Puccini parla della Fanciulla del West e di altre cose

Questa intervista a Puccini comparve sulla "Gazzetta di Torino" dell'11 novembre 1911 (anno LII, n. 311) il giorno stesso in cui iniziavano le rappresentazioni della Fanciulla del West al Teatro Regio di Torino. L'articolo è stato riprodotto integralmente per quanto attiene a Puccini; sono state tagliate due divagazioni, all'inizio e verso la fine, in cui erano descritti con piglio macchiettistico alcuni ospiti dell'albergo dove l'intervista ebbe luogo; è stata tagliata anche la perorazione patriottica conclusiva (l'Italia era impegnata in quel momento nella guerra di Libia). Per il resto sono state rispettate la grafia e la punteggiatura originali, e corretti soltanto pochi evidenti errori di stampa (come anore, corretto in onore). L'articolista si esprime in un linguaggio affettato e ampolloso che non corrisponde a quello di Puccini, quale lo conosciamo dalle lettere; tuttavia non tradisce, anzi rispecchia fedelmente molte idee e interessi dell'intervistato: le propensioni wagneriane, l'importanza attribuita alla messinscena, alla regia e alla recitazione, il disappunto per la «minore fortuna» italiana di Madama Butterfly, l'affermazione dell'autorità del compositore anche sulle scelte spettacolari. I motivi della riproposta di questo articolo sono insomma validi e molteplici.

Giacinto Cattini
IN UNA SALETTA D'ALBERGO: CON GIACOMO PUCCINI

Voi tutti immaginate agevolmente la sala di lettura di un albergo di prim'ordine nell'ora che precede quella del pranzo quando chi è rientrato troppo presto o non si è indugiato a sufficienza nella toeletta convenevole alla refezione imminente vi cerca il modo di annoiarsi decorosamente per un quarto d'ora. [...]
A Giacomo Puccini non dispiacque, invece, accogliermi presso di lui nell'ambiente e nell'ora anzi descritti. Confesso che, a tutta prima, rimasi sconcertato: avevo dunque da provare le armi mie di intervistatore - che è quanto dire di scocciatore professionale - di fronte ad estranei, anzi, a stranieri curiosi fino quasi all'ostilità? Mi pareva di esercitare le proprie funzioni in maniera spudorata... Tuttavia seguii il Maestro illustre nel vano della finestra, ch'egli aveva scelto per il nostro breve colloquio, con sereno animo, giacché quel suo viso arguto e bonario insieme esprimeva una promessa e rassicurava. E fu qui che si compié il prodigio: ero appena sprofondato in un ampio seggiolone a sdraio, avevo appena udite le sue prime parole di saluto che già tutto quello che di estraneo mi attorniava, dileguava lontano, si sperdeva, usciva dal campo delle mie sensazioni. Ora io avvertivo soltanto la gioia di una piacevole intimità con il musicista squisito e la sua voce dal timbro un poco secco, dalle pause frequenti e dal ritmo saltellante, velava il significato della parola di una blanda armonia.

Wagner non muore

Giacomo Puccini m'intratteneva sulla riforma del Genio di Bayreuth, poiché io gli avevo chiesto quello che, a suo modo di giudicare, fosse rimasto vivo di essa e ciò che a traverso gli anni fosse andato smarrito o divenuto inefficace.

Nulla è morto di Riccardo Wagner: l'opera sua è il lievito di tutta la musica contemporanea e qualche cosa è in quella che germinerà ancora, più tardi, in più felici primavere dell'arte. Solché i moderni son venuti condensando e liberando dalle frondosità, dalle esuberanze i precetti del Maestro sommo. E ciò, forse, per minore violenza di genialità ma certamente per il febbrile avvicendarsi di cose, di sogni, di vite che caratterizza l'epoca nostra e per non sminuire l'intensità emotiva con la sovrabbondanza delle sensazioni eccitate.

Questo fervido amore per l'autore di Tristano e Isotta mi richiamò alle labbra una domanda audace: Ritiene Ella che la musica sia atta ad esprimere la vita nella sua più vigorosa e cruda realtà o non piuttosto meglio possa, e quindi debba, librarsi nei cieli sconfinati del più trascendentale lirismo?
Il celeberrimo compositore non ebbe la più piccola esitanza: proclamò:

Per me, la musica è essenzialmente lirica, ciononostante essa non ha più nulla a temere dall'avvicinamento suo con la più umile realtà. Basta vivificarla di un soffio alto e possente. Io stesso, che mi sono studiato sempre di attingere con l'arte del suono i fastigi del sentimento, non ho sdegnato la rovenza disperata della passione di Tosca e più recentemente le situazioni di prepotente drammaticità della Fanciulla del West... Al riguardò, noto tuttavia, che anche nella trattazione di materia così violenta, ho portato il contributo di un'idealità vibrante e raffinata, affine di circondare di un'atmosfera di sogno quei catastrofici episodi umani.
Nel dramma di Belasco, ad esempio, dal quale ho tratto l'opera che chiede stassera il giudizio del pubblico torinese era data assai piccola parte all'elemento redentore della protagonista: io fui che volli dai librettisti uno sviluppo maggiore di esso, onde apparisse più evidente, più sincero questo desiderio di purificazione, quest'anelito affannoso verso una pace conquistata con l'amore e con l'operosità.


La «Fanciulla» per il mondo

Ella mostra di prediligere quest'ultima sua nata: mi racconti, adunque, delle sue venture. Che impressione le è rimasta della sua nuova... conquista dell'America?

Una sola, quella di una grande gioia. Poco le posso dire, fuorché andai a New York, diressi le prove d'assieme, fui rapito dall'esecuzione e stordito dal clamore del successo. Del quale riconosco grandissimo merito all'incomparabile direttore dell'orchestra, Arturo Toscanini, ed ai cantanti, segnatamente al Caruso, la meraviglia canora dell'Orbe, come lo chiamano antonomasticamente in America. Ed ora la Fanciulla comincia a muovere passi fortunati per tutto il mondo. Una tournée per la edizione inglese di essa è cominciata a Watchsburg nel Connecticut con tripla Compagnia e nove repliche settimanali dell'opera. Essa percorrerà tutti i grandi e i piccoli centri degli Stati Uniti, toccando borghi sui quali colonie di minatori conducono ancora quella vita primitiva, che è tratteggiata nel quadro presentato dalla mia più giovane creatura musicale e si recano al botteghino dei baraccamenti adibiti a teatro non con moneta coniata, ma con polvere d'oro. Ed è per me una delle maggiori soddisfazioni d'artista pensare che quei rozzi ed ingenui lavoratori confonderanno in un solo palpito gigante le passioni reali, per cui ansimano i loro gagliardi petti, e quelle create dai miei suoni, suggellate dalla mia fede.
Anche nell'Inghilterra, quindici giorni addietro, ha fatto - e con fortuna - il primo esperimento un'altra tournée della Fanciulla del West che percorrerà oltre all'isole britanniche il Transvaal e l'Australia e durerà non meno di due anni. Sebbene i cantanti e l'orchestra in ambedue siano inglesi ed americani, io ho voluto che interpreti della mia creazione fossero due maestri, uniti a me oltre che dal culto di Euterpe anche dal sangue e dall'amore di quest'Italia, madre immortale del bel suono. Così alla direzione musicale della prima ho preposto il maestro Giorgio Polacco, un giovane che toccherà vertici elevati nel mondo musicale ed a quella della seconda ho chiamato un altro coltissimo e valoroso connazionale, il veneto Tullio Voghera.


Pioggia di dollari e fiaschi... invidiabili

«È una marcia trionfale addirittura!» commento io.

Non nego - risponde con gaia semplicità il mio cortese interlocutore - specialmente se penso alla ricchezza, al buon gusto, alla gelosa cura con cui le rappesentazioni vengono organizzate, preparate, condotte in porto. Di simili cose non si ha in Italia neanche la più lontana idea. Lo studio del particolare è ciò che contrassegna il più modesto regisseur inglese od americano al confronto dei migliori nostri. Le basti dire che per ogni nuova opera o commedia laggiù non si peritano di trasformare con i mezzi più ingegnosi le sale dei teatri: improvvisamente colonne sopportano fiori e lampadine dai colori più teneri o più sgargianti, velarii enormi contendono all'occhio dello spettatore piccoli dettagli architettonici o cromatici, che stonerebbero nell'insieme ambientale, variazioni nella disposizione dei posti apportano una più ampia visuale ed innumerevoli altri lenocinii creano illusioni miracolose. Naturalmente simili squisitezze costano agli impresari un occhio della testa, ma essi ne sono largamente compensati dall'affluenza di pubblico, che è strabocchevole.
Basti ricordare che moltissimi teatri non fanno meno di quattro o cinque mila dollari per sera, che la prima della Fanciulla del West, sebbene a prezzi ordinari, ha segnato un incasso di 16 mila dollari, pari a 80 mila lire italiane. E poi ogni lavoro rimane sul cartellone per centinaia di rappresentazioni, se è appena discreto; se è addirittura un fiasco regge le sue 100 o 120 repliche e poi cade. Ma frattanto l'autore ha già mietuto diecine di migliaia di lire...

«Ecco dei fiaschi - interrompo - di cui gli autori europei vorrebbero colmare le cantine...»

Proprio così - sorride Puccini a for di labbra - ma io le dico troppo di me e ciò non interessa alcuno...

Al contrario, maestro. Ma vorrebbe ella esprimermi un giudizio sui cantanti stranieri?


Il tenore italiano

Le dirò con franchezza che buone voci di soprano e di baritono si trovano in America e nell'Inghilterra, dove manca affatto però il tenore. Di questo fa fede il fatto che appena un italiano emerge alquanto dall'aurea mediocrità per la voce tenorile è tosto accaparrato dagli impresari di quelle nazioni. Piuttosto, non le taccio che i cantanti forestieri sono dei nostri di gran lunga più corretti ed espressivi attori, tanto che spesso si fanno perdonare la relativa valentia canora per l'ottima interpretazione mimica. Anche quindici giorni addietro ho dovuto congratularmi e ringraziare cordialmente il baritono della tournée iniziatasi a Liverpool, sebbene fornito di appena sufficienti mezzi vocali, per la mirabile abilità scenica. Io ho per questa un debole, e non temo di dichiarare che soglio riguardare per quasi tutte le mie opere prima alla parte teatrale o rappresentativa e poi a quella vocale. A me pare che chi voglia fare realmente del teatro, sia pure del teatro musicale, debba accogliere simili preferenze.


Le sorelle maggiori

Delle sorelle maggiori di questa ultima ancor Fanciulla che mi può dire?

Che sono tutte quante ottime figliole e fanno figurare ottimamente il loro papà. S'immagini che la sola Butterfly, che in Italia parve avere minore fortuna, fu nell'anno in corso data al pubblico tedesco oltre quattrocento volte ed in ottanta diversi teatri. Non parliamo poi di Bohème e di Tosca che oramai sembrano correr... persin troppo la cavallina, tanto tutti le vogliono. Di Butterfly mi dispiace non si possa avere nella mia dolcissima patria una edizione quale io gustai altrove, sempre per quella deficienza della mise che in essa è elemento essenziale, complemento indispensabile della musica.


Nel futuro

Vuol figgere un poco gli occhi della mente nel futuro?

Per quel che mi riguarda o per gli altri miei contemporanei?

Per lei e per gli altri.

Cominciamo da questi. Io non sono molto al corrente di quello che fanno, perché frequento pochissimo il teatro. Ad ogni modo, giudico che nel momento attuale sìavi nella Penisola una confortevole fioritura di eletti e colti ingegni musicali. Anche l'opera ci offre buone promesse: anzi, io spero più in essa, che non nella musica sinfonica, perché reputo che l'italiano non abbia di razza il temperamento sinfonico. Tuttavia va data lode ai molti che tentano questa strada, non fosse che per l'ardimento e la serietà dei loro propositi...

Ed ora annunzii quello che intende offrire al dovizioso patrimonio musicale nazionale.

Con tutta sincerità non lavoro. Non sono un routier: non compongo per il solo gusto di ammucchiare della musica. Quando amore non spira, taccio e vivo come se non conoscessi una nota. Avrei però un desiderio: quello di tentare l'opera comica, secondo le migliori tradizioni nostre, ma dispero di trovare il libretto fra noi. L'italiano è troppo sentimentale, ha troppa profondità psicologica per essere ridanciano, per sapere fare dell'umorismo vero, di quello che increspa le labbra ma lascia tranquillo il cuore. D'altra parte io non bado a donde mi giunge l'ispirazione: pur sentendomi con infinito orgoglio figlio di questa bellissima Italia come uomo e cittadino, come artista debbo avere una fede, una religione che è di tutte le epoche e di tutto il mondo. Così, donde che abbia a giungermi il favonio ispiratore, io dico fin d'ora che sia il ben accetto!

Ella, così fervido nell'apprezzare sopra ogni altro il valore lirico della musica non vedrebbe delinearsi visioni tentatrici nel dramma puramente fantastico?

Proprio no, è un genere che non trova alcuna rispondenza in me, a meno che non assurga a un'azione simbolica o racconti una fiaba o leggenda eterna nell'anima umana, come quelle che blandirono i sogni della nostra adolescenza. Ma per questa via, si ritorna attraverso ambagi di varia natura al dramma di sentimento superiore, a quello che io amo.


«Sporcate, sporcate!»

Un cameriere s'inoltrò silenzioso, profferse un biglietto, s'inchinò. Il maestro, fattomi un cenno, l'aperse e sorrise.

Sono gli auguri per stassera, disse con simpatica naturalezza.

Fui così richiamato al ricordo del cimento imminente e, aggiunto il mio al voto amicale dell'ignoto, chiesi se le cose erano procedute fino a quest'ora decisiva con sua soddisfazione.

Sono soddisfattissimo - affermò con una lieta luce negli occhi Giacomo Puccini - di tutto e di tutti: bravi i cantanti, ottima l'orchestra, infaticabile il direttore Vittorio Gui. E magnifici gli scenari del pittore Gheduzzi, segnatamente quello del terzo atto che io considero superiore a quanti hanno servito finora per la mia Fanciulla.

Ed i costumi?...

Tutti riusciti: il più difficile è renderli tali quali minatori e donne del popolo possono ridurli vestendoli a lungo. In America per conferire l'apparenza del logoro in vani punti e quel colore incerto che viene dal lungo uso si adoprano speciali acidi che qui si ignorano. Ho tuttavia personalmente insistito, affinché con creta e tinte varie si raggiungesse lo stesso scopo. Qualcuno era restio a farlo, timoroso di guastare velluti così nuovi e stoffe così peregrine: allora ho presa una decisione eroica; ho telegrafato al vestiarista a Milano, che mi consentisse di farlo in onore alla realtà ambientale. Alla fine ho ricevuto questa laconica ma decisiva risposta telegrafica: Sporcate, sporcate, sporcate! E le garantisco che alle prove susseguenti ho pensato io a sporcare quegli abiti adeguatamente!


«Italia!»

Seguì una pausa piuttosto lunga che mi rese la nozione delle cose e delle persone circostanti. [...] In quel mezzo [...] si levava per la presenza illustre di Giacomo Puccini, alto, radioso, con maestà degna il fantasma dell'arte. Sotto, uno strillone esibiva, assordando, un'edizione straordinaria recante la notizia di una vittoria italiana in quella terra lontana verso cui naviga la fortuna della Patria [...].