IN ATTESA DELLA CRONOLOGIA... 


LA BIOGRAFIA DI GUIDO GUERRINI

RITORNO A BERLINO

Intanto Leo Kestenberg, ex-allievo del Maestro, dai moti rivoluzionari tedeschi sollevato ad un posto di comando nel Ministero germanico dell'Educazione, fa offrire a Busoni la Direzione di una classe superiore di Composizione, all'Accademia Statale di Arti e Scienze in Berlino. Contemporaneamente il Teatro di Stato della stessa città sta preparando l'esecuzione di «Arlecchino e di Turandot». Tutto dunque richiama li Maestro in Germania; la quale palesa assai maggior riconoscimento dei suoi meriti e si mostra assai più orgogliosa di lui, di quanto non avessero fatto tutti gli altri Stati Europei, Italia compresa.

Finora, per diverse ragioni, l'avevo negletta [la Germania], per non dire evitata - scrive a Serato. - Non voglio tediarti con l'enumerare le tante forme di simpatia, d'impazienza, di rimprovero, di fiducia con le quali mi si esorta a rivenire. E non ci si ferma a parole; mi si offre la scelta di qualunque posizione o intrapresa ch'io proponga o desideri. In primo luogo un posto all'Accademia dello Stato, per la suprema classe di Composizione posizione di prima autorità, indipendente da qualunque superiore e da ogni prescrizione. Se una cosa simile fosse avvenuta a Roma, non avrei indugiato un secondo a decidermi... [Londra, 27 giugno 1920].

Il contratto che gli si propone è dei più lusinghieri: a capo di una grande Scuola, in una posizione eminente della nuova Germania, avrà un lauto stipendio e sei mesi liberi pei suoi viaggi. Berlino potrà divenire il perno della sua nuova esistenza, tutta Europa il suo teatro d'azione. (L'America no, non lo avrebbe mai più riveduto!).
Rimane qualche tempo perplesso, incerto fra le incognite di questa nuova esistenza e la serenità laboriosa che lo attende a Zurigo. [...] Il suo stesso carattere si è fatto, negli anni di guerra, più chiuso e malinconico; le sue famose risate, esplodenti e vibranti, suonano ora artificiose. In Isvizzera egli conta su amici provati e sicuri e su così vasta stima, che la stessa Università di Zurigo lo ha eletto Dottore «honoris causa» in filosofia.
È dunque in una vera e nobile competizione che Germania e Svizzera si misurano per onorare il Maestro, per attrarlo nella loro orbita, ma si sa che il campo della lotta rimane pur sempre quello che più irresistibilmente attrae l'artista e fuor del quale gli sembra non poter vivere. Così Busoni decide il ritorno a Berlino. «A 54 anni sto incamminandomi di nuovo verso lo ignoto!».


RICOMINCIA LA VITA

Busoni fa il suo reingresso in Germania verso la fine di settembre (1920), con un'ansia e un orgasmo che rare volte abbiamo trovato in lui. È solo (Gerda è rimasta a Zurigo per preparare il trasloco), e il rientrare in possesso della sua casa, del suo studio, della sua libreria, abbandonati da cinque anni, gli dà il senso di una resurrezione. Le sue lettere vibrano tutte di questa intima contentezza come di un'insperata conquista.
Forse durante gli anni di guerra egli si era a poco a poco convinto (come un po' tutti, del resto) che non sarebbe stato più possibile riprendere una normale vita di lavoro. Partendo da Berlino, aveva presa con sé la chiave della sua libreria, e per cinque anni l'aveva sempre tenuta in tasca, come una reliquia [inesatto: nel 1919 aveva permesso a Ludwig Rubiner di abitare nel suo appartamento, n.d.c.]. Ora può finalmente riaprire quella porta, rientrare fra i suoi libri, e lo fa con una trepidazione commovente.

Sono nella mia libreria - la cité des livres, come dice A. France - dove ogni volume, a quel che posso vedere, è al suo posto. Carta, inchiostro, penne, tutto è pronto per lavorare! Ero trepidante d'entrare in questa camera, e mi sono deciso a farlo soltanto questa mattina...

La sua casa gli sembra una reggia, dove tutto è confortevole, tutto lo accoglie e lo invita al lavoro. Perfino il portinaio lo commuove, col suo «paterno saluto». Per molti giorni esce di casa appena un poco, verso sera, per non turbare questo incanto. Non vuol veder nessuno, nemmeno i più fedeli amici, per restare in incognito, per bisogno di ritrovar sé stesso, quasi a riallacciarsi spiritualmente con quel Busoni che era partito cinque anni prima.

Ho bisogno di ritrovare me stesso. - Sento che potrei lavorare, soltanto che mi si lasciasse in pace!

E al lavoro si dedica senza perdere un attimo. In pochi giorni termina la «Toccata» per pianoforte, iniziata a Zurigo, e compone quel piacevolissimo «Tanzwalzer», per orchestra, che gli è sorto nella fantasia ascoltando, attraverso le vetrate di un Caffè-Concerto, un valzer di Giovanni Strauss e che riteniamo costituisse uno studio per le Danze del «Faust».
Ma se tra le mura della sua casa tutto gli sorride e lo conforta, quale mondo lo attenderà al di fuori? La guerra, e peggio ancora la sconfitta, quali incognite hanno creato in Germania? Il Maestro, seppur ne tace con Gerda, non si perita di confidare i suoi timori all'amico Philipp.
Sì, è penoso. Io sono qualcosa fra il Don Chisciotte e l'Ebreo Errante. Ho ricevuto una cartolina da Lello, entusiasta di Parigi. Aver vent'anni ed essere a Parigi è certamente più piacevole che... l'opposto. Mah! La vita non è divertente! Perché mi teneste lontano da Parigi? Non avrei fatto del male a nessuno!... Una riflessione politico-sociale: Suppongo che sia piuttosto pericoloso maltrattare un cane affamato.

Sopratutto preoccupa il Maestro la sua posizione di appartenente ad un popolo ex-nemico nei riguardi della Germania, dove già in passato la stampa gli ha dato noie. Potrà trovare quella assoluta libertà d'azione che gli è indispensabile, dopo così lunga stasi? Forse anche i suoi nervi sono esausti. È incupito, malinconico, silenzioso, tanto che se ne preoccupano seriamente i pochi amici, riusciti a forzare la clausura.
Ma i fatti smentiscono le apprensioni e i timori. Berlino si mostra ospitalissima al Maestro, offrendogli due concerti di pianoforte nella Sala Filarmonica e preparandone tre orchestrali di tutta musica sua. Intanto Londra lo attende pel febbraio, Roma per l'aprile. Busoni s'immerge nel lavoro, col proposito di riconquistare parte almeno del tempo perduto.
I due concerti di Berlino sono un trionfo. I tremila posti della Sala non riescono a contenere il pubblico accorso che, con grande scandalo dei tradizionalisti, scoppia di continuo in frenetici applausi, magari interrompendo l'esecuzione dei singoli pezzi. (Oh! - si dice - l'educazione di questi nuovi ricchi!). L'entusiasmo è tale che si vorrebbero bissati tutti i numeri. [Fu in uno di questi concerti che, richiesto insistentemente di bissare «La Campanella», Busoni ritornò al podio, sedette al .pianoforte, attese il più assoluto silenzio poi, fatta una sarcastica smorfia, suonò le due ultime note della composizione; quindi, fatto un inchino, rientrò. Lo scherzo sembrò offendere gli ascoltatori, che rimasero per qualche attimo disorientati. Ma così caldo era l'entusiasmo che gli perdonarono senz'altro, continuando le acclamazioni.] I concerti lasciano un'impressione indelebile: si parla di avvenimento storico; si proclama e si riconferma il Maestro come il più grande dei pianisti viventi, forse il maggiore che mai sia esistito. Busoni rientra cosi da trionfatore nella vita berlinese.
La nuova esistenza a Berlino lo intimorisce e lo interessa ad un tempo. Tutto un moto di rinnovamento intellettuale sta producendosi, in quel duro dopo-guerra; azioni e reazioni si sovrappongono e si alternano, rendendo assai difficile ogni obbiettivo giudizio. Busoni osserva con tesa attenzione ogni nuovo tentativo e specialmente segue da presso, quanto e più di prima, il travaglio dei giovani. Una sua lettera di quei giorni ad Andreae, su questo argomento, ci rivela un Busoni piuttosto scettico.

Prima della guerra era difficile pei giovani e giovanissimi ottenere riconoscimento o anche soltanto essere ascoltati. Ora non è più possibile tenerli tranquilli. Vi è una grande «esplosione» di musica messa insieme e raffazzonata alla maniera di Strauss o di Schönberg, senza al cuna abilità o perizia, e il pubblico se ne interessa. Io riesamino i lavori giovanili di Strauss e di Schönberg, ed anche i miei e sento vergogna per il tempo presente.

Questo giudizio, certamente scaturito da un impeto di reazione contro un'assoluta mancanza di discernimento estetico, fu modificato in seguito; Busoni continuò a dare aiuto a tutti i giovani di valore, elargendolo sotto forma di consiglio, di appoggio, di segnalazioni a direttori d'orchestra e ad interpreti; e più volte anche in concreta forma materiale. Ma pei suoi nervi già scossi da un'esistenza di intensissimo lavoro e logorati dall'incubo della guerra, la faciloneria imperante in quegli anni non poteva non essere esasperante.
Il suo stato fisico, d'altra parte, va peggiorando di giorno in giorno; si accumula ora sul suo corpo il peso di tutte le fatiche, le lotte, le emozioni, l'immane lavoro di quasi quarant'anni.


CONCERTI DI MUSICHE BUSONIANE

A risollevarlo vengono i tre concerti dedicati a musiche sue e organizzati dal periodico musicale «Der Anbruch», i quali hanno grande risonanza, se non fra il grosso pubblico, fra i musicisti e i critici. Ecco i programmi:

I. CONCERTO (7 gennaio 1921): «Ouverture di Commedia», op. 38; «Berceuse Élégiaque», op. 42; Notturno Sinfonico, «Rondò Arlecchinesco», op. 46; Concerto per violino, op. 35; Suite della «Sposa Sorteggiata». - Direttore d'orchestra: l'autore.

II. CONCERTO (13 gennaio 1921): Suite dalla «Turandot», Concerto per clarinetto, op. 48; «Gesang vom Reigen der Geister» (Canto della Danza degli Spiriti) dal «Diario Indiano», op. 47 (prima esecuzione); «Sarabanda e Corteo»; Divertimento per flauto. - Direttore d'orchestra: l'autore.

III. CONCERTO (27 gennaio 1921): «Konzertstück» per pianoforte e orchestra, op. 31; «Fantasia indiana», op. 44; Concerto per pianoforte e orchestra. - Direttore: G. Brecher; al pianoforte: l'autore.
Non occorre dire che il terzo concerto richiama il maggior pubblico, attratto da Busoni pianista; nondimeno tutte e tre le audizioni assumono carattere di avvenimenti d'arte, e la critica e i rappresentanti dell'alta musicalità berlinese ascoltano ed approvano. Al Maestro resta da fare, tuttavia, l'umiliante constatazione che, pur avendo dedicato alla composizione poco meno che trent'anni, raggiungendovi un livello d'arte assai al disopra del comune, in una produzione ingente, pure, per vivere, gli conviene, ancora e sempre, fare il virtuoso. La sua età, la sua autorità, la sua produzione, perfino la sua scossa salute, nulla valgono affinché egli possa finalmente dedicarsi soltanto al suo lavoro. La composizione rende ben poco e del danaro guadagnato in passato troppo n'è andato disperso. Al Maestro rimane dunque il solo e solito modo di provvedere ai bisogni della vita: girare il mondo a dar spettacolo di virtuosismo.
Per difendere il lavoro, Busoni rinuncia ai concerti che non siano indispensabili e di suo assoluto gradimento (rinuncia perfino a quelli di Parigi), ma non può rifiutare quelli d'Inghilterra.
In febbraio, infatti, si reca colà e vi trova un livello intellettuale scoraggiante, che muta quel giro di concerti in un vero tormento. Fortunatamente a Londra c'è Sibelius, a Manchester i coniugi Brodsky, a Bradford Hamilton Harty, che gli dirige un'intelligente interpretazione della «Fantasia indiana».
Il concerto di Londra, pesantissimo come programma, contiene anche la sua «Toccata» e la «Sonatina sulla Carmen». Lo stato di salute del Maestro deve tuttavia essere allarmante se un giovane, presente a quel concerto, riferisce che tutta la sala ebbe un trasalimento all'apparire di Busoni che «pareva un cadavere» [È di questo tempo una lettera da Londra: «La città non ha cambiato, ma io sono un altro. Io osservo che non aspetto più nulla dall'esterno, mentre prima tutto ne aspettavo. Ciò non mi rende affatto infelice, ma più silenzioso e più solo».] Il concerto gli riesce anche più faticoso, il Governo inglese avendo vietato che egli suoni sul proprio Bechstein, né su qualsiasi altro strumento tedesco.
L'impressione che sul pubblico inglese producono quelle audizioni è sconcertante. Busoni è entrato ormai in quella che si potrebbe chiamare la sua terza ed ultima fase: una sfera di arte così superiore alla corrente, che le sue interpretazioni possono dirsi rivelazioni di un ignoto mondo trascendentale. Esse sono rivolte, più che alle maggioranze, a pochi iniziati. Cosicché coloro che si recano ai concerti con la prevenzione di ascoltare i soliti autori classici, interpretati nel modo consueto, ne escono disorientati, disillusi, qualche volta addirittura indignati. Perché il Busoni [...] era riuscito a trasformare il pianoforte in uno strumento nuovo, con nuove risorse, con inusitate sonorità. Di conseguenza la letteratura pianistica assumeva, sotto le sue dita, aspetti inattesi e sorprendenti. Avveniva che certe opere, già da lui interpretate secondo lo stile tradizionale, fossero poi ripresentate a distanza di tempo, in maniera affatto opposta alla precedente, e quasi rivoluzionaria. Perciò, specie negli ultimi tempi, i concerti di Busoni rappresentavano, oltre che un godimento spirituale eccitatissimo, anche un interessante studio sull'evoluzione dell'interpretazione pianistica.
Purtroppo ci rimangono di lui pochi dischi (e abbiamo già visto come a Busoni ripugnasse l'incidere, per la sua quasi impossibilità di abbandonarsi all'estro interpretativo dinanzi alla macchina d'incisione); ma potendo aver sotto mano la riproduzione di tutte le opere capitali del suo immenso repertorio, esse costituirebbero il più importante documento della Storia e della Letteratura del pianoforte; una specie di Monumentum dell'arte pianistica.
Il 1921 segna il culmine di questa sua esasperata ricerca estetico-interpretativa. Ancora e sempre Busoni guarda soltanto innanzi a sé.


VERSO IL TRAMONTO LA LUCE SI FA PIÙ ACCESA

Da Londra Busoni passa a Roma dove consegue nuovi trionfali successi in seguito ai quali viene insignito della Commenda della Corona d'Italia. [Busoni era assai fiero di questa onorificenza, tanto che, scrivendo il suo nome anteponeva quasi sempre questo titolo cavalleresco. Soleva dire che gli sembrava di essere il Commendatore del «Don Giovanni».] Ritornato a Berlino vi tiene, in maggio, due concerti con orchestra, mentre assiste, sempre nella primavera, alle prove di «Arlecchino» e di «Turandot» al Teatro di Stato, che si svolgono sotto la direzione di Leo Blech. La Sovrintendenza del Teatro pone ogni più scrupolosa cura nella realizzazione dei lavori e dimostra devota sottomissione al Maestro per assecondarne tutti i desideri. Così il 19 maggio, quando si giunge alla esecuzione, le due opere sono presentate in edizione perfetta e in veste scenica sontuosa. Il successo è cordialissimo, da parte del pubblico e da parte della stampa; e Busoni, riconoscendo che gran parte del buon esito è dovuto alla eccezionale esecuzione, vuole tributare un pubblico ringraziamento a tutti i suoi collaboratori, in una divertente lettera aperta, pubblicata sulla «Vossische Zeitung».

Il pubblico - dice tra l'altro la lettera - accoglie le cure più complicate [di uno spettacolo] come cosa naturale, mentre poi giudica con fredda severità ogni più trascurabile deficienza. I nostri benevoli giudici - strane figure ammantate di giornali e nascoste da maschere di inchiostro tipografico -hanno il potere di distruggere la fatica costruttiva di anni con una sola frase.

Dopo il successo del Dittico, già si progetta, al Teatro di Stato, l'esecuzione del «Dottor Faust», come si trattasse di opera compiuta. Soltanto Busoni sa quanto grande lavoro gli resti ancora per portare a termine questa sua immane concezione, che gli si ingigantisce fra le mani, quasi suo malgrado.

Ogni compimento di un progetto - [lettera a Philipp, dopo la rappresentazione del Dittico] - è una specie di piccola morte, così come ogni inizio di nuovo lavoro è una specie di rinascita. Io mi sento sempre depresso quando ho compiuto qualcosa. La speranza, che è molla principale del meccanismo mentale, si scarica e cessa di funzionare; bisogna sempre ricaricarla con nuovi sforzi. Al lavoro!

Con la sua singolare capacità di far procedere simultaneamente più lavori, Busoni compie, durante l'estate, la trascrizione per due pianoforti della «Fantasia Contrappuntistica»; compone un nuovo tempo da aggiungere a quel «Konzertstück» per pianoforte e orchestra col quale aveva vinto il Premio Rubinstein nei suoi giovani anni; scrive due piccole composizioni da unirsi ad un vecchio «Albumblatt»; crea infine una nuova cadenza per il Concerto in fa di Mozart. A cercare riposo, fra lavoro e lavoro studia i Madrigali di Claudio Monteverdi, che sono per lui una luminosa rivelazione. È tale l'entusiasmo suscitato in lui dai madrigali ch'egli non può fare a meno di scrivere al Ministro dell'Istruzione Pubblica d'Italia, dimostrando quale immenso significato avrebbe un'edizione di Stato di tutta l'opera del Cremonese.
Il «Faust» intanto, sia pure lentamente, progredisce; l'entusiasmo di Busoni è ardentissimo. Le poche lettere che di lui ci rimangono di questo periodo non parlano quasi d'altro:

Come un fiume sotterraneo, che si ode e non si vede, la musica del «Faust» scorre e fluisce ininterrottamente, quasi a dispetto della mia stessa ispirazione; e già comincio a vedere il momento in cui esso sortirà alla superficie.
La partitura [del DF] cammina da sola; essa mi trascina innanzi, anziché trattenermi, proprio come fa Giotto!
Ho terminato in questo momento di strumentare la scena degli studenti. Essa è forse, tecnicamente, il brano più perfetto che io abbia composto per teatro. La mia mente è nel miglior stato possibile grazie a Dio (tocca legno!) e sono impaziente di dare un nuovo assalto al libretto...

Sole parentesi al suo lavoro sono le lezioni di composizioni a vari giovani, lezioni che da qualche tempo il Maestro tiene in casa propria anziché all'Accademia, per risparmiare il tempo di far la strada. Anche alla consueta passeggiata serale egli ha quasi completamente rinunciato, e la sua vita si svolge in modo esclusivamente spirituale.

PRIMI ASSALTI DEL MALE

Il suo benessere fisico, però, è più apparente che reale. Un prima attacco di malattia si manifesta in autunno, obbligandolo al riposo e costringendolo a una rigorosa cura. Vuole, ciò nonostante, dirigere un concerto nel quale il suo allievo Eduard Weiss esegue la «Fantasia indiana», come pure non rinuncia a suonare a due pianoforti, in altro concerto, con Egon Petri.
Egli non parla a nessuno del suo stato di salute. Soltanto all'amico Philipp confida segretamente la verità, proponendosi di nascondere la gravità del suo stato, specialmente per non creare ansietà in Gerda. La quale invece, coscientissima della situazione reale, si finge a sua volta ignara per non allarmare il marito. Il Maestro si sottrae a poco a poco ad ogni fatica superflua, rinunciando perfino al piacere della corrispondenza con gli amici, pur di continuare il lavoro dell'opera. E sa trovar in se stesso tanta energia da eseguire, in due serate, sei Concerti di Mozart, che portano il pubblico berlinese a un vero delirio.
La malattia sembra avergli concesso una tregua e la speranza torna a sorridergli. Può abbandonarsi nuovamente al lavoro («Faust» per cinque sesti è ormai compiuto), e dedicarsi con maggior cura all'insegnamento. Per la prossima primavera già fioriscono nella sua mente nuovi progetti, nuovi sogni, nuove mète: Roma, Londra, Parigi..., sempre che il medico voglia concedere il «nulla osta».