F. Busoni, "Stato della musica in Italia"

[...] Un ragazzo immaturo di grande intelligenza, di formazione lacunosa, di consapevolezza insufficientemente sviluppata, con una fervida aspirazione a perfezionarsi - e che brancola ancora nel buio -; questo è l'aspetto che ci presenta l'Italia odierna nelle sue tendenze musicali.Con questo articolo vorrei dare uno schizzo fedele e possibilmente completo di tale aspetto.

Or sono quarant'anni gli italiani non potevano concepire la musica in nessuna altra forma che non fosse l'opera. [...]
Sebbene dagli storici l'epoca della vecchia opera italiana si dichiari superata, sebbene la geniale triade Rossini, Donizetti, Bellini (con i suoi satelliti Mercadante, Pacini ecc.) abbia smesso da tempo di creare senza che si sia trovato chi li sostituisca, sarebbe tuttavia completamente errato credere che la vecchia opera sia realmente sepolta e che il pubblico italiano non apprezzi e non ami piú le sue melodie. In Italia, piú che altrove, il teatro è un'istituzione popolare e nulla può corrispondere piú compiutamente alla sensibilità musicale del popolo italiano di quel vecchio stile operistico il quale, sebbene abbia dato parecchie creazioni eccellenti, per natura mira a ottenere l'applauso delle masse.

[...] Dacché nel corso degli ultimi decenni è penetrata in Italia la conoscenza delle riforme wagneriane, s'è avuto un notevole cambiamento nell'orientamento del gusto, e soprattutto i musicisti piú giovani hanno imboccato questa strada con zelo, uno zelo anche eccessivo. Uno spirito rivoluzionario si è impossessato di loro senza che del vero significato di tali riforme essi avessero un concetto esatto; anzi il concetto ch'essi ne hanno è spesso del tutto errato; considerano le locuzioni armoniche e melodiche caratteristiche di Wagner come il nocciolo del suo stile stesso. Quanto vi è di nuovo e peculiare li incanta e li alletta all'imitazione; un allettamento a cui non si oppongono affatto, perché copiano con tutte le loro forze, scambiano le prove della memoria per forza inventiva e trovano la loro soddisfazione nella considerazione mista di stupore e diffidenza in cui vengono tenuti dai musicisti piú anziani e "meno colti".
Lo strano è che appunto queste imitazioni difettano di quel senso del bello che è stato sempre considerato privilegio degli italiani. Scimmiottano solo il brutto, stravolgendolo fino alla deformazione: armonie orripilanti, ritmi sforzati, effetti di colore smodati nella strumentazione, questi sono per ora i frutti che ha portato lo studio delle partiture wagneriane. Inoltre questi giovani non sanno liberarsi della vecchia sciatteria, ce l'hanno nel sangue, mentre Wagner lo hanno solo nella testa; inoltre manca loro la necessaria serietà, sono dei cercatori di effetti e non sono capaci di fare a meno di certe tradizionali formule conclusive e progressioni che provocano sfacciatamente l'applauso, di modo che i loro lavori, rappezzati a fatica, finiscono in una variopinta mescolanza di rozza banalità e stravangaza astrusa; la prima soffoca tutto quanto la poesia può avere di delicatamente sentito, la seconda si esibisce senza motivazione e ambedue appaiono frammischiate a caso senza nesso.
La mancanza di una fase di transizione va ricercata nell'educazione dei nostri musicisti. Della preistoria della moderna opera tedesca sanno poco o nulla. Il "Flauto magico", "Fidelio", i romantici sono loro ignoti. Ritengono Meyerbeer, erroneamente, tedesco [...] e davanti a quel suo po' di contrappunto e al suo caratteristico trattamento dell'orchestra fanno tanto di cappello. [...]
Tutto quanto ho detto fin qui trova conferma nell'opera "Mefistofele" di Arrigo Boito [...]. Piú unitari, anche se meno significativi, sono i lavori teatrali del mio amico e conterraneo Alfredo Catalani, che certo si appoggia considerevolmente a Wagner nella condotta armonica e melodica, ma che quanto a forma e strumentazione appartiene ai "moderati". Il suo stile è nobile e i suoi intenti sono seri. Accanto a queste appaiono opere di ogni stile e carattere e parecchie che portano soltanto l'impronta della volgarità e del dilettantismo. Tra le piú decorose citiamo il "Ruy Blas" di [Filippo] Marchetti, il "Guarany" di [Carlos Antonio] Gomes (ispirato all' "Africana"), la "Preziosa" di Smareglia, quest'ultima una pericolosa imitazione del Trovatore di Verdi. [...]

Pro e contro il processo evolutivo dell'opera italiana agiscono due potenze, una a favorirlo, l'altra ad ostacolarlo: i due editori Lucca e Ricordi, i quali - per quanto possa sembrare grottesco e incredibile - tengono per cosí dire in pugno il destino musicale d'Italia.

La signora Giovannina Lucca*, una donna gigantesca con baffi e la tabacchiera sempre in mano, si interessa volentieri ai giovani talenti, i cui lavori la commuovono regolarmente fino alle lacrime e che, nel suo entusiasmo, abbraccia e bacia l'uno dopo l'altro senza tanti complimenti. Secondo le sue intenzioni, è la personificazione della tendenza moderna; dobbiamo a lei una edizione italiana completa dei drammi musicali di Wagner.
Il piú freddo Ricordi - nel campo dell'opera esclusivamente verdiano - si impegna a fondo a salvaguardare fino all'ultimo il Maestro a cui, detto per inciso, deve personalmente molto, ma anche ad abbattere e schiacciare i protetti della signora Giovannina, cosa che pure per lo piú gli riesce, dato che è piú forte e piú abile. Se dunque un giovane apostolo dell'arte si è dato anima e corpo alla signora Lucca, è senz'altro perduto - a meno che colei non si impegni per lui con energia speciale. Il signor Ricordi si appropria di una giovane speranza soltanto se vuole fare un dispetto alla rivale, per poi lasciarla cadere (la giovane speranza) il piú presto possibile. [...]

Di fronte a Milano, Bologna si trova in una posizione del tutto opposta: Bologna è una città che sin dai tempi antichi si è acquistata la fama di "dotta" per aver coltivato l'arte e la scienza; e per il momento è la sola che mostri un deciso carattere progressista. Quel che a Bologna è accolto in trionfo deve aspettarsi a Milano una fredda accoglienza. E Bologna è per cosí dire un tribunale di appello per coloro su cui pesa la condanna di Milano. La conferma di ciò si è avuta con le due esecuzioni susseguitesi dappresso del "Mefistofele" di Boito (prima Milano, poi Bologna), la seconda delle quali, coronata da successo, revocò completamente il triste esito della prima.
Bologna è il centro del movimento musicale rivoluzionario [...] E' indiscutibile che vi regna una reale comprensione per Wagner, fatto che trova conferma nelle rappresentazioni wagneriane che vi hanno avuto luogo. La piú bella impressione che ho avuto del "Lohengrin" è stata certo quella riportata a Bologna, quando ho sentito questo dramma musicale in lingua italiana al Teatro Comunale (uno dei piú belli d'Italia). E' singolare quanto acquista, in questa lingua sonora, una musica pur tanto tedesca nella concezione, quanto risalto ne ottiene il contenuto melodico, quanto questa lingua riesce ad attenuarne certe durezze, a smorzare certe asperità, senza che alcuna morbidezza si insinui a pregiudicare la maschia individualità germanica.
Con la rapidità di comprensione caratteristica degli italiani, i nostri cantanti si sono adattati ben presto al nuovo stile e trovano il tono giusto, senza possedere la benché minima conoscenza del modo di cantare dei loro modelli tedeschi. La graduale decadenza della vecchia opera porta con sé la decadenza dell'arte canora italiana. Già Verdi ha cominciato a usare violenza alla voce umana; e certo la decadenza non verrà arrestata dal tipo di canto richiesto da Wagner, il cui punto di forza è la declamazione; in compenso i nostri cantanti odierni migliorano la loro formazione di musicisti e attori. Anche le orchestre di teatro mostrano, per forza di cose, un considerevole progresso e sono all'altezza di qualsiasi compito gli si presenti. Non mancano nemmeno giovani direttori energici e capaci di reggere le briglie, che hanno portato piú di una istituzione al livello d'efficienza oggi richiesto.

Questa all'incirca è, nel suo complesso, la situazione dell'opera italiana, a cui manca oggi soprattutto potenza creativa. Che ogni anno appaiano lavori teatrali a dozzine, che tutta la gioventú musicale abbia la fissazione dell'opera e si metta all'impresa senza nozioni e lavoro preliminari e partorisca i piú tragici mostri e aborti, non è ancora una prova dell'esistenza di una potenza creativa, della fioritura del teatro musicale. [...] Da parecchio tempo, ma finora invano, si aspetta con impazienza la comparsa di un "Nerone" di Boito, la sua seconda opera, a cui sta lavorando da quasi vent'anni; si sussurra anche di un avvenimento imminente, la nascita, a quanto si dice, di un nuovo Otello, ancora avvolto in tenebre leggendarie: l'ultima opera di Verdi. Si dica quel che si vuole del Vecchio, una cosa è certa: quando egli morirà, se nel frattempo la situazione non sarà mutata, in Italia su cui fondare speranze per la sopravvivenza dell'opera, assolutamente nessuno!

[BII pp. 355-363]