile di primo acchito e non abbia la forza necessaria per imporsi. Da ciò derivano tante delusioni in artisti seriamente impegnati, ai quali neanche l'avversario può imputare di essere banali e di cui nemmeno l'amico può sostenere che abbiano una forza di suggestione capace di trascinare anche le masse.
Parlando del grande pubblico, Carl Maria von Weber una volta ha detto: «Ogni singolo è un somaro e l'insieme è la voce di Dio». Difatti l'anima della moltitudine dalle mille teste, che si riunisce in una sala da concerto o in un teatro per assistere a un avvenimento artistico, di regola sentirà rettamente, per istinto, il valore di ciò che le viene offerto; a meno che una critica premurosa o una concorrenza interessata non le instillino pregiudizi tali da influenzarne l'imparzialità.
Alexander Ritter [compositore, figura di primo piano nella biografia di Strauss, 1833-1896] mi ha portato un esempio illuminante della curiosa confusione che gli influssi esterni possono generare nel primo, retto giudizio del pubblico.
Quando, circa cinquant'anni fa, Liszt presentò per la prima volta i suoi lavori orchestrali in tre serate a Dresda, la prima esecuzione assoluta dei poemi sinfonici, più tardi tanto diffamati, suscitò enorme entusiasmo nel pubblico, che assisteva al concerto scevro di qualsiasi prevenzione. La mattina dopo un giornaletto scrisse che Liszt non era un vero compositore; e improvvisamente tutta la brava gente che la sera del concerto aveva dato libero sfogo al suo entusiasmo si vergognò: nessuno voleva ammettere di aver applaudito e tutti manifestavano, a posterioti, mille riserve!
Tutto ciò che è grande nel peggiore dei casi può essere ostacolato nel suo corso vittorioso; ma solo per un certo tempo e senza venir mai arrestato definitivamente dagli oscurantisti. E il grande pubblico - vox Dei - ha innalzato Liszt anche a dispetto della malignità e dell'incomprensione; così come col suo entusiasmo aiutò Wagner a ottenere già nel 1876 la vittoria definitiva sui suoi critici, sugli invidiosi e sui diffamatori.
Se dunque non esiste un «partito progressista» nel vero senso del termine, e non occorre che esista, è però necessario proteggere il sano giudizio naturale dei non prevenuti dal partito degli eternamente arretrati; i quali sono sempre all'opera, per incomprensione, incapacità, pigrizia o tornaconto personale, al fine di soffocare nel pubblico la sensibilità per il progresso.
Dopo il 1876 [prima rappresentazione a Bayreuth della Tetralogia] si credette realmente che l'entusiasmo del grande pubblico avesse ridotto al silenzio l'accanimento dei nemici; tanto che da allora in poi questi avrebbero osato istillare il loro veleno contro l'impudente innovatore, nelle anime innocenti di allievi di pianoforte e di composizione, solo entro le silenziose mura dei Conservatori, a porte chiuse. Parve lecito sperare che da allora in poi ognuno avrebbe potuto cercare la felicità nel giardino dell'arte a modo proprio, componendo come gli piaceva e secondo il suo talento.
Questa si rivelò un'illusiope. Certi colleghi della corporazione, timorosi e preoccupati di un giudizio sul loro valore, privi di forza creativa, in possesso soltanto di una certa tecnica compositiva di una qualche epoca artistica passata, violentemente recalcitranti contro ogni accrescimento dei mezzi espressivi e contro ogni ampliamento delle forme artistiche, e critici che basano il loro concetto dell'arte su un'estetica fossilizzata del tempo che fu, osano mostrarsi in pubblico di nuovo, anzi sempre di più, come compatto «partito della reazione», e si adoperano con più zelo che mai a rendere la vita amara a chi aspira a progredire.
Non posso certo definire reazionario chi anteponga l'Eroica di Beeoven a un fiacco poema sinfonico moderno, o dichiari di preferir vedere dodici volte di fila Il franco cacciatore piuttosto che una brutta opera moderna. Se lo facessi, sarei io stesso un reazionario. Reazionari insopportabili sono per me tutti coloro secondo i quali, visto che Wagner ha tratto i soggetti dei suoi drammi dalla mitologia germanica, in futuro dovrebbe essere proibito trarre argomenti dalla Bibbia (qui parlo naturalmente pro domo mea); o coloro che montano in cattedra pontificando che è volgare trattare le trombe a pistoni come strumenti melodici soltanto perché Beethoven doveva per forza destreggiarsi con le sue trombe naturali fra tonica e dominante: in breve tutti coloro che armati di grandi tavole della legge vogliono ostacolare, scagliando anatemi, le aspirazioni di chiunque desideri e possa creare qualche cosa di nuovo.
Un giorno Richard Wagner ha fatto questa significativa dichiarazione: «Voglio rappresentare una volta il mio Siegfried davanti a un pubblico di individui partecipi chiamati a raccolta da tutto il mondo e poi bruciare la partitura». Oggi noi diciamo: grazie a Dio non l'ha fatto! Perché i Siegfried sono purtroppo così rari che non ci è permesso sprecare doni tanto preziosi. Ma in questa nobile intenzione del grande Maestro era contenuta l'idea che anche un'opera d'arte perfetta debba venir considerata soltanto come l'anello di una grande catena in un'evoluzione sempre in marcia: come un seme deposto nell'anima dei posteri che continui a fruttificare e a far nascere opere sempre piu elevate e perfette. Noi vogliamo coltivare questa idea stupenda, continuare a lavorare al costante sviluppo della nostra arte, senza dimenticare che al di là dell'amore e dell'ammirazione che tributiamo ai Maestri immortali e già in sé perfetti, l'arte sottostà alle stesse regole della vita, assumendo forme sempre nuove.
Perciò finiamola di applicare un'estetica da maestri di scuola a opere che devono essere misurate secondo un loro proprio criterio. Basta con tutte le tavole della legge che i grandi maestri hanno spazzato via già da tempo; basta con tutti questi sommi sacerdoti che vogliono contrastare e ostacolare un'evoluzione vigorosa; basta con tutto ciò che non può accampare alcun'altra giustificazione se non quella di essere esistito già ieri! Invece nel nostro «Mattino» vogliamo offrire un generoso benvenuto e promettere protezione e sostegno a tutti coloro che rispettano troppo i grandi maestri per profanarne e abbassarne le opere con una meschina imitazione; vuoi per pigrizia, vuoi per soddisfare un'ambizione che, a ben guardare, poco ha a che fare con l'arte.
Benvenuti tutti coloro che si impegnano con passione per realizzare le loro aspirazioni, e un 'pereat' di cuore al partito della reazione!

 

Fontainebleau, Pentecoste 1907

(Gibt es für die Musik eine Fortschrittspartei?, «Der Morgen», I, 1, Beffin, 14 giugno 1907)