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LA DISFATTA DELLE DONNE

TATIANA


CATHERINE CLEMENT

L'OPERA LIRICA
O LA DISFATTA DELLE DONNE


MARSILIO EDITORE

INTRODUZIONE
DI GIORGIO STREHLER



LE MARMELLATE

Un tiepido crepuscolo fra le betulle: è estate nella pianura russa. È l'unico caso in cui sono le marmellate a inaugurare un'opera lirica. Queste marmellate... Come credere che siano la chiave di Eugen Onegin? In primo piano sulla scena il tempo è mite, non manca molto al calar della sera, bisogna affrettarsi ma non troppo, Madame Larina e la nutrice mescolano la marmellata in pentole di rame. Sullo sfondo, oltre queste donne già vecchie, due fanciulle cantano. Imitano semplicemente, al confine della notte, il flauto e l'usignolo. Cantano placidamente la tristezza e la dolcezza. E le due vecchie malinconiche ricordano; un tempo, entrambe serbano il ricordo, Madame Larina cantava così. Amava tanto Richardson, era giovane...
Fidanzata con un uomo che non amava, innamorata di un altro tanto raffinato, la fanciulla di un tempo, ormai anziana, ritrova un'aria di giovinezza attraverso i canti delle figlie. La soprannominavano «Céline». Poi è venuto il matrimonio, il marito, poi... si è ribellata, infine si è abituata. Non più sentimenti, eleganza, libri romantici. Al loro posto, «coprifasce e cuffia ovattata». La filosofia di Madame Larina che termina insieme nostalgie e marmellate, mentre i servi le portano le primizie del raccolto, sta in due frasi, sorde e robuste parole in contrappunto ai canti delle fanciulle: «L'abitudine è un dono del cielo che in noi sostituisce la felicità».
Eugen Onegin, ovvero come le figlie ripetono la storia delle madri.

Soggetto:

Tatiana e Olga sono figlie di una proprietaria terriera alquanto benestante, Madame Larina. Olga è quasi fidanzata con un giovane poeta, Lenski. Eccolo venire in visita accompagnato da un damerino che sfoggia tutti gli orpelli della moda cittadina. Lenski corteggia la sua Olga, Tatiana ed Eugenio conversano. Tatiana si innamora a prima vista. Gli scrive, durante la notte, una lunga lettera appassionata. Ma all'indomani Eugenio la riceve freddamente, burlandosi un po' di lei. Più tardi ha luogo un ricevimento a casa di Madame Larina. Olga danza con Lenski. Tatiana con Eugenio. Per burlarsi delle comari che sparlano di lui, e poiché comincia decisamente ad annoiarsi, Onegin corteggia Olga. Esplode il dramma: Lenski sfida l'amico a duello e il primo colpo di pistola di Eugenio uccide il poeta. Anni dopo, ritroviamo Eugenio Onegin a Pietroburgo. Si annoia sempre più. Entra una donna superba, fra tutte la più radiosa: è la principessa Grémine, è Tatiana. Grémine è amico di Onegin, ma costui a sua volta si innamora follemente. Sorprende Tatiana a casa sua e le dichiara invano la sua passione. Ma è troppo tardi ormai e Tatiana resterà fedele al marito. La nostalgia non è più quello che essa comunque non ha mai cessato di essere.

Eugen Onegin non è un'opera drammatica. Non accade niente, insomma quasi niente. Una fanciulla, un amore di gioventù, un duello, un piacere di rievocare che non approda a nulla, un'immensa tristezza, niente, ti dico. Onegin è solo un giovanotto alquanto odioso, insignificante, con il ciuffo ribelle che gli ha disegnato Puskin in una breve caricatura. E abbiamo sentito dire a sufficienza che quest'opera di Puskin, che occupa un posto così essenziale nella cultura russa, non si può tradurre in nessuna lingua. Un lungo e intraducibile poema sulla borghesia russa, le sue conserve, le sue letture e i piccoli strazi dell'anima, che per un periodo di tempo, solo per un periodo, turbano l'anima delle donne e degli uomini. Occorreva Ciajkovskij, mai così geniale come nelle opere, per riuscire a descrivere le betulle, le cuffie ovattate, i valzer brillanti della corte e le polke campagnole di una società che cercava in Europa i suoi punti di riferimento. Quello smorzato romanticismo, quello «Sturm und Drang» casalingo, quella dolcezza sparsa un po' dappertutto sono appena interrotti da alcuni grandi moti passionali: la sofferenza del poeta Lenski, la sua morte così rapida e gli ultimi singhiozzi di un damerino che, stanne certo, con questo amore disperato alimenterà la sua noia.
Ma c'è Tatiana. Esiste più forte di ogni cosa, mentre attraversa con lo stesso ardore lo spazio della casa di campagna e lo spazio della brillante Pietroburgo, la fanciulla e la seduzione. Non appena la sua voce triste si leva, nella melodia a due nel crepuscolo familiare entrano in lei una serenità appassionata, un'ala di cigno, una prostrazione, una fragilità nondimeno resistente che non si smentiranno. Ascoltala, nelle sue contrastate figure. Ascolta come la fanciulla cade in una trappola che non conosce. Eccola, come la madre, innamorata di un damerino. Lei lo sa? Non è necessario: l'inconscio lavora senza proferir parola, attraverso i silenzi. E come Madame Larina anche lei si sposa con un altro; come lei, si abitua. Abbastanza, almeno - «Coprifasce e cuffia ovattata» -, da rifiutare l'amore di Onegin, l'antico ricordo di gioventù che ha tanto atteso e che sempre ama. È la storia di una donna ragionevole; a dire il vero niente di cui fare un «buon» libretto d'opera.
Ma sì. Ascolta il dramma sommesso, il dolore soffocato sotto la calma e la vita familiare. Onegin è un seduttore. E per noia che lancia a Tatiana uno sguardo, tale da indurla a scrivergli la lettera. Ancora per noia decide di fare la corte a Olga... Un vero seduttore, come io intendeva Sören Kierkegaard. È là, «piccolo individuo» senza spessore, solo per provocare. Provocare l'emozione, la delusione, per seminare lo scompiglio. Per niente. Vi perderà la vita - come richiede l'opera lirica, ci sarà comunque un morto - soltanto il gentile ed inutile Lenski, figura sacrificata del poeta cara a Puskin che finisce per identificarsi con lui e morirne.
Ma Tatiana la viva è un poeta donna. Spetta a lei, in un mondo in cui la madre e la nutrice sono vecchie, incarnare la giovinezza. Giovinezza spezzata in due dalla seduzione maschile. Infranta, disfatta, perduta, la giovinezza di Tatiana. Non la sua bellezza, almeno; quando, divenuta principessa Grémine, fa la sua comparsa, e con in capo un capello cremisi che colpisce Onegin al cuore - da che dipendono le cose! - Tatiana è ormai donna. E sposa fedele. La favola è crudele e più vera di molte altre sulla scena dell'opera lirica. Reduce dalle emozioni violente di Verdi, Puccini, Bellini vedendo per la prima volta Eugen Onegin mi sono annoiata a morte. Ricordo di aver parlato di quella noia a Pierre Macherey; questo teorico marxista è tra coloro che pensano e sentono l'opera nel modo più giusto. E lui: «Vedrai... È un'opera che parla degli amori di gioventù. E dopo che riaffiora alla memoria». Era vero. In un secondo tempo, più tardi, quando anche i miei amori di gioventù s'infransero, riaffiorarono ricordi, note. Come se la nostra stessa adolescenza e i nostri sogni fossero ritornati.
Tatiana è nella sua camera. I violini cantano da strappare l'anima, adagio. Adagio: la nutrice è ancora lì, che rimbocca il letto alla sua bambina. La bambina è diventata grande inaspettatamente e chiede alla nutrice: sei mai stata innamorata? Ma no, non si parlava di amore, a quei tempi. E la nutrice racconta la sua storia in cui si sottolinea - ma è ancora così dolce, come la calma che c'è in quella camera di fanciulla - l'immensa radicale differenza di classe. A tredici anni la nutrice è stata maritata dai genitori e da una mezzana, il padre l'ha benedetta, le hanno fatto una bella treccia e poi si è ritrovata in un'altra famiglia. Queste sono le semplici e vere parole cantate dalla nutrice. Ma Tatiana non ascolta niente; soffre tanto. Dice d'essere innamorata. La nutrice, che non sa nemmeno di che cosa si tratti, la crede malata, va a cercare l'acqua benedetta. E la musica si sdoppia. A Tatiana il puntuale slancio romantico; alla nutrice il ritmo regolare e tradizionale di un lamento che conosce soltanto il passare del tempo e l'abitudine. Bisognerà aspettare che la vecchia contadina esca perché la «passione» borghese possa finalmente prorompere.
Tatiana è sola in camicia da notte bianca. I violoncelli esitano insieme a lei, l'avvolgono, e comincia la lunga, lunghissima sequenza che attraverso un lento crescendo di toni trascina la fanciulla fino all'acme della passione d'amore. Punteggiata da flauti tranquilli e da oboe dolcissimi, la lettera si scrive mentre Tatiana canta al ritmo di una penna che scorre sulla carta. Il destino ha deciso, è lui, è dio, siamo noi, un sogno, un angelo o un demonio... Frasi sconnesse, parole in equilibrio sulla musica, parole d'amore per nessuno, per un fantasma d'amore. Il corpo assente, pieno del niente che qualifica quest'opera, il vuoto delle passioni giovanili e la loro vana violenza, Tatiana scrive una lettera. Alle fanciulle piace scrivere lettere.
Spesso si scrivono lettere nelle opere. Ma sono destinate a far effetto, a causare intrighi, a indurre i personaggi all'atto che farà procedere il libretto: lettere d'appuntamento, lettere di riconoscimento di un'eroina che ha perso la famiglia, false lettere di tradimento. Non le vedrai mai in fase di scrittura, perché solo il loro senso importa. Con Tatiana è un'altra cosa: lei scrive, qui sta l'atto. Scrive, qui stanno l'intrigo e il sentimento. Il breve istante, i pochi minuti di canto solitario rappresentano una lunga notte d'amore: la sua sola e unica notte d'amore. Il suo vero salto alato, il suo «librarsi». All'alba eccola tutta nuova, come un fiore appena sbocciato dalla montagna.
Pronto per la delusione. Pronto per l'atto stesso della seduzione. Oh, ti ho letto e riletto Sören, ho ben inteso quello che scrivi, e con quale compiacimento. No, la seduzione non è solamente l'atto di farsi amare quando non si ama; è sopra tutto far sapere a chi vi ama che non io ricambiate. È troncare lo slancio, tarpare le ali, far piegare il capo e far sì che la fanciulla porti in sé questa delusione per sempre diffidente. È l'alba. Ritorna la nutrice. Tatiana è più bella che mai; un po' pallida; la nutrice s'inquieta. Tatiana le affida la lettera nello stesso modo in cui ci si lancia nel vuoto. Chi non ha mai gettato una lettera in una cassetta, buco irreversibile, con il cuore in gola e la mente sospesa davanti all'irrimediabile?
Quando Eugenio Onegin, tanto paternalista da risultare offensivo, parlerà a Tatiana dall'alto della sua maturità dicendole per l'appunto che una fanciulla può benissimo sostituire i suoi sogni con altri sogni, lei avrà solo una parola: «Che vergogna...». È già finita. Il resto - il ballo, il duello, i valzer di corte a Pietroburgo - altro non sono se non verifiche, digressioni. Tutto è fatto.
Ancora una volta verrà reso omaggio alla fanciulla, e a farlo sarà un vecchio. Il bizzarro Triquet, l'affascinante vicino francese. Con una romanza venuta da quella Francia mitica che rappresenta, nella romantica Russia, gli amori e il fascino, egli esprime la sua adorazione di uomo vecchio davanti a Tatiana. E solo una semplice romanza. Le strofe sono idiote. I giochi di parole stupidi. Ma Tatiana è regina in quel ballo di provincia, adorata da un vecchio francese e disprezzata dall'altro. Quando durante quell'altra festa da ballo in cui lei indossa un cappello di velluto cremisi, Onegin la troverà finalmente degna di lui, il tempo e l'incancellabile segno della seduzione avranno compiuto il loro lavoro, e resterà solamente uno scarto. Lei l'amava, lui non l'amava; lui l'ama, lei non è più libera. Sipario sugli amori di gioventù; lei, la fanciulla, è scomparsa. Ecco giunto il tempo delle marmellate.