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BIOGRAFIA, PENSIERI, FILOSOFIA DI

PETR ILJIC CIAJKOVSKIJ

ATTRAVERSO


LETTERE, RICORDI E TESTIMONIANZE


SVENTURA NEL GRUPPO DEGLI AMICI
MORTE DI NICOLAI RUBINSTEIN

MARZO - DICEMBRE 1881

In quei tempi accaddero in Russia eventi di vasta risonanza. Il 28 gennaio 1881 morì Dostojevski [II] il 16 marzo lo seguì Musorgskij e, il 1° marzo, l'imperatore Alessandro II

cadde vittima della bomba di un anarchico.


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Soltanto poche ore prima dell'attentato lo zar aveva sottoscritto, con l'intenzione di elargirlo al suo regno e di promulgarlo il giorno appresso, il testo completamente rinnovato di una nuova costituzione. Non erano ancor leggi largamente liberali come quelle da gran tempo in vigore nei Paesi dell'Occidente; tuttavia, se quella bomba avesse fallito il bersaglio e la costituzione fosse stata promulgata, ben diversa sorte sarebbe toccata alla Russia.
A Napoli, ove giunse dopo essersi fermato qualche giorno a Firenze e a Roma, Ciajkovskij ebbe notizia dell'attentato e ne rimase profondamente sconvolto.

A Vienna mi trovai in una bufera di neve, - scrive all'amica -. Faceva freddo come a Pietroburgo e perciò proseguii subito il viaggio. Quando al confine udii i primi accenti della lingua italiana e scorsi i lineamenti tipici di questo popolo da me così amato, un'ondata di calore mi salì 4 cuore. Poi con quale entusiasmo, di prima mattina, risvegliandomi in prossimità di Firenze, riconobbi la fisionomia ben nota di quel paesaggio illuminato dal sole! Dopo la tormenta del giorno innanzi, mi parve una visione di sogno. Finalmente arrivammo nella cara, splendida Firenze. Dopo colazione feci una passeggiata pel Viale dei Colli, da Porta Romana a San Miniato; passai davanti alla villa Oppenheim e visitai villa Bonciani dove mi trattenni brevemente. Mio Dio, come ricomparvero dolci i ricordi dell'autunno 1878! Dolci e dolorosi insieme. Quel tempo non tornerà più e, se per avventura dovesse tornare, tutto sarebbe diverso. Da allora sono passati due anni e mezzo e noi siamo ormai vecchi!
Com'è doloroso, ma com'è bello! Che colori! Che piacere sedere davanti alla finestra aperta con un mazzo di di viole davanti a sé e respirare la fresca aria della primavera. O meravigliosa, o benedetta terra!

A Roma eccolo di nuovo oberato da impegni di società ai quali non sempre riesce a sfuggire. Sente molto la mancanza di Aljoscia, il fedele compagno di tutti i suoi viaggi, che adesso per quattro lunghi anni starà a fare il soldato.

La solitudine completa mi opprime. Ne ho avuto recentemente la prova a Firenze. Dopo la passeggiata meridiana lungo il Viale dei Colli, che aveva risvegliato in me tanti dolci ricordi del tempo passato, ecco che la sera, tutto solo, fui colto da una pena e da un'angoscia insopportabili. Come mi è gravosa la perdita di Aljoscia!

Già a Mosca Petr era stato informato che Nadezda von Meck avesse subito gravi dissesti finanziari. Vladimir, il ventunenne figlio prediletto, amministrava il colossale patrimonio per incarico della madre, ma pare che non fosse all'altezza del compito. Lui e sua moglie amavano godersi spensieratamente la vita. La giovane donna aveva abitudine di fare grandi acquisti a Parigi e di far mandare i conti alla suocera. La signora Nadezda ogni momento doveva metter mano alla borsa e pagare, altrimenti Lisa, la nuora, minacciava di togliere il suo piccolo Voljiscka alla nonna, assolutamente pazza per quel nipotino e desiderosa di averlo sempre con sé.
Petr è preoccupato: si domanda se in tali circostanze egli debba continuare ad accettare la rendita che l'amica gli ha accordato. Tanto a Mosca quanto a Pietroburgo egli può in qualsiasi momento riavere un posto al Conservatorio e provvedere alla sua esistenza.
Ma allora addio libertà, addio possibilità di lavorare senza legami!

Mi dica, per amor del cielo, la verità, amica cara, e stia sicura che io reputerei felicità somma rinunciare a tutte le sovvenzioni materiali per render meno pesante la sua situazione. Ha già fatto fin troppo per me. Non esagero dicendo che debbo la vita a lei. Se ella in quel terribile periodo non fosse apparsa nella mia esistenza come un angelo salvatore, io non avrei mai superato la crisi e sarei caduto nel baratro.
Non mi nasconda nulla, amica carissima! Se lei dovesse davvero esser costretta a limitare i suoi impegni, permetta anche a me di cambiar tenore di vita. Prenderei un incarico in un Conservatorio dove in qualsiasi momento posso essere bene accolto.

Nadezda si affrettò a tranquillarlo. vero: la sua situazione si presentava un po' difficile e confusa; ma le esigue somme che Petr riceveva da lei non avevan nulla a vedere con le paventate, possibili perdite di milioni. Doveva sostenere una lotta accanita con gente cui aveva fatto solo del bene e che adesso tentava di prenderla per il collo. Grazie alla sua energia, ella sperava di aver però ragione degli avversari; lo pregava dunque, con tutto il cuore, di non preoccuparsi di lei.
Tuttavia Petr non si rassicurò così facilmente e soffrì molto pensando che l'amica dovesse affrontare tante inimicizie e tante traversie.

Oh se gli uomini fossero Cristiani, non soltanto di nome bensì nella concretezza dei fatti! Se tutti fossero compenetrati delle semplici verità della dottrina cristiana! Questo, purtroppo, non sarà mai, perché altrimenti il regno dei cieli sarebbe vicino. Tuttavia, sembra che siamo al mondo soltanto per combattere senza tregua contro i malvagi, inseguire l'ideale, lottare per la verità e non mai raggiunger la meta.
Ho pensieri neri. Ma come potrebbe sser altrimenti, di fronte a problemi cui la nostra debole ragione non riesce a dar risposta, problemi quali son quelli della morte, del significato e scopo della nostra vita, problemi dell'eternità? In queste condizioni mi sento illuminare sempre più intensamente dalla luce della fede.
Sì, amica mia, sembra che quel baluardo mi difenda sempre meglio da ogni male. Comincio ad amare Iddio, - ciò che finora non mi era possibile. Ho ancora molti dubbi e non smetto di far tentativi per arrivare a comprendere l'impenetrabile coi mezzi della mia debole ragione. Tuttavia la voce della verità divina si fa sentire sempre più forte. Che indescrivibile consolazione inchinarsi alla saggezza di Dio!
Spesso mi rivolgo a Lui, fra le lagrime (non so dov'Egli è, so solo che esiste), e Lo prego di concedermi la Sua grazia, di perdonarmi, di illuminarmi. Com'è dolce poterGli dire: Signore, sia fatta la Tua volontà! Poiché lo so: la Sua volontà è sacra.
Le confesso, amica cara, che ovunque, in tutta la mia vita, mi par di vedere come il dito di Dio m'abbia indicato chiaramente la strada e m'abbia preservato da ogni male. Perché la volontà dell'Onnipotente protegga proprio me, non so. Voglio essere umile e non ritenermi un eletto, poiché Dio ama tutte le Sue creature. Spesso, verso lagrime di gratitudine considerando la Sua bontà, ma capisco che questo non basta. Voglio abituarmi al pensiero che anche la sventura è per il nostro bene; voglio amare Iddio sempre, non soltanto quando mi mette alla prova.
Una volta suonerà l'ora in cui tutti i problemi insolubili, tutti i misteri della nostra vita saranno svelati e noi comprenderemo perché Dio ci ha voluti provare. Voglio credere nella vita futura. Se ci arrivassi, mi potrei allora dire felice, se mai felicità è possibile in questa terra.

A Napoli, Petr ricevette un telegramma da Mosca con la notizia che Nicolai Rubinstein,

malato gravemente, era in viaggio alla volta di Nizza per cercare un po' di sollievo. Ciajkovskij partì immediatamente per Nizza; ma là non trovò né Rubinstein né notizie di lui. Telegrafò allora a Parigi e gli risposero che l'amico era sì arrivato da qualche giorno, ma in tali condizioni da non permettergli il viaggio per Nizza. Sconvolto, Petr si precipitò a Parigi e al Grand Hotel incontrò la signora Tretjakova, moglie del primo sindaco di Mosca, la quale, insieme con altre signore russe, aveva assistito per alcuni giorni l'artista mortalmente malato. Egli era spirato fra le loro braccia e le sue spoglie mortali erano adesso custodite nella chiesa russa.
Petr non riuscì a credere a quest'evento inatteso e ne rimase come istupidito. Ogni ricordo dei contrasti avuti con Nicolai Rubinstein era adesso svanito, e lui pensava con commozione alle molteplici qualità dell'uomo, al suo brillantissimo talento artistico, alla sua sorprendente energia, all'ineguagliabile capacità di organizzatore. Si rendeva conto come, in grazia di quelle doti, Rubinstein avesse fatto di Mosca una città musicale di primaria importanza; avesse creato quel Conservatorio a lui così caro, quel Conservatorio cui aveva dedicato i tesori della sua competenza direttoriale. Adesso se n'era andato, era scomparso quell'amico, sempre pronto a tenere a battesimo ogni sua nuova composizione; quell'amico che aveva fatto trionfare, con splendide esecuzioni, il suo Concerto per pianoforte e la sua Sonata in sol maggiore.
I primi sintomi della malattia di Rubinstein si erano manifestati due mesi avanti e i medici di Mosca, perfino il celebre professor Sakharjin, non eran riusciti a diagnosticare il male, tanto meno a trovare il rimedio. Intanto il malato, di settimana in settimana, si faceva più debole e perdeva gradatamente le forze. Così, venne deciso di mandarlo a Nizza, nella speranza che gli giovasse l'aria marina. Soltanto con enorme sforzo Rubinstein riuscì a superare il viaggio fino a Parigi. Là, un noto medico francese dichiarò trattarsi di una tubercolosi intestinale e non trovò parole sufficienti a dimostrare la sua indignazione per l'insipienza dei colleghi moscoviti. Pochi giorni dopo, fra orrende sofferenze, il degente cessava di vivere.

Il funerale ebbe luogo ieri. La chiesa era gremita. La bara era stata collocata nella cappella inferiore e là io lo vidi per l'ultima volta. Il suo viso era così mutato da apparire quasi irriconoscibile. Mio Dio, che atroci istanti!

Durante la cerimonia funebre la porta della cappella si spalancò tutto a un tratto e la testa leonina di Anton Rubinstein, accorso dalla Spagna per il funerale del fratello, si profilò nella penombra. Oltre alla comunità russa con alla testa Turgenev,

eran presenti, per tributare all'estinto l'estremo onore, molti famosi musicisti francesi fra cui Colonne, Massenet e la Viardot. Alcuni giorni dopo il feretro venne caricato su un carro ferroviario e le spoglie mortali trasportate a Mosca, dove Rubinstein trovò l'estremo riposo. Con la partecipazione di una grande folla, la salma venne scortata alla sua sepoltura nel Convento di San Danilo. Circa in quel periodo Petr passò per Pietroburgo e per Mosca, diretto a Kamenka. A Mosca gli venne offerto il posto di direttore del Conservatorio, ma egli declinò l'invito. La morte di Rubinstein aveva aperto una grande falla nella vita musicale della città, soprattutto perché sembrava impossibile trovare un successore degno dell'estinto. Con Rubinstein non era scomparso soltanto l'insigne pianista, l'illustre direttore dei concerti sinfonici, ma anche il fautore indomabile di ogni iniziativa e d'ogni progresso.

A Mosca ho rivisto Aljoscia, - scrive Petr a Nadezda - ed ora il mio rammarico per la sua lontananza si è fatto ancor più vivo e cocente. È molto cambiato e non certo in meglio; vive nella sporcizia come tutti i soldati in caserma, ed è peggiorato soprattutto moralmente. Il pensiero che quattro anni di caserma lo possano trasformare radicalmente, mi riesce insopportabile. Dopo questo lungo periodo Aljoscia tornerà a me, ma, purtroppo, sarà assolutamente un altro! Il male è che adesso, più che mai, io sento di aver bisogno di lui; adesso che tanto dolore si è addensato sulla mia vita. Basterebbe la sua presenza, la sola consapevolezza di aver accanto una creatura così illimitatamente devota a darmi forza per superare il segreto dolore che mi rode. Tutto ciò che me lo ricorda mi porta una malinconia da non dirsi e mi fa sentire più acutamente la sua assenza. Mi figuro che un estraneo leggendo queste righe, possa sorridere e stupirsi che io mi rattristi e soffra tanto per un domestico. Per me questo domestico non è soltanto un servitore, ma un amico, un caro affettuoso amico.

Petr arrivò a Kamenka in uno stato di abbattimento estremo: non gli fu possibile raccogliersi né comporre nuova musica.

Non sento la minima voglia di creare, di comporre qualcosa di originale. Talvolta, mi coglie il pensiero che la mia canzoncina sia giunta alla fine, che la mia forza creativa sia esaurita. Poi, fortunatamente, mi ricordo che anche in passato ci furon periodi in cui l'ispirazione mi veniva a mancare.

Poiché la situazione economica della signora von Meck continuava ad essere assai precaria, Petr si guardò intorno alla ricerca di possibilità di guadagno. Di nuovo la sua cassa era vuota; chiese perciò lavoro a Jurgenson, il suo editore,

e questi gli propose immediatamente di curare un'edizione completa delle opere di Bortnjanski.


1751 - 1825

Costretto dal bisogno, Ciajkovskij si assunse questo gravoso incarico, restando incatenato alla scrivania, per mesi e mesi gemente sotto il peso di un lavoro che non lo interessava per nulla. Bortnjanski, compositore russo assai fecondo della fine del diciottesimo secolo, lavorò intieramente sotto l'influenza italiana e mancò di un qualsivoglia carattere tipicamente nazionale. Ebbe tuttavia una certa importanza e la sua musica sacra, in ispecie, fu largamente diffusa. I dieci volumi dell'edizione completa, che qualche tempo dopo vennero pubblicati da Jürgenson, offrono testimonianza della collaborazione di Ciajkovskij.

Jurgenson:

Kamenka, 31 luglio 1881

Sto occupandomi a fondo di Bortnjanski con l'intenzione di finire al più presto quest'esecrabile lavoro. Qualche volta mi lascio trasportare dal'ira e vorrei scaraventar via tutto poiché non posso assolutamente soffrire quest'autore, privo di qualsiasi interesse. Poi però mi calmo e vi assicuro che porterò il lavoro a termine perché ho l'abitudine di non lasciare mai a mezzo quel che ho cominciato.

Quando Nadezda venne a sapere che Petr si era assunto quel lavoro soltanto per bisogno di denaro, parve fuori di sé per l'indignazione:

Non posso sopportare il pensiero, - gli scrive, - che lei, l'autore della Quarta Sinfonia, debba darsi da fare con Bortnjanski. E perché? Perché la necessità di denaro! È inammissibile, è assolutamente incredibile! È assurdo che io spenda migliaia di rubli in conti d'albergo, mentre lei è alle prese con Bortnjanski.
Sa, mio caro, che cosa mi ha ferito? Che lei non si sia rivolto a me, avendo bisogno di denaro. Dio la perdoni; ora non vada in collera con me se mi permetto di inviarle un assegno.


Di questo inatteso invio di denaro, proprio ora che l'amica si trova in situazione così difficile, Petr rimase estremamente commosso. Lesse le righe di Nadezda con gli occhi gonfi di lagrime:

Le mie entrate, che non sono disprezzabili, vanno dissipate più in favore agli altri che in favore mio. Non lo dico per farmi un vanto della mia bontà, ma lo devo dire per spiegare come mai, nonostante i miei cospicui guadagni, mi trovi spesso in difficoltà ed abbia per ciò dovuto accettare un lavoro così insulso come l'edizione delle opere di Bortnjanski. Tutti i miei cari mi accusano di prodigalità e pretendono che io ami fare il benefattore in una misura esorbitante i miei mezzi. Ma che fare se mi imbatto continuamente in miserie autentiche, se gente in bisogno ricorre a me senza tregua? Non so mentire e le dico quindi che la somma che ella mi ha inviato mi restituisce la libertà e mi preserva da molti fastidi. Non posso ora lasciar a mezzo il lavoro intrapreso, ma ne passerò una parte a un musicista di Mosca.

Nel frattempo Nadezda von Meck aveva fatto e rifatto i suoi conti. Un'infinità di volte si era recata da Brailov a Mosca per trattare con avvocati, magnati della finanza e agenti di borsa e, alla fine, si era dovuta arrendere alla dolorosa necessità di vendere il suo caro, il suo bellissimo Brailov allo scopo di pagare i debiti. Disgraziatamente, per l'intera proprietà non le venne offerto che un milione e mezzo di rubli: somma troppo meschina per un bene tanto prezioso. Ciò malgrado, non c'era via d'uscita. Invece di ricavare da Brailov e dall'annesso zuccherificio una fonte di guadagno, ella aveva perso, un anno dopo l'altro, duecentomila rubli. Ebbe il sospetto che l'agente polacco, incaricato da molti anni di amministrare i suoi beni, avesse imbrogliata, così come risulta da accenni occorsi nelle lettere a Petr Iljic. Ciò malgrado, Nadezda non trovò la forza per indursi a licenziare quell'uomo. Le avversità avevano avuto ragione, alla lunga, della sua ferrea volontà. Non le restava, adesso, che tirare una riga sul passato.

Amico sommamente caro! - scrive -. Con che infinita tristezza mi accingo a comunicarle che Brailov è venduto! Mai più dunque potrò invitarla là. Ho passato giorni difficili, angosciosi, prima di risolvermi alla vendita. Ma ormai che la decisione è presa, non permetto ai miei pensieri di indugiare sul significato di questa perdita, così dolorosa e cocente per il mio cuore. Ora aspiro febbrilmente ad acquistare un'altra tenuta. Infatti, mio caro, trovarsi così ad un tratto fra cielo e terra, senza un punto d'appoggio e con una famiglia numerosa come la mia, è un grosso guaio.

Del resto, anche a Kamenka la numerosa famiglia Davidov procurò a Petr preoccupazioni continue. Alexandra, la sorella, e Tatjana, la figlia maggiore eran sempre malate e cercavano di attutire le loro sofferenze per mezzo della morfina, subendo tutte le conseguenze che questo comporta. La secondogenita, Vera, era fidanzata a Rimski-Korsakov, un aiutante di campo del granduca Costantino. Era la stessa persona, si ricorderà, che Nadezda von Meck aveva preso in considerazione quale futura moglie pel figlio Kolja. Per Kolja, invece di Vera, Petr propose adesso la sedicenne Anna, affermando di apprezzar molto le ottime qualità di carattere e di intelligenza della nipotina. Come già abbiamo avuto occasione di accennare, questa mediazione matrimoniale andrà a buon fine.
Qualche anno più tardi, Nicolai von Meck farà sua sposa Anna Davidova e ne sortirà un felice matrimonio.

Di tanto in tanto si rifaceva viva Antonina. Essa riceveva regolarmente da Petr la sua pensione ma, come traspare dalle sue lettere, non era mai tranquilla, ora lamentandosi, ora minacciando chissà quali rivelazioni e, più spesso, richiedendo altro denaro. Tutto questo produceva in Petr un vero furore e toccava sempre al fedele Jurgenson far da intermediario fra i due sposi separati. In quanto al divorzio, così ardentemente desiderato da Petr, non si faceva un passo avanti. Un bel giorno Jurgenson scoprì che Antonina aveva un amante e che, dl questo amante, aveva avuto un figlio affidato poi al brefotrofio. Petr trasse un gran respiro di sollievo e sperò, finalmente, d'essere lasciato in pace. In effetti, d'allora in poi, dalla moglie non riceverà più lettere.
Antonina, questa sciagurata creatura, visse tutta la sua vita nell'illusione che ogni uomo fosse innamorato di lei. Mise al mondo altri figli, di cui nessuno sa chi fossero i padri, e che non portarono il nome di Ciajkovskij, anche se Antonina figurava ancora come moglie del musicista. Si ignora che cosa accadde di quei bambini. Nel 1896 la sventurata donna venne ricoverata in un manicomio e là visse ancora ventun anni finché la morte non venne a liberarla.
Siamo frattanto giunti al novembre del 1881. Per quasi un anno Petr non aveva composto nulla; il lavoro di revisione delle opere di Bortnjanski era infine terminato. Nulla dunque lo tratteneva più a Kamenka. In fretta, passando da Kiev e da Vienna, si diresse alla volta di Roma dove Modest lo attendeva, mentre Nadezda si trovava già a Firenze da alcune settimane.
A Kiev visitò il famoso Convento delle Grotte, la Lavra, e rimase affascinato dai canti liturgici che vi si conservavano immutati da parecchi secoli.

Scriveva il musicista da Kiev:

Poiché ho una grande passione per la musica sacra, visito spesso le chiese e soprattutto il convento di Lavra. Le esecuzioni vocali di San Michele e della Chiesa dei Fratelli vengon sempre citate a esempio, ma io le ho trovate oltremodo superficiali ed annacquate da interpolazioni concertistiche. Tutt'altra cosa è Lavra: qui si canta secondo una tradizione millenaria, senza musica scritta, senza false pretese di canto artistico. Come sono originali, caratteristici e nello stesso tempo potenti, quei cori! Il pubblico però non ne capisce niente e dà le sue preferenze al canto dolciastro che può ascoltare nelle altre chiese. È una costatazione veramente triste e irritante.

A Roma, Petr in compagnia di Modest e dell'allievo di questi si ritrovò in perfetta, salute. Scrisse dunque all'amica:

Ho fatto diversi progetti ed ho una gran voglia di comporre, ma non ho ancor dato inizio a nulla di preciso. Tutto quanto ho creato finora mi sembra così insignificante, così immaturo e incompleto...
Ieri andai a un concerto celebrativo del settantesimo compleanno di Franz Liszt. In programma figuravano soltanto opere sue; furono eseguite piuttosto mediocremente, alla presenza dello stesso Liszt.

Era commovente osservare il geniale artista, stupito e commosso per l'omaggio entusiastico degli italiani. Le composizioni di Liszt però mi lasciano freddo: contengono più idee poetiche che non una autentica forza creativa, più colore che disegno; in breve: le sue composizioni abbondano di grandi effetti, ma intimamente sono vuote...
Domenica assisteremo a una Messa solenne in San Pietro, celebrata dal Papa: non si può immaginare niente di più grandioso della processione papale con cardinali, vescovi, camerlenghi, in costumi medievali, accompagnata dai cori del Palestrina.

Petr stava allora scrivendo, per la signora Nadezda, un Trio con pianoforte, dedicato alla memoria di Nicolai Rubinstein («À la mémoire d'un grand artiste»):

Quando saprà, carissima, che cosa compongo ora, resterà stupita. Una volta ella mi domandò di scrivere un Trio per pianoforte, violino e violoncello e ricorderà forse ancora la mia risposta. Le dissi allora di provare avversione per un simile complesso di strumenti. Adesso ho invece deciso improvvisamente di avventurarmi in questo campo da cui mi ero tenuto finora lontano. L'inizio del Trio è già abbozzato. Se lo porterò a termine, se mi riuscirà, non so.
Spero però con tutta l'anima che mi riesca...
Non posso negare che mi costa fatica riversare le mie idee musicali in una forma per me così nuova, così insolita. Voglio però uscir vittorioso di tutte le difficoltà e mi sento pungolato, oserei dire esaltato, dalla convinzione che lei sarà contenta.

Intanto, a Roma, Petr sembrava in favorevoli circostanze per lavorare, allorquando le notizie giunte dalla patria incominciarono ad allarmano. Dopo l'assassinio dello zar Alessandro II, era salito al trono il figlio suo Alessandro III, [**] e sotto questo nuovo zar, la reazione conobbe i suoi trionfi.

L'onnipotente procuratore superiore del Santo Sinodo, Pobedonoszev

e il pubblicista slavofilo Katkov, ebbero praticamente in mano le sorti della Russia. Petr, in quel tempo, scriveva:

Per la nostra povera cara patria son cominciati tempi oscuri. Malcontento e ribellione covano; ci sta come sull'orlo di un vulcano che possa esplodere da un momento all'altro. Che bella cosa sarebbe se in questo momento sedesse sul trono uno zar autorevole e intelligente! Ahimè, le sorti della Russia sono affidate a un monarca buono, ma poco intelligente, a un monarca piuttosto ignorante, che con le sue mani inesperte non è in grado di metter ordine nel confuso meccanismo dello stato. In realtà non abbiamo affatto un governo. Lo zar si rintana nella sua residenza di Gatscina (presso Pietroburgo) e resta succube di Katkov o segue i consigli di Pobedonoszev.
A mio avviso, ora o mai più, l'imperatore dovrebbe, in mancanza di statisti eminenti, prender consiglio e appoggio dal popolo. Dovrebbe interpellare noi tutti perché collaboriamo col consiglio e l'azione a rinnovare e a rafforzare il potere dello Stato. Quello che ci occorre è il «Semski Ssobor»
[rappresentanza del popolo di tutte le classi, che gli Zar prima di Pietro il Grande convocavano di tanto in tanto a Mosca, per apprendere i desideri del popolo e ottenerne in qualche caso la collaborazione]. Katkov, che definisce «salotti di conversazione» i parlamenti, confonde il «Semski Siobor», istituito per intervenire come consigliere degli zar, con le rappresentanze parlamentari dell'Occidente. Il «Semski Siobor» potrebbe forse respingere la costituzione nel senso europeo; quello che a noi importa non è ottenere di colpo ministri responsabili e ordinamenti statali uguali a quelli inglesi; quello che a noi importa è che la verità venga alla luce, che il governo goda di nuovo della fiducia della nazione, che il popolo stesso venga interpellato e dica la propria opinione.