SERGIO SABLICH

RONDÒ ARLECCHINESCO 

CFR. F. BUSONI
SUL RONDÒ ARLECCHINESCO

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Se la «Sonatina seconda» e il «Nocturne Symphonique» appartengono al momento magico e visionario, autenticamente tedesco e faustiano della esplorazione più avanzata di Busoni (nel 1922 egli giunse a scrivere che entrambi questi lavori erano ante litteram «studi musicali per il Faust, come stimolo, norma, atmosfera preparativi per quella partitura»), al versante italiano della sua poetica, mediterraneo e luminoso ma tutt'altro che disimpegnato, si ricollega invece il brillante «Rondò arlecchinesco» op. 46, per orchestra e una voce di tenore. Composto in America nel 1915, oltre a fornirne parte esso utilizza materiale tematico del «capriccio teatrale» in un atto «Arlecchino ovvero Le Finestre», a cui Busoni lavorò fra il 1914 e il 1916. Non si tratta perciò né di una Fantasia né di una Suite dell'opera, ma piuttosto di uno schizzo sinfonico preparatorio dell'opera medesima, in sé autosufficiente e compiuto: una vera «prova d'autore».
«In veste di toppe variopinte
un corpo guizzante
uno spirito capriccioso e saggio»
è il motto simbolico, allusione alla filosolia della maschera Arlecchino, che Busoni premise alla partitura, spiegandone il senso musicale nel programma della prima esecuzione, avvenuta a Zurigo il 27 marzo 1916 [in realtà, Roma, 5 marzo 1916, nota del curatore del sito]:
Il linguaggio di «Arlecchino» è versatile. Ora afferma strontato i suoi principi con la tromba; ora si ride del mondo con la voce dell'ottavino; minaccia coi bassi, languisce coi violoncelli, cerca spazio con sveltezza violinistica. I tre pensieri del motto sono dunque da intendere in musica così: In veste di toppe variopinte» riguarda la forma sciolta, per giustapposizioni; «un corpo guizzante» il tempo e il ritmo; «uno spirito capriccioso e saggio» il contenuto, nella misura in cui il capriccio e la saggezza del compositore lo permettono.
l lavoro, che armonicamente ruota intorno alla tonalità di la maggiore-minore («la», in notazione tedesca « A », lettera iniziale di Arlecchino, è la nota fondamentale del pezzo) danzando al ritmo di un vorticoso 3/4, si apre con una ardita fanfara di tromba in fortissimo, la stessa che nell'opera servirà a introdurre il monologo recitato del protagonista: essa è il ritratto di Arlecchino, il gesto musicale che lo caratterizza sulla scena. Per il «Rondò arlecchinesco» Busoni afferma di aver avuto presente alla fantasia una sequenza di quadri staccati, «più come immagine accompagnante che come programma», si affretta subito a precisare a scanso di equivoci: dopo il ritratto del protagonista «due volte di profilo e una di faccia», ecco le avventure amorose di Arlecchino (con la stupenda sezione centrale in tempo moderato della appassionata serenata), la fuga precipitosa dopo il colpo (col risuonare della fanfara) e infine la beffarda canzone «a superiore derisione del mondo», a cui la voce del tenore fuori scena dà corpo con i suoi spensierati «la la la», sullo spegnersi dell'accompagnamento di sola percussione.
Senza pretendere troppo dal confronto, è lecito vedere nel «Rondò arlecchinesco» quasi un «Till Eulenspiegel» italiano, in miniatura certo, ma ricco d'argazia e di fascino, di potenzialità sceniche e di brio popolaresco: il tutto in un'articolazione formale equilibrata e dinamica e in una veste orchestrale leggera e sgargiante, come forse mai finora (fatte salve alcune pagine della «Turandot») era riuscito a Busoni.
Sergio SABLICH, «Busoni», Torino, EDT, 1982, pp. 209-211