EDWARD D. R. NEILL

BUSONI
BUSONI E MAHLER

DISCLUB
RIVISTA BIMESTRALE DI CRITICA MUSICALE
E INFORMAZIONE DISCOGRAFICA ANNO IV
SETTEMBRE-DICEMBRE 1966 - 22/23 - pp. 24-29


Ferruccio Busoni rappresentò indubbiamente il prodotto della fusione tra viva intelligenza toscana e innata musicalità germanica. Tale fusione può anche spiegare la polivalenza della sua arte: Busoni virtuoso, compositore, esteta, didatta, direttore d'orchestra, Busoni continuatore ideale di Liszt

col quale aveva in comune numerosi tratti artistici e umani (1). Da Liszt, infatti, Busoni raccoglie il pianismo trascendentale e il gusto per le parafrasi e le trascrizioni. Ma egli si ricollega anche a quella schiera eletta di esecutori-compositori di cui, oltre a Liszt, fecero parte Paganini e Chopin

nelle mani dei quali lo strumento diventò personaggio. Con loro Busoni divide la qualifica di artista europeo, anche se, come in ciascuno di essi, vissuto prevalentemente fuori della propria patria, il richiamo etnico fu spesso avvertito ed esplicitato. In Paganini,

per esempio, la componente latina si estrinsecò non soltanto attraverso un tipo determinato di comportamento, ma anche in significativi richiami al folclore ligure (2). Ben noti invece in Chopin e in Liszt quelli al folclore polacco e ungherese. Busoni fu però quasi ossessionato dalla propria italianità al punto di minacciare volontari e sdegnosi esili qualora non gli fosse stata riconosciuta, giungendo a deplorare duramente il wagnerismo che si professava a Bologna e che egli dichiarava contrario alla natura italiana (3). Ma la parte più consistente della sua italianità è rilevabile nei continui e spontanei omaggi che egli offre al suo paese d'origine, nei rimandi al folclore, ora dichiarati, ora appena balenanti nelle sue opere. A parte l'inserimento spesso criticato, di una tarantella nel Concerto per pianoforte, orchestra e coro virile op. XXXIX (ma qui la funzione della tarantella è anche quella di offrire uno spunto ritmico per movimentare la struttura dell'opera, come avviene nella Sonata n. 4 in mi minore per pianoforte di C. M. von Weber - composta quasi un secolo prima - oppure nel Concerto per pianoforte e orchestra n. 2 in sol minore di Saint-Saens del 1868), temi popolari italiani traspaiono nella seconda parte del Concerto in re maggiore per violino e orchestra op. 35 e nella composizione pianistica Sei elegie (1907) e precisamente nella seconda, «All'Italia» In modo napolitano, il cui materiale tematico era già stato trattato nel Concerto per pianoforte sopra richiamato. Questi riferimenti a motivi d'ispirazione popolare investono però sfere più vaste. Sempre nelle Sei elegie, la quarta «Turandots Frauengemach» cita la famosissima aria cinquecentesca inglese «Greensleeves» (4), che Busoni deforma proprio come Alban Berg fece con un corale e un laendler carinziano nel Concerto per violino e orchestra (1935). Vanno inoltre ricordate le composizioni chiaramente improntate alla musica popolare: Kultaselle, dieci variazioni su un tema popolare finnico per violoncello e pianoforte (1891), il sesto movimento dei Pezzi per pianoforte op. 33 b (1896) intitolato «Ballata finnica», le Finnlaendische Volkweisen op. 27 per pianoforte a quattro mani, tutte opere che si debbono al suo soggiorno in Scandinavia, oltre all'impiego di melodie ebraiche ne La sposa sorteggiata e di melodie indiane nella Fantasia indiana per pianoforte e orchestra op. 44. La citazione di motivi popolari, oltre a spiegare l'elemento parafrastico assai vivo in Busoni ed evidenziare il principio per il quale egli si era sempre battuto nei suoi scritti teorici e cioè che i mezzi sonori per comunicare la musica sono di secondaria importanza (la musica è sempre quella indipendentemente dalla sua destinazione tormle e strumentale) riveste importanza per dimostrare quanto in lui fosse operante la riminiscenza. Così, nella Toccata (1920) Busoni richiama temi de La sposa sorteggiata, nella quarta delle Sei elegie, temi della Turandot. Un caso di estremo interesse è quello della terza elegia, intitolata «Meine Seele bangt und hofft zu Dir» - Choralvorspiel. Il Corale qui è inventato da Busoni (come probabilmente lo è quello contenuto nell'ultimo dei Tre fogli d'album (1921), ma è derivato certamente dall'aria «Greensleeves». Lo stesso corale farà poi la propria apparizione nei capolavoro pianistico Fantasia contrappuntistica (1910) - parte introduttiva (5) - in cui un altro corale, questa volta bachiano («Ehre sei Gott in der Hoehe») sarà poi oggetto di una sere di variazioni. L'improvvisazione per due pianoforti (1916) parte anch'essa da un corale di Bach («Wie wohl ist mir, O Freund der Seelen»). La forma del corale indubbiamente discesa a lui da Bach trova anche interessanti applicazioni orchestrali (v. Concerto per pianoforte) nel classico trattamento per ottoni (6). Non v'è dubbio che in Bach,

Busoni trovò il modello ideale per sostenere il suo concetto della musica astratta, così come trovò in Liszt il modello ideale dei pianismo trascendentale. L'attaccamento per il tanto venerato maestro tedesco è anche dimostrato dalla monumentale opera di trascrizioni e revisioni (Bach-Busoni-Ausgabe). È pur vero che l'opera bachiana pervenutaci attraverso la mediazione di Busoni, necessitò ovviamente di un adeguamento alle possibilità del pianoforte e, in un certo senso, al gusto di Busoni stesso.
Tuttavia è innegabile che la veste conferitagli da Busoni fu determinante nell'avvicinare una cerchia assai vasta di esecutori che diversamente non avrebbero potuto trovare accesso alla musica di Bach. D'altro canto, altre opere, come i Preludi corali per organo di Brahms già di per sé poco organistici, guadagnarono parecchio dalla trascrizione pianistica di Busoni. Anche qui egli ebbe una geniale intuizione (7). Del resto l'idea della trascrizione ebbe in Busoni un significato molto più vasto che non quello dell'adattamento di una composizione d'altri per un altro strumento. Intorno al 1910, mentre si andavano già configurando e chiarendo le linee essenziali della sua estetica, egli scriveva che «ogni notazione è già trascrizione di una idea astratta» e che «anche l'esecuzione di un lavoro, è una trascrizione, concludendo che gli uomini non possono creare; possono solo elaborare...» e poneva l'accento su i termini «creare» ed «elaborare» (8).
La musica di Busoni, impostata su tardo romanticismo che egli si apprestava a lasciare alle spalle, andò via via evolvendosi ed arricchendosi sin al momento in cui la sua nuova visione precorritrice le impresse una spinta decisiva verso il futuro. Così i due Quartetti per archi (in do maggiore op. 19 del 1881 e in re minore op. 26 del 1889) appartengono non solo cronologicamente, ma anche spiritualmente ad una tradizione che il giovane compositore non poteva ancora rifiutare, ma che, anzi, gli fu necessaria per spiccare il volo verso la propria indipendenza stilistica. Nelle opere composte nel primissimo Novecento, le influenze si precisano meglio. La Geharnischte Suite op. 34a (1903) esordisce nel segno di Berlioz-Liszt e termina in quello di Wagner. Però, nel penultimo movimento (Epitaffio) il tema grave esposto dagli archi si ritroverà pressoché intatto esattamente mezzo secolo dopo nella Settima Sinfonia di Ralph Vaughan Williams

(tema ciclico); fatto non poco sorprendente se si pensa che il compositore inglese di Busoni non conosceva che le trascrizioni bachiane! Tuttavia anche questa può costituire una delle tante anticipazioni spesso attribuite a Busoni la cui influenza su certo Britten operistico è fuori discussione. Busoni fu accolto con tutti gli onori in Inghilterra e la sua arte vi lasciò una impronta durevole. Non va neppure dimenticato che ii primo biografo di Busoni fu proprio un inglese, Edward Dent (9).
Il Concerto per pianoforte di Busoni è opera importante non soltanto perché è ii concerto più extra-ordinario che sia mai stato composto, ma perché segna il trapasso dalla prima fase di maturazione alla seconda (10), ponendosi allo stesso tempo in contraddizione con entrambe. Il suo linguaggio si muove ancora nell'ambito del cromatismo morbido di Liszt (11) e Franck e della medias res beethoveniana, ma stenta ancora ad inquadrarsi entro l'economia (12) busoniana. Le sue proporzioni richiamano il Faust listziano (1854), l'Ottava Sinfonia [testi] di Mahler *

e i Gurre-Lieder di Schönberg, due opere concepite nello stesso periodo del Concerto per pianoforte. Ma se si prescinde un momento dal pianoforte, il Concerto busoniano divide con le composizioni or ora citate, il massiccio schieramento orchestrale e ii coro. Liszt e Mahler concludono con stesso testo goethiano («Alles Vergängliche ist nur ein Gleichnis» ecc.); Schönberg


AUTORITRATTO
DI SCHÖNBERG

si rifà alla saga danese dello Jacobsen (13) mentre Busoni preferisce il misticismo dei Oehlenschläger (14),

misticismo che poi abbandonerà in favore del simbolismo (v. il Doktor Faust). Le analogie che abbiamo notato mostrano appunto che il Concerto per pianoforte rappresenta, sia pure nelle sue molteplici oscillazioni, una tendenza storica. Per stessa ammissione di Busoni, il Concerto per pianoforte «si basa sulla tradizione. Non indica certamente il futuro, ma rappresenta il momento della sua nascita». (15)
I risultati non si fanno attendere: con la Berceuse elegiaca per orchestra op. 42 (1910) scritta in memoria della madre, il Notturno Sinfonico per orchestra op. 43 (1912) e la Sonatina seconda per pianoforte (1912), ii musicista entra nella seconda fase, quella, appunto in cui comincia ad intravedersi una più perfetta rispondenza tra pensiero e musica, tra teoria e pratica (16). Proprio in quel periodo escono i primi scritti teorici, s'instaura la polemica con Pfitzner. Inizia il futuro di Busoni.

La polivalenza dell'arte busoniana cui prima si accennava non va peraltro intesa in senso deteriore o nel senso di un ecclettismo dispersivo. Dotato di uno spirito altamente ricettivo, ma discriminatorio, Busoni accolse in sé tutte le tendenze, tutti i modi suscettibili di contribuire al progresso della musica. L'accenno di Dallapiccola

sulla preveggenza busoniana della musica elettronica (17) è significativo. La sua teoria sui terzi di tono non cadde lettera morta se pensiamo alle composizioni di Alois Hàba.


HABA È AL CENTRO DELLA FOTO - CLICCA PER INFORMAZIONI

Così, nelle sue ricerche sulla nuova armonia egli tiene conto delle esperienze di Schönberg, anche se non si astiene dal criticarlo (18). La sua idea sulla musica assoluta lo portò naturalmente a negare Wagner e Strauss come negò Debussy perché «chiuso in sé stesso» (19)

e poco coerente nel senso che l'armonia debussyana non assecondava la novità del sistema esatonale.
Il principio espresso nel saggio Il nuovo classicismo (20) («intendo il dominio, il vaglio e lo sfruttamento di tutte le conquiste precedenti; il raccogliere in forme solide e belle») è corroborato da altri concetti che tendono tutti a fare della musica un fenomeno unitario in cui il contenuto è indipendente dalla forma. Egli infatti afferma: «musica è in sé e per sé musica e null'altro, e non si divide in sottospecie diverse», preconizza «il distacco definitivo dal tematismo e il rinnovato impiego della melodia (non nel senso di motivo orecchiabile) quale dominatrice di tutte le voci, di tutti gli impulsi, supporto dell'idea genitrice dell'armonia; in breve della polifonia sviluppata». Busoni conclude riaffermando il concetto della musica assoluta e battendosi per l'abolizione della differenza tra consonanza e dissonanza e del sensualismo. «Sentire umano, ma non vicende umane.» Per questo, le opere liriche di Busoni, quasi ponendosi in antitesi con quelle degli operisti italiani, non sono vita messa in musica, ma musica che assiste piuttosto dei simboli. Dal misticismo dell'Oehlenschläger al mito del Faust il passo è breve, com'è breve il passo tra il personaggio, un certo Doktor Johann Faust nato a Heidelberg nel 1840 e quello del Puppenspiel, della canzonetta popolare e delle prime biografie romanzate che ne evocano le gesta contribuendo a trasformare il personaggio in mito. Ma appunto perché si tratta di un mito, esso è soggetto a modificarsi nel tempo, ad assumere aspetti diversi, spesso opposti, ad offrirsi alle interpretazioni più disparate. Ulisse: scaltrezza o conoscenza? Faust: dannazione o redenzione? Il Faustus di Marlowe, magnifico per quall'allure primitiva e grottesca, classico prodotto della Riforma, è sensuale, spietato, anticlericale; i personaggi che lo contornano diavoli compresi ispirano simpatia, ma egli viene dannato perché ha voluto trascendere i limiti della conoscenza convenzionale. Il Faust goethiano pervenuto nella mediazione del Lessing è quasi la stessa incarnazione dello Sturm und Drang nutrito di grecismo. In esso Goethe immette due personaggi femminili originariamente non previsti, ma ben determinati e funzionali anche se accessori. Ma il Faust di Goethe alla fine si redime e assume la caratteristica di un simbolo ben preciso, quello della conoscenza (come l'Ulisse di Dante). Il Faust frammentario di Lenau è un debauché che pone fine ai suoi giorni con un suicidio rinunciatario. Ma tutti questi Faust hanno a loro disposizione una taverna e la taverna del Faust busoniano è la taverna della «Sposa sorteggiata», è la stessa dei Racconti di Hoffmann (21).
Ma il mondo di Hoffmann (più ancora di quello di Goethe) privo di confini precisi tra fantasia e realtà, magia e simbolo, che fornì a Busoni l'ambientazione ideale per La Sposa sorteggiata, è in fondo lo stesso mondo che permea la Turandot, l'Arlecchino e il Doktor Faust; un mondo, dunque, in cui la trasformazione da personaggio a simbolo fiorì spontanea e naturale (22). Per questo il Faust busoniano non è un personaggio, ma il mito stesso del Faust. (23) Forse così potrebbe spiegarsi la ragione per cui di tutte le opere verdiane, Busoni riuscì a comprenderne una sola, il Falstaff. Perché anch'esso rappresenta un simbolo, più che un dramma o una vicenda umana, quella vicenda umana che Busoni voleva a tutti costi scacciare dalla musica. Anche in ciò la visione di Busoni fu precorritrice dei tempi: i personaggi-simbolo delle sue opere sembrano addirittura anticipare quelli di Brecht (24) i quali vivono però in funzione di una ben precisa realtà storica.
Dai personaggi-simbolo a quelli reali che Busoni incontrò, da Liszt a Malipiero. Una infinità di contatti e di giudizi che arricchiscono la figura dell'uomo e dell'artista attraverso la testimonianza diretta (25), l'aneddoto e i riflessi che la sua personalità ebbe sui contemporanei. A parte Liszt e Brahms (26), nel nord Busoni conosce Grieg e stringe rapporti d'amicizia con Carl Nielsen (27) col quale poi si ritroverà a Berlino accomunato nei programmi della Neue Musikgesellschaft. Quindi Sibelius (28) cui Busoni dedicò il Preludio della Geharnischte Suite. In Inghilterra, Elgar e Delius

tra i musicisti, G. B. Shaw e Galsworthy tra gli scrittori. In Russia, Rachmaninov, Glazunov e Scriabin (29). In Germania, Max Reger

fu uno dei primi ad intuirne il talento di compositore ancor prima dello scadere del secolo scorso. Un interessante epistolario intercorso tra Reger e Busoni rivela che i due musicisti provvidero a scambiarsi partiture e giudizi. Reger, inoltre, dedicò a Busoni un Concerto per pianoforte e orchestra rimasto purtroppo allo stato di abbozzo (30). Schönberg, da lui chiamato il Secessionista viennese (31) lo interessò per gli esperimenti che allora andava conducendo. Tra i direttori d'orchestra che lo ebbero amico, vanno annoverati V. Andreae,


Nikisch, Richter e Toscanini da lui conosciuto durante una tourné in America compiuta con Mahler. In Belgio conosce Ysaye e lo entusiasma Saint-Saëns del quale scriverà alcune belle pagine di ricordi (32). I brevi soggiorni in Italia, invece, impedirono a Busoni di stringere rapporti più continuativi. Da ragazzo Busoni aveva conosciuto Boito (33) e più tardi Mancinelli e Casella al quale dedicò la sua ultima composizione orchestrale, Romanza e scherzoso per pianoforte e orchestra op. 54. Altre testimonianze potranno affiorare in seguito per chiarire i rapporti che Busoni intrattenne con i musicisti conterranei, i letterari e i pittori del suo tempo, a parte D'Annunzio e Boccioni coi quali ebbe contatti proficui (34).
Ma di tutti gli artisti che Busoni incontrò, Gustav Mahler merita forse cenni meno didascalici. Entrambi appartengono alla schiera dei musicisti del nostro tempo, entrambi dividono quella tensione verso il futuro, anche se la risolvono in modi affatto diversi, e partecipano, come si è visto, ad una comune tendenza storica.
Busoni dovette incontrare Mahler per la prima volta a Vienna alla fine del secolo scorso (35). Più tardi li ritroviamo insieme negli Stati Uniti, dove Mahler dirige con successo la Turandot e la Berceuse elegiaca. Alma Maria Mahler, nel suo libro di ricordi (36) traccia un profilo cordiale, anche se esteriore, di Busoni, dal quale risaltano subito i rapporti d'amicizia esistenti tra i due. Busoni vi viene ritratto come uomo gioviale, premuroso, pieno di comprensione e di solidarietà verso il collega che non trova un giusto riconoscimento in Germania. Tuttavia, nel suo intimo, Busoni non riesce a simpatizzare con le opere di Mahler che finiscono invariabilmente per deluderlo (37). In una lettera che Busoni indirizza personalmente a Mahler nel 1910 (38), il musicista italiano evita ogni apprezzamento sulle opere, limitandosi a sottolineare i rapporti di amicizia e di lavoro (39); ma scrivendo alla moglie Gerda non esita ad esprimere giudizi negativi sulle sinfonie mahleriane ed è probabile che lo stesso pensasse Mahler di Busoni che allora appariva agli occhi di tutti come il pianista per eccellenza (40), ciò evidentemente contribuendo a fare del compositore una figura secondaria.
Il fatto è che, se si esclude per un momento quell'unico punto d'incontro già rilevato, Busoni e Mahler discendono da due ceppi distinti. Busoni accoglie sì, la tradizione, ma a un certo punto, la sua maturazione spirituale e la sua estetica improntata all'ideale classico, lo portano a creare una frattura col suo tempo, scavalcandolo. Mahler, invece, erede di una grande tradizione post-romantica che è portata alle sue estreme conseguenze in un processo graduale, resta perfettamente inserito nel suo tempo e bene lo rappresenta in tutti gli aspetti e fermenti. Tuttavia la funzione di Mahler e Busoni nel processo evolutivo del novecento musicale è parimenti rilevante. Che Busoni non fosse riuscito a cogliere nell'opera di Mahler i germi di quella evoluzione nella quale egli aveva invece bruciato le tappe, può sembrare una contraddizione. In realtà Busoni era troppo esteta e troppo musicista per giudicare i propri contemporanei - o coloro nei quali egli non trovava una perfetta corrispondenza spirituale - da un punto strettamente storicistico. Il processo evolutivo dell'arte busoniana, partito dal post-romanticismo, dalla consapevolezza dei propri limiti, e dalla possibilità di trascenderli, subì, ad un certo punto, uno scatto in avanti, ponendosi quasi in antitesi con la gradualità del processo storico. Anche se il rapporto tra teoria e realizzazione non sempre trovò risoluzioni immediate, l'opera di Busoni in tutti i suoi aspetti è dominata da una continua tensione verso ciò che allora doveva ancora venire. Per giungere a tali risultati Busoni non aveva certo bisogno di ricorrere a schemi e formule astratte; gli fu sufficiente operare con serenità, con quella serenità, appunto, di chi guarda davanti a sé.


NOTE

(1) Come Liszt, Busoni era di discendenza germanica per parte di madre. Anna Weiss Busoni era pianista di un certo talento. Scriveva Busoni: «Mia madre aveva una scuola corretta, e suonava nello stile di Thalberg: con grande agilità, in modo un po' salottiero e di bravura (v. Frammenti autobiografici in Scritti e pensieri sulla Musica, Milano 1954, pag. 105). La madre di Busoni, inoltre, compose e pubblicò svariati brani pianistici di stile salon, tra cui, una Salon-Polka intitolata Ferruccio e contraddistinta dal numero d'opera 9. Lo spartito fu pubblicato a Vienna presumibilmente alla fine del secolo scorso.

(2) Paganini compose ben 60 variazioni per violino sull'aria genovese Barucabà e trascrisse per chitarra un Perigoldino (recte Perigurdin) che è un'antica danza popolare ligure d'origine francese in 6/8.

(3) v. lettera datata 21 Marzo 1919 interamente riportata in facsimile in questo numero.

(4) L'aria citata, tratta da un'antica intavolatura per liuto del'500 doveva essere popolarissima nel periodo elisabettiano. Shakespeare la cita ne «Le allegre comari di Windsor» (atto secondo - scena prima). Nel Novecento venne riscoperta ad opera del movimento folclorico inglese e restituita attraverso numerose trascrizioni corali e strumentali.

(5) Della Fantasia contrappuntistica Busoni curò tre diverse stesure: per pianoforte a due mani, per quattro mani e per due pianoforti, prevedendone una quarta per orchestra (mai realizzata). Essa si ricollega all'ideale bachiano della musica astratta. Infatti Busoni scriveva: «Non è pensata né per pianoforte, né per organo, né per orchestra». F. Bnsoni: Scritti e pensieri sulla musica, Milano 1954, pag. 42.

(6) Non sembra inutile ricordare che Bruckner fu il primo compositore ad utilizzare sistematicamente il corale strumentale nella sinfonia della cui struttura esso fa parte integrante.

(7) Non va dimenticata l'importanza delle numerose riduzioni per pianoforte di opere sinfoniche da parte di pianisti di scuola lisztiana, quale lo Stradal. Tali riduzioni, che nella versione a due mani sono perloppiù ineseguibili se non da un virtuoso, rivestono notevole valore didattico. In certi casi, come in quello di Bruckner, la prima esecuzione assoluta di una sinfonia, avveniva proprio nella riduzione pianistica!

(8) v. Valore della trascrizione op. cit. pag. 27-30.

(9) «Ferruccio Busoni, a biography» Londra, 1933. Il Dent si occupò anche di Scarlatti, ma sopratutto dell'Opera. Ebbe però il torto di abbandonarsi a giudizi assurdi e paradossali sui musicisti inglesi del Novecento.

(10) Su quest'opera Busoni scrisse: «Il Concerto per pianoforte, orchestra e coro d'uomini tenta di riassumere i risultati del periodo della mia prima maturità e rappresenta la sua conclusione.» Op. cit. pag. 43.

(11) Si paragonino le battute introduttive del Concerto col tema di Gretchen del Faust di Liszt.

(12) La ripugnanza di Busoni per lo spiegamento d'imponenti masse orchestrali risulta anche dall'appunto che egli muove a Mahler. Nel 1903 scrivendo alla moglie egli affermava tra l'altro: «La Quinta Sinfonia (di Mahler) non è ancora finita e la Terza che vorrebbe fare, esige un coro di donne e di ragazzi, un contralto solista e i passeggeri dell'Arca di Noè. Ma poiché non ho a mia disposizione né coccodrilli contralti, tenori e bassi, né serpenti cromatici, né uccelli del Paradiso a pedale...» F. Busoni. Lettere alla moglie, Milano 1955. Busoni scriveva queste parole proprio nel periodo in cui componeva il Concerto per pianoforte le cui proporzioni, come si vedrà, richiamano quelle delle sinfonie mahieriane.

(13) Jens Peter Jacobsen (1847-1885) poeta e romanziere danese che, oltre a Schönberg, fornì materia d'ispirazione a Delius (Fennimore und Gerda).

(14) Adam Gottlob Oehlenschläger (1779-1850) poeta e drammaturgo danese d'origine tedesca, massimo rappresentante del romanticismo in Danimarca. Amico di Goethe, egli ne fu in qualche modo influenzato. Il misticismo e il simbolismo dell'Oehlenschläger colpirono subito Busoni che intuì il potenziale espressivo dell'Aladino (v. lettera alla moglie del 10-2-1902 op. cit. pag. 44). Anche diversi compositori danesi (Danning, J.P.E. Hartmann, Heise e Carl Nielsen) si sentirono attratti dall'Oehlenschläger e ne musicarono l'Aladino).

(15) op. cit. pag. 44.

(16) Specialmente nelle composizioni orchestrali citate, più che di discorso musicale in senso tradizionaie, si potrebbe parlare di atmosfera sonora continuamente fluttuante e priva di contorni definiti. Lo Stuckenschmidt vi ha anche i intravisto una specie di atonalità. H. H. Stuckenschmidt: La musica moderna, Torino 1960, pag. 64.

(17) Op. cit., pag. 124.

(18) F. Busoni: The essence of music, Londra 1957, pag. 24.

(19) Op. cit., pag. 43.

(20) Op. cit., pag. 68-70.

(21 E. T. W. Hoffmann (1776-1822) singolare figura di avvocato, novelliere, pittore, direttore d'orchestra, compositore e critico musicale (con la pseudonimo di Johannes Kreisler mutò il suo terzo nome (Wilhelm) in Amadeus in omaggio a Mozart. Oltre a Busoni egli ispirò Hindemith (Cardillac), Schumann (Kreisleriana), Braunfels (Prinzessin Brambilla), Ciaicovski (Lo schiaccianoci) e Offenbach (I racconti di Hoffmann). Egli stesso compose numerose opere e un balletto (Harlequin) oltre a due sinfonie e svariate opere da camera. È sintomatico osservare che Busoni scrisse un saggio sui «Racconti fantastici» (Introduzione ai racconti fantastici di E.T.A. Hoffmann, pubblicato da Georg Mueller Verlag, Monaco nel 1914). Tra gli interessi letterari di Busoni non vanno però sottovalutati Poe e Stevenson.

(22) Può essere utile rilevare che in Francia il simbolismo era filtrato nell'opera attraverso Maeterlinck. Si pensi a Pelléas et Mélisande di Debussy (1902) e alla Ariane et Barbe-Bleu di Dukas (1907).

(23) Lo Stuckenschmidt in proposito scrive: «Tra le molte versioni musicali nelle quali è incarnato il mito di Faust, quella busoniana si avvicina più di ogni altra alle origini mitiche della leggenda.» Op. cit., pag. 221.

(24) La sposa sorteggiata è particolarmente significativa sotto questo profilo. Certi atteggiamenti pre-brechtiani sono stati giustamente posti in luce dalla regia di Franco Enriquez per l'edizione recentemente curata dal Maggio Musicale Fiorentino. Sul piano strumentale quest'opera mostra anche una ricerca timbrica di grande interesse oltre a volute riminiscenze mozartiane e straussiane.

(25) Che staccheremo dal contesto e riporteremo fedelmente in postille per maggiore chiareza.

(26) Busoni così scrive alla moglie: «Ascoltando Brahms mi sono venuti in mente due paragoni. Primo: uno di quei piccoli laghi di montagna in cui un fiume entra da una parte ed esce dall'altra, senza che la tranquillità del lago ne venga turubata. L'altro paragone mi è venuto in mente ripensando alla posizione, analoga, occupata, a suo tempo, nel mondo musicale da Ludwig Spohr e dall'analogo talento dei due compositori...» Op. cit., pag. 152. Busoni aveva dedicato a Brahms un Etude en forme de variations, op. 17 (1884).

(27) Carl Nielsen era quesi coetaneo di Busoni essendo nato (come Sibelius e Dukas) nel 1865.

Il compositore danese sottopose un giorno a Busoni lo spartito della Suite sinfonica op. 8 per pianoforte (1895; sul quale l'italiano diede questo sorprendente giudizio: «Non è orchestrata per il pianoforte! Infatti in musica pianistica di Carl Nielsen prescinde totalmente dalle possibilità tecniche dello strumento e ciò è uno dei tanti aspetti della propria originalità.» Tuttavia Carl Nielsen sembrò avvertire forse inconsciamente la lezione busoniana a proposito dell'armonia generata dalla polifonia. Nelle opere della maturità del danese questo principio è chiaramente messo in pratica: l'armonia trattata polifonicamente è resa indipendente e tolta dalla tradizionale e servile funzione accompagnatoria, diventando melodia essa stessa. Anche Carl Nielsen fu attratto dallo Oehlenschläger di cui musicò l'Aladino sul quale Busoni stesso sarebbe dovuto più tardi tornare (v. anche postille 14 e 29).

(28) «È un fatto che il pianoforte non m'interessa. Non canta. E io non vado mai ai concerti pianistici, se non quando li dà qualche autentico genio, come il mio amico Busoni.» Così Sibelius in Conversazioni con Sibelius di Beng von Toerne, Firenze 1943, pag. 27. Di Sibelius, Busoni scrisse in termini lusinghieri in una recensione pubblicata nel Zuercher Theater-Konzert und Fremdenblatt e riportata negli Scritti e pensieri sulla musica, già citati, peg. 49-50.

(29) In una lettera alla moglie datata Petroburgo 19-11-1912 Busoni esprime un giudizio laconico su Scriabin: «Scrive delle grandi partiture. Non le ritengo vive, ma rispetto le alte ispirazioni di Scriabin.» Il compositore russo ha però qualche tratto in comune con Busoni; innanzitutto l'ansia per la ricerca e l'innovazione, il gusto per il misticismo, il simbolismo, e il virtuosismo pianistico. Anche se la ricerca armonica di Scriabin parte da presupposti diversi (accordo mistico o di quarte sovrapposte), il contributo del musicista russo alla evoluzione della musica del Novecento è innegabile sia pure allo stato di ricerca isolata. Inoltre Busoni, scrivendo sempre alla moglie sin. dal 1902 in merito al progetto (mai realizzato) dell'Aladino, così si esprime: «Ho pensato di fare dell'Aladino di Oehlenschläger non un'opera, ma un lavoro che assommi in sé lo spettacolo la musica, la danza e la magia (op. cit. pag. 44). Il programma è pressoché identico a quello che Scriabin si era proposto di seguire nell'incompiuto Mistero. Ricordiamo anche che tra le opere concepite nella prima decade del Novecento, il Poema del fuoco di Scriabin s'inserisce, come l'Ottava Sinfonia di Mahler, i Gurre-Lieder di Schönberg e il Concerto per pianoforte e orchestra e coro maschile di Busoni dei quali si è fatto già cenno in narrativa, tra le opere che rappresentano una comune tendenza storica.

(30) Max Reger - Briefe eines deutschen Meisters, Lipsia, 1928. Il volume contiene numerose lettere di Reger a Busoni.

(31) F. Busoni: «The essence of music», pag. 42.

(32) Ibidem, pag. 170-3.

(33) Ibidem pag. 167-170. Busoni aveva conosciuto Boito nel 1882 e ne ammirava il Mefistofele.

(34) Sui rapporti tra Busoni e D'Annunzio, si vedano le lettere alla moglie (op. cit.). Con D'Annunzio il musicista discusse il progetto di un libretto (forse di una opera) su Leonardo da Vinci che il poeta definì il Faust italiano. Come si può constatare sin dai tempi in cui Busoni incontrò Boito e D'Annunzio, il musicista si sentiva fortemente attratto dalla figura del Faust. I primi schizzi dell'opera risalgono però al 1914 anche se Busoni ammette di aver pensato al Faust nel Notturno Sinfonico op. 43 (1912) e nella Sonatina Seconda composta nello stesso anno.
Di Boccioni, Busoni scrisse un articolo commemorativo per il Neue Zuercher Zeitung del 1916 (op. cit. 57-59). A Parigi, Busoni visitò le prime mostre dei futuristi e ne seguì anche, con interesse, gli esperimenti nel campo musicale sui quali però egli non si espresse in modo decisivo, come risulta da un breve saggio pubblicato qella rivista berlinese «Pan» nel Settembre 1912. Peraltro, nel 1917, scrivendo la nota lettera aperta a Pfltzner, Busoni nega recisamente la propria appartenenza al movimento dei Futuristi.

(35) In una lettera alla moglie (op. cit. pag. 22) risulta che Busoni si esibì a Vienna come solista in un concerto diretto da Mahler nel 1899.

(36) Life and letters of Gustav Mahler, Londra, 1946, pag. 164.

(37) Cfr. nota n. 12. Nel 1913 Busoni scrive alla moglie: «Avevo sentito la 7ª di Mahler da cui ho avuto una grande delusione...» (op. cit. pag. 132). Busoni aveva anche rimproverato a Mahler di essere affetto dalla monomania di scrivere la sua Nona Sinfonia (op. cit. pag. 75-76).

(38) La lettera è contenuta nel volume di A. M. Mahler, op. cit., pag. 228.

(39) V. nota precedente. In tale lettera Busoni, afferma, tra l'altro: «La sua compagnia è una esperienza purificatrice che ringiovanisce tutti coloro che vi entrano a far parte.» In essa si parla anche del progetto di un giro concertistico in Italia con Mahler, evidentemente mai realizzato per la morte di quest'ultimo.

(40) È noto che Busoni si dispiaceva del fatto che il pubblico lo considerasse esclusivamente sotto l'aspetto pianistico. Accadeva, infatti, che quando dirigeva, il pubblico nell'applaudirlo, chiedeva che si esibisse al pianoforte.