LORD GEORGE GORDON BYRON

STANZE AD AUGUSTA - PROMETEO - IL SOGNO -
L'OSCURITÀ - NON VAGHEREMO PIÙ COSÌ



STANZA A [AUGUSTA]

1

Sebbene il giorno del mio destino fosse svanito,

e tramontato l'astro del mio fato,

il tuo cuore tenero rifiutò di accorgersi

delle mancanze additate dalla moltitudine;

sebbene la tua anima intendesse la mia pena,

non rifuggì dal dividerla con me,

e l'amore che il mio spirito ha ritratto

non l'ha mai incontrato se non in te.


2

Così quando la natura sorride attorno a me

l'ultimo sorriso che al mio risponde,

non lo credo ingannevole

poiché mi ricorda il tuo;

e quando con l'oceano guerreggiano i venti,

così come con me i cuori cui credetti,

se i loro flutti mi suscitano un'emozione

è perché mi allonçanano da te.


3

Sebbene la roccia della mia speranza estrema sia frantumata

e i suoi frammenti siano inabissati nell'onda,

sebbene io senta l'anima mia consegnata

alla pena - non ne sarà schiava.

Mi inseguono innumerevoli pene:

potranno annientarmi, ma non spezzarmi;

potranno torturarmi, ma non umiliarmi:

è a te che penso, non a loro.


4

Sebbene umana, non mi ingannasti,

sebbene donna, non mi abbandonasti,

sebbene amata, non mi feristi,

sebbene diffamata, non vacillasti,

sebbene creduta, non mi tradisti,

sebbene divisa, non fu per sfuggirmi,

sebbene cauta, non mi diffamasti,

né fosti muta, perché mi calunniasse il mondo.


5

Eppure non accuso il mondo, né lo sprezzo,

né la guerra di molti contro uno

se l'anima mia non era atta ad apprezzarlo

fu follia non sfuggirlo prima:

e se quell'errore l'ho pagato caro,

e più di quanto una volta potessi aspettarmi,

seppure mi strappasse ogni cosa, ho imparato che

non poteva di te privarmi.


6

Dal naufragio del passato, che è morto,

almeno questo lo posso richiamare,

mi ha insegnato che quanto tenevo

di più caro era degno di esserlo:

nel deserto scaturisce una fonte,

nella sconfinata distesa vi è ancora un albero,

e il canto di un uccello nella solitudine

parla al mio spirito di te.


PROMETEO

Titano! Ai cui occhi immortali

le sofferenze della mortalità,

viste nella loro triste realtà,

non erano come cose che gli dei disprezzano;

quale fu la ricompensa della tua pietà?

Un soffrire silenzioso e intenso;

la rupe, il vùlture, e la catena,

tutto ciò che gli orgogliosi riescono a sopportare,

l'angoscia che non mostrano,

il senso soffocante della sventura,

che non parla se non in solitudine,

e poi è geloso per tema che il cielo

abbia chi l'ascolti, né emetterà un sospiro

finché la sua voce non sia priva di eco.


2

Titano! Ti fu data battaglia

tra la sofferenza e la volontà

che torturano quando non possono uccidere;

e il Cielo inesorabile

e la sorda tirannia del Fato,

il dominante principio dell'Odio,

che per il suo piacere crea

le cose che può annientare,

ti rifiutarono anche il favore di morire:

il dono miserabile dell'eternità

fu tuo - e tu l'hai ben sopportato.

Tutto ciò che il Tonante ti estorse

fu la minaccia che su di lui

respinse i tormenti della tua tortura;

il fato che prevedesti tanto bene

ma che per non placano tacesti;

e nel tuo Silenzio fu la sua Sentenza,

e nella sua Anima un vano pentimento,

e un terrore malvagio mascherato così male

che nella sua mano tremarono i lampi.


3

Il tuo delitto divino fu l'essere gentile,

di rendere con i tuoi precetti la somma

dell'umana infelicità minore,

e di rafforzare la mente dell'Uomo;

ma pure impedito come tu fosti dall'alto,

nella tua energia paziente,

nella resistenza, e rifiuto

del tuo Spirito impenetrabile,

che Terra e Cielo non poterono sconvolgere,

ereditiamo una lezione imponente:

sei un simbolo e un segno

ai Mortali del loro fato e forza;

come te, l'Uomo è in parte divino,

una corrente intorbidita

sgorgante da una fonte pura;

e l'Uomo parzialmente può prevedere

il proprio destino lugubre;

la propria miseria e resistenza,

e la propria triste esistenza senza alleati:

a cui il suo Spirito può opporsi,

all'altezza di tutti i dolori,

e una volontà ferma, e un profondo sentire

che persino nella tortura sa scorgere

la propria segreta ricompensa;

trionfando là dove osa gettare la sfida,

e della Morte facendo una Vittoria.


IL SOGNO

1
Duplice è la nostra vita: il Sonno ha il suo proprio mondi

un confine tra le cose chiamate impropriamente

morte e esistenza: il Sonno ha il proprio mondo,

e un vasto reame di sfrenata realtà;

e nel loro svolgersi i sogni hanno respiro,

e lacrime e tormenti e sfiorano la gioia;

lasciano un peso sui nostri pensieri da svegli,

tolgono un peso dalle nostre fatiche da svegli,

dividono il nostro essere; diventano

parte di noi stessi e del nostro tempo,

e sembrano gli araldi dell'eternità;

passano come fantasmi del passato, parlano

come Sibille dell'avvenire; hanno potere -

la tirannia del piacere e del dolore;

ci rendono ciò che non fummo, secondo il loro volere,

e ci scuotono con dissolte visioni,

col terrore di svanite ombre. Ma sono veramente così?

Non è forse tutto un'ombra il passato? Cosa sono?

Creazioni della mente? La mente sa creare

sostanza, e popolare pianeti, di sua fattura,

di esseri più splendenti di quelli mai esistiti, e dare

respiro e forma che sopravvivono alla carne.

Vorrei richiamare una visione che ho sognato

forse nel sonno, poiché in sé un pensiero,

un pensiero assopito, racchiude anni,

e in un'ora condensa una lunga vita.


2

Vidi due esseri nei colori della gioventù

stare su una collina, una collina gentile,"

verde e di pendenza lieve, l'ultima

come se fosse il promontorio di una lunga catena,

salvo che non vi era mare a bagnarne la base,

ma un paesaggio assai brioso, e l'onda

di boschi e di campi di granoturco, e le umane dimore

sparpagliate a intervalli, e il fumo innalzantesi

in spire dai tetti rustici, incoronata

era la collina da un insolito diadema

di alberi, in ordine circolare, così disposti

non dall'arbitrio della natura, ma dall'uomo:

i due, una fanciulla e un ragazzo, stavano là

in contemplazione - l'una di ciò che si stendeva in basso,

armonioso come lei, ma il ragazzo la fissava;

ed entrambi erano giovani, e una era bella

ed erano giovani entrambi, ma non per gioventù pari.

Come soave luna sul limite dell'orizzonte,

la fanciulla era alla vigilia della propria maturità;

il ragazzo contava meno estati, ma il suo cuore

aveva di molto superato i suoi anni, e al suo sguardo

vi era un solo volto amato sulla terra,

e ora splendeva su di lui: l'aveva guardato

finché non gli si impresse per sempre nella mente;

non aveva respiro, essere, se non nel suo;

lei era la sua voce; non le parlava,

ma tremava alle sue parole; era la sua vista,

poiché i suoi occhi seguivano quelli di lei, e con essi vedevano

colorando per lui tutti gli oggetti: aveva cessato

di vivere in se stesso; lei era la sua vita,

l'oceano per il fiume dei suoi pensieri,

in cui tutto terminava: a un cambiamento di tono,

a un tocco di lei, il suo sangue fluiva e rifluiva,

e il suo colorito cambiava tempestosamente: il suo cuore

ignorando la causa dello spasimo.

Ma lei a questi sentimenti non prendeva parte:

non erano per luci suoi sospiri; per lei lui era

simile a un fratello, ma non di più; era molto,

poiché non aveva fratelli, se non in nome

dell'amicizia giovanile che gli aveva concesso;

era la solitaria discendente superstite

di una razza dal tempo onorata. Era un nome

che gli piaceva, e che gli spiaceva tuttavia, e perché?

Il tempo gli insegnò una risposta profonda quando ella amò

un altro: anche ora amava un altro,

e dalla cima di quel colle stava

mirando lontano se ancora il destriero dell'amato

tenesse il passo della sua attesa, e volasse.


3

Un cambiamento subentrò nello spirito del mio sogno.

C'era un palagio antico, e davanti

alle sue mura un bardato destriero:

in un Oratorio antico stava

il Ragazzo di cui parlai; era solo

e pallido, passeggiava su e giù; all'improvviso

si sedette, e prese una penna, e tracciò

parole che non potrei indovinare; poi appoggiò

la testa chinata sulle mani, e come colto

da una convulsione fremette, si alzò di nuovo, e poi,

con i denti e le mani tremanti strappò

ciò che aveva scritto, ma lacrime non versò,

calmandosi, e s'impose un'espressione

di pace sul volto: durante questa pausa

la Signora del suo amore rientrò;

era serena e sorridente allora, eppure

sapeva di essere amata da lui; sapeva,

poiché ci vuole poco per intuire, che il io cuore

era oscurato dalla sua ombra, e vide

che era infelice, ma non vide tutto.

Si alzò, e in una fredda stretta gentile

le chiusi la mano; per un istante sul suo volto

una lapide di pensieri indicibili

fu incisa, e poi si cancellò, così, com'era apparsa;

lasciò cadere la mano che teneva, e a passi lenti

si ritirò, ma non come chi dice addio,

poiché si separarono con reciproci sorrisi; uscì

dall'ingresso imponente di quell'antico palagio,

e montando sul suo destriero andò per la sua via;

e quella veneranda soglia mai più riattraversò.


4

Un cambiamento subentrò nello spirito del mio sogno.

Il ragazzo proruppe nell'età virile: nei deserti

di climi ardenti si elesse la dimora,

e la sua anima ne bevve i raggi solari: fu attorniato

da gente di strane e oscure sembianze: egli stesso non era

così com'era stato; sul mare [più iio

e sul litorale era un errante:

una moltitudine d'immagini

s'affollarono su di me come onde, pure egli era

parte di tutte; e nell'ultima giaceva

riposandosi dall'afa del meriggio, us

adagiato tra colonne cadute, all'ombra

di mura crollate che avevano perpetuato i nomi

di coloro che le avevano innalzate; presso il suo fianco,

immerso nel sonno, stavano cammelli pascolanti e qualche splendido

destriero era legato accanto a una fonte; e un uomo

di un costume fluente abbigliato stava di guardia,

mentre molti della sua tribù sonnecchiavano intorno;

ed erano coperti dal baldacchino azzurro del cielo,

così sereno, chiaro e assolutamente bello,

che Dio unicamente poteva essere visto nel cielo.


5

Un cambiamento subentrò nello spirito del mio sogno.

La Signora dèl suo amore fu unita ín matrimonio'

con un uomo che non l'amava meglio; nella sua casa

a mille leghe da qui - nella sua casa natia

dimorava, circondata dall'Infanzia crescente, 130

figli e figlie della Beltà, ma osserva

Sul suo volto c'era la sfumatura del dolore,

l'ombra stabile di una lotta interiore,

e un inquieto abbassarsi degli occhi,

come se le palpebre fossero appesantite da lacrime non versate.

Quale poteva essere la sua pena? Aveva tutto ciò che amava,

e colui che tanto l'aveva amata non era là,

per affliggere con speranze nocive, o desideri malvagi,

con afflizioni mal represse, i suoi candidi pensieri.

Quale poteva essere la pena? non l'aveva amato,

né poteva essere parte di ciò che devastava

la sua mente: uno spettro del passato.


6

Un cambiamento subentrò nello spirito del mio sogno.

L'Errante era tornato. Lo vidi in piedi

davanti all'altare - con una sposa gentile;`

il volto di lei era amabile, ma non era stato quello a formare

per la sua adolescenza la luce stellare; mentre stava

proprio davanti all'altare, sul suo volto apparve

la medesima espressione, e quella violenta emozione

che nell'Oratorio antico il seno

gli scosse in solitudine; e allora,

per un momento sul suo volto, come in quell'ora,

la lapide di pensieri indicibili

fu incisa, e si cancellò così com'era apparsa,

e se ne stette calmo e quieto, e pronunciò

gli opportuni voti, ma non sentì le proprie parole,

e tutte le cose a lui attorno rotarono; non poté vedere

né ciò che era, né ciò che avrebbe dovuto essere,

ma l'antico palagio, e la sala consueta,

e le dimenticate stanzi, e il luogo,

il giorno, l'ora, la luce del sole, l'ombra,

tutte le cose appartenenti a quel luogo e ora,

e lei che era il suo destino - ritornarono

e si frapposero tra lui e la luce;

che facevano là in tale momento?


7

Un cambiamento subentrò nello spirito del mio sogno.

La Signora del suo amore... Oh! era mutata

come dalla malattia d'amore; la sua mente

si era separata dalla sua dimora, e i suoi occhi

non avevano il proprio splendore, ma uno sguardo

che non è di questa terra; era diventata

la regina di uno strano reame; i suoi pensieri

erano combinazioni di disgiunte cose;

e forme impalpabii e non avvertite

dalla vista degli altri erano alla sua familiari.

E questo il mondo lo chiama delirio; ma i saggi

soffrono di una pazzia ben più profonda, e lo sguardo

della melanconia è uno spaventoso dono;

che cos'è se non il telescopio della verità?

Esso denuda la distanza delle proprie illusioni,

e avvicina la vita nella sua completa nudità,

rendendo la realtà gelida troppo reale!


8

Un cambiamento subentrò nello spirito del mio sogno.

L'Errante era come prima solo,

gli esseri che lo circondavano se n'erano andati,

o erano con lui in guerra; era bersaglio

degli influssi maligni e della disperazione, accerchiato

dall'Odio e dalla Polemica; la pena era commista

a tutto ciò che gli veniva servito, finché,

come nell'antichità il monarca del Ponto,

si nutrì di veleni, e non ebbero più effetto,

ma divennero una specie di dieta; sopravvisse

a esperienzeche la morte diedero a molti,

e divenne amico dei monti: con le stelle

e con lo Spirito vitale dell'Universo

soleva dialogare; ed essi gli insegnarono

la magia dei loro misteri;

per lui il libro della Notte era spalancato,

e voci dall'abisso profondo rivelarono

una meraviglia e un segreto. E così sia.


9

Compiuto fu il mio sogno; non subì più cambiamenti.

Era stranamente attendibile che la sorte

di queste due creature fosse delineata

quasi come reale: che l'una

dovesse giungere alla follia - all'infelicità entrambi.


L'OSCURITÀ

Ebbi un sogno che non era completamente un sogno.

Il sole radioso si era spento, e le stelle

vagavano oscurandosi nello spazio eterno,

disperse e prive di raggi, e la terra coperta di ghiacci

intenebrandosi ruotava cieca nell'aria senza luce;

il mattino venne e svanì, ritornò senza portare il giorno,

e nel terrore di questa desolazione gli uomini obliarono

le loro passioni; e ogni cuore

gelò in un'egoista preghiera di luce:

e vissero presso fuochi di campo e i troni,

i palazzi di re incoronati; i tuguri,

le abitazioni di tutti gli abitanti

furono arsi come fuoco di segnalazione; si consumarono

le città e gli uomini si radunarono attorno alle lro case divampanti

per guardarsi ancora una volta in volto;

felici coloro che dimoravano nello sguardo

dei vulcani, e nei pressi della loro torcia montana:

il mondo conteneva una sola timorosa speranza;

le foreste furono incendiate, ma in poche ore

crollarono distrutte, e i crepitanti tronchi

si spegnevano in uno scroscio - e tutto tornava oscuro.

Presso la luce disperata i volti umani

prendevano un'espressione disumana, mentre a tratti

le fiammate li rischiaravano di colpo; si stesero alcuni

e piangendo si coprivano gli occhi; altri poggiavano

il capo sulle mani serrate a pugno, ridacchiando;

altri correvano avanti e indietro, tenendo vivo

il proprio rogo funebre e fissavano

con inquietudine folle il cielo ottenebrato,

mortuario manto di un mondo passato; e poi ancora

abbassavano lo sguardo nella polvere bestemmiando

e i denti digrignavano urlando: stridevano gli uccelli selvatici

e, terrorizzati svolazzavano a terra,

dibattendo le ali invano; i più selvaggi bruti

divennero domi e tremanti; vipere strisciando

s'attorcigliavano tra la moltitudine,

innocue sibilando - furono trucidate per servire come nutrimento!

E la Guerra che per un attimo sostò,

si saziò di nuovo: il pasto fu acquistato

col sangue, e ognuno in disparte sedeva tetro

satollandosi nello sconforto: svanì l'amore;

la terra intera aveva un sol pensiero - la morte

ingloriosa e immediata; e i morsi della fame

si nutrivano dei visceri, gli uomini si estinguevano,

e le loro ossa rimanevano insepolte come la loro carne:

esseri scarniti da altri scarniti venivano divorati,

perfino i cani si scagliavano sui padroni, tutti, meno uno,

fedele a un cadavere, teneva

gli uccelli e le belve a distanza, e gli uomini famelici,

finché la fame non li essiccava o, i caduti morti 14 so

richiamavano le loro mascelle scarne; per sé non cercò cibo,

ma con pietoso lamento perenne,

e un guaito desolato improvviso, lambendo la mano

che non rispose con una carezza, morì.

La folla morì di fame lentamente; ma due

di una città enorme, sopravvissero,

ed erano nemici: s'incontravano presso

le braci morenti di un altare

dove un gran numero di oggetti sacri per un sacrilego uso

fu ammassato; attizzarono il fuoco,

rabbrividendo; con le loro fredde mani inscheletrite,

sfregarono le ceneri estenuate, e il loro respiro fievole

soffiò per un po' di vita, e ottennero una fiamma

ch'era una beffa; e alzarono gli occhi

mentre l'ansia si rischiarava, e scorsero

il reciproco aspetto: si videro, e strillarono, e morirono.

A ucciderli fu il reciproco aspetto orrendo,

senza che sapessero chi fosse colui sul cui volto

la carestia l'aspetto del Demonio aveva dipinto. Deserto

era il mondo, il popoloso e il potente era una zolla

senza stagioni, senza erbe, senza alberi, senza uomo, senza vita,

una zolla di morte: un caos di dura argilla.

I fiumi, i laghi, l'oceano erano immoti,

nulla si muoveva nelle loro profondità silenziose;

prive di equipaggio le navi galleggiavano sul mare imputridendo,

gli alberi cadevano a pezzi: una volta caduti,

dormivano nell'abisso privo di flutti.

Morte erano le onde; le maree erano sepolte,

la loro signora, la luna, era spirata prima;

i venti nell'aria stagnante s'erano inariditi,

e perirono le nubi; l'Oscurità non aveva bisogno

del loro aiuto: Ella era l'Universo.



[NON VAGHEREMO PIÙ COSÌ]

1

Non vagheremo più così

indugiando nella notte fonda,

anche se il cuore è parimenti preso d'amore,

e come allora luminosa risplende la luna.

Poiché la spada logora la guaina,

e l'anima il petto consuma,

e il cuore esige una pausa per respirare,

e l'amore stesso per il riposo sospira.


3

Anche se la notte fu fatta per amare,

e il giorno troppo presto ritorna,

pure noi non vagheremo più così

indugiando al chiaro di luna.