BUSONI SU E. T. A. HOFFMANN

 

 

E.T.A. Hoffmann e Edgar Allan Poe

 

Con E.T A. Hoffmann l'americano Edgar Allan Poe ha molto in comune. Tutt'e due sono filosofi dell'inverosimile, e per tutti e due l'inverosimile sta ai confini del possibile. Ma mentre Poe, il logico infallibile - a parte la sua non facilmente imitabile monumentalità - è stato letterariamente sfruttato e saccheggiato, Hoffmann è rimasto manifestamente inimitabile, e privo di discendenza novellistica considerevole.
E fra i letterati degli anni Ottanta non pareva neppure seriamente degno d'imitazione: in quel tempo in cui la lettura di questo romantico mi sostituiva parecchio di quello che l'epoca della mia brama letteraria non era capace di darmi.
Allora si leggevano «Una lotta per Roma», «Una principessa egiziana» e «Il trombettiere di Sackingen» [tre romanzi di larghissimo consumo, n. d. C.]; e sulle fisionomie delle persone serie il nome di Hoffmann suscitava un sorriso indulgente. Lo consideravano uno sprovveduto e anche un corruttore; lo ritenevano discontinuo, contorto, e soprattutto «non vero». Del resto lo conoscevano solo vagamente. - Parrebbe da ammettere che chi di una cosa sa molto dovrebbe aver ragione senza sforzo di chi della stessa cosa sa poco.
Ma non fu affatto cosí: io, bene armato lettore di Hoffmann, contro i negatori di allora che non lo conoscevano ebbi la peggio.

Parigi, 2 febbraio 1914

Da Lo sguardo lieto, p. 413.
 

 

Per i «Racconti fantastici»
di E.T.A. Hoffmann

 

 

Parigi, febbraio 1914

Niente è piú pericoloso alla reale conoscenza di una figura artistica che lo slogan. Sembra calzante, fa risparmiare il fiato e la riflessione e taglia corto a ogni controversia.
«Hoffmann lo spettrale» è il sommario slogan malaugurato che ha nociuto profondamente e per lungo tempo al retto giudizio sul poeta. Lo classificava, e lo contrassegnava anche. «Storie di spettri» sono un genere letterario che, contrariamente alla narrativa modello, si oppone a tutto ciò che è vero. Uno sguardo a cui le fitte penombre del romanticismo siano piú familiari, si accorgerà invece che Hoffmann «inventa» di rado, anzi che ha visto o letto ciò che racconta.

Quando ebbi occasione di confrontare il contenuto del «Signor Formica» con una biografia molto piú antica di Salvator Rosa (occasione che mi fu data da un progetto d'opera su tale soggetto), dovetti constatare, a mia sorpresa, che nel suo racconto Hoffmann aveva seguito passo passo e con fedeltà pedantesca il corso di questa biografia. Ma qui si compie il miracolo. Perché Hoffmann sa avvolgere i fatti vissuti e spesso tolti parola per parola in prestito, in un'atmosfera baluginante e crepuscolare, fuor del comune, irreale, indeterminata e indeterminabile; potenzia un personaggio omico fino a farlo diventare grottesco, singolare, lo immerge in una luce indefinibile e inquietante -: e questo è il suo dono di veggente, il suo genio singolare e oscillatorio.
Questo elemento comincia a vibrare soltanto là dove un cervello normale ritiene conclusa l'osservazione; e tale sovrapposizione e il suo risultato sono paragonabili a quel qualcosa che di notte ci fa apparire gli oggetti diversi da quelli noti. In realtà è raro che Hoffmann abbandoni la verità della vita e, se dalle sue descrizioni ricaviamo l'impressione dell'inverosimile, dell'irregolare e soprannaturale, determinare ciò che fa nascere in noi tale impressione è quasi impossibile.
Spettri e incantesimi non sono mai presentati espressamente come avvenimenti reali, Hoffmann lascia il lettore nell'incertezza. Una parola colta a volo, ascoltata da dietro una parete, lascia intuire cose sconfinate senza dimostrar nulla; antefatti incredibili e raccapriccianti di una persona, che Hoffmann introduce nella forma piú corretta, sono ricostruiti in base a voci di terza mano. Ma per lo piú le apparizioni e i giuochi di prestigio finiscono con l'essere avvenimenti riferiti come li hanno visti o hanno creduto di vederli un sognatore, un ebbro, un febbricitante, un pazzo; e la mattina dopo, alla luce disincantata del giorno, ogni cosa sta al posto che le spetta, spariti gli aloni fantastici o soprannaturali, casalinga e banale.
Hoffmann non garantisce con una sola parola la realtà di quegli avvenimenti incredibili; sempre al giudizio del lettore egli lascia la responsabilità di tirare la linea divisoria tra quanto è reale e quanto è visionario. E tuttavia, con un altro inimitabile giuoco di abilità, riesce a creare nel suo ascoltatore uno stato di incertezza e ve lo abbandona a se stesso.
D'altro lato ci sono diversi elementi simbolici e metafisici che, in veste di figura reale, di personaggio e azione tangibili, guizzano e balenano attraverso gli eventi quotidiani, come la lucertola attraverso il muschio, per esempio i principi del bene e del male, sempre ricorrenti in Hoffmann sotto forme diverse.
Infine la realtà prorompe nei racconti di Hoffmann dovunque egli, presentandosi di persona, fa sentire la sua voce di adoratore e conoscitore delle arti, di umorista e satirico, gentile e feroce, di cultura elevata e di spirito sempre indipendente. Piú copiosamente che mai in quelle conversazioni che tengono tra loro i «Fratelli di Serapione» e in cui Hoffmann si scinde per cosí dire in cinque figure diverse, personificando cosí la multilateralità e le contraddizioni della sua natura.
Paragonabili a un cassone pieno di cianfrusaglie deliziose e divertenti, tra le quali compaiono pezzi di notevole valore (penso per esempio a un saggio sulla musica da chiesa antica e moderna, con la sua mirabile chiusa che sfuma in altezze ultraterrene), queste conversazioni contengono chiarimenti importanti sul carattere personale di Hoffmann. La spiegazione del suo genio fantastico, che ho tentato in queste righe, è formulata colà - concisamente e persuasivamente - nelle frasi seguenti, per bocca di Teodoro:
«Penso che la base della scala celeste, lungo la quale si vuol salire alle regioni superiori, debba essere ancorata nella vita, cosí che ognuno possa seguirci. Quando poi costui, arrampicatosi sempre piú in alto, venga a trovarsi in un fantastico regno incantato, crederà che tale regno appartenga ancora alla sua vita e ne sia anzi la parte piú straordinariamente meravigliosa. :il per lui il bellissimo, stupendo giardino fuori porta, in cui può passeggiare a suo massimo divertimento, pur che si sia deciso a uscire dalle tetre mura della città».

Parigi, 2 febbraio 1914

Da Lo sguardo lieto, pp. 414-416
 

Dall'«Abbozzo di una nuova estetica della musica»

 

Quanto la notazione influisca sullo stile nella musica e incateni la fantasia come da essa si costituisse la «forma» e dalla forma sorgesse il »convenzionalismo» dell'espressione, tutto ciò si mostra con tragica evidenza in E.T.A. Hoffmann, che mi occorre ora alla mente come un esempio tipico.
Le fantasticherie di quest'uomo singolare, che si perdevano in un'atmosfera di sogno e navigavano nel trascendente, come i suoi scritti spesso inimitabilmente dimostrano, a fil di logica avrebbero dovuto trovare il loro linguaggio adatto e la loro efficacia nella sognante e trascendentale arte dei suoni.
I veli del misticismo, l'interna risonanza della natura, il brivido del soprannaturale, la crepuscolare indeterminatezza delle immagini, sempre oscillanti in una specie di dormiveglia, tutto ciò che con la precisa parola egli espresse con tanta efficacia, tutto ciò - si penserebbe - egli avrebbe potuto veramente far vivere per mezzo della musica. Si confronti invece la miglior opera musicale di Hoffmann col piú debole dei suoi lavori letterari e si constaterà, con tristezza, come un tradizionale sistema di battute, periodi e tonalità - su cui pesa ancora il comune stile operistico dell'epoca - potesse fare del poeta un filisteo.
Ci risulta invece da molte osservazioni, e spesso eccellenti, dello scrittore stesso, come egli vagheggiasse un ideale di musica ben diverso. E tra queste all'ordine d'idee del presente opuscolo s'avvicina soprattutto la seguente: «Orbene! L'anima cosmica, che tutto permea, ci sospinge sempre piú lontano, piú lontano; non mai ritornano le figure scomparse quali si mossero nella gioia di vivere: ma eterno, immortale è il vero, e una meravigliosa comunanza spirituale avvolge con il suo misterioso legame passato, presente e futuro.
Ancora vivono in ispirito i grandi maestri antichi, i loro canti non si sono spenti: soltanto, nel rombo e nello scrosciante frastuono della selvaggia follia che s'è precipitata su di noi non vengono piú percepiti. Possa non esser piú lontano il tempo in cui si compirà la nostra speranza; possa incominciare una vita pia nella pace e nella gioia e la musica muova libera e potente le sue serafiche ali, per incominciare di nuovo il suo volo verso l'aldilà che è la sua patria, e da cui conforto e salvezza scendono negli inquieti petti degli uomini.» (E.T.A. Hoffmann, «I fratelli di Serapione»).
Da Lo sguardo lieto, p. 51