Guido Guerrini

Arlecchino ovvero Le Finestre

[GUERRINI, pp. 282 ss.]
___________________________________________________________________________________

 

 

Picasso: Arlecchino con mandolino
Nel 1912 Busoni ascolta a Bologna, recitata dalla Compagnia di Armando De Rossi, una Commedia intitolata «L'inutile precauzione», protagonista Arlecchino. Il seme della nuova opera è gettato, anche se poi dovrà riposare nel cervello del Maestro per vari anni, in attesa della miracolosa fecondazione. Da molti anni Busoni aveva in animo di scrivere un'opera comica italiana. «La sposa sorteggiata» ritardò forse o deviò la realizzazione di questo intento, almeno per ciò che riguarda l'italianità del soggetto.
Non sappiamo se il libretto abbia trovato spunto dalla Commedia ascoltata a Bologna, o se sia derivato da altra fonte. Dal carattere del lavoro però, crediamo non andar lontani dalla verità desumendo che esso sia di pura invenzione del compositore. Il quale stese da solo anche i versi, in lingua tedesca, facendone cosa letterariamente assai fine.
Anche per quest'opera egli volle misurare «prima» le proprie forze, scrivendo una composizione sinfonica sullo stesso personaggio: il Rondò arlecchinesco. La stessa cosa farà ancora per «Turandot» (con la «Turandot - Suite»), per la «Fantasia indiana» (coi «Diari indiani»), per «Faust» (con »Sarabanda e Corteo».
Tanto il «Rondò arlacchinesco» quanto il libretto dell'«Arlecchino» furono scritti in America, nei primi mesi del 1915. È là gli fu proposta un'esecuzione al «Metropolitan» di New York, proposta che Busoni rifiutò, ben sapendo che Arlecchino non era opera adatta a quel teatro né a quel pubblico.
Ritornato a Berlino, il Maestro dedicò il rimanente dell'anno alla composizione della nuova opera, procedendo contemporaneamente alla Edizione di Bach. (E davvero non sappiamo immaginare due lavori più distanti fra loro e perciò più reciprocamente riposanti nei riguardi dell'autore).
Questo «Capriccio teatrale», come l'autore lo definisce, in un atto e quattro quadri, è concepito sullo schema dell'antica «Commedia dell'arte» italiana. Esso mira sopratutto a lanciare strali satirici contro i convenzionalismi del melodramma, contro la guerra, contro la morale, contro l'umana natura in genere.
«Busoni lavorò all'Arlecchino con gioiosa lena, cosicché l'opera gli uscì dalle mani facile e leggera e quasi senza peso di fatica. Letterariamente e filosoficamente poi ci sembra scorgere in essa una delle espressioni più busoniane di tutto Busoni. Il libretto, denso com'è di allusioni e di sferzate satiriche, richiede nell'ascoltatore un'immediatezza di percezione che non tutti i pubblici possiedono. Questa forse la ragione per cui l'opera non ha raggiunta ancora la popolarità che meriterebbe.
«Arlecchino», terminato nell'agosto del 1916, fu rappresentato la prima volta (insieme a «Turandot», con cui forma un compiuto «Dittico»), la sera dell'11 maggio 1917 al Teatro dell'Opera di Zurigo. Ne fu protagonista l'attore Moissi, poiché Arlecchino, anziché cantare, recita. In Italia l'opera fu rappresentata per la prima volta alla Fenice di Venezia il 21 gennaio 1940, Direttore Vittorio Gui, protagonista Nerio Bernardi. È sottotitolo dell'opera «Le finestre» perché in due momenti della vicenda esse, come vedremo, divengono quasi protagoniste.
Anche quest'opera, come «Turandot» e come in parte «La sposa sorteggiata», segue la nuova estetica di Busoni. Pezzi chiusi, abbandono quasi totale della polifonia (fatte rare eccezioni, dove, tuttavia, lo stile non è mai bachiano, ma piuttosto risente della polifonia italiana), trasparenza sonora, bando alle amalgame orchestrali, scorrevolezza ritmica, forma strofica della frase. Gioco armonico e melodia sempre ricercati e preziosi. Perfino dove l'autore fa della parodia, vi mescola fermentazioni che mutano qualche volta la caricatura in sogghigno.
Su «Arlecchino» ci piace riportare la seguente sintesi estetica di Vittorio Gui che fu, insieme a noi fra i pochi italiani che vollero la valorizzazione nazionale di Ferruccio Busoni:
Questo uomo di altiero ingegno e di complessa psicologia, trae il sapore ironico della vita, che può anche a volte rasentare l'amaro e stemprare in fuggevoli baleni di tenerezza malinconica il substrato della sua ispirazione. Ma il riso di questo burattinaio... non è il riso dell'uomo che sa la felicità...; una costante velata malinconia accompagna ogni suo accento, come avviene in uno dei più grandi Maestri ch'egli adorò... senza riserve: Mozart. Elementi di cultura risalienti dal profondo della coscienza, dove si erano radicati per lungo studio, per forza di ereditarietà lontana, per profonda assimilazione, riaffiorano spesso, arricchendo in modo regale tutta la costruzione sonora della sua opera di creazione, e anche di questo «capriccio» così rappresentativo della sua personalità letteraria e musicale; una maestria stupefacente che mescola, stringe insieme e fonde in unità assoluta elementi di lontana e diversa origine, da Mozart a Bach, da Cimarosa a Pergolesi... Scherzare così è assai più che far sul serio; è lo scherzo di un gigante... dove il sapore arcaico col caricaturale, il faceto col triste il sentimentale col grottesco si fondono in modo sorprendente, lasciando l'impressione di una profonda serietà e di un grande stile. Stile è la cosa che trionfa in queste pagine più che tutto, e su tutto. Stile è l'uomo. [Vittorio GUI, Arlecchino, «La Rassegna Musicale», gennaio 1940.]
Se dalla musica puramente considerata, e all'infuori di ogni analogia di personaggi, possono scaturire espressioni psicologiche e filosofiche, ci sembra che la musica di «Arlecchíno» possa essere interpretata come fedelissimo auto-ritratto.
Di molta varietà è fonte il recitativo a parlato », usato con grande abbondanza da tutti i personaggi, misto a recitativi musicali. Così che l'opera sta fra la Commedia Musicale, l'opera Comica Italiana e l'Opera Mozartiana. Però, come si è detto, lo stile uniforma il carattere del lavoro, dandogli unità e compattezza.
L'opera è declicata ad Arturo Bodanzky e pubblicata da Breitkopf e Hartel. La partitura fu ridotta a spartito per Canto e Pianoforte da Philipp Jarnach.
 

IL LIBRETTO