LO SGUARDO LIETO

Lo sguardo lieto: tutti gli scritti sulla musica e le arti. Ed. Fedele D'Amico. Trans. Laura Dallapiccola, Luigi Dallapiccola, and Fedele D'Amico. Saggi di arte e di letteratura, vol. 47. Milan: Il Saggiatore, 1977. 550 pp. Indexed.

The most complete edition of Busoni's writings in any language (ordered by thematic categories), including the early articles published in L'Indipendente. Carefully edited, with numerous notes. Contains an introduction by Fedele d'Amico (pp. 11-24) followed by a biographical sketch; back matter consists of lists of writings not included and of Busoni's drawings contained in his essays and of a basic bibliography.


DAI RISVOLTI DI COPERTINA

La gloria del pianista, fra i sommi della storia, offuscò in vita la fama di Ferruccio Busoni compositore, né il divario sembra oggi colmato. Un terzo Busoni esiste tuttavia, il cui peso apparve già ai suoi tempi, almeno in terra germanica, imprescindibile, ed è quello del pensatore. La poetica di Busoni, affidata assai più esplicitamente e compiùtamente ai suoi scritti che alle sue partiture, è un crocevia inevitabile per chi voglia guardar bene addentro la nascita della musica del Novecento e questo, grazie appunto alla sua febbre utopistica, che nell'auspicato affrancamento dai limiti linguistici tradizionali non scorge l'espressione d'una crisi, non che d'un'eversione, bensì l'adempimento d'una vocazione eterna della musica, e l'avvento d'una libertà radiosa, d'una serenità olimpica; donde quello «sguardo lieto» che sarebbe privilegio di chi «guarda innanzi».
Ma anche, obiettivamente, la polivalenza del suo stimolo nelle direzioni più diverse, dall'espressionismo al neoclassicismo. Eppure dei suo pensiero, affidato a scritti innumerevoli nella stessa lingua tedesca in cui Busoni lo formulò non erano reperibili fino ad oggi che testimonianze parziali: tanto meno in altre. La raccolta intitolata Von der Einheit der Musik, che Busoni stesso pubblicò nel 1922 ossia due anni prima della morte, non ne è che un'antologia; dalla quale restano fuori oltre che alcuni inediti, parecchi articoli apparsi in giornali e riviste e altre pubblicazioni periodiche e inoltre l'Abbozzo di una nuova estetica della musica, che tanto chiasso suscitò ai suoi tempi, il fondamentale trattato Sulla trascrizione per pianoforte delle opere per organo di Bach, e la stravagante ma significativa Proposta d'una notazione pianistica organica. Né sostanzialmente le cose mutarono con la libera riedizione postuma di quell'antologia curata nel 1956 da Jakob Herrmann col titolo Wesen und Einheit der Musik e annunciata come «riveduta e completata» ma nella quale le aggiunte erano largamente compensate da soppressioni imponenti. Essa costituiva comunque quanto era fino ad oggi reperibile di lui sul mercato in lingua tedesca, oltre all'«Abbozzo di una nuova estetica», più volte ristampato a parte e al trattato sulla trascrizione dall'organo, pubblicato in appendice del primo volume del Clavicembalo ben temperato di Bach nell'edizione curata da Busoni presso Breitkopf. Mentre in italiano non avevamo in commercio, che la meritoria ma assai succinta antologia curata da G.M. Gatti e Luigi Dallapiccola col titolo Scritti e pensieri sulla musica (1954), che ne amplia una ancora più ristretta apparsa nel 1941.
L'edizione presente accoglie invece, in traduzione italiana, tutti gli scritti di Busoni che è stato possibile ritrovare, ad eccezione della corrispondenza privata, dei libretti e, naturalmente, dei commenti a pie' di pagina alle musiche di Bach o di Liszt da lui rivedute. Inoltre accoglie, in appendice, tutte le giovanili corrispondenze scritte in italiano per il quotidiano di Trieste «L'lndipendente» negli anni 1884-85, e non più ripubblicate se non in minima parte (su periodici, e in traduzione tedesca). E dunque, questo volume, il primo corpus effettivo del pensiero di Busoni che appaia nell'editoria internazionale: pensiero ardente e lucidissimo da cui nessuno può prescindere, che voglia rendersi conto della svolta che la musica occidentale imboccò fra i due ultimi secoli.

INTRODUZIONE DI FEDELE D'AMICO

Nessuno dei suoi propositi di compositore un Bach affidò ad uno scrittto qualsiasi; al contrario, poniamo, di quel Wagner che passò la metà dell'esistenza a prefigurarcene o illustrarcene l'altra metà. Tuttavia la poetica del primo ci è altrettanto chiara che quella del secondo, se non addirittura di più; perché la poetica d'un'opera d'arte è tutta intera nell'opera d'arte, e che la persona più atta a descrivercela sia l'autore non è affatto accertato. Al contrario manca all'aurote, non di rado, la possibilità di misurare la propria poetica al suo contesto storico, tanto più quella d'intuirne la portata - perciò la qualità specifica - rispetto al suo avvenire. Come dire che le sue dichiarazioni in proposito ci tornano utili solo nella misura in cui ci riesca di veriflcarle nell'opera; alla quale dunque in definitiva spetterà il compito di spiegarne il senso - e non viceversa. Solo la musica di Debussy, o di Stravinsky, ci precisa il senso degli scritti con cui Debussy e Stravinsky ci descrivono le poetiche rispettive; ed essenzialmente attraverso quelle musiche queste poetiche hanno esercitato, sul nostro secolo, l'enorme influsso che sappiamo.
Il discorso vale, naturalmente, solo quando l'opera d'arte è da riguardare in quanto tale, cioè come prodotto e forma capaci di comunicare attraverso la loro percezione diretta. Non più quando all'arte si sostituisce la non-arte, al prodotto il progetto, alla forma direttamente percepibile un'algebra seriale, alla partitura il programma di sala e così via; nei quali casi la descrizione verbale della poetica, o fantapoetica che sia divenuta, può sostituirsi all'opera senza residui. Il che però nell'autore dell'Arlecchino e delle sei Sonatine non si dà di certo. Motivo per cui il fenomeno d'una poetica musicale di cui il peso storico si esercita tanto di più attraverso il discorso teorico e critico che non attraverso le musiche suona singolare, e domanda d'esser chiarito.

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Giacché questo appunto è il caso nostro. Al pari di Mahler, Busoni soffrì assai in vita di vedersi tanto più considerato come interprete che come compositore; e certo tra i motivi del suo affetto per Boito contò la gratitudine per averlo Boito rimproverato di non aver interrotto la carriera di pianista per darsi tutto alla composizione. Tuttavia Mahler è stato ampiamente rivalutato, sia pure vari decenni dopo la morte, nella vocazione a cui più teneva, mentre a Busoni questa sorte non è toccata: il numero di coloro che in lui scorgono uno dei grandi compositori del suo tempo è ristretto assai, nessuna delle sue partiture può dirsi in repertorio in alcun paese del mondo, e neppure il cinquantenario della morte, caduto nel 1974, ha suscitato il risveglio che qualcuno se ne aspettava. Tuttavia dalla storia di quella svolta che ha portato la musica dall'Otto al Novecento il suo nome non solo non può essere estromesso, ma neppure collocato in una posizione marginale. E allora, a che titolo?Non certo per la nuda e cruda virtù delle sue musiche, per alta che alcuni la tengano; ne per la figura del pianista (che puro mito non è, tanto eloquenti sono i documenti che ce ne sono rimasti nelle sue revisioni e trascrizioni); ma piuttosto per le idee affidate al saggio, all'articolo, al commento: anche se beninteso da considerare senza astrarle dal resto. Dunque il libro presente, che per la prima volta raccoglie tutti i suoi scritti ad eccezione delle lettere private e dei libretti, dovrebbe aiutarci a compiere, nella conoscenza del personaggio, un passo decisivo.

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Quanto poco - tanto per cambiare - Boito aveva capito nell'impartire quell'ammonimento! Appunto nella sua concezione dell'interpretazione musicale - impensabile senza l'Erlebnis d'una prassi concertistica insaziabile - erano le radici della poetica di Busoni. Che concetto aveva Busoni dell'interpretazione? Come sola fedeltà reale al testo scritto Busoni concepiva un'esecuzione libera da costrizioni letterali e variabile, perpetuo «lavoro in corso», da sera a sera; e sostanzialmente affine era il suo contegno quando pubblicava musiche «di», «da» o «sopra» altri autori. È tipico a questo proposito che i sette volumi della cosiddetta Bach-Busoni-Ausgabe (cioè Edizione Bach-Busoni - da non confondere con i venticinque della Bach-Ausgabe, cioè di tutte le opere di Bach per la tastiera, pubblicati in collaborazione con Egon Petri e Bruno Mugellini) contenga indifferentemente composizioni di Busoni su temi o spunti di Bach, sue trascrizioni per pianoforte da opere di Bach per organo o per violino, e revisioni di opere di Bach (tra cui le due raccolte del Clavicembalo ben temperato) in cui il suo apporto consiste soltanto, a parte l'amplissimo commentario, nel provvedere quelle musiche di indicazioni di tempo, segni d'espressione e diteggiature ad uso del pianoforte, strumento che Bach non aveva previsto. Infatti nella sua mente questi casi diversi tipi d'intervento erano riducibili al principio che la musica del passato va attinta nella sua sostanza attraverso una ri-creazione continua, e nel reciproco che su una qualche ri-creazione ogni creazione musicale si basa: altrimenti detto, che il compositore crea non già operando su astratti materiali linguistici ma portando avanti un passato già formalizzato. Per Busoni infatti la musica è un patrimonio storico in movimento, un insieme di energie già orientate, che il compositore non ha da inventare bensì da elaborare estraendole, poco importa se dal cosmo (dove «milioni di melodie» aleggiano, egli dice, tuttora cela te), o dalle virtualità d'una partitura già scritta. Tanto più che di questo patrimonio, secondo Busoni, noi abbiamo sfruttato sin ora una parte minima, con mezzi limitati e primitivi: il più e il meglio sono ancora da fare.
Donde la sua idea della «nuova classicità». La quale non ha nulla a che fare con «neoclassicismo». Neoclassicismo infatti, nell'accezione assunta in musica sulla soglia degli anni Venti, è ritorno a un qualsiasi stile del passato, «prescelto» fuori d'ogni continuità storica e assunto come modello, ovvero come oggetto di nostalgia, ironia, e via dicendo. La busoniana «nuova classicità» è invece continuità assoluta con la storia, nell'impegno di portarne avanti ogni acquisizione svelandone le virtualità e casi indirizzandole, incessantemente, verso il nuovo. Così l'interpretazione della tradizione diviene eminentemente attiva, appello ad una rivoluzione permanente da condurre nel seno stesso dei mezzi espressivi.
Per questa via Busoni non solo si batte contro ogni routine («fate che tutto sia un principio»), ma passa a proporre tutta una serie di affrancamenti. Anzitutto la rottura delle simmetrie formali, sino alla prospettiva dell'atematismo assoluto. In secondo luogo un progressivo allargamento dei limiti che attualmente costringono i mezzi di cui l'arte musicale si serve. Il che Busoni intende in due direzioni diverse, e complementari, propugnando da un Iato perfezionamenti negli strumenti esistenti (o invenzione di strumenti nuovi) si da ampliarne l'estensione, superarne i «difetti», eccetera, dall'altro l'uso di nuove scale (comincia con l'elencarne centotredici), e anche l'aumento delle note disponibili attraverso l'impiego, anche qui tanto per cominciare, di terzi e conseguentemente sesti di tono. Al che possiamo aggiungere l'affermazione quanto mai recisa di ciò ch'egli chiama «l'unità della musica», ossia la negazione dei «generi»; che l'ampliamento dei «mezzi» dovrebbe investir tutti in eguale misura, non distinguendosi essi in alcun modo l'uno dall'altro.

Evidente in tutto questo è un'aspirazione all'incondizionato, ad una libertà assoluta, una passione inesausta della terra incognita e del nuovo per il nuovo; e con ciò la profezia di tendenze esplose, poco piti tardi, particolarmente nell'espressionismo e, attraverso di esso, nell'avanguardia degli anni Cinquanta; quella che, tanto per dirne una, dagli apparecchi elettronici otterrà suoni d'ogni altezza e volume e colore. Il tutto sotto il governo assoluto della «melodia».

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Senonché, contemporaneamente a profetici messaggi del genere, Busoni ne lancia altri in favore di filoni, pure novecenteschi, ma almeno a prima vista di tutt'altra estrazione. Esempio tipico, le sue idee sull'opera lirica. Per Busoni la musica nelI'opera lirica va chiamata esclusivamente a rendere situazioni già di per se musicali (marce, danze, canzoni) ovvero l'elemento soprannaturale o fantastico, ma non mai indotta a impegni veristici o ad espressioni passionali (esempio il duetto d'amore, sua idiosincrasia segnalata). Meglio; non deve mirare ad esprimere un testo ma appunto ciò che il testo - parola o azione - non può dire; del che si addita un modello nella Barcarola dei Racconti di Hoflmann di Offenbach, in cui la musica ha il compito di portare all'immaginazione dello spettatore il corteggio di barche che si svolge fuori della sua vista, mentre sulla scena si combatte un cruento duello con cui la musica non ha il menomo rapporto. Dunque la musica non si dimostrerebbe mai così veramente «pura», «assoluta», come nell'opera, dove le sue eventuali tentazioni letterarie possono essere evitate appunto dalla presenza di un testo attivo per conto suo. Aggiungiamo che Busoni, nonostante le sue dichiarate aspirazioni al discorso asimmetrico, atematico, eccetera, all'opera prescrive poi l'uso delle prewagneriane forme chiuse; e avremo il conto: l'inno alla libertà e onnipotenza della musica (della «melodia») come sviluppo incondizionato della tradizione si termina nientemeno che con il divieto di cantare le passioni umane, ossia di ciò che dell'opera lirica è causa finale ab aeterno.
Ma questo non è che un esempio. Ancora piti sconcertante può riuscire che dal massimo sviluppo dei mezzi elaborati dalla tradizione e dal loro continuo arricchimento formale e lessicale Busoni si proponga un risultato il cui carattere eminente sarebbe la «semplicità». E ancora.
Nettamente in senso contrario alle tendenze preespressiorustiche si direbbe che suonino i suoi sarcasmi contro la germanica mania della «profondità» («gli apostoli della Nona sinfonia»), i ripetuti appelli alIa «chiarezza!», e simili. Il che spiega come le sue idee abbiano trovato eco, sia pure sotto riserve sinora non bene indagate, su fronti almeno apparentemente opposti, non escluso quello cosiddetto neoclassico.

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Eppure tutto questo non è banale incoerenza ma nasce da una contraddizione storica estremamente significativa, che nella poetica di Busoni s'incarna nell'inconciliabilità fra la sua mistica aspirazione all'incondizionato e i fini cui il suo ideale espressivo mirava, e che erano quelli d'un'arte radiosa, olimpicamente serena, una sorta di musica delle sfere.
Contraddizione tanto più significativa in quanto inconscia; giacché egli non dette mai segno d'averne sospetto. Si spiega casi come l'iniziale interesse per Schoenberg anche nelle sue prime opere «atonali» (non prive di analogie con quanto sulla scotta dell'ultimo Liszt andava componendo lui stesso, tra il 1907 e il 1912, in alcune delle sue Elegien per pianoforte, nel Nocturne symphonique, soprattutto nella Sonatina seconda) ai primi sviluppi dell'espressionismo si allarmasse, e cominciasse ben presto a polemizzare contro il «nuovo per il nuovo» e in favore dell'«arte»; senza intendere quanto fatalmente quell'aspirazione all'incondizionato, all'atematismo, alla moltiplicazione delle «note» oltre quel limite di là dal quale esse cessano di rimaner tali, menasse all'oscuro, alla dissoluzione del linguaggio, alla non-arte del negativo. Prova del nove, la sua insensibilità all'enorme rilievo che andava assumendo il timbro. Busoni era nella pratica orchestratore eccellente, ma nella teoria concepiva l'orchestrazione come semplice incarnazione di valori già interamente costituiti dalla struttura ritmico-tonale d'una data musica, e sostanzialmente inalterabili in qualunque veste strumentale; perciò dell'annientamento che quei valori, anziché svilupparsi secondo i suoi nni, andavano subendo alienandosi, con conseguenze radicalmente antilinguistiche, al timbro e all'agogica, non ebbe coscienza (sebbene alcuni fenomeni in parziale relazione con questo - esempio i nuovi affidamenti rilasciati alla stereofonia - destassero occasionalmente il suo interesse).

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Comunque queste contraddizioni «storiche» (ossia immanenti al momento storico che la musica attraversava in quegli anni) non vanno automaticamente identificate, nonostante tutte le possibili parentele, con le duplicità che alcuni hanno denunciato nel Busoni compositore, e piti che mai in quello della maturità, che a suo dire comincerebbe nel 1898 con la II Sonata per violino e pianoforte. Ora appunto a questo Busoni, ben più che alla sua poetica verbalmente dichiarata, si potrebbe attagliare quell'«indole confinaria», quella «Grenznatur» che Paul Bekker gli attribui: tra due epoche, tra due popoli, tra due arti (che scrisse libretti anche per altri compositori, oltre che per sé), e così via. Di queste pretese duplicità provocò dispute soprattutto la seconda; che Busoni stesso alimentò ostinandosi a dichiararsi italiano all'estero (dove sempre visse dalla giovinezza in poi salvo che nel 1913-15) pur scrivendo libretti e saggi, e pubblicando revisioni di Bach o di chicchessia, imperturbabilmente in tedesco. In realtà la mentalità di Busoni, le sue basi culturali, la sua concezione dell'arte in genere e della musica in ispecie, sono irrimediabilmente germaniche, italiani soltanto certi contenuti o pimenti delle sue opere, che egli assume some oggetto di nostalgia, o come polemici correttivi, ma appunto secondo quella «Sehnsucht nach Italien» che è sentimento germanico se mai ve ne fu. E ciò si dica non solo dei brani apertamente italianeggianti inseriti in contesti ad essi estranei (ad esempio nel Concerto per violino e orchestra, 1896-97, o nel Concerto per pianoforte, coro e orchestra, 1903-04), ma anche in un'opera come l'Arlecchino, 1914-16, intenzionalmente «italiana» (lingua a parte) da cima a fondo, ma nei termini d'un ripensamento dell'opera buffa che deliberatamente consegna le forme e lo stile del genere a nni e simboli di cui la tradizione italiana, fondata su approcci affatto spontanei, non offriva alcun precedente.
Il dualismo essenziale di Busoni compositore è piuttosto quello che si esprime, per dirla con Roman Vlad, nel «costante impulso di vincere e dominate le contingenze affettive [...] trascendendole misticamente o mettendole tra parentesi per render possibile un "divertimento" disimpegnato da ogni emozione che non sia d'ordine puramente estetico». Tipico in questo senso è che di Liszt, ossia del compositore dell'Ottocento di cui più subisce l'influsso, Busoni rigetti completamente appunto l'aspetto più vistoso e trascinante, cioè l'enfasi esclamativa, l'eloquenza (persino nelle parafrasi per pianoforte di opere liriche, genere tradizionalmente votato all'esibizionismo viscerale: certamente Liszt non dette mai in esse nulla di simile a quel miracolo di nitore formale e di pathos rattenuto che è la Fantasia super «Carmen» di Busoni, 1920); casi come, nell'assumere l'eredità sinfonistica dell'Ottocento in genere, ne rifiuta il governo del crescendo e decrescendo emozionale: l'occhio vigile di Bach gliela vieta perentoriamente.
Sublimare, spiritualizzare, per Busoni vale mirare a regioni algide, stratosferiche, d'apparenza asettica; che tuttavia come compositore egli raggiunge soltanto quando gli riesce di tacitare la sua tentazione più frequente, che è quella di sfruttare mezzi eterogenei. Tale è eminentemente il caso dei due atti di Turandot, 1916-17; dove, presa per base la fiaba di Carlo Gozzi (non per nulla nume dalla cultura germanica veneratissimo, non da quella italiana), e l'occhio fisso al Flauto magico, non solo Busoni riesce a graduare il rapporto fra scene parlate e scene musicali (tutte rigorosamente in forma chiusa) secondo una misura d'immateriale esattezza, ma anche raggiunge, tra divertimento intellettuale e grazia melodica, tra gioco e dramma, una magica rotazione che solleva il tutto alla metafisica tensione dell'enigma.                                                

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Ma appunto successi di questo tipo svelano la natura contraddittoria della poetica che i suoi scritti dichiarano. È ben possibile sostenere che in cose come questa Turandot Busoni raggiunga la trascendentale imparzialità emotiva cui dice di mirare; non però grazie a quella rottura dei limiti che la sua poetica sulla carta propone. Qui infatti delle preconizzate forme asimmetriche non è traccia; ne in alcuna sua partitura di quell'atematismo o di quei terzi e sesti di tono ch'essa predica in teoria.
Sì che questa poetica si svela, più che mai, utopia. Ma storicamente significativa appunto in quanto, drammaticamente, tale. «Solo chi guarda innanzi», dice il suo Dottor Faust, «ha lo sguardo lieto»; ora appunto !'impossibilità organica di dimettere questo sguardo lieto, una volta teorizzato l'«innanzi» ossia l'avvenire come progressivo affrancamento da ogni limite e tensione continua verso l'incondizionato, trattiene paradossalmente Busoni dal raggiungere questo «innanzi» nei fatti. Giacché lungi dal condurre a quell'olimpica saggezza che la sua poetica vagheggiava, quel moto non era che fuga in avanti, riflesso d'una generale crisi morale inconsapevole di se stessa.
E questo Busoni lo avverte fisicamente, come istinto di conservazione, anche se non lo «sa». Giunto sul ciglio dell'abisso, non vede l'abisso. E tuttavia s'arresta. Dalla contraddizione che questo arresto involge conviene che parta chi voglia intendere il simbolo che il suo pensiero incarna di quella tanta parte di cultura europea che per mezzo secolo s'impegnò ad interpretare come «amar virar» la propria agonia.

II

Già minacciato dal male che appena due anni dopo lo avrebbe condotto alla morte, nel 1922 Busoní pubblicò a Berlino, presso il Max Hesses Verlag, una raccolta dei suoi scritti, che dedicò a Jakob Wassermann, lo scrittore austriaco col quale nel dopoguerra aveva stretto una amicizia profonda. Il titolo suonava: «Von der Einheit der Musik, verstreute Aufzeichnungen, (Dell'unità della musica, note sparse), e la dedica: An Jakob Wassermann / dem Meister / bescheiden diese Versuche / dem Freunde / vertrauensvoll diese Bekenntnisse widmet Ferruccio Busoni / im jahre 1922 (A J. W. / al Maestro modestamente questi tentativi / all'amico / fiduciosamente queste confessioni / dedica F.B. / nell'anno 1922). E la raccolta era impegnativa, ricca e varia: andava dal saggio di teoria e di estetica al breve «programma di sala», dalla lettera polemica all'analisi erudita, da speculazioni sui terzi e sesti di tono a progetti di scenografie e architetture, fino ad incursioni fuori del terreno musicale e a divagazioni d'ogni genere; accogliendo anche alcuni inediti. Ma era, in rapporto a quanto finora Busoni aveva pubblicato o semplicemente scritto, tutt'altro che completa. Ne restavano fuori, per tacer degl'inediti, il capitale opuscolo Entwurf einer neuen Aesthetik der Tonkunst (Abbozzo d'una nuova estetica della musica) che tanto chiasso aveva suscitato ai suoi tempi, il «Versuch einer organischen Klavier-Noten-Schrift» (Proposta d'una notazione pianistica organica), e l'importantissimo trattato «Von der Obertragung Bachscher Orgelwerken auf das Pianoforte» (Sulla trascrizione per pianoforte delle opere per organo di Bach); inoltre un certo numero di articoli pubblicati in varie sedi, tra cui il corpus intero, e alquanto consistente, delle giovanili corrispondenze scritte originalmente (a differenza di tutto il resto) in italiano, nel 1884-85, per il quotidiano di Trieste L'Indipendente. TORNA
Né sostanzialmente le cose mutarono con la riedizione postuma di quell'antologia, curata nel 1956 (nuovo titolo «Wesen und Einheit der Musik» = Essenza ed unità della musica), sempre per il Max Hesses Verlag, da Joachim Herrmann; sebbene annunciata come «riveduta e completata». La quale conteneva sì qualche aggiunta, ma fin troppo largamente compensata da amputazioni imponenti. Si aggiungano a questa riedizione il citato «Entwurf einer neuen Aesthetik» (più volte ristampato...) e il «Von der Übertragung Bach'scher Orgelwerken auf das Pianoforte» (pubbl. in appendice al I vol. del Clavicembalo ben temperato di Bach nella revisione di Busoni, e riprodotta nelle sue ristampe): avremo quanto si trova in commercio - epistolari e qualche libretto d'opera a parte - degli scritti di Busoni. E il tutto, a parte quel po' che n'è reperibile anche in traduzione inglese, solo nell'originale tedesco. Quanto all'italiano, a parte rari articoli apparsi in alcuni periodici in età passate (particolarmente nelle riviste di Guido M. Gatti «Il Pianoforte» e «La Rassegna musicale») e da una versione ridotta dell'«Entwurf» in tre numeri del «Radiocorriere» 1935, è da segnalare soltanto una ristretta per quanto meritoria raccolta dal titolo Scritti e pensieri sulla musica, edita nel 1941 a Firenze da Le Monnier a cura di Guido M. Gatti e Luigi Dallapiccola (nella traduzione di quest'ultimo) con prefazione di Massimo Bontempelli; della quale è tuttora in commercio una riedízione Ricordi (1954), ampliata, tra l'altro coll'inserzione, seppure incompleta, dell'«Entwurf».

La presente edizione raccoglie invece, in traduzione italiana, tutti gli scritti di Busoni; il che costituisce una novità ragguardevole anche rispetto alle citate edizioni tedesche. Vi si troveranno infatti:

a) gli scritti accolti nelle citate raccolte curate rispettivamente da Busoni stesso e da J. Herrmann, con la sola eccezione - per ovvie ragioni - di due traduzioni in tedesco rispettivamente dal francese (un frammento di Baudelaire su Poe) e dall'italiano (il sonetto CXXIII di Petrarca «E vidi in terra angelici costumi»); inoltre dì alcuni brevissimi frammenti che l'edizione Herrmann aveva tratto dalle lettere di Busoni alla moglie.

b) tutti gli articoli e saggi che ci è stato possibile reperire altrove e che non sono accolti nelle antologie suddette; tra i quali i citati articoli su «L'Indipendente».

e) tutti i manoscritti e dattiloscritti ritrovati nel lascito di Busoni, e pubblicati da Friedrich Schnapp in giornali e periodici vari.

d) i tre grandi saggi ricordati sopra, ossia l'«Abbozzo di una nuova estetica della musica», la «Proposta d'una notazione pianistica organica» e il trattato «Sulla trascrizione per pianoforte delle opere per organo di Bach».

Ovviamente son rimasti fuori i commenti a pie' di pagina con cui Busoni segue passo passo le sue edizioni di Bach e di Liszt o i suoi volumi di studi pianistici, in quanto incomprensibili senza i testi musicali a cui si riferiscono (non però le rispettive prefazioni e conclusioni). S'è inoltre rinunciato, contrariamente a quanto sia pure in misura minima s'era fatto nell'edizione Herrmann, a pubblicare estratti dagli epistolari, se non talvolta in nota per riferimenti indispensabili; pur rendendoci conto che le lettere di Busoni, particolarmente quelle alla moglie (d'altronde tuttora reperibili in commercio in traduzione italiana) contengono in abbondanza pensieri del massimo rilievo. Ma appunto la loro abbondanza avrebbe mutato le dimensioni del libro in misura imbarazzante.

La presente raccolta, proposta nel 1959 dal suo attuale curatore al «Saggiatore» di cui egli era allora consulente per la musica, cioè ad Alberto Mondadori e a Giacomo Debenedetti suo consulente generale, fu messa subito in programma senza esitazioni. E a realizzarla si pensò d'impiegare, per gli scritti pubblicati nelle citate edizioni Le Monnier e Ricordi, le traduzioni di Luigi Dallapiccola, affidando la versione degli altri a Laura Dallapiccola e, in parte minore, al sottoscritto, che avrebbe poi coordinato il tutto. Cosí fu fatto. Ma tante interruzioni e di tale entità subì poi il lavoro, di tanto materiale s'andò arricchendo via via, di tali svolte si complicò, che quel lavoro di coordinamento divenne assai più complesso del previsto: tanto per dirne un punto, sul problema di uniformare la terminologia, dato l'echeggiare degli stessi temi in testi concepiti - e tradotti - in tempi diversi. Non stupisca dunque chi nel confrontare la traduzione qui accolta d'un testo x con quella del medesimo pubblicata da Luigi Dallapiccola trentacinque anni addietro troverà differenze notevoli, anche in luoghi decisivi. Sappia comunque che se il responsabile della redazione definitiva è inevitabilmente il curatore dell'edizione presente, le sue decisioni essenziali non sono state prese senza l'assistenza e il consiglio dei traduttori primitivi.

Nella sua raccolta del '22 Busoni allineò i suoi scritti per ordine puramente cronologico: beninteso secondo la loro data di nascita, non di pubblicazione (alcuni d'altronde erano inediti). Invece nella sua Herrmann li raggruppò per affinità d'argomento: in dieci sezioni. Istintivamente noi avremmo preferito la prima soluzione; perché appunto l'eterogeneità di natura e d'assunto fra pezzi adiacenti sottolineava la continuità d'un itinerario mentale, quasi mostrandolo frutto d'un'intuizione unica. La crescita del materiale ce lo ha impedito. Trasferita su una quantità di scritti tanto maggiore, la disposizione puramente cronologica avrebbe rischiato di gettare il lettore nel caos. Perciò abbiamo seguito il metodo di Herrmann, anche se non applicandolo letteralmente, e disposto la materia per argomento, in nove sezioni, ristabilendo l'ordine cronologico solo all'interno di ciascuna di esse.

Inoltre: a) abbiamo affidato il trattato sulla trascrizione dell'organo, che si fonda su esempi musicali commentati, a un opuscolo a parte, unito al volume, perché potesse essere agevolmente collocato sul leggio del pianoforte, e cosí adoperato, secondo le intenzioni di Busoni, a scopi didattici. b) abbiamo collocato le corrispondenze italiane della«Indipendente» in appendice, dunque estromettendole dalla trattazione dei temi a cui via via si riferiscono; non sembrandoci lecito considerarle, nonostante le intuizioni geniali che vi abbondano, se non come una preistoria del pensiero di Busoni. [...]
L'accertamento delle fonti originarie (oltre a parecchie altre precisazioni largamente utilizzate nelle note) si deve per gran parte a ricerche condotte, ai fini della presente edizione, da Sergio Sablich, allievo dì Mario Fabbri all'Università di Firenze e autore di una tesi di laurea su Busoni, il quale ha pure collaborato alla revisione delle bozze, e si è reso prezioso per numerosi suggerimenti. L'indice analitico, e le copie degli esempi musicali, a Maurizio Papini. Le note a pie' di pagina numerate tra parentesi quadre s'intendono del curatore, le altre sono di Busoni.


Ferruccio Busoni
A Bio-Bibliography
By Marc-Andre Roberge
Music, Bio-Bibliographies in, No. 34 (ISSN: 0742-6968)
Greenwood Press. Westport, Conn. 1991. 432 pages
LC 90-22927. ISBN 0-313-25587-3. RFB/ $109.95
Available (Status Information Updated 10/24/2005)

** Description **

One of the greatest of the pianists after the time of Liszt, Ferruccio Busoni was a turn-of-the-century composer whose music has recently begun to be taken very seriously in academic circles and among contemporary performers. This work is the first volume to offer a comprehensive, annotated bibliography covering a wide range of published and unpublished materials, including Busoni's librettos and his perceptive essays on the future of music. It also provides a brief biography and detailed listings of Busoni's compositions, together with an extensive discography.

The list of works presents information on original works, cadenzas, transcriptions, editions, and performances. The discography lists transcriptions and arrangements in addition to recordings of original works. Piano rolls and recordings by Busoni are included. Among the subject categories in the bibliography are Busoni's writings; a guide to the contents of the editions of his writings; his correspondence; studies and commentaries on Busoni's composition, performances, and writings; and personal reminiscences by those who knew him. Up-to-date information about new editions and reprints of Busoni's works is given. An appropriate addition to library music collections, this work is a valuable resource for both musicologists and performers.

"A comprehensive annotated bibliography of the great pianist-composer (1866-1924), covering a wide range of published and unpublished materials, including Busoni's librettos and his essays on the future of music. It also provides a brief biography and detailed listings of Busoni's compositions, together with an extensive discography."
Reference & Research Book News
** Table of Contents **

-- Introduction
-- Biographical Sketch
-- List of Works
-- Discography
-- Bibliography
-- Alphabetical List of Works by Genre
-- Index to the Introduction, the Biographical Sketch, and the List of Works
-- Index to the Discography
-- Index to the Bibliography
-- Index to the Opera Performances
** Author **

MARC-ANDRE ROBERGE is Assistant Professor in Musicology at Laval University (Quebec).


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