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BIOGRAFIA, PENSIERI, FILOSOFIA DI PETR ILJIC CIAJKOVSKIJ ATTRAVERSO LETTERE, RICORDI E TESTIMONIANZE |
SULLA NATURA DELL' ISPIRAZIONE INTIMA COMPRENSIONE FEBBRAIO - MARZO 1878 |
Lei mi chiede se alla base della nostra Sinfonia stia un programma determinato - il musicista scrive all'amica da Firenze -. A tali domande sono solito replicare per lo più con un «no». È veramente difficile rispondere a un quesito simile. Come è possibile render con le parole quelle sensazioni indistinte che si provano nel comporre un'opera strumentale, priva di programma preordinato? E un fatto prettamente lirico, una confessione spirituale in musica, una confessione che trova il suo sfogo naturale riversandosi nelle note, così come un poeta lo trova riversandosi nei suoi versi. Con questa differenza, però: che a disposizione della musica stanno possibilità di espressione infinitamente più ricche e un linguaggio molto più sottile, atto a rendere tutti i moti dell'animo. Per lo più il germe dell'opera futura si presenta improvvisamente, quasi di sorpresa. Se cade in terreno fertile, ossia se trova un umore adatto al lavoro, questo seme mette radice con incredibile vigore e rapidità, spunta dalla terra, produce steli, foglie, gemme ed infine fiori. Solo con questo paragone mi è possibile render con qualche evidenza l'atto creativo. Tutto dipende dalla comparsa del seme e dal suo sviluppo produttivo. Il resto avviene da sé. Sarebbe vano esprimere in parole la smisurata felicità che mi coglie allorché l'idea principale è catturata e comincia a svilupparsi secondo una certa forma. Si dimentica ogni cosa intorno a sé, ci si comporta come veri e propri pazzi. Tutto nell'intimo vibra e freme, si ha appena il tempo di annotare le idee, mentre esse si affollano alla mente, una dopo l'altra. Talvolta, proprio in piena estasi, può capitare di essere strappati a questa specie di sonnambulismo da un urto esterno: qualcuno suona alla porta, entra il cameriere, l'orologio batte le ore ed eccoci riportati alla realtà. Che tormento, che insopportabile tormento, codeste interruzioni! Qualche volta la felice disposizione scompare; si tratta allora di richiamarla, anche se non sempre ci si riesce. Assai spesso un arido lavoro d'intelletto deve far le veci dell'ispirazione. E forse questa la ragione per cui, anche nei più grandi maestri, si nota talora un difetto di organica coesione, si avvertono quelle suture «artistiche» che saldano fra loro le differenti parti. È inevitabile. Se lo stato d'animo dell'artista dovesse protrarsi quale lo abbiamo descritto senza soluzioni di continuità, sarebbe impossibile vivere un giorno di più. Le corde si tenderebbero fino a spezzarsi, lo strumento salterebbe! Ma una cosa importa soprattutto: che l'idea principale e i lineamenti generali delle singole parti non siano frutto di ricerche, ma nascano spontaneamente, grazie appunto a quella forza demoniaca, inafferrabile, misteriosa, che si chiama «ispirazione». Come sono felice, carissimo Petr Ilijic, di aver trovato che lei realizza pienamente l'idea che io mi faccio di un musicista - risponde Nadezna. - Forse ella è del parere che io non capisca quanto lei va dicendomi. Al contrario: mi ha spiegato l'atto creativo proprio come io l'avevo immaginato. In contrasto con la mia concezione che esista uno stretto rapporto fra l'atto creativo nella sua estrinsecazione e lo stato d'animo di un musicista mentre compone, sta l'opinione di molti miei conoscenti che non sono d'accordo con me e mi domandano: «Ma crede dunque davvero che un musicista, componendo, provi una qualche emozione? Noi lo contestiamo. Un compositore non fa altro che considerare in qual modo e in qual punto può utilizzare i procedimenti tecnici propri della sua arte.» Io non nego la dolorosa verità che la maggior parte dei musicisti componga senza esservi spinti da un impulso interiore; sento però nettamente che la differenza fra un compositore che crea per illuminazione e un musicista che compone meccanicamente si avverte nella musica stessa. E all'obiezione: «Tutti compongono così!» replicai: «Anche Ciajkovskij?» risposero: «È probabile». Mi dispiacque per la nostra cara arte, ma non cambiai opinione. E lei ora, amico caro, con le sue dichiarazioni, mi ha dato ragione. Come discorro volentieri con lei, amica mia, sul mio modo di lavorare. Finora non avevo ancora rivelato a nessuno questi moti segreti del mio intimo. Nessuno, ad eccezione forse dei miei fratelli, mi ha ascoltato con altrettanta comprensione quanto lei. Oh se lei sapesse come sono preziose per me tali manifestazioni di simpatia e come raramente sono stato viziato da esse! Non creda a coloro che cercano di convincerla che il processo della creazione musicale non è altro che arido lavoro d'intelletto. Può colpire e commuovere unicamente quella musica che è stata colta nel profondo di un'anima d'artista, toccata dall'illuminazione. Senza dubbio, perfino i più grandi geni musicali hanno creato talora senz'ispirazione. L'illuminazione è un'ospite che non compare al primo appello e tuttavia è necessario continuare a lavorare. Un vero artista non può restare con la mano in mano col pretesto che non si sente ben disposto. Se si volesse attendere la disposizione favorevole e non si facesse il tentativo di vincersi, si sarebbe sommersi dalla pigrizia e dall'apatia... Recentemente le scrivevo che lavoravo ogni giorno, ma senza un vero abbandono. Sarebbe facile per me lasciarmi andare a non far niente; fortunatamente la fede in me stesso e la tenacia non mi vengono mai meno. Questa mattina però, improvvisamente, sono stato preso da quel fuoco dell'entusiasmo che scaturisce Dio sa da quale profondità e di cui le parlavo recentemente. So dunque in anticipo che tutto ciò che oggi mi avverrà di comporre, sarà di natura da infiammare i cuori. Spero che ella non mi accuserà di vanagloria se confesso che la disposizione a creare raramente mi fa difetto. Attribuisco questa fortuna alla circostanza che sono per natura paziente e tenace e che mi sono sempre sforzato di non cedere alla tentazione del «dolce far niente». Mi stimo felice di non aver seguito l'esempio di molti compositori russi che non hanno né fiducia in se stessi né costanza, e che, alla minima difficoltà, sono pronti a cedere e a darsi per vinti. È questa la ragione per cui, nonostante il grande ingegno, producono così poco e restano impantanati nel dilettantismo. |
INTIMA COMPRENSIONE |
Petr era ormai convinto di aver ricuperato la salute. Scrive all'amica il 1º febbraio 1878 da Firenze:
Non le è venuta l'idea che ora che mi sento guarito dovrei ritornare in Russia e riprendere le lezioni al Conservatorio e la solita vita? Per quanto senta nostalgia della Russia e della mia cara Mosca, mi riesce tuttavia difficile rinunciare di colpo alla libertà di cui godo adesso, per barattarla con un soggiorno a Mosca, con l'insegnamento, e con tutto quanto di sgradevole vi è connesso. Soltanto il pensiero di una tale eventualità mi fa rabbrividire. Mi dica apertamente la sua opinione, senza tener conto del fatto che ricevo da lei i mezzi per mantenermi. Non mi turba sapere che io approfitto della sua ricchezza per poter vivere all'estero. So infatti quali sentimenti la spingano ad aiutarmi ed è ormai gran tempo che l'aiuto che ricevo da lei mi sembra normale e naturale. I rapporti che ci legano vanno oltre quello che si suole generalmente chiamare amicizia. Da un amico come lei posso ricevere aiuti materiali senza alcun imbarazzo. Non si tratta di questo; il fatto è che, da quando Rubinstein in una lettera mi aveva mosso il rimprovero di abituarmi all'ozio, incomincio a chiedermi se non sarebbe effettivamente mio dovere ritornare a Mosca. Le posso assicurare che provo un naturale orrore per l'infingardaggine. Se però si dovesse considerare il mio attuale modo di vivere come ozio (abbandonandomi al mio impulso creativo non lavoro infatti per gli altri, ma soltanto per me) la situazione dovrebbe cambiare... Con sicuro istinto femminile, la signora von Meck comprese che la guarigione di Petr non poteva essere ancora definitiva, che ogni nuova emozione avrebbe potuto metterlo fuori binario un'altra volta. Lo sconsigliò quindi dal ritornare in una città ove si trovava Antonina e dove scontri con lei sarebbero stati inevitabili. Quella donna andava ora mostrando il suo vero volto e considerava il marito come una fonte inesauribile di denaro. Allo scopo di estorcerne, continuava a subissare di lettere lui, i fratelli e perfino il vecchio padre. Scrive Petr all'amica il 3 febbraio 1878: Ho tentato tutto quel che si può immaginare per liberarmi da quella persona, che dall'anno scorso porta il mio nome. Sembra assolutamente impossibile farle intendere che mi lasci in pace. Mio fratello mi scrive che essa perseguita anche mio padre con le sue lettere. Adesso fa di nuovo la vittima, dopo aver presentato per un certo tempo ogni sorta di richieste di denaro in una forma quanto mai risoluta ed aver lasciato cadere la sua maschera senza ritegno. Per risparmiare dispiaceri a mio padre, mio fratello sequestra le lettere che gli sono indirizzate e gliele respinge. Col risultato che adesso essa scrive a mio fratello lettere volgarmente insultanti. Petr alla signora Nadezna: Firenze, 20 febbraio 1878 Sono appena rientrato da una passeggiata e vorrei intrattenermi ancora un poco con lei, amica cara. La finestra è aperta, con voluttà aspiro la frescura della notte dopo una calda giornata primaverile. Com'è strano e angoscioso, ma anche come è soave andar col pensiero alla patria lontana, così profondamente amata. Là è ancora pieno inverno. Lei se ne sta seduta dinnanzi alla finestra della sua camera, accanto al caminetto acceso. Davanti alla sua casa passano figure avvolte in pellicce. Tutto intorno è silenzio, le slitte scivolano sulla neve senza far rumore. Quale distanza infinita ci separa! Lei nel cuore dell'inverno, io in un paese dove gli alberi già verdeggiano e dove scrivo queste righe, alle undici di sera, con le finestre spalancate! Nadezna von Meck. Se questo poscritto le sembrasse sconveniente lo consideri come una fantasia febbrile di un animo morbosamente eccitato dalla sua musica e non resti scandalizzato per simili effusioni poiché di quando in quando il mio cervello è veramente sconvolto. Clarens, 13 marzo 1878 Le avevo appena spedita una lettera, cara amica, quando arrivò la sua che mi ha profondamente commosso. Reputo i momenti più felici della mia vita quelli in cui prendo coscienza che la mia musica riesce a toccare gli altri nel profondo del cuore, e soprattutto coloro che mi sono cari, coloro la cui comprensione mi è più preziosa della gloria e del successo pubblico. Ho forse bisogno di assicurarle ancora una volta che ella è la persona che amo con ogni più riposta fibra del cuore? Mai ancora in vita mia, ho trovato una creatura a me affine quanto lei, che sappia così acutamente intuire ogni pensiero, ogni palpito del mio cuore. La sua amicizia mi è ormai necessaria come l'aria che ci circonda; nella mia vita non v'è istante in cui nel pensiero non mi senta accanto a lei... Mentre lavoro, ho la continua percezione che quanto vado stendendo sulla carta, sarà ascoltato ed accolto con simpatia da lei. Mosca, 19 marzo 1878 Ho ricevuto or ora la sua lettera e la ringrazio con tutto il cuore per la sua sincerità e la sua franchezza. Sono proprio queste le qualità che apprezzo tanto, che mi ispirano una fiducia senza limiti in lei. Ora vorrei spiegarle per qual motivo le avevo proposto quel cambiamento di forma. Mentre le scrivevo mi trovavo in uno stato di tale insolito ardore da dimenticare ogni cosa intorno: in quel momento non sarei stata in grado di dire su quale pianeta viviamo. Ero completamehte in balia della musica e del suo autore. In una simile condizione di spirito, il 'lei', questa raffinata invenzione della convenienza e della cortesia sotto la quale tanto spesso si celano l'odio, la malizia e l'inganno, mi sembrava intollerabile. In quel momento usare il 'lei' mi sembra difficile, ma già l'indomani, ritornata in uno stato normale, rimpiangevo la mia proposta: avevo paura che lei potesse accondiscendere al mio desiderio, sebbene le riuscisse difficile, forse soltanto per non offendermi. Consideriamo dunque chiusa questa faccenda. |
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