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BIOGRAFIA, PENSIERI, FILOSOFIA DI

PETR ILJIC CIAJKOVSKIJ

ATTRAVERSO


LETTERE, RICORDI E TESTIMONIANZE


VIAGGIO IN ITALIA
LENTA GUARIGIONE

NOVEMBRE 1977- GENNAIO 1888

Al principio di novembre del 1877, Petr partì con Anatol alla volta di Firenze e Roma. Ma l'inquietudine interiore era ancora così grande, le ferite ancora così sanguinanti che neppure il tempo bellissimo e le splendide città italiane riuscirono a dissipare il suo umor nero. Ormai Anatol doveva ritornare a Pietroburgo per riprendere il suo impiego di Stato. I fratelli decisero allora di partire per l'Austria passando da Venezia. A Vienna si separarono e Petr ece venire da Mosca Aljoscia, il fedele servitore, poiché non si sentiva in grado di restar solo in condizioni di spirito così precarie.
Venezia gli piacque; l'atmosfera smorzata di quella città tanto romantica esercitò un'azione benefica sul suo animo esulcerato. Vi ritornò e prese in affitto per sé e per Aljoscia due camere con una vista splendida sulla laguna. Ora voleva immergersi tutto nel suo lavoro.

Già da due giorni mi occupo della nostra Sinfonia ed anche con molto successo, - scrive nel dicembre da Venezia all'amica. - Spero che questo lavoro varrà a mitigare, a poco a poco, il mio cattivo umore e a farmi sentir meno acuta la nostalgia del mio caro fratello. Qui ogni cosa me lo ricorda. Com'è penoso trovarsi qui, in questa città dove soltanto qualche tempo fa passeggiavamo insieme!
Ho avuto da Mosca una notizia molto lieta: il primo atto dell'
Onegin ha mandato in visibilio i miei amici, fra i quali anche Rubinstein. Ero assai inquieto nell'attesa di questo giudizio; ora sono molto molto rassicurato.

Lo stesso giorno Petr ricevette da Modest un telegramma che non avrebbe potuto recargli gioia più grande. Il fratello, precettore di un ragazzo sordomuto di nome Konradi, era stato incaricato di portare il suo pupillo in Italia per tutta la durata dell'inverno.

Stavo proprio lavorando alla mia Sinfonia, quando è arrivato il tuo telegramma. Sarei quasi impazzito per la gioia... Da quando è partito Anatol, la tristezza mi aveva talmente sopraffatto che avevo cominciato a bere. Soltanto dopo aver scolato una bottiglietta di cognac, potevo trovar la vita ancor sopportabile. Ma da quando ho ricevuto il tuo telegramma, vedo Venezia con occhi nuovi.
Se su molte cose le opinioni della signora Nadezna collimano con quelle di Petr, pure qualche volta divergono.

Amo la musica appassionatamente, - gli aveva scritto essa una volta. - Quando ascolto musica, non penso a nulla e provo una sensazione di benessere fisico... La musica mi fa sprofondare in uno stato di ebbrezza come un bicchiere di Sherry. Ci si sente trasportati in un luogo sconosciuto, misterioso, in un regno celeste. In tale stato si sarebbe pronti a morire.
Recentemente suonavo l'andante cantabile dal suo Primo Quartetto per archi. Tale musica mi mise in uno stato di ebbrezza così intensa che un brivido mi corse per tutto il corpo... Credo che nessuno avverta l'infinita malinconia espressa da quelle note. È una musica che mi lascia senza fiato. Che arte soprannaturale! In essa soltanto si manifesta la scintilla divina della umana natura.

Petr rispondeva:

La sua lettera contiene qualcosa su cui non sono affatto d'accordo: la sua opinione sulla musica. Soprattutto mi dispiace sentir paragonare il suo effetto a un'ubriacatura. L'uomo guarda all'alcool come a un rifugio dentro il quale stordirsi e procurarsi l'illusione della felicità. Ma quest' autoinganno gli costa caro: la reazione è quasi sempre terribile. Comunque sia, l'alcool, per qualche istante, ci fa dimenticare ogni dolore. Ma questo è tutto. Ora lei crede che la musica non dovrebbe avere alcun altro effetto? La musica non è illusione, è una rivelazione. Proprio in questo consiste la sua forza vittoriosa: essa ci rivela una bellezza altrove inesistente, essa ci riconcilia con la vita.

Petr ritrovò alfine la pace e si sprofondò nel suo lavoro. Due cose gli avevan giovato: la favorevole accoglienza all'Onegin da parte degli amici di Mosca e la certezza che Modest avrebbe passato l'inverno in Italia con lui.

Lavoro assiduamente all'istrumentazione della nostra Sinfonia, - scrive all'amica, - e sono completamente assorto in questo lavoro. Nessuna delle mie composizioni orchestrali mi è costata tanta fatica, ma a nessuna anche ho lavorato con tanto amore. Da principio ero spinto soltanto dal desiderio di finire la Sinfonia; poi, a poco a poco, mi sono lasciato avvincere e adesso non vorrei mai staccarmi dal lavoro.
Forse mi inganno, mia cara Nadezna Filaretovna, eppure credo che questa Sinfonia non sia un'opera mediocre; è meglio di tutto quel che ho scritto finora. Com'è consolante per me, il pensiero che questa sia proprio la nostra Sinfonia e che lei, quando finalmente l'avrà ascoltata, sappia come ad ogni battuta io abbia pensato a lei. L'avrei mai portata a termine se ella non fosse entrata nella mia vita? A Mosca, quando credevo che tutto, per me, fosse finito, avevo scritto sullo schizzo le seguenti parole, dimenticate e poi ritrovate ora: «In caso di morte questi fogli devono esser consegnati a N. F. von Meck». Desideravo sapere nelle sue mani il manoscritto della mia ultima opera. Invece, adesso, io non soltanto vivo e sto bene, ma posso, grazie alle sue cure, dedicarmi interamente al lavoro con la coscienza che dal mio cervello scaturisce una musica che non sarà dimenticata.

Nel bel mezzo di questa solerte attività giunge a Petr la notizia che Modest, sta per arrivare col suo allievo. Si tratta allora di sospendere per qualche tempo il lavoro e trasferirsi a Sanremo dove entrambi passeranno l'inverno. A Sanremo il maestro viene a sapere (e la nuova non gli è per nulla gradita), di esser stato scelto a rappresentare la Russia nell'imminente esposizione universale di Parigi. Lui, il misantropo, si oppone accanitamente a recarsi nella «moderna Babele» (sono parole sue) per trascorrervi otto mesi in continuo contatto con gente che gli è indifferente. In più, egli dovrebbe rinunciare per otto mesi anche al lavoro della Sinfonia e dell'Onegin! Dopo un'esitazione iniziale, Ciajkovskij si dà malato e rifiuta l'incarico. Effettivamente, il solo timore di dover fare un tale viaggio lo aveva messo in uno stato di eccitazione morbosa.
Di tutti questi avvenimenti tiene fedelmente al corrente con lunghe lettere la buona amica. Non sono tuttavia poche le cose che egli le tace. Ad Anatol, invece, scrive:

Adesso che ho rifiutato di unirmi alla delegazione per Parigi, mi tormenta il pensiero che tu e la signora von Meck e qualche altro possiate disapprovare la mia decisione. Perciò sappi: da quando tu sei partito sto fisicamente bene, ma le condizioni del mio sistema nervoso sono peggiorate. Ti ho tenuto nascosto qualcosa che ora ti confesserò. Da quando sei partito, fino ad oggi, ho bevuto ogni sera, prima di andare a dormire, parecchi bicchieri di cognac. E anche durante il giorno non tralascio di bere ripetutamente. Non riesco a tirar avanti senza questo rimedio. Trovo la pace soltanto quando sono un po' brillo. Mi sono così abituato a questo bere in segreto che mi basta, per rasserenarmi, contemplare la bottiglietta del cognac che mai mi abbandona. Perfino le lettere, riesco a scriverle soltanto se ho bevuto un po'. Vedi dunque che son tutt'altro che guarito. Per poter resistere, a Parigi dovrei bere senza posa dalla mattina alla sera.

Frattanto Modest, insieme col discepolo Kolja, è arrivato a Sanremo. È presente anche il bravo Aljoscia, il fedele servitore, cui Petr, morendo, lascerà per testamento una discreta rendita da dividere con la moglie. Aljoscia poi, che ha venerato il padrone come un dio, comprerà coi suoi mezzi la casa abitata dal maestro negli ultimi anni


LA CASA-MUSEO DI KLIN

e ne farà un «museo Ciajkovskij».
A Sanremo ogni giorno sembra simile all'altro. Tutti lavorano assiduamente, come risulta da questa lettera alla signora von Meck:

Ci alziamo alle otto, beviamo il caffè facciamo una passeggiatina. Indi ognuno si mette al lavoro. Io istrumento il terzo atto dell'Onegin, Modest dà lezione al piccolo Kolja e Aljoscia si dà da fare a spaccar legna. Alle undici facciamo colazione; segue quindi una passeggiata, dopo di che tutti si rimettono al lavoro. Alle sei si va a pranzo, poi si legge, si scrivono lettere; alle undici siamo tutti a dormire.