LAURETO RODONI

IL TRIONFO DI... MINKOWSKI E FLIMM

Memorabile rappresentazione del primo
oratorio del ventiduenne Händel


ARCHIVIO


IL TRIONFO DEL TEMPO E DEL DISINGANNO

DI G. F. HÄNDEL
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Musikalische Leitung: Marc Minkowski
Inszenierung:
Jürgen Flimm
Bühnenbild:
Erich Wonder
Kostüme:
Florence von Gerkan
Regiemitarbeit:
Gudrun Hartmann
Choreographie:
Catharina Lühr
Lichtgestaltung:
Martin Gebhardt

Bellezza:
Isabel Rey
Piacere:
Cecilia Bartoli
Disinganno:
Marijana Mijanovic
Tempo:
Christoph Strehl

Orchestra «La Scintilla» der Oper Zürich
Statistenverein am Opernhaus Zürich
Tänzerinnen, Schauspielerinnen


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© HERMANN UND CLÄRCHEN BAUS - D-51069 KÖLN-DELLBRÜCK



Il Piacere (Cecilia Bartoli) e la Bellezza (Isabel Rey)
Com’è noto, l’allestimento de Il Trionfo del Tempo e del Disinganno non era previsto nel cartellone della stagione 2002-2003 all’Opernhaus di Zurigo: è stato infatti un ripiego imposto dalla forzata rinuncia, per motivi di salute, di Nikolaus Harnoncourt, che avrebbe dovuto dirigere l’opera Armida di Haydn. Può sembrare paradossale, ma quasi all'unanimità i recensori hanno collocato questa produzione 'last minute' al vertice della stagione operistica zurighese in corso. E ciò è una ulteriore conferma della flessibilità, della vitalità, dello spessore di un Teatro d’Opera, che, grazie al sapiente acume del sovrintendente Alexander Pereira e alla dinamicità del suo team, è diventato uno tra i migliori teatri d’opera del mondo; un teatro in cui il grande repertorio, quasi sempre rivisitato con originalità sul piano musicale e/o su quello drammaturgico e scenografico, si alterna con opere meno note, ma quasi sempre di cospicuo valore e/o interesse culturale.



La Bellezza, il Tempo (Christopher Strehl).
Alle loro spalle, due avventori, il secondo dei quali è... alato.
Anche per chi scrive la première dell’oratorio che Händel scrisse all’età di 22 anni è stata un’esperienza estetica emozionante, un evento musicale miliare: auguriamoci che questo spettacolo possa essere immortalato, come altre notevoli recenti produzioni zurighesi, su un supporto DVD e consegnato alla Storia dell'Interpretazione.



Il Piacere e la Bellezza
Sul piano teatrale, la mise-en-scène di Jürgen Flimm e del suo granitico team (Erich Wonder, scenografo, e Florence von Gerkan, costumista è di una bellezza sontuosa e... proterva: essa si impone infatti agli occhi dello spettatore con inusitata forza espressiva, lo soggioga, lo 'cattura', senza però mai offendere o soffocare la musica; anzi, la simbiosi fra l'aspetto musicale e quello drammaturgico è tale che essi si valorizzano reciprocamente, facendo emergere dall'oratorio significati reconditi o possibilità esegetiche finora sconosciute; da segnalare inoltre le belle coreografie di Catharina Lühr e la 'Lichtgestaltung' di Martin Gebhardt)



Il Disinganno (Mirijana Mijanovic), la Bellezza e il Tempo
Essendo un oratorio non destinato alla scena, nel testo non vi sono didascalie: per un regista trasgressivo, fantasioso, raffinato e colto quale è Flimm, il 'nulla è possibile' e la staticità, insiti in questo genere vocale-strumentale, divengono... 'tutto è possibile' e frenetico movimento. Con un vero e proprio coup de génie il grande regista tedesco è infatti riuscito a dare uno spessore narrativo a una discussione filosofica, a una non-vicenda. E questo anche grazie alla bravura di un nutrito stuolo di comparse, di danzatori e attori vestiti con rara raffinatezza da Florence von Gerkan e guidate da Flimm con somma perizia: uno spettacolo nello spettacolo! E alla fine lo Statistenverein am Opernhaus Zürich ha ottenuto una ben meritata ovazione.



Il Tempo, la Bellezza e il Disinganno
Abituato a stentoree condanne da una parte del pubblico delle premières (l’ala per così dire conservatrice), Flimm, alla fine dello spettacolo, non credeva alle proprie orecchie. Consapevole di aver di nuovo imboccato la via del non-ovvio e della provocazione, è stato subissato di... 'bravo' e non dei soliti 'buuu', ormai di routine per lui. Le premesse erano infatti... 'agghiaccianti': dalle foto di scena pubblicate sul programma di sala, si sapeva, prima che iniziasse lo spettacolo, che Flimm aveva ambientato la dotta discussione fra la Bellezza, il Piacere, il Tempo e il Disinganno attorno a un tavolo di un raffinato bistrot parigino stracolmo di clienti, nelle ore piccole di una fredda e nevosa serata invernale. All’interno di questo spazio scenico i quattro personaggi si muovono, interagiscono con gli altri clienti, sono serviti dai camerieri, assistono alla distribuzione notturno-mattutina dei giornali, alla ormai rituale vendita delle rose (il Piacere acquista tutte le rose vendute da una bambina e le offre alla Bellezza), all'entrata, per due volte, di operai in pausa durante il turno di lavoro notturno...



Il quartetto vocale al completo: nell'ordine da sinistra a destra:
Il Piacere, il Tempo, il Disinganno e la Bellezza
La personificazione di concetti astratti è quindi da Flimm portata alle estreme conseguenze: pur mantenendo ancora una valenza simbolica, allegorica, i personaggi si trovano sullo stesso piano degli altri clienti e quindi sono anche comuni mortali che discettano su dotti argomenti filosofici.



La Bellezza sostenuta dal Tempo
Ma è proprio lo spazio scenico che si carica di quella valenza simbolica in parte dispersa nei quattro personaggi. Un luogo e un tempo indeterminati, dunque, in cui la discussione filosofica non è lo specchio di un’epoca in particolare, ma di tutte le epoche (grazie alla variatio per l'appunto epocale dei costumi di scena) compreso il presente degli spettatori, quando, per esempio, il Piacere sfoglia assorto, al tavolo del bistrot, il... programma di sala o quando il Tempo indica la Verità al di fuori dello spazio scenico: nel teatro, tra gli spettatori. L’ironica irruzione di un organo (il bistrot diventa una sorta di piano-bar) durante la seconda Sonata (la prima funge da Ouverture) suonato da un musicista in costume settecentesco e di un violinista pure in costume d’epoca è una delle rare allusioni, insieme alla comparsa di un essere alato, al periodo nel quale l’oratorio è stato composto.



Il Disinganno inveisce contro la Bellezza
Sul piano musicale, il maestro Marc Minkoski ha saputo vivificare la partitura con tale autorevolezza e competenza stilistica da entusiasmare tutto il pubblico che, alla fine della prima parte, e a ciò non mi è mai capitato di assistere nella mia trentennale, assidua frequentazione dei teatri d'opera, lo ha costretto con caparbia insistenza a presentarsi insieme ai cantanti.



È l'alba... Il Disinganno, la Bellezza (scena della spoliazione) e il Tempo
Il rischio che corre l’interprete di simili composizioni è di 'assecondare' l’apparente uniformità e monotonia dell’oratorio nel suo insieme e dei singoli pezzi in particolare, compreso il recitativo. Poiché i versi delle arie sono ripetuti più volte, soltanto la variatio vocale-strumentale nell’esecuzione delle riprese può conferire compattezza e dinamismo all’insieme. Da questo punto di vista Minkowski è stato esemplare e ha ancora una volta dimostrato quanto la conoscenza, la padronanza assoluta, lo studio dello stile di un autore e di un'epoca siano essenziali per conferire forza e vitalità a molte partiture barocche ritenute a torto scialbe e quindi condannate a essere rinchiuse nel famigerato dimenticatoio. Una filologia intesa da Minkowski non in senso ortodossamente 'bigotto' e arido, ma come fucina di soluzioni timbriche e ritmiche sempre nuove, connesse al senso del testo e allo stato d’animo dei personaggi.



A destra, la Bellezza con l'abito monacale; il Piacere se ne va furente;
e il fantoccio al bar prende fuoco, ma rimane... illeso: uno dei simboli
dell'atemporalità o 'transtemporalità' della vicenda.
© HERMANN UND CLÄRCHEN BAUS - D-51069 KÖLN-DELLBRÜCK
Sul piano vocale, formidabile la performance del contralto Mirijana Mijanovic nel ruolo del Disinganno, interpretato da Flimm come un personaggio depresso, cupo come la veste nera che indossa, ma anche inesorabile nei confronti della Bellezza. Il bellissimo timbro scuro della sua voce conferisce al personaggio uno spessore inusitato. Notevole anche la performance di Cecilia Bartoli (in un ruolo irto di asperrime difficoltà al limite delle possibilità della voce umana) forse troppo irruenta nei momenti frenetici; ma la sua aria «Lascia la spina, cogli la rosa» è un vero e proprio capolavoro interpretativo, che ha scatenato l'entusiasmo del pubblico. È stata inoltre semplicemente perfetta nelle terrificanti acrobazie vocali. Il Tempo è interpretato egregiamente da Christoph Strehl, tenore dal bel timbro tornito e dalla tecnica solidissima.
Nel finale Minkowski e Flimm hanno raggiunto vertici di asciutta, dolcissima drammaticità: sulla musica celestiale di Händel, la Bellezza, con scorata lentezza di movimenti che diviene a poco a poco radiosa serenità soprannaturale, depone gli eleganti abiti mondani per indossare la tonaca monacale.
Isabel Rey ha offerto al pubblico una delle sue migliori interpretazioni sia sul piano scenico, sia su quello vocale, dimostrandosi grande interprete pure nel repertorio barocco. Chi scrive ha avuto la possibilità di assistere anche alla recita di sabato 1º febbraio: tutti i cantanti, al debutto nel loro ruolo, hanno acquisito maggiore sicurezza e disinvoltura rispetto alla première. Ma in particolare la scena finale cantata da Isabel Rey, nel momento in cui la Bellezza diventa Suora, è stata di tale intensità emotiva e spirituale, di tale eterea e serena levità, da tenere col fiato sospeso e commuovere il pubblico che stipava il teatro; pubblico letteralmente frastornato che ha 'devotamente' atteso parecchi secondi prima di esplodere in un fragoroso applauso liberatorio. Senza esagerazione, si è trattato di uno dei momenti più intensi e spiritualmente elevati che chi scrive abbia mai vissuto in un teatro d'opera.
Nel complesso dunque, un cast ideale, per uno spettacolo che diverrà di certo un punto di riferimento per quanto riguarda la rappresentazione scenica dell’oratorio e dell’opera barocca in genere.