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BIOGRAFIA, PENSIERI, FILOSOFIA DI

PETR ILJIC CIAJKOVSKIJ

ATTRAVERSO


LETTERE, RICORDI E TESTIMONIANZE

Nelle relazioni umane reciproche, siano esse di amicizia, di amore o coniugali, sono rari i momenti di calma assoluta, di equilibrio perfetto. S'incontra piuttosto una fluidità continua, un «su e giù» dei rapporti reciproci la cui tensione ora cresce, ora si allenta. E quanto più le persone sono per natura sensibili e delicate, tanto più labile si rivela il legame, tanto più esso va soggetto ad alternative tra la felicità più eccelsa e la depressione più profonda.
Anche in Petr e in Nadezda von Meck osservammo già questo continuo alternarsi di umori. Sono ambedue nature passionali; in entrambi il temperamento, la vita impulsiva si manifesta con esplosioni; entrambi sono dotati di una sensibilità estrema, di un carattere introverso e son perciò, nel loro intimo, due esseri solitari.
I quattro anni della loro amicizia che siam venuti narrando fin qui, possono essere in certo qual modo considerati cdme la «luna di miele» di questa singolare relazione. È un periodo di meravigliosa intensità, di esplosioni di passione autentica, di dichiarazioni d'amore, di affascinanti confessioni e, da parte del compositore, di rivelazioni sul suo modo di comporre, sulla natura della sua ispirazione; confessioni di raro interesse, perché ci permettono di penetrare nell'intimo del processo creativo con una pienezza e un'apertura com'è accaduto per pochissimi altri artisti.
Senonché, una simile rovente passione non poteva essere destinata a durare a lungo, anche perché la natura delle relazioni fra questi due personaggi, sempre separati anche quando sono vicini, risultava del tutto eccezionale e, in certo senso, assurda. Come si ricorderà, una volta Petr stesso, scrivendo al fratello, ebbe a definire «non normali» i suoi rapporti con la signora Nadezda.
La profondità del sentimento che li univa andò dunque perdendo d'intensità. Certo per un decennio ancora, i due amici si scambiarono una gran quantità di lettere, ma la stessa tensione prese a diminuire, il contenuto della corrispondenza perse di interesse e le ripetizioni delle stesse cose, delle stesse osservazioni diventarono frequenti. Quella di scriversi diventò per entrambi un'abitudine e, a poco a poco, decadde al livello di un formale scambio di notizie.
Ma non fu soltanto lo strano colloquio epistolare a perder mordente; anche l'evoluzione artistica del musicista seguì una parabola discendente. A misura che la sua fama cresceva nel mondo, il suo modo di vivere si faceva più frenetico e superficiale.
Eternamente inquieto, girava il mondo come un pazzo. Il suo demone lo spingeva a lavori sempre nuovi; ma con quali risultati? Per lunghi anni la sua produzione risulterà più o meno caduca.
In un senso generale potremmo affermare che anche per l'artista creatore non ci può esser un traguardo su cui sostare senza che questo significhi già una certa decadenza. Naturalmente non si può stabilire una regola stretta: molti grandi artisti, nel corso della loro vita, si sono evoluti da inizi assolutamente insignificanti, attraverso opere sempre più valide, fino a dare il meglio di sé in età matura o addirittura nella vecchiaia.
Non è raro però imbattersi anche nel cammino inverso: l'artista profonde il meglio di sé negli anni giovanili e declina con l'avanzare dell'età.
Il periodo di vita che narreremo in questo capitolo mostra appunto Ciajkovskij autore nella sua parabola discendente. Si direbbe che la sua vena creativa sia esaurita, fino a che, sul declino dell'esistenza, riuscirà ancora a produrre opere di grande valore: la Quinta, la Sesta Sinfonia e La Dama di Picche.

Quando penso che un tempo lavoravo senza il minimo sforzo, e non conoscevo neppure occasionali momenti di incertezza e di disperazione, mi sembra di essere un altro. Nei primi anni componevo con la stessa semplicità e con lo stesso istinto che determina un pesce a viver nell'acqua o un uccello a volare nell'aria. Ora tutto è diverso: assomiglio piuttosto a un individuo condannato a portare un caro, ma greve fardello.

Un fardello che Ciajkovskij, costi quel che costi, sente di dover portare fino alla fine. Egli non può fare a meno di comporre, ma il lavoro non esce più dalla sua mano con la felicità di un tempo.

L'ispirazione non c'è. Ogni giorno mi accingo a lavorare, ma perdo subito la voglia e ricomincio a temere che per me sia finita... Quante esperienze ho vissute, e come poco ho concluso! Perfino nella mia particolare professione, lo confesso, non mi è riuscito niente di perfetto, niente di esemplare. Continuo a cercare, vacillo, sbaglio.

Queste parole si riferiscono agli anni in cui videro la luce la Seconda e la Terza Suite per orchestra (op. 53 e op. 55). L'ultima delle due venne eseguita per la prima volta a Pietroburgo sotto la direzione di Hans von Bülow e fu accolta con entusiastico favore dal pubblico e dalla stampa.
Anche Mazeppa, un'opera tratta dall'epopea Poltava, di Puskin,


PUSKIN RITRATTO DA ILYA REPIN

a cui Petr ha lavorato due anni, rivela ancora una volta che egli non è un compositore drammatico. I teatri dell'Opera di Mosca e di Pietroburgo la mettono in scena quasi contemporaneamente, ma l'opera non ha alcun successo.
La fama di Petr cresceva tuttavia di anno in anno. In patria e all'estero era diventato una personalità corteggiata e tenuta nella massima considerazione. Quando venne a trovarsi di nuovo in difficoltà finanziarie, ecco che ricevette dallo zar Alessandro III

un dono di tremila rubli.
La città di Mosca gli affidò l'incarico di scrivere una Cantata da eseguirsi alla presenza del sovrano nelle sale delle Feste al Cremlino. Poco tempo dopo l'imperatore lo ricevette in udienza e gli concesse un'alta decorazione. La sua musica risultava di facile comprensione, non presentava problemi e, per questo, otteneva largo favore presso la famiglia imperiale e presso i circoli di Corte. Ciajkovskij era ormai considerato il compositore più rappresentativo di tutta la Russia.
Allora egli aspirò ad avere finalmente una propria casa. Da quando la sorella Alexandra, dopo una lunga malattia, si era spenta e i figli di lei s'erano sposati, mentre i più piccoli frequentavano ancora le scuole, Kamenka aveva cessato di essere per lui un rifugio.
Quand'ecco, nel 1885, l'opportunità di costituirsi una casa tutta sua. Nel piccolo villaggio di Maidanovo, presso Klin, fra Mosca e Pietroburgo, il musicista prese in affitto una casa, con una vasta terrazza in mezzo a un gran giardino, una casa lontana da ogni rumore e difesa da ogni disturbo.

Vicino c'è un boschetto di betulle e in lontananza si scorge il campanile della chiesa del villaggio. Klin dista da Mosca un'ora e mezzo di ferrovia; da Klin a Maidanovo ci sono altri due chilometri. L'eterno inquieto sperò di trovarvi la sua pace. Ad Aljoscia, ch'era appunto tornato dai servizio militare, lasciò l'incaricò di arredare la casa, e il fedele domestico si fece in quattro perché essa riuscisse confortevole il meglio possibile. Acquistò i mobili, appese le tendine alle finestre, fece venire da Mosca l'ormai venerando pianoforte a coda di Becker, che aveva reso a Petr tanti buoni servigi, e sistemò tutto in modo di presentare, secondo il suo gusto, un'aria accogliente. Ne nacque un arredamento messo insieme un po' a casaccio e in modo alquanto buffo; ma Petr se ne dimostrò contentissimo. Oltre ad Aljoscia accudivano alla casa un cuoco, un giardiniere ed una lavandaia.
Nuove composizioni videro la luce nella nuova dimora. Noi già conosciamo il metodo di lavoro dei maestro; metodo sempre rispettato ovunque egli si trovi. Levata dal letto verso le sette e mezzo del mattino, breve toilette e prima colazione a base di tè. Quindi una passeggiata di mezz'ora, e, alle nove, incominciare il lavoro. Allora nessuno doveva più disturbarlo. All'una del pomeriggio la seconda colazione, poi una passeggiata di due ore, tutto solo. Non c'era maltempo che valesse a trattenerlo in casa, dato ch'egli era convinto di conservarsi in buona salute proprio grazie a quel contatto quotidiano con l'aria pura. Camminando le idee musicali si affacciavano nella sua mente ed egli le annotava alla svelta su qualche foglietto per poi leggerle e svilupparle al pianoforte. Verso le quattro cadeva l'ora del tè; dalle cinque alle sette riprendeva il lavoro ed esauriva in tal modo il suo dovere quotidiano. Da quel momento si metteva a disposizione degli amici, felicissimo di trovarsi in loro compagnia. Dopo cena faceva musica insieme con loro, giocava alle carte e beveva allegramente dell'alcool. Di questo, tollerava dosi massiccie, tanto che nessuno mai lo vide ubriaco. Alle undici si ritirava nella sua camera, si metteva a letto e leggeva per qualche ora. Una stanza era sempre pronta per gli amici; giacché anche lui, da buon russo, era molto ospitale ed amava vedersi intorno gente, averne con sé anche per settimane intere. Gli ospiti non mancavano mai e il collegamento con la vicina Mosca funzionava sempre. A nessuno tuttavia era lecito disturbano mentre lavorava.
Appena installato a Maidanovo, Petr si tuffò nel lavoro. Quale prima opera, compose nella nuova casa il poema sinfonico in quattro tempi Manfred (op. 58). Il programma di questo lavoro era stato abbozzato da Balakirev sulla traccia del celebre poema di Byron. A Petr, però, simili prescrizioni programmatiche riuscivan sempre penose:

Preferisco cento volte comporre senza programma. Quando compongo musica a programma, ho sempre la sensazione d'ingannare chi ascolta, pagando non in oro, ma in rubli di carta, di nessun valore.

L'opera, eseguita a Mosca nel 1886, non ebbe successo.
Petr, sulle prime, mostrò una grande predilezione per questo suo prodotto; più tardi, però, prese a detestano, come risulta da una lettera del 1888 al granduca Costantino:

Manfred è un'opera orrenda e io posso dire di odiarla, ad eccezione, forse, del primo «tempo». Col consenso dell'editore voglio distruggere gli altri tre «tempi» che non valgono nulla, soprattutto il finale.
Come Sinfonia è troppo lunga e io ne vorrei fare una specie di quadro sinfonico. Solo così, Manfred potrà avere successo. Ho composto il primo «tempo» con piacere, ma gli altri mi costarono un tale sforzo che finii per ammalarmi.

Il progetto di trasformare l'opera in poema sinfonico a un «tempo» solo, non fu mai attuato.
Per due anni, Petr lavorò alla composizione di un melodramma intitolato La maliarda (Ciarodeika). Il lavoro lo affaticò e procedette a stento. Rassegnato, annotò nel diario:
Ho lavorato di nuovo di mala voglia. E poi dicono che sono geniale! Che sciocchezza!
La prima esecuzione di quell'opera ebbe luogo a Pietroburgo nel 1887. Gli applausi non mancarono, ma l'autore capì benissimo come si trattasse di un omaggio reso alla sua persona, non alla sua creazione artistica.
La situazione si presentò invece diversa nel caso di Vakula il fabbro, opera che egli aveva composto fin dalla prima giovinezza, quando la sua fantasia fiammeggiava. La Vigilia del Natale, novella fantastico-demoniaca di Gogol

lo aveva allora letteralmente esaltato ed egli se ne era ispirato per un libretto ricco di situazioni svariate. La musica composta originariamente era piena di brio e, sotto molti aspetti affascinante, anche se in quegli anni giovanili il maestro non fosse padrone della tecnica e, conseguentemente, cadesse spesso in goffaggini. Ora egli si accinse a rielaborare il vecchio prediletto spartito, che, ribattezzato col vezzoso titolo Gli stivaletti della zarina, subì una radicale trasformazione. Nella sua nuova forma, l'opera avrebbe dovuto andare in scena per la prima volta al teatro di Mosca; senonché Altani, il direttore d'orchestra cui l'allestimento era affidato, venne ad ammalarsi improvvisamente. Petr fu allora assediato di richieste perché lui stesso si assumesse il compito di preparare e dirigere il lavoro. Acconsentì a malincuore:

Si era sempre ritenuto che io non avessi attitudine come direttore, ed io stesso ne ero convinto, tanto più quando il secondo tentativo per vincere la mia morbosa timidezza si trovò miseramente a fallire. Ciò nonostante, volendo farmene persuaso e spingermi a vincere la istintiva diffidenza verso me stesso, i miei fautori, primo fra tutti l'amico Altani, incominciarono a pungolarmi, anche perché NON credevano che la mia inettitudine a diriger l'orchestra avrebbe sempre rappresentato un ostacolo in rapporto alla diffusione delle mie composizioni. Sembra infatti che il fatto di salire sul podio a dirigere dia un sensibile incremento alla fama di un compositore. Incoraggiato da quelle esortazioni, mi risolsi dunque a prendere in mia mano io stesso le redini del comando.

Per conseguenza, al principio di gennaio del 1887 Ciajkovskij si trasferì a Mosca e, durante le poche settimane di prove, andò ad abitare in Mjasnitzkaja, nella casa della signora von Meck. Nadezda era partita, ma tutta la servitù si trovava a sua disposizione. Ciajkovskij scrisse all'amica, il 14 gennaio:

Ormai da otto giorni godo della sua ospitalità, e sotto il suo tetto vivo come sul cuore di Cristo. Non potrò mai esserle abbastanza riconoscente per le attenzioni di cui sono fatto oggetto in casa sua. Faccio tutte le mattine una passeggiata e alle undici sono già sul podio, di fronte all'orchestra. Le prove durano fino alle quattro. Mi stancano talmente che, appena arrivo a casa, devo stendermi sul letto e riposare. Verso sera le forze ritornano e solo allora mangio. Certo, dirigere non mi riesce facile e mi costa un grande sforzo nervoso.
Devo però confessare che mi dà anche molta gioia. In primo luogo trovo molto sollievo nel vincere la mia innata timidezza; in secondo luogo è una consolazione per l'autore di un'opera nuova curarne lui stesso l'esecuzione senza essere continuamente obbligato a rivolgersi al direttore per rettificare questo o quell'errore. Infine, da tutte le parti mi vengono tante e sincere manifestazioni di simpatia che io mi sento profondamente felice.

Il giorno della rappresentazione si avvicinava. Petr, per l'eccitazione incominciava a sentirsi male e doveva far appello a tutte le sue forze per riuscire a dominare la situazione. Sentiva però giungergli da ogni parte l'atteggiamento di cordialità di tutti i colleghi, la stima universalmente tributatagli, e se ne trovava confortato, con grande vantaggio dell'esecuzione. Alla fine dell'opera scoppiò un grande applauso, le ovazioni al suo indirizzo sembrarono non aver line, i fiori e le corone piovvero su di lui. Alla recita seguì il consueto banchetto e solo verso mattina Petr poté abbandonarsi spossato sul letto.
Gli stivaletti della Zarina (nota anche col titolo di Cerevitscki) ottenne però a Mosca, e, di lì a poco, a Pietroburgo un successo effimero. In seguito venne ripresa solo talvolta, e all'estero, ivi compresa la Germania, ebbe qualche rappresentazione sporadica.
Chissà che un giorno un regista di talento e un direttore d'orchestra ricco di fantasia non riescano a far rivivere e far trionfare questo suggestivo lavoro. Esso contiene infatti pagine di musica così incantevoli ed un'azione così brillante e fuor del comune che a un tentativo in tal senso non dovrebbe mancare il successo.
Nella vita di Petr la rappresentazione degli Stivaletti ebbe il significato di una svolta notevole. Essa gli diede occasione di sperimentare le proprie forze come direttore d'orchestra e, cosa ancor più importante, gli ridonò fiducia in se stesso. D'ora in avanti potrà, sia in patria che all'estero, presentarsi in persona a dirigere le sue composizioni.
Le tournées concertistiche andarono prendendo da quel momento sempre maggior estensione e la timidezza apparve finalmente debellata.
L'amico pavido, introverso, coi nervi a fior di pelle, morbosamente emotivo, che la signora Nadezda aveva conosciuto, si era trasformato in un uomo di mondo, che, se sopportava contro voglia gli aspetti deteriori delle relazioni sociali e delle manifestazioni di omaggio, godeva tuttavia appieno i molti vantaggi di una fama universale, faticosamente e finalmente raggiunta.


LA «QUINTA SINFONIA»
«LA DAMA DI PICCHE»
VIAGGIO IN AMERICA