TRADUZIONI IN ITALIANO DA

LO SGUARDO LIETO


RIGHE 140-191
dell'edizione originale in tedesco


La musica è nata libera e divenir libera è il suo destino. Diverrà la piú perfetta delle interpretazioni della natura grazie alla libertà della sua immaterialità. Persino la parola poetica le è seconda nell'incorporeità: la musica può raccogliersi su se stessa e distendersi, può essere la calma piú immobile e l'impeto piú sfrenato; essa attinge i culmini piú alti che siano immaginabili per gli uomini - quale altra arte può tanto? -, e la sua sensibilità colpisce il cuore umano con quella intensità che è indipendente dal «concetto».
Essa ritrae un carattere senza descriverlo, con la mobilità dell'anima, con la vivacità dei momenti che si susseguono; laddove il pittore o lo scultore possono rappresentare un solo lato o un momento di una situazione e il poeta interpreta un temperamento e i suoi moti faticosamente, allineando parole.
Perciò rappresentazione e descrizione non sono l'essenza della musica; e con ciò noi pronunciamo il rifiuto della musica a programma e veniamo alla questione dei fini dell'arte musicale.

Musica assoluta! Quel che i legislatori intendono con questa parola è forse quanto in musica ci sia di piú lontano dall'assoluto. «Musica assoluta» è un gioco formale, privo di programma poetico dove la parte piú importante è la forma. Ma appunto la forma è l'opposto della musica assoluta, che ebbe il divino privilegio di librarsi a volo, libera dai vincoli della materia. In un quadro, la rappresentazione di un tramonto è delimitata dalla cornice; il fenomeno naturale, sconfinato, assume una limitazione quadrangolare; il disegno di una nube, scelto una volta, rimane immutabile per sempre. La musica può rischiararsi, oscurarsi, spostarsi e infine svanire come lo stesso fenomeno naturale: l'istinto decide il musicista creatore ad impiegare quegli accenti che toccano gli stessi tasti nell'animo umano e risvegliano la stessa eco dei fenomeni naturali.


RIGHE 469-553


Sempre la parola cantata sul palcoscenico rimarrà una convenzione e un ostacolo per ogni effetto veridico: per uscire con decoro da questo conflitto, l'azione in cui i personaggi agiscono cantando dovrà essere posta sin da principio su di un piano incredibile, irreale, inverosimile, affinché l'impossibile poggi sull'impossibile, e tutti e due divengano possibili e accettabili.
Già per questo, perché ignora a priori questo importante principio, ritengo il cosiddetto verismo italiano insostenibile sulla scena musicale.
Quanto alla questione del futuro dell'opera, bisogna conquistare la chiarezza anche su questo quesito: «In quali momenti la musica è indispensabile a teatro?» Ecco la risposta precisa: nelle danze, nelle marce, nelle canzoni, e quando nell'azione interviene il soprannaturale.
Ne nasce una nuova possibilità per l'idea del contenuto soprannaturale. E un'altra ancora, per quella del puro «gioco»: il piacere del travestimento, il teatro come aperta e voluta simulazione, lo scherzo e l'irrealtà come opposti alla serietà e alla veridicità della vita. Allora sarà giusto che i personaggi affermino il loro amore e scarichino il loro odio cantando, e si battano in duello melodicamente, e nelle esplosioni patetiche diano in lunghe «corone» sugli acuti; allora sarà giusto che di proposito si comportino in modo diverso sulla scena che nella vita in luogo di fare involontariamente il contrario (come accade sui nostri teatri, soprattutto nell'opera).
L'opera dovrebbe impadronirsi del soprannaturale e dell'innaturale come della sola regione di fenomeni e sentimenti che le convenga, e cosí creare un mondo di apparenze che rifletta la vita in uno specchio magico o in uno deformante: dovrebbe voler dare di proposito ciò che nella vita reale è irreperibile. Lo specchio magico per l'opera seria, lo specchio deformante per l'opera comica. E vi siano pure intrecciate danze, mascherate e magie, cosí che lo spettatore abbia coscienza ad ogni momento della piacevole menzogna e non vi si abbandoni come se si trattasse di un avvenimento di vita reale.
A quel modo che l'artista, se vuol commuovere, non dev'essere commosso lui stesso, pena la perdita immediata della padronanza dei suoi mezzi al momento buono, cosí anche lo spettatore, se vuol gustare l'effetto teatrale, non deve mai confonderlo con la realtà, altrimenti il godimento estetico si abbasserà a mera partecipazione umana. Chi rappresenta «reciti», non viva in proprio. E lo spettatore rimanga incredulo e con ciò libero nel suo spirituale ricevere e gustare.

Stando a queste premesse, un futuro per l'opera si può concepire benissimo. Ma temo che l'ostacolo primo e piú duro l'opporrà il pubblico stesso.
Di fronte al teatro le sue disposizioni, mi sembra, sono addirittura criminali: si può pensare che i piú esigano dalla scena una forte emozione realistica, proprio perché siffatte emozioni mancano alla loro mediocre esistenza; certo anche perché il coraggio vien loro meno di fronte a quei conflitti cui aspirerebbero. E la scena offre al pubblico questi conflitti senza i pericoli concomitanti e le cattive conseguenze, senza comprometterlo e soprattutto senza affaticarlo. Perché il pubblico non sa e non vuol sapere che chi vuol accogliere in sé un'opera d'arte deve fare metà del lavoro lui stesso.


RIGHE 554-656


L'esecuzione della musica proviene da quelle libere altezze dalle quali la musica stessa è discesa. Quando essa corre il rischio di divenire terrena, all'esecuzione spetta di risollevarla, aiutandola a ritrovare il suo originario «librarsi».
La notazione, la scrittura di pezzi musicali, è in primo luogo un ingegnoso espediente per fissare un'improvvisazione, sí da poterla far rivivere in un secondo tempo. Ma tra quella e questa corre lo stesso rapporto che tra il ritratto e il modello vivo. L'esecuzione deve sciogliere la rigidità dei segni e rimetterli in movimento.
Invece i legislatori pretendono che l'esecutore riproduca la rigidità dei segni e considerano la riproduzione tanto piú perfetta quanto piú si attiene ai segni.
Quello che il compositore necessariamente perde della sua ispirazione attraverso i segni, l'esecutore deve ricrearlo attraverso la sua propria intuizione.
Per i legislatori appunto i segni sono ciò che piú importa, e sempre piú importanza acquistano: la musica nuova viene dedotta dai segni antichi - essi significano la musica stessa.
Se dipendesse dai legislatori, lo stesso pezzo dovrebbe esser suonato sempre nello stesso movimento ad ogni esecuzione, poco importa per opera di chi e in quali circostanze.
Ma questo non è possibile; la natura alata ed espansiva del divino fanciullo vi si oppone; essa esige il contrario. Ogni giorno comincia in modo diverso dal precedente e pur sempre con un'aurora. - Grandi ar-tisti suonano le loro proprie opere in modo sempre differente, le riplasmano secondo l'ispirazione del momento; affrettano e trattengono i tempi - in un modo che non è possibile fissare sulla carta - e sempre secondo rapporti suggeriti da quella «eterna armonia».
Allora il legislatore si irrita e rimanda il creatore al suo stesso testo. E allo stato attuale delle cose si dà ragione al legislatore.

«Notazione» («scrittura») mi conduce a trascrizione: concetto molto mal compreso oggi e quasi spregiativo. La frequente opposizione che ho sollevato con le mie «trascrizioni», e quella che tante critiche irragionevoli hanno sollevato in me, mi hanno spinto a tentar di raggiungere la chiarezza su questo punto. Ecco quanto in definitiva ne penso: ogni notazione è già trascrizione di un'idea astratta. Nel momento in cui la penna se ne impadronisce, il pensiero perde la sua forma originale. L'intenzione di fissare l'idea con la scrittura impone già la scelta della battuta e della tonalità. Il mezzo formale e sonoro - per il quale il compositore deve pur decidersi - determinano sempre piú via e limiti.
È come con l'uomo. Nato ignudo e con inclinazioni ancora indeterminabili, l'uomo si decide, o a un dato momento è costretto, a scegliere una carriera. Seppure qualcosa dell'indistruttibile carattere originario tanto dell'idea musicale quanto dell'uomo permanga, tuttavia a partire dal momento della scelta essi vengono costretti in un tipo già classificato. L'idea diventa una sonata o un concerto, l'uomo un soldato o un sacerdote. Questo è un arrangiamento dell'originale. Da questa prima trascrizione alla seconda il passo è relativamente breve e senza importanza. Pure, in generale, si fa gran caso solo della seconda. E nel far ciò non si avverte che la trascrizione non distrugge la versione originale e quindi per colpa di quella non si perde questa.
Anche l'esecuzione di un pezzo è una trascrizione, e anche questa non potrà mai far sí che l'originale non esista - per quanto libera ne sia l'esecuzione.
- Giacché l'opera d'arte musicale sussiste intera e indenne prima di risuonare e dopo che ha finito di risuonare. È insieme dentro e fuori del tempo, e la sua essenza è quella che ci può dare una tangibile rappresentazione del concetto dell'idealità del tempo, altrimenti inafferrabile.
Del resto la maggior parte delle composizioni per pianoforte di Beethoven fanno l'effetto di trascrizioni dall'orchestra, la maggior parte delle opere orchestrali di Schumann di trascrizioni dal pianoforte - e in certo modo lo sono.