Le trascrizioni bachiane

Aveva cominciato a occuparsi di Bach, come revisore, nel 1890, pubblicando l'edizione delle Invenzioni a due voci; era poi vissuto per anni in intima immedesimazione con lo spirito di Bach, al punto di sentirsi quasi una reincarnazione del Kantor; e ancora in questi anni era sempre più forte in lui la convinzione che a quella fonte la musica dovesse attingere le leggi della verità, affinché il passato divenisse presente, il sogno utopico realtà. Ferma rimaneva la convinzione che Bach rappresentasse non soltanto un territorio ancora inesplorato, ma anche il fondamento stesso della musica e il punto di partenza del moderno pianismo; e che anzi solo i mezzi del pianoforte moderno si addicessero pienamente alla musica di lui e potessero renderle giustizia: di qui la legittimità, anzi la necessità di una appropriazione attiva di Bach quale Busoni sentiva a sé congeniale. Tutto ciò non sarebbe probabilmente bastato, o almeno avrebbe condotto verso altri esiti, se Busoni non avesse prima mutuato da Bach e poi ripensato individualmente, estendendoli anche agli altri autori, concetto e prassi della trascrizione come libera forma di ricreazione musicale. Insorgendo contro L'opinione dei più che consideravano la trascrizione un genere inferiore, screditato e decaduto, Busoni scriveva nel novembre 1910:

"Per ríalzare di colpo la natura della trascrizione nella considerazione del lettore a dignità d'arte, basta fare il nome di J. S. Bach. Egli fu uno dei trascrittori più feconcli di lavori propri e altrui, e precisamente nella sua qualità di organista. Da lui imparai a riconoscere una verità: che una musica buona, grande, 'universale', resta la stessa qualunque sia il mezzo attraverso cui si faccia sentire. Ma allo stesso tempo imparai anche una seconda verità: che mezzi diversi hanno un linguaggio diverso (loro peculiare) col quale comunicano questa musica in modo sempre un po' differente".

Di qui alla conclusione famosissima, uno dei cardini del pensiero estetico di Busoni, il passo è breve:

"Ecco quanto ne penso in definitiva: Ogni notazione è già trascrizione di un'idea astratta. Nel momento in cui la penna se ne impadronisce il pensiero perde la sua forma originale. L'intenzione di fissare con la scrittura l'idea impone già la scelta di un ritmo e di una tonalità. Forma e mezzo sonoro che il compositore deve scegliere determinano sempre più la strada e i suoi confini. Per quanto dell'indistruttibile carattere originario dell'idea qualcosa permanga, tuttavia a partire dal momento della scelta questo carattere viene ridotto e costretto a un tipo già classificato. L'idea diventa una sonata, un concerto; e questo è già un adattamento dell'originale. Da questa prima alla seconda trascrizione il passo è relativamente breve e senza importanza. Pure, in generale, si fa un gran caso solo della seconda. E nel far ciò non si avverte che la trascrizione non distrugge la versione originale, e che quindi non si perde questa per colpa di quella. [...]
Perché l'opera d'arte musicale sussiste intera e immutabile prima di risuonare e dopo che ha finito di risuonare. È insieme dentro e fuori del tempo." [SABLICH, pp. 101-102]