I dizionari Baldini&Castoldi

Arlecchino di Ferruccio Busoni (1866-1924)
libretto proprio

oder Die Fenster Capriccio teatrale in un atto e quattro parti

Prima:
Zurigo, Stadttheater, 11 maggio 1917

Personaggi:
Arlecchino (rec); Colombina, sua moglie (Ms); ser Matteo del Sarto, sarto (Bar); Annunziata, sua moglie (m); Cospicuo, abate (Bar); Bombasto, dottore (B); Leandro, cavaliere amante di Colombina (T)



La duplice origine etnica di Ferruccio Busoni – italiano il padre Ferdinando ottimo clarinettista, tedesca e valente pianista la madre Anna Weiss – ebbe a riflettersi anche nelle sue scelte drammaturgiche. Al ricco filone di pretta ascendenza germanica culminante nel grandioso e incompiuto Doktor Faust si contrappone la luminosità mediterranea, il sorriso ironico e tagliente di Turandot e di Arlecchino . Prima di dedicarsi ad Arlecchino Busoni aveva vagheggiato, in un tentativo di collaborazione con D’Annunzio, un’opera dedicata alla figura di Leonardo da Vinci. Ma il progetto rimase tale, avendo l’Imaginifico poeta intuito, non a torto, l’assenza nella figura di Leonardo di quel tanto di ‘materia lirica’ necessaria a far lievitare un soggetto teatrale. D’altro canto l’idea di un’opera con caratteri ‘nazionali’ italiani, e scevra da quelle scorie di lirismo decadente cui D’Annunzio non avrebbe certo rinunciato, continuò a sollecitare il compositore finché prese forma nella sua mente a Bologna nell’aprile del 1912, dopo aver assistito a una commedia di fine Seicento, L’inutile precauzione. Vi si tentava, ricorda Busoni, «di far rivivere l’antica commedia dell’arte». A questo stimolo già di per sé rossiniano ( Almaviva o sia L’inutile precauzione fu l’iniziale titolo del Barbiere di Siviglia del Pesarese) se ne aggiunse presto un secondo: «Circa a quel tempo feci la conoscenza del teatro di marionette di Roma (...) la cui rappresentazione di una piccola opera comica di Rossini ventenne, L’occasione fa il ladro ossia Il cambio della valigia , mi fece una forte impressione. Il mio ‘capriccio teatrale’ è nato da queste due esperienze, delle quali la prima esercitò un notevole influsso sul testo poetico, la seconda sulla composizione». Il tenue soggetto del ‘capriccio’, infatti, deve molto alla grazia esile di un gioco di marionette i cui fili sono tirati dal burattinaio con accorta coreografia.

In una via della città alta di Bergamo, Arlecchino corteggia Annunziata mentre il marito Matteo si diletta alla lettura del canto di Paolo e Francesca dalla Divina Commedia , dandosi arie di fine erudito. Per disfarsene, Arlecchino dapprima inventa un’invasione della città da parte dei barbari, quindi si traveste da capitano per arruolarlo. Intanto Colombina, moglie trascurata di Arlecchino, cede alle lusinghe di Leandro. Arlecchino lo sfida a duello e lo uccide; ma è un’altra burla. Vedendo Leandro magicamente ‘risorto’, il dottore e l’abate chiedono soccorso al vicinato (le finestre popolate di teste curiose si aprono e subito si richiudono: «L’uomo», commenta amaro l’abate, «propende ad occultare la sua innata bontà»). Arlecchino ripudia Colombina, consentendole di sposare Leandro; ser Matteo torna alle sue dotte letture e Annunziata lo abbandona per Arlecchino, che commenta: «È successo qualcosa di nuovo? Nient’affatto! È la storia più vecchia del mondo».

Gli elementi di straniamento propri del ‘teatro nel teatro’ (Arlecchino, velata proiezione dell’autore, più che parte in causa è regista e distaccato commentatore degli avvenimenti), il gusto per la parodia delle convenzioni teatrali (l’opera è tutta costruita a settecenteschi numeri chiusi) e per una musica ‘al quadrato’ intessuta di citazioni colte, il tono di scettica ironia e di Singspiel che guarda per un verso a Così fan tutte e a Zauberflöte , per l’altro è contiguo ai ‘ritorni’ al comico e al meraviglioso di Strauss ( Ariadne auf Naxos ) e in parte anticipa quelli di Stravinskij ( Pulcinella ) e di Gian Francesco Malipiero ( L’Orfeide ), non hanno certo agevolato la popolarità di questo come degli altri titoli teatrali di Busoni. Il suo motto era «dire cose importanti in forma divertente»; e la ‘cosa importante’ sottesa alle buffonerie del ‘capriccio’ è la difficoltà, per il teatro musicale del nostro tempo, di continuare a esistere senza smarrire quel senso di totalità e di classica perfezione che Busoni vagheggiava nei modelli supremi di Mozart e di Rossini. Denunciando l’inadeguatezza del teatro naturalista e di sentimenti con l’ingannevole levità di una giocosa burla, Arlecchino ci addita sotto la luce di una gelida ironia l’innocenza irrecuperabile di quei modelli. La nota fondamentale del ‘capriccio’ resta dunque quella dell’amarezza e dello smarrimento scettico: un «riso doloroso» (Sablich), cui Busoni cercherà di offrire la speranza di una risposta in positivo nel Doktor Faust .

m.p.

Risultati della ricerca
Dizionario dell'Opera