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La terza via di ricerca è LA MEDITAZIONE: la Scrittura è piena di esortazioni a leggere la Parola di Dio con attenzione e a riflettere su di essa assiduamente; tale esortazione è rivolta a tutti senza eccezione, ricchi e poveri, re, grandi della terra, o cittadini comuni. L'insistenza su questo tema è molto frequente, come si evince da alcune citazioni tra le molte possibili: "Medita giorno e notte il libro di questa legge" (Gs 1,8); "Tutto il giorno vado meditando la tua legge" (Sal 119,97); "Medita sempre sui comandamenti del Signore" (Sir 6,37); "Il saggio mediterà sui comandamenti di Dio" (Sir 39,7); "Il re leggerà tutti i giorni la copia di questa legge" (Dt 17,19); "Maria meditava tutte queste cose nel suo cuore" (Lc 2,19). Non occorre aggiungere altre citazioni, che peraltro potrebbero ancora moltiplicarsi. Il senso è chiaro: Dio vuole che l'uomo legga e mediti la Scrittura assiduamente, di giorno e di notte. Si vede che la presenza della Parola di Dio nella mente umana è una luce: "I comandi del Signore danno luce agli occhi" (Sal 19,9), ma è anche una potenza di guarigione: "Non li guarì né un'erba né un emolliente, ma la tua Parola, Signore, che tutto risana" (Sap 16,12).
Ci possiamo chiedere adesso quali sono gli effetti che la sapienza produce in colui che la riceve da Dio. L'AT presenta delle figure di uomini che hanno ricevuto il dono della sapienza in misura eminente; si tratta di Giuseppe, figlio di Giacobbe, di Daniele, il veggente, e di Salomone, figlio di Davide. L'esame della loro personalità, attraverso le narrazioni bibliche, può in buona parte rispondere al nostro interrogativo di partenza.
Giuseppe, figlio di Giacobbe, è il protagonista di una storia drammatica e meravigliosa insieme. Il libro della Sapienza parla di Giuseppe in questi termini: "La Sapienza non abbandonò il giusto venduto, ma lo preservò dal peccato. Scese con lui nella prigione, non lo abbandonò mentre era in catene, finché gli procurò uno scettro regale… e gli diede una gloria eterna" (Sap 10,14). In poche battute è così sintetizzata la sua storia: venduto dai fratelli, accusato ingiustamente imprigionato essendo innocente, innalzato nella gloria come viceré di Egitto. Giuseppe, dal canto suo, aveva avuto una precognizione del suo futuro in due sogni fatti da bambino (cfr. Gen 37,5-11).
In questa storia dobbiamo cogliere i segni dell'opera del dono della sapienza concesso a Giuseppe. Il primo elemento che va notato è la precognizione del proprio futuro, ossia della propria posizione nel disegno di Dio. Possiamo scorgere questa luce sapienziale nella vita di un altro Giuseppe, lo sposo della Vergine Maria, che riceve nella notte una cognizione sapienziale della volontà di Dio, fino a quel momento sconosciuta per lui. Senza questa luce soprannaturale, Giuseppe avrebbe agito da uomo giusto, ma sarebbe uscito dal disegno di Dio, rimandando in segreto la sua fidanzata. In questo senso dobbiamo parlare del dono della sapienza, come quella luce che ci porta a conoscere la nostra posizione nel disegno di Dio, vale a dire: LA NOSTRA VOCAZIONE SPECIFICA. La scoperta della propria vocazione e del posto che Dio ci ha assegnato nella vita della Chiesa è segno certo che il dono della sapienza ha operato in noi.
Un'altra manifestazione dell'atteggiamento sapiente di Giuseppe consiste nel fatto che tutte le sue opere sono compiute con grande perfezione. Egli non è mai svogliato o superficiale nel compimento dei suoi doveri. L'uomo saggio è sempre così. Affidare all'uomo saggio un servizio è lo stesso che mettere un tesoro in cassaforte. La sua credibilità e la sua affidabilità sono assolute. Quando Giuseppe arriva in Egitto con la carovana di ismaeliti, viene venduto di nuovo a un ricco signore di nome Potifar. Giuseppe si dimostra così preciso e perfetto nei suoi lavori, che da schiavo diventa amministratore dei beni di Potifar (cfr. Gen 39,3-4). La moglie di Potifar aveva messo gli occhi su Giuseppe, ma senza nessun risultato. E qui si vede un'ulteriore caratteristica dell'uomo saggio: è un uomo casto, non soggetto alle passioni dell'io inferiore. La sapienza infatti sta lontana dai disordini passionali (cfr. Sap 1,4). Proprio per le accuse ingiuste della moglie di Potifar, che così si vendica del fatto di essere stata respinta, Giuseppe finisce in carcere. Lì si svela presto la sua statura morale, "così il comandante della prigione affidò a Giuseppe tutti i carcerati, e quanto c'era da fare là dentro, lo faceva lui" (Gen 39,22). Ancora una volta, l'assoluta affidabilità dell'uomo saggio non può restare nascosta. Dio viene in aiuto a Giuseppe, dandogli anche una sapienza di ordine carismatico. Egli interpreta il significato dei sogni di due compagni di prigione e, successivamente, verrà chiamato a svolgere lo stesso compito per il Faraone, turbato da due sogni strani, che i suoi maghi non riescono a comprendere. Giuseppe scioglie l'enigma e viene costituito amministratore di tutto l'Egitto dal Faraone: "Poiché Dio ti ha svelato tutto questo, nessuno è più saggio di te. Tu stesso sarai il mio maggiordomo e ai tuoi ordini si schiererà tutto l'Egitto: solo per il trono io sarò più grande di te. … senza il tuo permesso nessuno potrà alzare la mano o il piede in tutto l'Egitto" (Gen 41,39-44).
La saggezza di Giuseppe si manifesta però in tutta la sua grandezza, quando i suoi fratelli si recano in Egitto per acquistare il grano e si prostrano davanti a lui senza riconoscerlo, peraltro Giuseppe parla loro in lingua egiziana mediante un interprete, ma li capisce quando parlano in ebraico tra loro. Si realizza così il sogno della sua infanzia: i covoni dei fratelli si prostrano davanti al suo. Giuseppe si mostra duro con loro e li accusa di essere spie incaricate di scoprire i punti deboli del paese, mentre i fratelli interpretano questa durezza come un castigo di Dio per il loro antico peccato: "Si dissero l'un l'altro: certo su di noi grava la colpa nei riguardi di nostro fratello… per questo ci è venuta addosso questa angoscia" (Gen 42,21). Non sapevano che Giuseppe li capiva. Allora egli si allontanò da loro e scoppiò in pianto (cfr. Gen 42,24).

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