WILLIAM SHAKESPEARE

ENRICO IV - PARTE PRIMA

Note preliminari
1) Il testo inglese adottato per la traduzione è quello curato del prof. Peter Alexander (William Shakespeare - “The complete Works”, Collins., London & Glasgow, 1951, pagg. XXXII - 1370), con qualche variante suggerita da altri testi, in particolare quello della più moderna edizione dell’“Oxford Shakespeare”, curata da G. Taylor e G. Wells per la University Press, New York, 1988.

2) Alcune didascalie e indicazioni sceniche (“stage instructions”) sono state aggiunte dal traduttore per la migliore comprensione dell’azione scenica alla lettura, cui la presente versione è essenzialmente concepita ed intesa. Si è lasciato comunque invariato, rispettivamente all’inizio e al termine di ciascuna scena, o alla entrata ed uscita dei personaggi nel corso della stessa scena, il rituale “Exit/Exeunt”, avvertendo peraltro che non sempre queste dizioni indicano movimenti di entrata ed uscita, potendosi dare che i personaggi cui esse si riferiscono o si trovino già in scena all’inizio di questa, o vi rimangano al suo termine.

3) Il metro è l’endecasillabo sciolto, alternato da settenari.

4) La divisione in atti e scene, com’è noto, non si trova nell’in-folio del 1623; essa è stata elaborata, spesso anche con l’elenco dei personaggi, da vari curatori nel tempo, a cominciare da Nicholas Rowe (1700), con varianti talvolta sostanziose. Qui li si riproduce quali figurano nella citata edizione dell’Alexander.

5) I nomi dei personaggi sono dati nella forma italiana, se ne esiste una, tranne quando sono preceduti dal titolo inglese (es. Sir John Falstaff, Lord Hastings).
In questo dramma - come del resto sempre altrove - Shakespeare inventa, per i personaggi minori, nomi che sono altrettanti aggettivi o appellativi “coloriti”, spesso intesi a sottolineare un qualche tratto caratteristico della persona. Così i nomi dei due giudici di pace Shallow e Silent sfruttano rispettivamente un aggettivo, “shallow”, che vuol dire “vuoto di cervello”, “imbecille” (“shallow brained”) e un sostantivo, “silence”, che vale “assenza di voce”, quindi anch’esso “vacuity”. È una critica, in chiave umoristica, alla qualità dei rappresentanti della giustizia dell’epoca.
I nomi dei soldati arruolati da Falstaff sono anch’essi riferiti a qualità fisiche: MOULDY vuol dire “coperto di muffa” quindi “sporco e andato a male” (“dirty and decayed”) e il nome di “Muffa” servirà a Shakespeare per ricamarci sopra uno dei suoi “quibbles”; SHADOW è “ombra”, “oscurità” ma anche “piccolezza” (“smallness in degree”); Wart è ogni piccola escrescenza della pelle, quindi “foruncolo”, “bubbolo”; Feeble è “fibula”, “cannuccia”, e “feeble-minded” è “tonto”; Bullcalf è “sempliciotto”.
Così i nomi dei due gendarmi: Fang è voce che contiene l’idea di “acchiappare con autorità”, “l’azione di imporre la propria volontà a quella di un altro”; SNARE è “pericolo incombente”, “trappola”. Infine la prostituta Doll Tearsheat è, letteralmente, “bambola straccialenzuola”, nome anche troppo suggestivo per una tale femmina.
Si è cercato di tradurre tutti questi nomi come possibile nei loro corrispondenti italiani che avessero lo stesso sapore di comicità; s’è lasciato tuttavia in inglese il nome della ostessa Mrs. Quickly, la cui resa in “Madama Fapresto” (come altri ha inteso tradurre) è sembrata, oltre che impropria come traduzione, del tutto estranea al carattere e al comportamento del personaggio.

6) La seconda parte dell’“Enrico IV” è storicamente il seguito della prima; ma la sua fattura non segue immediatamente la prima nel tempo; tra le due Shakespeare, per compiacere a un desiderio della regina Elisabetta, cui era tanto piaciuta la comicità del personaggio di Sir John Falstaff sì da ordinare all’Autore di rimetterlo in scena in veste di galante innamorato, mette mano a comporre “Le Allegre comari di Windsor”, la commedia, appunto, del Falstaff galante e scornacchiato. Pare la terminasse in soli 14 giorni.
Anche nella seconda parte Shakespeare s’ispira, nella narrazione dei fatti, alle “Cronache” dell’Holinshead, ai “Quattro libri delle guerre civili” di Samuel Daniel ed altre fonti, ma vi aggiunge di suo una cospicua parte di materiale non-storico; com’è già in apertura del dramma il falso annuncio della vittoria dei ribelli contro il re a Shrewsbury; dove invece hanno prevalso le forze regie e dove il principe Enrico s’è tanto distinto per valore (ha ucciso, tra l’altro, in duello, Harry Percy “Sperone ardente” (o “Caldosprone” come a noi piace meglio rendere “Hotspur”) da far dire al re, suo padre, che ha riscattato così tutti i suoi colpevoli trascorsi.
Il giovane principe, tuttavia, in apertura del dramma, sembra tornato alla sua vita scapigliata e alla solita mala compagnia di gente trista; e sarà questo nuovo motivo di amarezza per suo padre, già premuto e angustiato da una nuova rivolta di nobili, capeggiata dal padre del caduto “Sperone ardente”, il vecchio conte di Northumberland, l’Arcivescovo di York, e i Lords Hastings e Mowbray.
Il rapporto padre-figlio, su cui ruota la vicenda “personale” del dramma, ha la sua scena-madre nel momento in cui il giovane Enrico al capezzale del re, uomo ormai malato, esacerbato dal rimorso, lo crede morto, gli sottrae la corona e se la porta via per provarsela sul capo; ma il re si sveglia e dopo aver a lungo rimproverato il figlio, ne accetta le sincere dichiarazioni di amore e di lealtà filiale, e, come parlando al suo successore, gli dà una serie di consigli; gli ricorda le vie traverse per le quali egli stesso ha ottenuto la corona e gli suggerisce la politica da seguire per regnare: e cioè portare la guerra all’esterno, per proteggersi dall’insorgere di guerre civili all’interno. È l’annuncio delle vittoriose campagne di Francia del futuro Enrico V.
Personaggi
· La Chiacchiera (in funzione di presentatore)
· Re Enrico IV
· Figli di Enrico IV
· Enrico
principe di Galles, poi Enrico V
· Giovanni di Lancaster
· Humphrey di Gloucester
· Tomaso di Clarenza
· Avversari del re
· Il Conte di Northumberland
· Lord Scroop
arcivescovo di York
· Lord Mowbray
· Lord Hastings
· Lord Bardolph
· Sir John Colevile
· Del partito del re
· Il Conte di Warwick
· Il Conte di Westmoreland
· Il Conte di Surrey
· Il Conte di Kent Gower
· Harcourt
· Blunt
· Il Lord
giudice supremo
· Un suo servitore
· Scapigliati bislacchi
· Sir John Falstaff
· Eduardo Poins
· Bardolfo
· Pistola
· Peto
· Giudici di pace
· Roberto Zucca
· Silente
· Sbirri alle dipendenze dello Sceriffo
· Lenza
sergente
· Panza
gendarme
· Reclute
· Muffa
· Ombra
· Bubbolo
· Cannuccia
· Torello
· Servitori di Northumberland
· Traversa
· Morton
· Davy
servitore di Zucca
· Il Paggio di Sir John Falstaff
· Cesco
garzone d’osteria
· Lady Northumberland
moglie di Lord Northumberland
· Lady Percy
vedova di Harry Percy detto “Hotspur”(“Sperone ardente”)
· L’Ostessa Quickly
della taverna “Alla testa di cinghiale” a Eastcheap
· Pupa Strappalenzuola
prostituta
· Un ballerino in funzione di Epilogo
· Nobili, persone del seguito, un portiere, uscieri, valletti, servitori

Scena: in Inghilterra

Prologo
Davanti al castello dei conti di Northumberland a Warkworth

Entra, in funzione di presentatore, la Chiacchiera in una veste fatta di tutte lingue dipinte a vari colori

Chiacchiera - Signori, a me l’orecchio!
E chi di voi vorrà sbarrar l’udito
a ciò che reca il vento della Chiacchiera?
Io, dall’oriente al declinante occaso,
faccio del vento il mio caval di posta
per far palesi al mondo i fatti altrui
come spuntano sul terrestre globo.
Sulle mie lingue corre la calunnia
ch’io vo disseminando di continuo
nei più svariati idiomi della terra
inzeppando le orecchie della gente
di false dicerie: parlo di pace,
mentre la subdola inimicizia
sotto il sorriso della sicurezza
prepara i colpi che infierisce al mondo.
Chi, se non io, la Chiacchiera,
costringe a star perennemente all’erta
spaurite truppe e approntate difese
col sussurrare intorno che l’annata,
anche se pregna di tutt’altri mali,
è sul punto di partorire un figlio
al tiranno crudele della guerra,
e invece è tutto falso?
La Chiacchiera è una specie di zampogna
nelle cui canne soffiano sospetti
e congetture della Gelosia ,
e per suonarla è così piano e semplice
chiuderne e aprirne i fori con le dita,
che pure l’incostante moltitudine,
sempre discorde, la sa modulare.
Ma che bisogno ho io
d’andar dissezionando in mezzo a voi,
gente di casa, il mio ben noto corpo?
Voglio dire: che ci fa qui la Chiacchiera?
Io reco in avanguardia la notizia
della grande vittoria di Re Enrico
che ha battuto, in un sanguinoso scontro,
Sperone Ardente e le sue truppe a Shrewsbury,
soffocando nel sangue
la vampa dell’ardita ribellione.
Ma che idea m’è saltata per la testa
di spifferarvi subito, così,
i fatti nella loro verità?
Mio compito sarà, tutto al contrario,
di spargere che è stato Enrico Monmouth
a cader sotto l’ira della spada
del valoroso Hotspur; e che il re
dovè chinare il capo consacrato,
a terra, giù, fino a toccar la tomba,
sotto i colpi del furibondo Douglas.
Queste son le notizie
ch’io sono andata bucinando in giro
per i villaggi e i borghi
tra Shrewsbury, dov’è accampato il re,
e questo diroccato fortilizio
di pietra verminosa e fatiscente
nel quale il padre di Sperone Ardente,
il vecchio Percy, conte di Northumberland,
giace a letto fingendosi malato.
Arrivan trafelati i messaggeri,
ma nessuno di loro reca nuove
attinte ad altre fonti che da me.
E dalle mille lingue della Chiacchiera
portano attorno dolci falsi balsami,
peggiori delle amare verità.

(Esce)
ATTO PRIMO
SCENA I -La stessa del prologo

Entra Lord Bardolph

Bardolph - Olà, chi sta di guardia qui alla porta?
(Bussa alla porta del castello)

Dalla porta esce il portiere

Dov’è il Conte?
Portiere - Chi debbo dire, prego?
Bardolph - Digli che è qui Lord Bardolph che l’aspetta.
Portiere - Sua signoria fa due passi in giardino.
Vostro onore non ha che da bussare
a quella porta; v’aprirà lui stesso.

La porta del giardino si apre e ne esce il vecchio
Conte di Northumberland; ha in capo
una berretta e s’appoggia ad una cruccia
Bardolph - Il Conte è qui.
Northumberland - Che notizie, Lord Bardolph?
Di questi tempi ogni istante che passa
può partorir qualche brutta sorpresa.
Sono tempi feroci, e la discordia,
come un cavallo sazio di buon pascolo,
s’è scatenata, ha spezzato le redini
e travolge ogni cosa avanti a sé.
Bardolph - Porto da Shrewsbury notizie certe,
nobile Conte.
Northumberland - E buone, se Dio vuole?
Bardolph - Le migliori che cuor possa augurarsi.
Eccole: il re quasi ferito a morte;
suo figlio Harry, principe di Galles,
per buona sorte del vostro figliolo
e mio signore, addirittura ucciso;
uccisi per la mano di Lord Douglas
entrambi i Blunt; il principe Giovanni
in fuga con Westmoreland e Stafford;
e quel grosso maiale di Sir John
che fa brigata con Enrico Monmouth,
prigioniero di vostro figlio Percy.
Una giornata combattuta e chiusa
così splendidamente come questa
non era certamente più venuta
ad onorare il corso della storia
dai trionfi del grande Giulio Cesare.
Northumberland - Ma tutto questo come lo sapete?
Eravate sul campo di battaglia?
E venite da Shrewsbury?
Bardolph - Non proprio;
ma ho parlato con uno; mio signore,
che proprio ne veniva: un gentiluomo
di buona nascita e reputazione
che, non richiesto, m’ha voluto dare
come sicure queste informazioni.

Entra Traversa
Northumberland - Ma ecco qui Traversa, il mio famiglio
che spedii là lo scorso martedì
ad orecchiare che notizie c’erano.
Bardolph - L’ho superato per via cavalcando,
mio signore; non può esser fornito
di notizie più certe
di quelle avute da me.
Northumberland - Beh, Traversa,
quali buone notizie t’accompagnano?
Traversa - Mio signore, Sir Bardolph,
per la strada, mentre tornavo a casa,
m’aveva dato, invero, superandomi
con la migliore sua cavalcatura,
felici nuove. Ma dopo di lui
mi raggiunse, correndo a tutto sprone,
un gentiluomo, che mi s’affiancò
per ridare respiro al suo cavallo
che aveva i fianchi tutti insanguinati.
Mi chiese quale via menasse a Chester,
ed io gli chiesi a mia volta notizie
da Shrewsbury, se mai ne avesse avute;
egli allora mi disse che la sorte
era stata maligna coi ribelli,
e che lo sprone del giovane Percy
era freddo per sempre; e lì, di colpo,
diede di briglia all’abil suo destriero
e conficcò, tutto curvo in avanti,
gli sproni che ne armavano i calcagni
negli ansimanti fianchi della bestia,
ficcandoglieli fino alle rotelle
sì che sembrò partirsene di volo
quasi volesse divorar la strada,
senza attender da me altre domande.
Northumberland - Eh?... Ripeti, ripeti... Che ti disse?
Che lo sperone del giovane Percy
era ridotto freddo?
“Sperone freddo” di “Sperone Ardente”?
E che la ribellione
aveva ricevuto sorte ingrata?
Bardolph - No, so io com’è andata, monsignore.
Se vostro figlio e mio giovin signore
non ha vinto, vi giuro sul mio onore,
che darò via la mia baronia
per un laccetto di seta. Macché!
Manco a parlarne, siatene pur certo!
Northumberland - Perché allora quel tale gentiluomo
che s’è affiancato a Traversa per via
gli avrebbe dato sì precisi dati
sulla rotta dei nostri?
Bardolph - Chi, quel tale?
Quello era qualche ozioso lestofante
che stava in groppa a un cavallo rubato
e che, parola mia, contava bubbole!
Ma guardate, ecco giungere altre nuove.
Entra Morton
Northumberland - Sì, ma il cupo cipiglio di quest’uomo
è già l’annuncio, quasi un frontespizio,
del contenuto d’un tragico libro.
Il suo volto ha l’aspetto d’una spiaggia
sopra la quale gli imperiosi flutti
hanno lasciato la testimonianza
della loro violenta occupazione.
Morton, su, parla. Ne vieni da Shrewsbury?
Morton - Da Shrewsbury, mio nobile signore,
fuggito via da un luogo
ove la morte s’è coperto il volto
con la più orribile delle sue maschere
per seminare il terrore fra i nostri.
Northumberland - Che n’è di mio fratello? Di mio figlio?
Tu tremi, e il pallore del tuo viso
mi dice meglio assai che la tua lingua
il tuo messaggio. Un altro come te
disanimato, attonito, disfatto,
il volto cereo di mortal pallore,
fu quello che, nel cuore della notte,
andò ad alzar la cortina di Priamo
per dirgli che metà della sua Troia
era in fiamme; ma prima ch’ei parlasse
quello aveva “sentito” già l’incendio
com’io ora la morte del mio Percy
prima che tu me ne dia la notizia.
So già come vorresti presentarmela:
“Vostro figlio operò così e così...
“vostro fratello si batté così
“col grande Douglas”, eccetera, eccetera...
a riempire l’avido mio orecchio
con i loro prodigi di valore,
fino a che, a turarmelo del tutto,
un tuo sospiro spazzerà ogni lode
concludendo così: “Fratello e figlio
e tutti gli altri sono morti. Tutti”.
Morton - Douglas vive, e così vostro fratello;
ma quanto al mio signore vostro figlio...
Northumberland - È morto! Vedi come il presentire
ha lingua pronta. Colui che paventa
una cosa che non vorrebbe apprendere
capisce già, solo dall’altrui sguardo,
per istinto, che quel che paventava
è successo... Ma parla, Morton, parla!
Non farti scrupolo di dire a un conte
che il suo presentimento era bugiardo.
Lo prenderò come un cortese sgarbo;
anzi, quest’atto tuo d’irriverenza
ti farà ricco.
Morton - Siete troppo grande
perché io vi contraddica; il vostro spirito
è troppo veritiero e troppo certi
i vostri pavidi presentimenti.
Northumberland - E tuttavia non m’hai ancora detto
che Percy è morto. Ti leggo negli occhi
però, che annuisci stranamente.
Scuoti il capo e paventi essere in colpa
nel dir la verità.
Se è stato ucciso dillo; non m’offende
la lingua che m’annunci la sua morte;
pecca chi falsamente annuncia il morto
non già chi dice il morto non più vivo;
anche se è vero ch’è ben duro compito
quello di chi riporta ingrate nuove:
la sua lingua somiglia a una campana
che annuncia col suo lugubre rintocco
l’ultima dipartita d’un amico.
Bardolph - Che vostro figlio sia morto, signore,
davvero non riesco a indurmi a crederlo.
Morton - (A Northumberland)
Mi duole esser costretto a persuadervi
di cosa che avrei ben richiesto al cielo
di non aver mai visto; ma l’ho visto
con questi che, tutto sanguinante,
rispondeva, con deboli stoccate,
sfibrato ed ansimante ad Harry Monmouth,
la cui fulminea collera abbattè
il vostro indomito Percy al terreno
da quale non doveva più rialzarsi.
In breve, non appena si diffuse
pel campo la notizia della morte
di quel prode il cui spirito guerriero
infiammava il più stupido bifolco,
si spense fuoco e ardore in tutti gli animi
anche dei più coraggiosi suoi uomini;
perché tutti traevan la lor tempra
dal suo metallo quelli di sua parte;
talché caduto lui, per tutti gli altri
fu tutto un ricadere su se stessi,
come pezzi di grave e inerte piombo.
E come tutto ciò ch’è in sé pesante
quando riceve una potente spinta
vola a grandissima velocità,
così i nostri uomini, resi pesanti
dall’improvvisa perdita di Percy
presero tale levità di peso
dalla paura, che non più veloci
volan le frecce verso il lor bersaglio
di quelli, che dal campo di battaglia
fuggiron tutti in cerca d’uno scampo.
E fu a quel punto che il nobile Worcester
d’improvviso fu fatto prigioniero;
e quell’indemoniato di scozzese,
il sanguinario Douglas,
la cui abile spada aveva ucciso
tre contraffatte immagini del re ,
cominciò a vacillare di coraggio
e, incurante d’offrire col suo esempio
un alibi alla vergognosa fuga
di tutti gli altri, volse allora anch’egli
al nemico le spalle e, nella fuga,
inciampava e veniva catturato.
La conclusione di tutto è che il re
ha vinto, mio signore,
ed ha spedito qui contro di voi,
le sue truppe più celeri al comando
del principe di Lancaster e di Westmoreland
E questo è tutto che dovevo dirvi.
Northumberland - Per piangere su questo
avrò tempo. C’è sempre nel veleno
un antidoto al male provocato:
notizie come queste,
che m’avrebbero, fossi stato bene,
reso infermo, m’han quasi risanato,
essendo infermo. E come ad un infermo
cui la febbre ridusse le giunture
come tante cerniere scardinate
sotto il fardello d’una vita grama,
sfugge, col guizzo quasi d’una vampa,
dalle braccia di quelli che l’assistono,
così a me queste membra,
sfibrate dal dolore, dal dolore
sentono triplicato il lor vigore.

(Gettando via la cruccia)

Via, perciò, fiacca, neghittosa cruccia!
Un guanto a nocche e scaglie in duro acciaio
ricopra d’ora innanzi questa mano!

(Gettando via la berretta)

E via anche tu, berretta da malato,
troppo futil difesa a questa testa
che principi esaltati di conquiste
voglion fare bersaglio dei lor colpi!
Di ferro mi si cinga ora la fronte
e contro me s’avanzi minacciosa
l’ora che i tempi e il livido rancore
oseranno recare per reprimere
la furibonda rabbia di Northumberland!
Ora che il cielo baci pur la terra!
Ora più non trattenga la natura
nei suoi confini il tempestoso oceano!
Sprofondi l’ordine del mondo, e il mondo
cessi d’essere solo il palcoscenico
su cui da un atto all’altro
si nutre pigramente la discordia;
e in ogni petto imperi solamente
il primigenio spirito di Caino,
sì che quando ogni cuore sia aizzato
a sanguinose azioni, si concluda
l’umano dramma, e discenda la tenebra
a seppellire i morti.
Bardolph - Questi accessi di rabbia fanno male
alla vostra salute, mio signore.
Morton - Che la vostra saggezza, dolce duca,
non divorzi dal senso dell’onore;
le vite di noi tutti,
vostri affezionatissimi seguaci,
sono legate alla vostra salute,
e questa non potrà che peggiorare
se vi lasciate andare in questo modo
al turbine della disperazione.
Avevate di certo messo in conto
l’evento della guerra ed i suoi rischi
prima di dire: “Avanti, andiamo avanti!”.
Ben era in voi tenuto in conto, credo,
che, trascorrendo in mezzo a tanti colpi,
vostro figlio potesse pur soccombere;
che avrebbe camminato sul pericolo
come sul ciglio d’un profondo abisso
nel quale era più facile cadere
che riuscire a superarne il varco;
sapevate altresì che la sua carne
era soggetta ai guasti e alle ferite
e che l’ardimentosa sua natura
l’avrebbe certamente fatto accorrere
dove la mischia fosse più rischiosa.
E tuttavia non esitaste un attimo
a dirgli: “Avanti, va!”,
perché nessuno di questi pericoli,
seppure fortemente paventati,
poté frenarvi da un’iniziativa
così tenacemente perseguita.
Che è successo, d’altronde,
o che cosa è seguito a questa impresa
più di quanto non fosse già previsto?
Bardolph - Noi tutti, che pur siamo coinvolti
in questa perdita, eravam ben consci
d’avventurarci in acque sì rischiose
e dove l’alea di salvar la vita
non era più di uno contro dieci.
E tuttavia ci mettemmo all’azzardo
perché la prospettiva del vantaggio
d’un suo successo superava in noi
di gran lunga la tema del pericolo;
ed anche ora, travolti come siamo,
ci resta l’animo di ritornare
a tentare la sorte... Avanti, su,
mettiamo in gioco tutto, vita e beni!
Morton - Ed è gran tempo! M’è giunta anche voce,
nobilissimo duca, e son sicuro,
mio signore, di riferirvi il vero,
che il nobile arcivescovo di York
è già in campo con truppe bene armate.
Egli è tal uomo da legare a sé
i suoi seguaci a duplice cauzione.
Vostro figlio, mio nobile signore,
d’altro non disponeva, per combattere,
che di corpi senz’anima,
ombre che avevan sol parvenza d’uomini,
ché la stessa parola “ribellione”
staccava loro l’anima dal corpo
sì da farli sentire tratti a forza
ad uno scontro ad essi ripugnante
come bere un intruglio nauseabondo;
talché sembrava che da parte nostra
combattessero solo le armature,
mentre quella parola: “ribellione”
ne aveva raggelato mente e anima
come altrettanti pesci in uno stagno.
L’Arcivescovo invece ha fatto adesso
della rivolta un moto religioso.
Creduto uomo generoso e pio
da tutti, nei pensieri e nei propositi,
è seguito da tutti anima e corpo;
e guadagna seguaci alla sua parte
col sangue dell’onesto re Riccardo
raschiato via dalle pietre di Pomfret .
Fa derivar dal cielo la sua causa
e le ragioni della sua rivolta
dicendo loro d’ergersi a difesa
d’un paese che sanguina e boccheggia
sotto la tirannia del grande Bolingbroke;
e si trascina dietro grandi e piccoli.
Northumberland - Di tutto questo avevo già saputo,
ma in verità l’ambascia di quest’ora
l’avea tirata fuor dalla mia mente.
Venite, raduniamoci a consiglio
e suggerisca ciascuno di voi
la maniera migliore e più spedita
per ottenere salvezza e vendetta.
Si mandino messaggi e messaggeri
a procurarci subito alleati,
mai così pochi e mai più necessari.

(Escono entrando nel castello)
SCENA II -Londra, una strada

Entrano Sir John Falstaff e il suo Paggio, un nano che gli cammina dietro portandogli spada e scudo

Falstaff - Dunque, gigante, che dice il dottore
della mia urina?
Paggio - Ha detto, signoria,
ch’era di per se stessa buona e sana
ma che il soggetto al quale essa appartiene
potrebbe avere addosso più malanni
che non ne sappia la sua scienza medica.
Falstaff - Uomini d’ogni tacca e professione
si fanno belli a prendermi a dileggio.
Il cervello di quell’immondo impasto
di creta e balordaggine che è l’uomo
non sa inventare nulla per far ridere
che non sia stato inventato da me
o su di me; perché io sono arguto
non soltanto per esserlo in me stesso,
ma perché suscito arguzia negli altri.
Ecco, vedi, io ti cammino avanti
come una scrofa che abbia soffocato
tutti i suoi porcellini, eccetto uno.
Se il principe non t’ha assegnato a me
per far spiccare agli occhi della gente
la mole del mio corpo appetto al tuo,
io son uno senza cervello in testa.
Mandragola che sei!
Altro che fatto per venirmi dietro!
Tu sei più adatto a fare da ornamento
al mio berretto, figlio di puttana!
Fino ad oggi non m’era mai successo
d’avere come scorta e servitore
una tal figuretta da cammeo
di quelle che s’intagliano nell’agata;
ma io non t’incastonerò, vedrai,
né in oro, né in argento;
ti rispedirò indietro al tuo padrone
in vil paludamento;
che ti si metta lui per ornamento,
lo sbarbatello, cui non spunta ancora
un sol pelo sul mento. Farà prima
a venire fuori una grossa peluria
sulla mia palma, che un solo peletto
sulla sua guancia; e nonostante ciò,
non esita un istante a proclamare
che la sua è la faccia d’un reale !
Gliela finisca Dio quando vorrà;
per ora non ha un pelo che l’ingombri.
E se davvero è di conio regale,
se la conservi pur così per sé,
ché di certo nessun barbitonsore
ci caverebbe, a raderla, sei soldi ;
e intanto lui va facendo il galletto
quasi fosse già stato un uomo fatto
fin dal tempo che il padre era uno scapolo.
Per me, si tenga pure la sua grazia ,
ma la mia l’ha perduta quasi tutta.
Di ciò può essere più che sicuro.
E che t’ha detto Mastro Calabrone
circa quel raso per la mia mantella
e le mie braghe, che t’ha detto, eh?
Paggio - Ha detto che dovreste procurargli,
monsignore, una garanzia migliore
di quella con l’avallo di Bardolfo.
Non è disposto ad accettare impegni
né dalla parte sua né dalla vostra;
la vostra sicurtà non gli sta bene.
Falstaff - Che sia dannato, come l’Epulone !
E Dio voglia che a questo Achitofello
bruci la lingua, più di quello vero!
Gran figlio di puttana, ciarlatano,
tutto salamelecchi e “signorsì”!...
Menare per il naso un gentiluomo
ed impuntarsi sulla garanzia!
Questi bastardi di zucche pelate
che portano calzari alti una spanna
con grossi mazzi di chiavi alla cintola !
E se un brav’uomo si rivolge a loro
per un modesto credito d’acquisto,
ecco che vogliono la sicurtà!
Ma io mi faccio riempire il becco
magari col veleno per i topi
piuttosto che lasciarmelo tappare
con questa maledetta sicurtà!
Quant’è vero che sono un cavaliere,
mi sarei aspettato da costui
ventidue yarde d’un ottimo raso,
e lui mi manda a dire “sicurtà”!
Bene, ci dorma pure, in sicurtà!
Perché la cornucopia ce l’ha in casa,
da cui la leggerezza della moglie
traspare con chiarezza cristallina...
ma lui non è capace di vederla
anche s’è il becco della sua lucerna
a fargli luce... Ma dov’è Bardolfo?
Paggio - È andato a Smithfield , vostra signoria,
ad acquistare un cavallo per voi.
Falstaff - Così io ho comprato lui a San Paolo ,
e lui mi compera un cavallo a Smithfield.
Non mi manca che prendermi una moglie
in un bordello, e sarò ben servito
ben montato e benissimo ammogliato .

Entra il Lord giudice supremo con un servo
Paggio - Signore, sta arrivando il nobiluomo
che fece mettere in prigione il Principe
perché questi l’aveva schiaffeggiato
a causa di Bardolfo.
Falstaff - (Svignandosela)
Andiamo; seguimi,
non ho nessuna voglia d’incontrarlo.

(Infila un vicolo seguito dal paggio)
Giudice - (Al servo)
Chi è quello che svicola di là?
Servo - È Sir John Falstaff, Vostra signoria.
Giudice - Quello che fu citato per rapina?
Servo - Appunto, monsignore; ma da allora
ha combattuto egregiamente a Shrewsbury,
ed al momento, a quanto sento dire,
sta per partire per una missione
al servizio del Principe di Lancaster.
Giudice - Che! A York?... Richiamamelo indietro.
Servo - (Chiamando)
Sir John Falstaff... Sir John...
Falstaff - (Al paggio, voltandosi)
Ragazzo, va’,
vagli a dire che il tuo padrone è sordo.
Paggio - (Al servo del giudice)
Vi dispiace parlare un po’ più forte?
Il mio padrone è sordo.
Giudice - Sordo, eh, sì!
Sicuro! Sordo ad ogni voce onesta!

(Al suo servo)
Prendilo per un braccio, se non sente,
e conducilo qui. Debbo parlagli.
Servo - (Fa per afferrare Falstaff per il braccio,
ma non gli riesce che di tirargli la manica,
come chi voglia chieder l’elemosina)
Sir John...
Falstaff - Un ragazzone come te,
grande e grosso, che chiede l’elemosina?
Non c’è più da arruolarsi per la guerra?
Non ci sono più posti di lavoro?
Il re non abbisogna più di sudditi?
I ribelli non voglion più soldati?
Ché può esser magari vergognoso
trovarsi a militare da una parte
diversa da quell’una ch’è la tua ,
ma mendicare è ancor più vergognoso
che combattere da quest’altra parte,
anche se ciò sia senza confronto
peggior partito che farsi ribelle.
Servo - Signore, vi sbagliate su di me.
Falstaff - Perché, ho detto che sei un uomo onesto?
Se avessi detto questo,
mettendo a parte la mia qualità
di cavaliere nonché di soldato ,
avrei proprio mentito per la gola.
Servo - Vi prego allora di metter da parte
cavaliere e soldato che voi dite,
e consentire a me di dichiararvi,
signore, che mentite per la gola
se dite ch’io non sono un uomo onesto.
Falstaff - Io consentire a te di dirmi questo?
E per farlo dovrei lasciar da parte
qualcosa che fa parte di me stesso?
Perdio, se avrai da me questo consenso,
fammi impiccare; e se questa licenza
te la dovessi prendere tu stesso,
meglio faresti ad impiccarti tu!
Fuori dai piedi, cane senza fiuto!
Fila!
Servo - Ma, chi desidera parlarvi,
signore, non son io, è il mio padrone.
Giudice - (Avvicinandosi)
Sì, Sir John Falstaff, io, una parola.
Falstaff - (Fintamente cerimonioso)
Mio buon signore! Voglia Iddio concedere
un lieto giorno a Vostra signoria.
Mi rallegro vedervi fuori casa;
ho udito che stavate poco bene.
Spero non siate uscito, monsignore,
senza espresso consiglio del dottore;
ché, se non proprio fuor di gioventù,
un qualche pizzico di attempatezza,
un sapor di salsedine del tempo
vossignoria se lo deve sentire.
Perciò molto umilmente vi scongiuro
d’aver riguardo alla vostra salute.
Giudice - Sir John, già prima che v’apparecchiaste
a partire per Shrewsbury soldato
io vi feci chiamare innanzi a me.
Falstaff - (Cambiando discorso)
Non vi dispiaccia, Vostra signoria,
ma sua maestà, come avete sentito,
è tornato da questa sua campagna
nel Galles con addosso qualche acciacco
ed anche brutto...
Giudice - Non vi sto parlando
di sua Maestà; vi stavo ricordando
che quando foste da me convocato,
vi siete ben guardato dal venire.
Falstaff - (Sempre seguendo il discorso di prima)
... ed ho saputo inoltre che sua altezza
ha avuto un’allarmante ricaduta
in quella sua dannata apoplessia...
Giudice - Beh, che Dio lo guarisca.
Ma, vi prego, è di voi che sto parlando.
Falstaff - (Come sopra)
... e da quanto m’è dato di capire,
con licenza di vostra signoria,
si tratterebbe, questa apoplessia,
d’una forma di grave letargia,
un torpore che invade tutto il sangue
e dà un noioso sibilo agli orecchi...
Giudice - Sia quel che sia, a me venite a dirlo?
Falstaff - (Come sopra)
... e all’origine di questo disturbo
son gli affanni, le cure ed i pensieri
che affaticano e turbano il cervello.
Le cause che producon questi effetti
le ho lette nel trattato di Galeno:
chi n’è colpito è come fosse sordo.
Giudice - Sordo mi sembra lo siate anche voi,
visto che non sentite quel che dico.
Falstaff - Esatto, monsignore, più che esatto!
Anzi, se non dispiace a Vostro onore,
la malattia da cui sono colpito
è proprio quella di non ascoltare,
di non fare attenzione a chi mi parla.
Giudice - Un bel paio di ceppi alle caviglie
sarebbe certamente un buon rimedio
per ridare l’udito ai vostri orecchi.
E volentieri vi farei da medico.
Falstaff - Eh, sapete, eccellenza,
io, al pari di Giobbe, sono povero,
ma non son come lui così paziente.
Vossignoria può ben somministrarmi
per medicina l’imprigionamento,
in ragione della mia povertà;
quanto però alla mia disposizione
a seguire le vostre prescrizioni
è un punto sopra il quale i benpensanti
potrebbero nutrire qualche dubbio .
Giudice - Io vi mandai quella convocazione
quando su di voi pendevan tali accuse
da comportar la pena capitale.
Falstaff - Ed io, su avviso del mio difensore,
dottissimo di leggi militari,
pensai non fosse il caso di venire.
Giudice - Sir John, insomma, diciamola chiara:
voi menate una vita vergognosa.
Falstaff - Non potrebbe condurne una diversa
uno cui stesse bene la mia cinghia.
Giudice - I vostri mezzi sono assai ristretti
per una vita sì larga di sperperi .
Falstaff - Come vorrei fosse vero il contrario:
più larghi i mezzi, più stretta la vita!
Giudice - Avete indotto il Principe a traviarsi.
Falstaff - È stato il principe a traviare me.
Io sono come il cieco panciagrossa,
e lui il mio cane.
Giudice - Bah, sia come sia,
mi ripugna riaprire una ferita
appena mo’ rimarginata. Basta.
Il vostro buon comportamento a Shrewsbury
ha steso un po’ di patina dorata
sulla rapina notturna di Gadshill .
Potete ringraziare l’inquietudine
dell’ora che viviamo,
se v’è riuscito di venirne fuori
a così poco prezzo.
Falstaff - Signor mio...
Giudice - Ma dal momento che ora tutto è in ordine,
rimanga pur com’è;
non stiamo a risvegliar lupo che dorme.
Falstaff - Eh, sì, svegliare un lupo quando dorme,
è male quanto fiutare una volpe .
Giudice - Ecco, voi siete come una candela
di cui si sia bruciato tutto il meglio.
Falstaff - Un cero da festino,
dite pure, signore, tutto sego:
ché se dovessi dirmi cera
la mia mole m’avrebbe sconfessato .
Giudice - Non c’è pelo del vostro bianco mento
che non dovrebbe indurvi a mantenere
la parte di sussiego che gli spetta.
Falstaff - Di sussiegoso grassume, grassume !
Giudice - Seguite ovunque quel giovane principe
manco foste il suo angelo cattivo.
Falstaff - Ah, no, signore: un “angelo” cattivo
è leggero di peso; mentre a me,
almeno spero, chiunque mi guardi
m’accetta subito, senza pesarmi;
pur se per certi aspetti, devo ammetterlo ,
non ho facile corso. Ma che dire?
In tempi di mercanti come questi
il merito è così poco apprezzato
che il valore è ridotto, quello vero,
a far ballare gli orsi nelle fiere,
e il suo sagace spirito sprecato
a fare l’oste ed i conti d’osteria;
e così l’altre doti che fan l’uomo,
ridotte come sono tutte quante
dalla perversità del nostro tempo,
non valgon più d’un chicco d’uva spina.
Voi vecchi non considerate al giusto
gli slanci di noi giovani:
misurate l’ardor del nostro fegato
con l’amarezza della vostra bile;
ma noi che siamo pure un po’ più avanti
nell’età della nostra giovinezza,
siamo anche, devo ammetterlo,
oltre che giovani, un po’ mattacchioni.
Giudice - Vi mettete nel novero dei giovani
voi, che con tutti i crismi dell’età,
portate scritto “vecchio” sulla faccia?
Non avete voi l’occhio lacrimoso,
la mano secca, la faccia ingiallita,
la barba bianca, le gambe in decrescita?
Non avete la voce arrugginita,
il fiato corto, il mento a pappagorgia,
il cervello infiacchito, ed ogni parte
del vostro corpo ridotta ad un rudere?
E seguitate a proclamarvi giovane?
Ah, Sir John, che vergogna, che vergogna!
Falstaff - Vi dirò, monsignore: io sono nato
verso le tre d’un certo pomeriggio
ch’ero in testa già bianco
e nell’addome alquanto panciutello;
quanto alla voce, mi si è fatta roca
a forza di dar voce ai cani, a caccia,
e di cantare antifone alla messa.
D’addurvi qui altre prove
della mia giovinezza non mi merito;
vecchio son solo per senno ed intuito;
ma chi volesse, mille marchi posta,
misurarsi con me nel far capriole,
si faccia avanti, consegni la posta,
ed io son pronto a fare la scommessa .
Quanto al ceffone che vi diede il principe...
ve lo diede, lo debbo riconoscere,
da principe piuttosto screanzato;
mentre voi lo incassaste da signore,
devo dirlo, da vero gentiluomo.
E non mancai di muovergliene appunto,
e ne fa penitenza, il leoncello;
ma non col capo cosparso di cenere
e con un saio di tela di sacco,
ma in un bell’abito nuovo di raso,
tracannando del buon secco di Spagna .
Giudice - Dio mandi al principe miglior compagno.
Falstaff - Ed al compagno mandi miglior principe.
Di questo qui non so come sbrattarmi.
Giudice - Beh, a separarvi ci ha pensato il re.
Ho inteso infatti che siete in partenza
con sua altezza Giovanni di Lancaster
a combattere contro l’arcivescovo
e il conte di Northumberland.
Falstaff - Infatti.
Ringrazio il vostro spirito sottile
per averlo capito. Ma attenzione,
voialtri tutti che restate a casa
fra i dolci amplessi di Madonna Pace:
pregate il cielo che i nostri soldati
non abbiano a combattere coll’afa:
perch’ io porto con me, Signore Iddio,
soltanto due camicie di ricambio,
e non voglio sudare oltre misura.
Se sarà infatti una giornata calda,
ch’io non possa mai più sputare bianco
se non avrò come arma da brandire
altro che la mia fiasca!
Però spuntasse mai all’orizzonte
un’azione importante qualche rischio
in cui io non sia buttato dentro!
Ma io non sono eterno .
È stato sempre vizio degli Inglesi,
quando hanno per le mani un buon soggetto,
di farne roba da comune impiego.
Se proprio ritenete necessario
incaponirvi a dir che sono vecchio,
dovete allora mettermi a riposo.
Volesse il Cielo che questo mio nome
non avesse a suonar più sì terribile
agli orecchi nemici come adesso!
Preferisco piuttosto arrugginire
fino alla morte, che venir frullato
fino ad esser ridotto al lumicino
da questa specie di moto perpetuo.
Giudice - Bene, Onestà: mantenetevi onesto,
e benedica Iddio la vostra marcia.
Falstaff - Vossignoria non sarebbe disposta
a prestarmi un migliaio di sterline
per completarmi l’equipaggiamento?
Giudice - Non un soldo, mi spiace, non un soldo.
Voi siete un tipo troppo intollerante
al portar croci addosso a voi . Addio.
Statevi bene. E portate un saluto
a mio cugino il conte di Westmoreland.

(Escono il Giudice e il Servo)
Falstaff - Mi diano in testa con un maglio a tre
se gli porto il saluto a suo cugino!
C’è un’incapacità nell’uomo, innata,
a separar l’età dall’avarizia,
più che non a tenere separata
la carne giovane dalla lussuria;
ma l’una è castigata dalla gotta,
l’altra dalla sifilide; ma i mali
che sono già per lui codesti due
mi dispensano dall’indirizzargli
anche tutte le mie maledizioni...
Di’, ragazzo!
Paggio - Signore?
Falstaff - Quanto denaro c’è nella mia borsa?
Paggio - Sette grossi e due pence, signoria.
Falstaff - A questo mal consunto della borsa
non mi riesce di trovar rimedio.
Far debito è soltanto un palliativo
per prolungare il male, ch’è inguaribile.
Portami questa lettera
al mio signore Giovanni di Lancaster,
quest’altra al principe, quest’altra a Westmoreland;
questa a Madama Ursula,
la tardona cui ogni settimana
da quando mi son visto sulla faccia
che mi spuntava il primo pelo bianco,
prometto di sposarla. Va’, fa’ presto.
Al tuo ritorno sai dove trovarmi.

(Esce il Paggio)

Ah, questa gotta e questo mal francese!
S’attaccassero insieme l’uno con l’altro!
Perché se non è l’uno sarà l’altra
a tormentarmi senza darmi tregua
all’alluce di tutte e due le piante!
Se non andrò più avanti, non importa;
ho da me la scusante delle guerre;
anzi con questi acciacchi, la pensione
sembrerà tanto più giustificata.
Buona mente di tutto fa tesoro:
saprò far buon mercato dei miei mali.

(Esce)
SCENA III - York, il palazzo dell’Arcivescovo

Entrano l’Arcivescovo e i Lords Mowbray, Hastings e Bardolph

Arcivescovo - Ecco, dunque, signori, avete udito
qual è la causa che noi sosteniamo
e quali mezzi abbiamo a sostenerla.
Ora vorrei che ciascuno di voi
dicesse chiaramente il proprio avviso
sulle nostre speranze di successo.
Prima di tutti voi, Lord Maresciallo .
Che ne dite?
Mowbray - Vi do il mio pieno accordo
sulle ragioni della nostra lotta,
ma gradirei più ampie spiegazioni
sul modo come, con i nostri mezzi,
saremo in condizione di far fronte
con sufficienti forze militari
al poderoso esercito del re.
Hastings - Al momento le nostre forze in campo
sommano a venticinquemila uomini,
tutti elementi scelti ed addestrati;
pei rinforzi nutriamo ampie speranze
dalla parte del nobile Northumberland
nel cui petto divampa sempre il fuoco
dei numerosi oltraggi ricevuti.
Bardolph - Allora la questione è di sapere
se i nostri venticinquemila uomini
siano bastanti a reggere lo sforzo
anche senza l’aiuto di Northumberland.
Hastings - Con lui possiamo.
Bardolph - Già, ma qui sta il punto.
Se si pensa che siamo troppo deboli
nell’evenienza che questi rinforzi
ci vengano a mancare, è mio giudizio
che non dovremmo avventurarci troppo
finché non ci saremo assicurati
quest’aiuto; perché in un’intrapresa
che si presenta così sanguinosa
come la nostra, non si può far calcolo
su ipotesi, speranze, aspettative
d’incerti aiuti.
Arcivescovo - Molto giusto, Bardolph!
È stata appunto questa l’evenienza
occorsa al giovane Sperone Ardente
a Shrewsbury.
Bardolph - Infatti, monsignore:
perché anche lui s’era imbottito il petto
di speranze, nutrendosi dell’aria
di promesse di aiuti e di rinforzi,
illudendosi nell’aspettativa
d’una armata che risultò alla fine
inferiore al più piccolo suo calcolo;
e così, con l’accesa fantasia
propria delle persone allucinate
condusse le sue truppe a morte certa,
e si precipitò, ad occhi chiusi,
nel baratro del pieno annientamento.
Hastings - Eppure, se m’è consentito dirlo,
mai recò danno prospettarsi eventi
e forme da cui trar qualche speranza.
Bardolph - E invece sì, può recar danno, e molto,
nel caso di una guerra come questa,
in cui l’azione armata, già avviata,
non può vivere solo di speranza;
come all’inizio della primavera
noi vediamo spuntar le prime gemme
che la speranza non ci garantisce
che maturino in frutto,
o le distrugga la morsa del gelo.
Quando vogliamo edificar qualcosa,
prima facciamo il rilievo dell’area,
poi tracciamo la pianta, e sul progetto
stimiamo il costo della costruzione;
e se troviamo ch’esso eccede i limiti
della spesa che abbiamo disponibile,
che cos’altro facciamo di diverso
se non ridisegnar tutto il progetto,
riducendone il numero dei vani,
o, se no, rinunciando a costruire?
Così, a maggior ragione,
in una grande impresa come questa
che vuol dir quasi rovesciare un regno
e provvedere a edificarne un altro -
è necessario esaminare bene
l’area sopra la quale edificare,
la sicurezza delle fondamenta;
interpellare esperti capimastro,
accertarsi che i fondi disponibili
siano bastanti a sostenere l’opera;
soppesare gli aspetti negativi.
Succederà, se no, di rafforzarci
soltanto con le cifre sulla carta,
usando solo nomi in luogo d’uomini
come chi progettasse un edificio
senza disporre dei mezzi per farlo;
talché a metà dell’opera
si ritrova costretto a rinunciare,
lasciandola come creatura nuda
esposta al lacrimare delle nuvole
ed alla tirannia del crudo inverno.
Hastings - Sia pur così. Si dia pur per ammesso
che le nostre speranze
- che pur promettono un felice parto -
abortiscano, e che la forza attuale
è tutto ciò di cui possiam disporre
senza contare su un sol uomo in più.
Ebbene, io credo che pure in tal numero
rappresentiamo un sufficiente nerbo
per tener testa all’esercito regio.
Bardolph - Ed in che modo? Il re, secondo voi,
non ha che venticinquemila uomini?
Hastings - Non più di tanti, anzi ancora meno,
secondo i nostri calcoli, Lord Bardolph.
Data la turbolenza del momento,
ha dovuto spartire le sue forze
su tre fronti: contro i francesi uno,
contro Glendower, lo scozzese, un altro;
sicché non gli può essere rimasto
più d’un terzo da usar contro di noi.
Così l’infermo re è spaccato in tre,
e le sue casse, già quasi esaurite,
suonano a vuoto e piangono miseria.
Arcivescovo - Non mi par perciò sia da temere
ch’egli possa riunire i tre monconi
e scagliarceli contro tutti e tre.
Hastings - Si lascerebbe sguarnite le spalle,
se lo facesse, e francesi e gallesi
si metterebbero alle sue calcagna.
No, no, niente paura.
Bardolph - Chi sarà a comandare le sue truppe
destinate a marciar contro di noi?
Hastings - Il Principe di Lancaster e Westmoreland;
egli in persona con Enrico Monmouth
contro i gallesi; nulla so di certo
su chi sia stato designato a capo
contro i francesi.
Arcivescovo - Su, dunque, all’azione!
E proclamiamo in pubblico i motivi
che ci hanno spinti alla rivolta armata.
La nazione s’è fatta insofferente
di colui ch’essa stessa s’era scelta.
Il troppo amore li ha tutti saziati.
Chi costruisce sul cuore del volgo
sempre si troverà come dimora
una casa malferma e vacillante.
O stolta moltitudine plebea,
con che alto fragor d’acclamazioni
non hai tu scosso la volta del cielo
nell’osannare e benedire Bolingbroke
prima ch’ei fosse quale lo volevi!
Ed ora che hai saziata questa voglia,
bestia vorace, ne sei sì satolla
da stimolar te stessa a vomitarlo!
Così, così, volgar cagna plebea,
tu liberasti l’ingordo tuo stomaco
della regal persona di Riccardo;
ed ora ti vorresti ringozzare
il morto che volesti rigettare,
e lo richiami a te con urli e sberci...
Che fiducia riporre in questi tempi,
se quegli stessi che Riccardo vivo
vollero morto, vanno spasimando
per la tomba che adesso lo racchiude?
E tu che sul suo capo consacrato
facesti piover manciate di cenere
quando, attraverso la superba Londra,
egli si trascinava sospirando
alle calcagna dell’idolo Bolingbroke,
sei quella stessa gente che ora grida:
“O terra, terra, rendici quel re,
e riprenditi questo in vece sua!”.
Ah, maledetto pensare degli uomini
per il quale il passato e l’avvenire
sono sempre migliori del presente!
Mowbray - Vogliamo dunque radunar le truppe
e marciare?
Hastings - Siam sudditi del tempo;
e il tempo ci comanda di partire.

(Escono)