UMBERTO BOCCIONI

 

 

GINO AGNESE

Novità biografiche

LA FIGURA DI AUGUSTA E LE LETTERE A BUSONI

 


PUBBLICATO NEL VOL. COLLETTIVO SUL DINAMISMO,
CATALOGO DELLA MOSTRA OMONIMA, pp. 49-52:


 

Opere di Umberto Boccioni dal The Metropolitan Museum of Art di New York e dalle Civiche Raccolte d'Arte del Castello Sforzesco di Milano, Roma, Edizioni De Luca, 1999, pp. 49-52.

 

Due momenti della vita - e dell'arte - di Umberto Boccioni ricevono nuova luce da ricerche recenti, favorite dalla fortuna e dalla perseveranza. In un archivio di Berlino sono state trovate le lettere che egli scrisse al musicista Busoni nel 1916: ed esse meglio illuminano la vigilia della sua scomparsa, sicché meglio si comprendono le ragioni dell'ultima sua pittura, il suo travagliato amor filiale e il suo sicuro sentimento patriottico.
Altrove sono state apprese notizie inedite, che rimandano alla figura di Augusta Petrovna Popoff - la signora russa che Boccioni rese madre - e alla numerosa famiglia di lei: ed esse marcano la rilevanza culturale del viaggio compiuto dall'artista in Russia nel 1906, ora mettendo a nudo anche i particolari di una vicenda sconosciuta fino a pochi anni fa, nella quale si riflettono il carattere di Boccioni, il suo universo affettivo e il costume del tempo. C'è allora materia per un breve ragguaglio, che qui prende le mosse appunto dall'incontro di Boccioni con Augusta, per giungere infine all'estrema stagione del grande artista e teorico futurista.
Da Parigi, dove vive circa tre mesi, Boccioni il 24 giugno 1906 scrive alla madre e alla sorella Amelia: «Carissime [...] Vi ho detto che una bella e giovane signora russa aveva molte simpatie per me. La relazione amichevole si è stretta e la signora vuole lezioni di disegno da me, dandomi 50 Fr. al mese.» [1] Giovane e bella. Infatti sappiamo adesso che Augusta Petrovna Popoff, sposata Berdnicoff, ha venticinque anni, un anno più di Boccioni; e che «était blonde, très belle, et avait de très benux yeux très très clairs, meme pales, d'un bleu-gris-vert». [2]
Dal marito Sergej - che è sulla quarantina e che svolge a Parigi una missione diplomatica che lo porterà anche a Londra per qualche settimana - Augusta non ha avuto figli, ma il matrimonio è di pochi anni e una maternità può ben tardare. «La Signora russa - scrive inoltre Boccioni quella volta alle sue 'carissime'- è ansiosa di vedere che ricevimento le farò nel mio salotto e certo sarà contenta.» È il salotto del rez-de-chaussée che egli, assieme a Sironi, ha preso in affitto da un polacco. Ed è là, in quel rez-de-chaussée, che Augusta Petrovna Popoff diviene l'amante del suo maestro di disegno. Un amore travolgente, almeno da parte di lei, dal quale nove mesi dopo, il 26 gennaio, nascerà un bimbo, Pietro, che porterà nella vita il cognome Berdnicoff, ma che «était le portrait meme de Boccioni».
Nella biografia dell'artista [3] ho già raccontato di quell'amore, ho ricostruito il viaggio compiuto verso la Russia da Boccioni assieme ai coniugi Berdnicoff, ho narrato del soggiorno - tre mesi circa - dell'artista a Tzaritzin nella residenza dei Popoff e poi a Mosca e a San Pietroburgo, ho detto abbastanza dei quattro fratelli di Augusta, della sorella Nadjeda e della loro madre Sofia Germanovna; e ho infine documentato come Pietro Berdnicoff - che Amelia Boccioni e suo marito Guido Callegari invano cercarono di adottare, dopo la prima guerra mondiale -, divenuto giovanotto si presentò a Severini chiedendo che l'aiutasse a farsi strada come pittore e scultore: ma purtroppo, egli di Boccioni aveva l'aspetto e non il talento, sicché la sua veemenza espressiva, traboccante anche nelle lettere inviate all'amico del padre, naufragava penosamente nella realtà di fatti.
Tuttavia, non misi adeguatamente in luce la gelida distanza che Boccioni volle interporre tra sé e la donna che, amandolo e rendendolo padre, contraddiceva così il suo progetto di votarsi unicamente all'arte, certo mantenendo l'intenso, tempestoso affetto per la madre e quello per la sorella. Credetti che la lapidaria annotazione del 5 aprile 1907 nei Taccuini: «...alla mia amica Augusta Petrovna è nato un bambino. Felicità a tutti e due», Boccioni l'avesse mondata da ogni segnale di emozione per nascondere anche al diario il proprio sentimento. E invece, ora vien fuori che «Boccioni était un etre extremement dur», che forse incontrò ancora Augusta quando, nel 1912, una parte dei Popoff si stabilì in Svizzera, più a lungo abitando a Puilly presso Losanna, ma che non entrò mai nella vita di lei, una «vie bien malheureuse d'ailleurs», conclusa anzitempo nel 1920 in Russia, dove era tornata e aveva fondato, nella scia tolstojana, «un atelier de sculpture et d'artisanats divers pour jeunes et très jeunes paysans».
In realtà tra Boccioni e Augusta non divampò effimera un'avventura, bensì avvenne un incontro, di quelli che cambiano la vita. Difatti cambiò la vita di lei, che fu una donna colta e un'artista, e fu determinata e sicura di sé come può esserlo una ragazza che regala una pistola a un amico conosciuto da poche settimane [4]. E la sua famiglia - i Popoff di Tzaritzin - fu una famiglia legata agli ambienti artistici e letterari di San Pietroburgo, una famiglia presso la quale, e partendo dalla quale, Boccioni potè cogliere una ricca varietà di conoscenze e di suggestioni, tra gli echi della rivoluzione del 1905. Sospettata di simpatizzare per i rivoluzionari (uno dei fratelli di Augusta fu «arrestato per fabbrica di bombe»), la famiglia Popoff temette nel 1906 di diventare bersaglio degli ultrazaristi delle Bande Nere, tanto che Boccioni racconta al padre: «uscivo sempre armato di revolver e qualche volta ne portavo due, quando cioè uscivo con le signore» [5].
A ben vedere, vi furono tra i Popoff passioni e opinioni diverse, che giunsero drammaticamente alla maturazione nei primi anni del potere bolscevico, al quale Augusta andrà incontro e altri, invece, tenteranno di sfuggire o sfuggiranno. Ma ciò che trova conferma - e si precisa in nomi, date e fatti - è lo spessore culturale della famiglia che ospitò Boccioni formalmente in cambio di ritratti, com'egli scrisse [6]. Una famiglia con spiccate vocazioni artistiche e con relazioni negli ambienti più aperti dell'intellettualità pietroburghese. Prova ne è che Boris, il minore dei fratelli di Augusta, sposò Elena Benois, la figlia più piccola del fondatore - assieme a Diaghilev - di «Mir Isskustva»; Elena che fuggì in Francia, dopo la rivoluzione del '17, e che per il figlio di Augusta, come per i figli di Nadjeda, fu tetja Lika, zia Lika [7].
Ora, dunque, sappiamo abbastanza sul viaggio di Boccioni in Russia, momento cruciale della sua vita, segmento importante della sua esperienza; ma ne sapremmo molto di più se Amelia, l'amatissima sorella dell'artista, non avesse distrutto ogni traccia - lettere, appunti e quant'altro - che potesse svelare una storia di vita: lo scandalo di una paternità nascosta, un capitolo che la prematura scomparsa di Augusta Petrovna Popoff, non valse però a chiudere [8].
La straordinaria scoperta di uno studioso ticinese, Laureto Rodoni, ha poi impresso una svolta alle conoscenze circa l'ultimo Boccioni: una svolta che archivia l'ipotesi (divenuta negli anni quasi un luogo comune) secondo la quale l'artista, dietro-front, in ultimo voltò le spalle al Futurismo e, inoltre, rivide anche le sue idee sulla guerra: le idee che lo avevano spinto a distinguersi nelle manifestazioni interventiste e ad arruolarsi volontario per il fronte nel '15, assieme ai suoi compagni [9]. Oltre che da alcuni frammenti epistolari, quella ipotesi derivò da una mera osservazione dei testi pittorici boccioniani, soprattutto i dipinti eseguiti nel '16 per Ferruccio Busoni, il prestigioso pianista e compositore che amò molto Boccioni ma niente affatto la pittura futurista successiva alla «Città sale»; un'osservazione che purtroppo non tenne conto né di altri testi del periodo (non soltanto quelli pittorici, bensì anche quelli teorici, critici, epistolari) né del contesto biografico, oggetto di ricerca sistematica solo recentemente [10].
Sono dieci le lettere inedite di Boccioni (due del '12, otto del '16 e tutte inviate al musicista) che Laureto Rodoni, uno dei più profondi conoscitori dell'opera busoniana, ha trovato presso il fondo Busoni-Nachlass della Staatsbibliothek di Berlino, istituto ubicato nella zona est della città e di problematico accesso fino al 1990. Ad esse si aggiungono due lettere, ugualmente inedite, indirizzate dalla madre di Boccioni al maestro nell'agosto del '16, una delle quali datata 18 agosto, il giorno dopo la morte dell'artista,evento di cui la signora ancora non sapeva [11].
Alcuni frammenti delle missive boccioniane erano noti, essendo stati utilizzati dal musicista per la compilazione del ben noto articolo Der Kriegsfall Boccioni, apparso il 3 agosto 1916 sulla «Neue Zurcher Zeitung». Ma anch'essi, riletti nell'originale sequenza, rivelano più fedelmente il loro senso e, assieme a tutto l'epistolario rinvenuto, confermano che tra Boccioni e Busoni (spalleggiato dal marchese della Valle di Casanova) si svolse in San Remigio, sul Lago Maggiore, un amichevole ma serrato dibattito nei giorni di esecuzione del ritratto del maestro: tre settimane del giugno 1916, durante le quali Boccioni dovette fronteggiare - sul terreno dell'arte e in tema di patriottismo - le vedute antifuturiste e filotedesche del celebre musicista, il cui denaro, in compenso dei quadri, gli permetteva di tornare sotto le armi finalmente affrancato dall'angoscia di lasciare in povertà la madre. (Morto Boccioni, il musicista saldò il suo debito, ma non completamente).
Basti questa frase di Boccioni, tratta da una delle lettere scritte al pianista e compositore dopo il comune soggiorno in San Remigio: «Caro Maestro! [...] Accetto questo sacrificio serenamente secondo quanto credo e quanto voglio per il mio paese. Non si arrabbi e comprenda la mia fede e la necessità indiscutibile di uniformarvi i miei atti». Certamente è un sacrificio, per Boccioni, lasciare l'arte - la sua prima ragione di vita - per tornar soldato; ma egli - come dirà altrove e come ripeterà anche dal Reggimento - è tuttavia contento di servire l'Italia. Quanto all'ultima sua pittura, è significativo ciò che Boccioni rivela in una lettera a Busoni scritta dopo l'esecuzione del grande ritratto e dei «quadretti» che sarebbero state le sue ultime opere: «[...] In pochi giorni avevo superato diversi stadi e marciavo verso lo stile. Bisognava rimanere [...] Bisogna uscire dal vero per entrare nella realtà». Come s'è potuto pensare a un dietro-front? Anzi, s'intuisce, da queste parole, che l'artista stesse immaginando nuovi approdi, forse inori della realtà più immediatamente apparente, fuori dal vero più visibile, per la sua identità futurista.