SRAUSS - STRAVINSKIJ- MAHLER
 

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QUIRINO PRINCIPE 

RICHARD STRAUSS
DIRETTORE D'ORCHESTRA
 

IL DECALOGO DEL DIRETTORE D'ORCHESTRA

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Capitolo tratto dal volume

RICHARD STRAUSS

Milano, Rusconi, 1989.

[pp. 823 - 827] 

Nel 1925, Strauss scrisse una pagina di annotazioni in forma di decalogo intitolata «Zehn goldene Regeln. Einem jungen Kapellmeister ins Stammbuch geschrieben» (…Dieci regole auree. Per un giovane direttore d'orchestra: scritto nell'album degli ospiti»). Eccone il testo:

1. Tieni conto che tu fai musica non già per il tuo piacere, ma per la gioia dei tuoi ascoltatori.


2. Quando dirigi, non devi sudare: è il pubblico che deve riscaldarsi, e soltanto il pubblico.




3. Dirigi Salome ed Elektra come se fossero state scritte da Mendelssohn: musica di elfi.


4. Non lanciare mai sguardi incoraggianti agli ottoni, all'infuori di una breve occhiata, tanto per dare una certa importanza ai loro attacchi e alle loro entrate.





5. Al contrario, tieni sempre d'occhio i corni e i legni, e non volgere mai lo sguardo da loro: in generale, ascoltandoli, troverai sempre che suonano troppo forte.


6. Se ritieni che gli ottoni non suonino abbastanza forte, smorza ulteriormente il loro suono di almeno due gradi d'intensità.


7. Non basta che sia tu a distinguere col tuo orecchio ogni parola del cantante, tu che conosci quelle parole a memoria: è il pubblico che deve seguirle senza fatica. Il pubblico, se non capisce il testo, dorme.





8. Accompagna sempre il cantante in modo che egli possa cantare senza sforzo.


9. Se credi di avere raggiunto la massima velocità possibile in un prestissimo, raddoppia la velocità.


10. Se sarai così gentile da tener conto di tutti questi miei consigli, grazie alle tue belle doti e alle tue grandi capacità sarai sempre la delizia dei tuoi ascoltatori, e nessuna nube turberà mai il vostro idillio. [Traduzione di Quirino Principe]

 

 


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QUIRINO PRINCIPE

STRAUSS - STRAVINSKIJ - MAHLER

RICHARD STRAUSS
pp. 28-30

[...] Se davvero miriamo a una verosimile collocazione, cerchiamo di non vedere Strauss contro luce, con il Zeitgeist nello sfondo. Accostiamolo piuttosto agli unici due compositori del Novecento con cui è possibile il confronto, Mahler e Stravinskij. Strauss ebbe Mahler contemporaneo nella prima parte della sua vita, Stravinskij nella seconda. C'è almeno un aspetto, in Stravinskij, che lo rende molto vicino a Strauss, ed è la volontà di non proiettare la propria arte nel tempo, sia esso un prima o un poi. La pagina stravinskijana che conclude le Chroniques de ma vie potrebbe vestire a pennello uno stato d'animo che in Strauss è sempre al centro. Non sono uomo del passato, riafferma il compositore russo, «... mais, d'autre part, combien on se tromperait si l'on me croyait un adepte de la Zukunftsmusik. Rien ne serait plus absurde, je ne vis ni dans le passé, ni dans l'avenir. Je suis dans le présent. J'ignore de quoi demain sera fait. Je ne peux avoir conscience que de ma vérité d'aujourd'huí. C'est elle que je suis appelé à servir et je la sers en toute lucidité».
Sono momenti in cui Strauss e Stravinskij parlano magari lingue diverse, in musica, ma con lo stesso tono di voce. Eppure, per molti altri aspetti Mahler si rivela il vero termine di confronto, e diremo, al contrario, che lui e Strauss parlano, in termini musicali, la stessa lingua con un tono di voce radicalmente diverso. Mahler si avvicina alle frontiere, come in equilibrio instabile sul loro perimetro. Stravinskij s'insedia su un terreno già coltivato, e lo scava, scoprendo sotto terra l'abnorme che egli sceglie per sua vera norma. La sua è la bellezza di ciò che è osseo con la carne in trasparenza, come radiografato. Strauss assimila la norma e insieme l'abnorme venuto dall'esterno, anche polvere del futuro, e così gli occorre spazio per disporsi al lavoro: il suo problema è l'eccesso di forza assorbente che non può fare a meno di assimilare. Ecco che gli sono necessarie, insieme, le ossa e la carne. L'analogia con Stravinskij si allontana e sfuma. Mahler, per mirare oltre le frontiere, deve parlare un linguaggio il cui centro è pur sempre la tradizione di un'epoca musicalmente "non nomade": deve presentare le proprie credenziali al "diverso". Strauss riceve, mentre Mahler è ricevuto.
Guardando verso l'uno dei due compositori è quasi impossibile non vedere l'ombra dell'altro. Nel discorso che ho avviato, il mio precedente libro dedicato a Mahler è per me un vincolante presupposto, e il campo dovrebbe essere sgombro da residui di contrapposizioni in cui non credo: il grande attuale e il grande inattuale, l'interiorità e l'esteriorità. La divergenza essenziale tra Mahler e Strauss è nel diverso modo con cui la loro musica si presenta quale testo definito e immutabile. Nella sfera mahleriana il commento, le postille alla musica in atto tendono a collocarsi fuori di quell'atto, nella memoria dell'ascolto e nella sua risonanza, oppure in un contesto, in un'«aura»; nella sfera straussiana, le postille sono incorporate nel testo.
Una frase di Alfred Kubin ci offre, forse, una chiave di lettura: «I nostri rapporti hanno alcunché di magico, quasi già di spettrale, per me invisibile, inafferrabile, e pure in qualche luogo "nell'Universo" presente. Vale a dire, esattamente soggettivo nell'immaginazione del proprio "intimo", che sicuramente non finisce là dove finisce il proprío corpo, questo mostro».
Sento irresistibile la forza di queste parole. È una forza "mahleriana" che investe e rischiara il lascito del musicista sconfitto entro i limiti di quella cosa fragile e inessenziale che è la nostra vita corporea, poiché proprio l'intimo individuale di Gustav Mahler uomo pensante continua ad esistere al di là del "corpo" che è la sua musica in atto. La musica mahleriana dilata sempre i suoi significati verso ciò che è altro da essa, e altro dalla musica: il suo è un irradiamento centrifugo, che indebolisce il nucleo e arricchisce l'«aura». Di qui le risorgenti perplessità sul valore di quella materia musicale, e il diffuso rispetto per la moralità che essa introduce nel linguaggio e nella psiche, di rimbalzo. Sembra invece che l'intimo individuale di Richard Strauss graviti tutto dentro il corpo della musica straussiana, attuato nel suono, nell'esecuzione e nell'ascolto. Quell'intimo - non è un giudizio riduttivo - tende a concentrarsi verso il nucleo, e la definizione illustre di Walter Benjamin può venire in soccorso a chi crede, come noi, che la musica straussiana viva in un'aura interna, non irradiata ma addensata. La musica di Strauss gode di maggiore autosufficienza, che non è di necessità maggiore grandezza. Il modo di fruire di tale autosufficienza è il suo connotato morale, spesso velato dal fulgore del nucleo, anche perché della moralità mahleriana essa non sente alcun desiderio: quella moralità non le è necessaria.

STRAUSS - STRAVINSKIJ

RICHARD STRAUSS
pp. 28-30

Nella musica più recente, il far musica su altra musica si svincola dalla tacita regola che lo teneva confinato in una zona di occasionalità e di curiosità, e si affianca di nuovo alle direttrici principali del lavoro compositivo. Esistono due compositori del Novecento, lontanissimi nella poetica e nel linguaggio, eppure meno dissimili di quanto non appaia, nei quali questa pratica è, se non convergente, almeno parallela, e comunque non divergente. Nell'opera di Richard Strauss e di Igor Stravinskij, le frequenti incursioni nella musica della tradizione rispondono almeno ad una finalità comune: l'intento di investigare le possibilità offerte al musicista moderno da illustri esempi di più antico linguaggio musicale in vista di una mutua donazione.
Il compositore del Novecento, quasi a mostrare che nell'arte il tempo è reversibile, offre alla musica del passato, al di là del significato perfetto e indistruttibile e della giustificazione storica, una vita "presente", considerandola immersa nell'operosità dell'artista moderno, reintrodotta nella problematicità del dibattito in corso, non più splendidamente archiviata nel museo dei capolavori. All'inverso, la musica del passato, accettando l'ospitalità nella moderna partitura e nel lavoro in fieri, lascia intendere come la musica del presente possa misurarsi alla pari con la sua classicità, o addirittura possa assorbirla, vantando la propria onnipotenza, non in quanto linguaggio del presente, ma in quanto "tipo" di linguaggio, o, semplicemente, in quanto musica. Su questo piano, siamo pronti a difendere la tesi di un'affinità intenzionale tra Richard Strauss e Igor Stravinskij.
Per evitare ogni equivoco, le diversità irriducibili vanno più che mai sottolineate. Stravinskij, conglobando Pergolesi (in Polichinelle), o Caikovskij (nel Baiser de la fèe), mette quelle musiche in cornice, e sovrappone i piani del presente e del passato; in tal modo, le storicizza nel momento stesso in cui le ravvicina a portata di mano. L'operazione di Strauss è, al contrario, del tutto a-storica. Egli annette la musica del Seicento e del Settecento alla propria (così come annette a sé, sia pure su idee musicali proprie, lo spirito del valzer viennese - inteso come metafora - nel Rosenkavalier), e piegandola alle costanti del proprio stile la divora e la assimila, compositore onnivoro, in un raffinato mélange armonico e timbrico.
Si tratta di ricondurre ciò a diversità di mezzi essenziali, e il discorso sarebbe lungo: basta ricordare che in Stravinskij i due piani, pur sovrapposti, si collocano ciascuno entro un sistema di assi cartesiani il cui centro è lievemente spostato rispetto al centro dell'altro sistema, per cui la materia musicale ripresa dal passato stride leggermente nella consonanza con gli stilemi stravinskiani, secondo l'uso della 'fausse note obligée'. Strauss, invece, fa coincidere perfettamente i centri dei due sistemi, ma arricchisce o ammorbidisce l'armonia e lo spessore timbrico, oppure stana i sobbalzi e i guizzi che nella classica (o preclassica) compostezza della musica di tradizione erano soltanto potenziali e latenti.