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La
musica ha nella vita e nell'opera di Joyce un ruolo centrale
e torna in tutti i momenti nodali del suo complesso percorso esistenziale.
In gioventù, come ognun sa, avrebbe voluto intraprendere la carriera
di tenore e, riottoso alla disciplina di studio, fu non di meno
talvolta in luce in concerti e in concorsi, che di norma avevano
luogo nella mitica Antient Concert Room cui è dedicato il
sarcastico racconto di disastri organizzativi Una madre in Gente
di Dublino.
Nel 1904 ottiene infatti la medaglia di bronzo da Luigi Denza
(autore di Funiculì Funiculà) in occasione di un contest dublinese
e avrebbe avuto anche miglior piazzamento se non si fosse rifiutato
di leggere uno spartito a prima vista; nello stesso periodo d'altra
parte si lega d'amicizia con John McCormack, destinato a
una notevole carriera. Nell'intricato percorso europeo, a Zurigo,
a Trieste e poi a Parigi, continui saranno i contatti con il mondo
dei teatri, che lo vedranno spettatore assiduo e critico fervente.
Le sue opinioni infatti sono decise: ama Gilbert & Sullivan, Massenet,
ma soprattutto Verdi (che spesso torna nelle sue lettere, anche
con notevoli intuizioni sui cambiamenti nella ricezione del suo
repertorio1 e Puccini di cui cita fulmineamente passi da Madama
Butterfly2, mentre ha sempre una relazione conflittuale con Wagner,
che pure è un riferimento formale importante nel suo lavoro.
Dall'autore tedesco mette infatti in guardia la moglie Nora
(sulla quale è stato appena girato un film biografico) che invece
lo amava molto, affermando recisamente che "puzza di sesso" ed "è
osceno"3, oppure altrove in una lettera, riferendosi ai Maestri
cantori (di cui a Trieste aveva cantato il quintetto in una serata
amatoriale) dichiara: "a me pare roba pretenziosa"4, ma d'altro
canto non poté fare a meno di citarlo, rielaborarlo, metabolizzarlo
fino agli esiti estremi di Finnegans Wake.
Evento centrale, poi, del suo rapporto con il mondo operistico
fu la relazione d'amicizia con il tenore John Sullivan, punteggiata
da una serie di eventi notevoli. Il cantante, infatti, che aveva
soprattutto operato in Francia, si diceva osteggiato dalla "cerchia
italiana" che trionfava al Metropolitan e lo scrittore ne organizzò
la promozione in modo intensivo (come già aveva fatto altrettanto
efficacemente in precedenza per intellettuali negletti come Dujardin
e Svevo), costringendo il tout Paris a recarsi alle sue performance,
scrivendone sui giornali e giungendo anche a collaborare con lui
nella redazione del famoso cartello di sfida inviato a Giacomo Lauri
Volpi pubblicato dai giornali il 18 giugno 1930, in cui proponeva
una gara per l'interpretazione di Guglielmo Tell, affermando che
il celebre tenore ne aveva data una esecuzione estremamente tagliata
e trasposta di tono5. È evidente comunque che la definizione esatta
di tessiture musicali, la creazione di complessi spartiti di giochi
di parole, sovrapposizioni stratificate e fulminee epifanie, è di
per sé la linea maestra del suo operare, com'è ovvio già nella raccolta
giovanile di poesie Musica da camera, che centra esattamente un'atmosfera
fin dal rimando quasi verlainiano del titolo, attraverso Dedalus,
fino a giungere alle tessiture arditamente sinfoniche di Ulisse
e dell'ultima opera.
Non è un caso, quindi, che i compositori, da subito, abbiano dimostrato
interesse per il suo repertorio verbale, con una tempestività che
ha arriso a pochi autori d'avanguardia nel Novecento. Il discorso
si inaugura infatti prestissimo con Geoffrey Molyneux Palmer,
musicista inglese residente in Irlanda, che nel 1907 chiese di realizzare
tre song dal repertorio della sua prima raccolta poetica. Le sue
versioni incontrarono l'approvazione dell'autore, che anzi fu particolarmente
lieto di questo segnale di interesse verso le sue ricerche e da
questo spronato a musicare lui stesso una sua versione di Bid
adieu to Mademoiselle. Joyce fu senz'altro sempre attratto dall'ascolto
di pagine contemporanee, ma solo in rari casi trovò delle voci a
cui si sentì affine e con cui promosse dei tentativi di collaborazione.
È centrale in questo senso la relazione, soprattutto progettuale,
ma con pochi esiti compiuti, con George Antheil. Il leggendario
"bad boy of music" (secondo il titolo della sua autobiografia),
protagonista assoluto delle avanguardie tra le due guerre anche
se da noi resta ancor'oggi abbastanza negletto, colpì infatti l'attenzione
dello scrittore con i suoi titoli più noti: le partiture rumoriste
Ballet mecanique e Sonate sauvage, che all'epoca fecero sensazione.
Due furono i progetti, entrambi ambiziosi e destinati a non realizzarsi,
che li videro uniti: innanzitutto un'opera "elettrica" dalla
scena del ciclope di Ulisse, per cui il musicista aveva elaborato
un curioso schema incentrato su un'orchestra dominata da dodici
pianoforti elettrici, con un tredicesimo che funzionava da direttore,
con i cantanti amplificati nascosti alla vista e una pantomima di
danzatori sul palcoscenico. In seguito, sia pur deluso dal fatto
che l'inquieto artista americano si era dedicato ad altro, lo scrittore
gli propose di realizzare Caino, a partire dal testo di Byron,
intendendolo come veicolo di promozione per John Sullivan, ma anche
in questo caso il percorso si interruppe, come anche accadde in
occasione di una sinfonia Anna Livia Plurabella.
La loro relazione fu ció nondimeno intensa, come testimonia un fitto
epistolario di straordinario interesse e approdò alla concreta realizzazione
con Nightpiece, un song composto nel 1930 per il progetto The Joyce
Book di Herbert Hughes, dove compariva a fianco di pagine di James
Bliss, Eugene Gossens e altri. Altrettanto forte, seppure più limitata
nel tempo, fu poi la corrispondenza con Otmar Schoeck, di
cui si annuncia una doverosa riproposta al prossimo Maggio Musicale
Fiorentino con l'opera Pentesilea, di cui lo scrittore ammirò molto
il ciclo di Lieder per orchestra Lebendig begraben su testi di Gottfried
Keller. D'altro canto, indipendentemente dalle relazioni personali,
il suo lavoro era già divenuto moneta corrente in ambito musicale,
in primo luogo per quel che concerne le liriche di Musica da camera,
che hanno attratto l'attenzione di molti dei maggiori musicisti
del secolo, tanto che lo stesso scrittore in una missiva del 1929
inviata alla sua protettrice Harriet Shaw Weaver scrisse spiritosamente
che "solo quell'anno ben diciannove liriche di quel libro erano
state musicate e quindi il titolo appare giustificato6" e in seguito
anche per gli altri testi.
Dal suo primo titolo aveva già tratto infatti ispirazione il polacco
Karol Szymanowski per un intenso ciclo compiuto nel 1926,
che è tra i momenti maggiori del suo ricchissimo, affascinante repertorio
vocale sempre intessuto di raffinate ricerche melodiche e da allora
non si contano le versioni e le rivisitazioni. In primo luogo va
citato John Cage, la cui Wonderful Widow of 18 Springs per voce
e pianoforte chiuso del 1942, incunabolo dell'aleatorietà, trae
da Finnegans Wake ispirazione in modo complesso, con una linea di
canto a metà tra parlato e salmodia, secondo un misto di altezze
determinate e indeterminate. L'autore di Per gli uccelli è tornato
poi spesso negli anni seguenti su questi percorsi, ad esempio in
Roaratorio del 1978 tratto dalla stessa opera e attraversato da
mesostici nel nome di Joyce, oppure nel testo per performance James
Joyce, Marcel Duchamp, Erik Satie del 1979. In tal senso, però,
è altrettanto importante l'attività di Luciano Berio che
ha posto l'opera di Joyce al centro delle sue ricerche,
realizzando un affascinante percorso sperimentale iniziato insieme
con Cathy Berberian nel 1953 con la dallapiccoliana (soprattutto
per le scelte del declamato) serie Chamber Music, per proseguire
poi con l'intenso Thema (Omaggio a Joyce) per nastro magnetico
del 1958, a partire dall'inizio dell'undicesimo capitolo di Ulisse,
con Epifanie del 1961 e poi riproposte in una revisione per
voce e orchestra nel 1993, dove il concetto-base del mondo espressivo
dell'autore irlandese, legato a un'idea di "novità spirituale e
umana" informa il brano ispirato a pagine di vari scrittori, in
un percorso di estrema complessità destinato a riverberare a lungo,
fino alle citazioni da Ulisse nel tessuto del recente Outis del
1996. L'elenco, comunque, è esteso e ramificato e accoglie, in ordine
sparso, voci tra loro molto diverse ma sempre importanti del Novecento
musicale: da Samuel Barber (Nine Joyce Songs per canto e pianoforte,
1936) a Toru Takemitsu (numerosi titoli per orchestra, tra cui Riverrun
del 1980), a David Del Tredici, Carlo Incontrera e Stephen Albert,
che molto hanno lavorato su temi joyciani. A questo sommario catalogo
vanno poi aggiunti i contributi in ambito pop e rock e basti qui
citare senza pretesa di esaustività Syd Barrett, che ha musicato
la Lirica n. 5 di Musica da Camera nel suo primo lp senza Pink
Floyd The Capman Laughs del 1969 e Kate Bush, che ha
affrontato il monologo di Molly Bloom in The Sensual World. Un destino
musicale preciso e articolatissimo, quindi, in vita e post mortem,
che non accenna a esaurirsi e che continuamente verifica le affermazioni
e i detour dell'autore di Ulisse, che nella sua prima raccolta aveva
perentoriamente rivelato questa strettissima relazione della sua
scrittura con la creazione di armonie e disarmonie, perché "suona
dolcissimamente, / il capo alla musica intento, / vanno le dita
smarrite / su uno strumento..."7.
1)
Si veda la dettagliatissima lettera a Giorgio ed Helen Joyce,
Parigi 5/2/1935, in Lettere a cura di Giorgio Melchiori, Mondadori,
Milano 1974, pagg. 594-596
2) Si veda la fulminea allusione
a "il grande ponte del cielo" nella
lettera a Emma Cuzzi del 7/12/1915, ibid. p. 290
3) Cfr. August Suter, Some
reminiscences of James Joyce in "James Joyce Quarterly", VII-3,
primavera 1970, pagg. 191-98, citato in Brenda Maddox, Nora.
Biografia di Nora Joyce, Mondadori, Milano 1989, pag. 208 e
pag. 256 4) Lettera a G.
Molyneux Palmer, Trieste, 19/7/1909, in Lettere cit., pagg.
201-202
5) Il testo è riportato
integralmente in Richard Ellmann, James Joyce, Feltrinelli.
Milano 1982, pag. 709
6) Lettera a Harriet Shaw
Weaver, Parigi 22/11/1929, in Lettere cit., pagg. 499-500
7) James Joyce, Poesie,
Mondadori, Milano 1967, pag. 35 |
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