FANTASIA INDIANA
[Op. 44, KiV 264]

GUIDO GUERRINI - SERGIO SABLICH - DORIANA ATTILI
GIACOMO MANZONI - ANTONY BEAMONT - LARRY SITSKY



I temi di Pellirosse Americani, raccolti da Natalia Curtis, ex-allieva newyorkese di Busoni, offrirono larga messe di lavoro al Maestro. Il quale, su di essi, compose un primo Libro di Quattro Studi per pianoforte, col titolo "Diario indiano"; un secondo libro, sempre sotto lo stesso titolo e col sottotitolo "Gesang vom Reigen der Geister" (Canto della Danza degli Spiriti), che contiene uno studio per piccola orchestra; e finalmente la "Fantasia indiana" per pianoforte e orchestra. Il lavoro fu iniziato nel 1913 e terminato in America nel 1915. (Tre anni, dunque, di lavoro, ma non dedicati a quest'opera soltanto).
La Fantasia indiana fu eseguita per la prima volta a Zurigo, nel gennaio 1916, diretta dall'Andreae e interpretata, nella parte pianistica, dall'autore. Una seconda esecuzione, di cui la stampa europea si occupò con qualche riguardo, ebbe luogo a Londra nel giugno 1920, sempre interprete pianistico il Busoni. Una sola volta l'autore la diresse, essendo al pianoforte Egon Petri; e fu a Berlino nell'ottobre 1921.
La composizione, dedicata a Natalia Curtis, è pubblicata dalla Casa Breitkopf e Härtel. [...]
Questo lavoro "indiano" (che nacque nel momento della massima influenza schönberghiana) fu compiuto in uno, dei più fertili periodi creativi del Maestro. Busoni è nella sua piena maturità e sente il bisogno di ridurre la propria arte a sintesi massima. Anche lo stile contrappuntistico (pur tanto amato e sfruttato) gli si rivela ora poco adatto alla realizzazione dei suoi nuovi ideali estetici ed egli lo abbandona per forme più asciutte, nervose e sintetiche, delle quali armonia, melodia e ritmo siano gli unici elementi costitutivi. Già nel "Notturno Sinfonico" e nella "Berceuse", (che sono contemporanei alla "Fantasia indiana"), egli ci dà saggi interessanti di questa sua nuova maniera, che nella "Fantasia indiana" si palesa ancor più compiutamente. Ritmi di danza si alternano a nenie nostalgiche, bei temi larghi seguono a spunti di carattere barbaro, ma il sistema dominante non cambia: è quasi sempre una voce che domina e le altre che la servono.
La partitura è cesellata e purissima, sempre trasparente e scintillante, e trattata, per gran parte, a strumenti semplici, diretti, a parti reali. Amalgami e impasti, così cari al Busoni antecedente, ne sono quasi totalmente esclusi. La "Nuova estetica" passa dalla fase teorica alla fase pratica.
L'evidente in questo lavoro una ricerca armonica ancor più raffinata del solita. I temi sono vivificati da una armonizzazione sempre originalissima; frequente è la sovrapposizione tonale; sempre personale e insolito il collegamento e l'ufficio degli accordi. Riteniamo che, armonicamente, la "Fantasia indiana" sia il lavoro più degno di studio, in quanto realizza una vera "nuova teoria", che potrebbe essere facilmente rilevata e codificata. Il procedimento non è mai casuale o cervellotico, ma segue costantemente una logica, intransigente e ragionatissima. A volte vi s'incontrano durezze, scabrosità quasi repellenti, ma assai più sovente vi troviamo raffinatissime sonorità, deliziose ricerche timbriche e una grande ricchezza di atteggiamenti spirituali. La ritmica poi vi è trattata con "esultanza" panica, e con varietà che non lascia riposo.
Di sommo interesse la parte pianistica. Tutte le esperienze di tastiera accumulate in lunghi anni di durissimo travaglio, tutte le eredità pianistiche, da Scarlatti a Bach, da Mozart a Liszt, sono qui filtrate attraverso la nuova personalità del Maestro, e quindi presentate sempre sotto nuovi aspetti. La base della tecnica - nel senso meccanico della parola - ci sembra essere ancora quella lisztiana, ma con in più un'iridescenza, dovuta sopratutto alle trovate armoniche. Certo è che, pianisticamente, questo lavoro segna un grande progresso sulla tecnica del "Concerto", non foss'altro per la chiarificazione del linguaggio e per l'equilibrio, sempre raggiunto, fra pianoforte e orchestra.
Una cosa ancora resta a dire: che anche questa "Fantasia indiana" come e più di tutti gli altri lavori originali del Busoni, richiede non solo una virtuosità pianistica eccezionale, ma ancor più una cultura musicale senza di cui non sarebbe possibile penetrare e nemmeno decifrare una tal musica.
[...] Anche questa "Fantasia" è, formalmente, meno fantastica di quanto non sembri. L'introduzione "Andante, con moto - Quasi marcia" è costituita soltanto da un pedale mosso (a Marcia) e da un frammento di due battute, assai caratteristico. Il pianoforte "solo", inizia subito la Fantasia". Sono cinque pagine stravaganti e pittoriche che, partendo da una specie di "nembo di polvere" arrivano, per crescendo, ad un tema sincopato e selvaggio. Un breve "Adagio fantastico" (pag. 7). presenta un nuovo tema, di quattro note, che ha il colore di un richiamo attraverso lo spazio, commentato da pesanti accordi.
Un richiamo, e un colore, dunque, dipingono questa pagina, ardita e significativa. Di carattere contrastante e non sappiamo quanto "indiano" è l'"Allegretto affettuoso, un poco agitato" (pag. 9). [...] La melodia è armonizzata con amore e passata in orchestra poeticamente. Al n. 4 un canto, derivato, dal tema, passa agli strumenti gravi dell'orchestra e si raddolcisce poi nei legni. Quindi, sopra un movimento sempre orchestrale di semicrome, il soggetto si allarga e si distende per lasciar campo ad un nuovo tema, più alerte, ma sempre lirico, annunciato dal pianoforte (n. 8).
Al "Più mosso" (n. 10) un altro bel tema, di 7 battute (di cui le prime tre rafforzate nel capo da una terzina), maschio e guerresco, si sviluppa con crescente foga, e riapparirà poi sotto un martellar d'ottave al pianoforte. Al n. 15, muta il tema ma non il carattere, che si mantiene epico e orientale. (Il tema, veramente, sa più di russo che di indiano, anche pel modo musorgskiano con cui è trattato; il brano è nondimeno efficace e forte, anche per un'indovinatissima combinazione strumentale (pianoforte e orchestra) che dà sonorità nuovissime. La coda del tema del n. 10 diviene ora frammento lirico in orchestra e con rapido passaggio porta alla Cadenza.
Questa è costituita da una specie di fuoco d'artifizio (a modo d'introduzione) e poi dallo sviluppo del tema, (contraffatto, s'intende) dell'«Allegretto affettuoso».
Quindi il pianoforte solo annuncia un bel canto in sol maggiore ("Andante quasi lento", pag. 24), di forma quadrata e classica e di modo (chissà per quali incognite infiltrazioni) quasi gregoriano. È il punto lirico, l'oasi della composizione.
Il bel canto si sviluppa, alternandosi fra pianoforte e orchestra, finché, al n. 23, nasce in orchestra ancora un nuovo tema, pure melodico e molto caratteristico, mentre il pianoforte vi traccia sopra gruppi di accordi cromatici ascendenti, creandone lo sfondo. (Particolarmente ammirevole il gioco pianistico)
Meno interessante l'«Allegro sostenuto» di pag. 29, che serve soltanto di ponte per portare all'«Andantino maestoso» (n. 27). Questo episodio è assai ben costruito, sempre sul tema apparso al n. 23, affidato all'orchestra, sotto un arpeggiar del pianoforte. Ma perde carattere e colore al confronto degli episodi precedenti. L'interesse riafferra al n. 31 dove, su pedate di mi bemolle, il pianoforte crea un'atmosfera armonica e psicologica alta e nobile. Questa volta, assai più saporito, il solito tema è affidato all'orchestra in tonalità estranea all'ambiente armonico (il quale è in mi bemolle, mentre il tema viene sovrapposto in re), poi, con breve cadenza di sapore lisztiano, siamo al "Lento" n. 33.
A un nuovo tema di due battute (anch'esso a colore "spaziale") si alternano il bel soggetto dell'«Andante quasi lento» ed un nuovo spunto (n. 34) assai originale, costituito da tre note e con carattere di, "corno da caccia". Episodio ricco di suggestività da cui, improvviso, irrompe il "Più vivamente" (n. 37). Sopra un caratteristico ritmo di danza barbara, un tema incisivo si ripete e si arricchisce in crescendo (un po' alla maniera delle "Danze Norvegesi" di Grieg) fino al "Deciso" (n. 41). Il tema, già presentato grave e solenne al n. 15, si fa ora vivo e alerte (sul tipo russo), squillato, bravamente dai corni e poi ripreso da tutti i fiati, su cui il pianoforte scandisce accordi pieni e densi. A questo tema altri se ne aggiungono (sempre in trasfigurazione di temi già presentati), ma senza mai allentare la foga del ritmo di danza barbara. All'«Animato» di pag. 48, un effetto prettamente lisztiano (il Liszt delle Rapsodie) ci mostra un'interessante riespressione strumentale attraverso il tempo. I vari temi si intrecciano e si rincorrono, sempre su ritmo selvaggio; figurazioni ternarie e binarie si susseguono; il pianoforte ha scopo virtuosistico e ornamentale. Ancor più slancio all'«Allegrissimo» che alterna una battuta di 3/4 ad una di 4/4, con tema deciso e insistente; crome martellate scandiscono il ritmo nel pianoforte e in orchestra; un crescendo finale ci porta vertiginosamente alla chiusa.
La composizione, che non ha una vera e propria tonalità, comincia e termina in do maggiore. [GUIDO GUERRINI]

***

Durante le sue tournées americane Busoni conobbe un buon numero di melodie originali della musica dei pellirosse e le utilizzò compositivamente dando vita a ma breve ed intensa serie di lavori ispirati a quella musica, fra i quali più impegnativo e ambizioso fu la Fantasia indiana per pianoforte e orchestra, del 1913. Di fatto le melodie indiane rappresentano soltanto il punto di partenza per un arricchimento degli eiementi costitutivi della costruzione musicale. Il concatenarsi delle idee e degli episodi con i relativi contrasti, le riprese e l'uso magistrale della variazione, seguono uno sviluppo ininterrotto, senza cesure nelle tre parti in cui il lavoro e suddiviso. Vi abbondano, nella profonda elaborazione del materiale folclorico originale, procedimenti tipici dello stile busoniano: colori accesi, vigorosi intrecci contrappuntistici, sononità ora massicce ora trasfigurate; oltre, naturalmente, a un virtuosismo pianistico trascendentale, che l'orchestra riflette come in uno specchio insieme magico e deformante. [Repertorio di musica sinfonica]

***

Nel corso delle sue numerose tournées negli Stati Uniti, Busoni era venuto a contatto con la musica popolare degli indios: di lì nacque nel 1911 l'idea di una fantasia (inizialmente Busoni pensava però a una «rapsodia») che utilizzasse temi e ritmi di quel folclore. Anche se il compositore confessò piú tardi dhe «i motivi indiani non rendono né fruttano molto», portò ugualmente a termine il pezzo, in cui effettivamente si trova la citazione letterale di alcuni motivi degli indios. L'elaborazione sinfonica è naturalmente assai ampia, e il materiale foldorico viene calato in una sensibilità tutta occidentale e se vogliamo neoromantica: è una partitura ricca di vigorosi svolgimenti contrappuntistici, curata nella parte orchestrale e assai virtuosistica in quella del solista. La «Fantasia indiana» conserva tuttavia nel suo insieme una certa tinta esotica, ed è ancor oggi uno dei pezzi prediletti dai concertisti di pianoforte. [Giacomo Manzoni]

***

The first evidence of Busoni's interest in American Indians is found in a letter to his wife dated March 22, 1910, in which he mentions one of his former American pupils, the New York-born ethnomusicologist Natalie Curtis, who had compiled a standard anthology of Indian music, «The Indian's, Book». Busoni, for his part, referred to American Indians as «the only cultured people who will have nothing to do with money, and who dress the most everyday things in beautiful words.» His first completed compositions on this subject were the two books of the «Indianisches Tagebuch» [Indian Diary] - the first a set of four studies for piano, the second a study for small orchestra titled «Gesang vom Reigen der Geister» [Song of the Spirits' Dance]. Both books were composed in 1915 and published the following year.
Drawing on Indian melodies taken directly from Curtis's book, Busoni began the «Indianische Fantasie fur Klavier mit Orchester» in the summer of 1913, but did not complete it until 1915; he gave the first performance himself, in Zurich, in 1916, and achieved greater success with it in London, in 1920. He had difficulties developing the themes and organizing the structure of this work, difficulties reflected in his indecision about naming it: he first chose the title «Concerto Secondo - (Fantasia, Canzone e Finale su dei motivi delle Pelli-Rosse) - per Pianoforte con Orchestra», then considered the title «Indianische Suite», and even the English title Indian Rhapsody, before making up his mind.
The «Indianische Fantasie» marks a significant stylistic departure from the «Piano Concerto», Op. 39, or the «Concertstück». Though Busoni was preparing his edition of Book II of Bach's Well-Tempered Clavier when he composed it, he rejected a highly contrapuntal style, and instead searched for a form in which harmony and rhythm were subservient to melody, as in his «Berceuse élégiaque» for orchestra, Op. 42 (1909) and his «octurne symphonique». In 19I2, at a time when many musicians favored Expressionistic as opposed to melodic writing, Busoni wrote that he was concentrating on the role of «pure melody, a sequence of ascending and descending intervals that are organized and move rhythmically. The sequence has harmony latent within itself, and reflects a kind of feeling. And all this can exist without expressive guidelines drawn from a text, and without vocal accompaniment... The melody, at first independent, eventually unites with the accompanying harmony and later becomes inseparably linked with it. Recently the aim of polyphonic music (which is always in progress) has been to free itself from this unity. In contradiction to deep-rooted convictions, melody, within polyphony, should be permitted to continuously expand, to grow in size and capacity of expression, and so become the most powerful element in the composition.»
In the «Indianische Fantasie», dance rhythms alternate with slow laments, grandiose themes with barbaric passages. The orchestral instruments are often treated sectionally, thus avoiding the mixing and merging of individual timbres. Busoni introduces several themes in succession, with highly original, polytonal harmonies, then elaborates them while conserving their original character. The piano part is almost symphonic in character, with cadenzas used as the structural means for introducing new musical material. Busoni wrote in 1913 that «I have arrived at a critical moment in my work, where many ideas have need of form»; in the case of the «Indianische Fantasie», that form divides into three principal sections that are linked by piano cadenzas:
(I) The introduction (Andante con moto, quasi marcia) is built up from a twobar fragment in a march style, characterized by a pedal-point. The fantasy proper begins with the entrance of the piano, with a syncopated and clearly articulated theme. An Adagio fantastico section, with a new four-note theme supported by heavy chords, is followed by a contrasting Allegretto affettuoso section, then a Più mosso, with a bellicose seven-bar theme accompanied by hammered-out octaves in the piano. The end of this theme is transformed into a lyrical fragment for the orchestra, leading to the cadenza, which develops the material of the Allegretto affettuoso.
(II) The middle section of the «Indianische Fantasie» is the most conventional. The piano soloist presents a song in G major (Andante, quasi lento), alternating with the orchestra. The Allegro sostenuto serves as a bridge to the Andantino maestoso, which is built on an orchestral theme enriched by arpeggios in the piano part.
(III) In the Vivamente, a barbaric dance rhythm, used as an ostinato, is blared out by the horns, then taken up by the winds, while the piano plays full chords. In the Animato section, the various themes intermingle, in a savage rhythm, leading to the conclusion in C major.

Busoni the composer admits of no pigeon-holing, classification, or labeling, except as - Busoni, and it is rare, rare that is except in creative genius of the first order, to find his written work so completely self-expressive, so compact of everything that goes to the making of the artist's psychology as the later and fully developed works of Busoni. - K. S. Sorabji [© 1999 Doriana Attili]

***

Busoni indicated that the «Red Indian Fantasy» was an experiment 'to obtain a balance between the sound of the two elements used, in an atmosphere of weird, exotic harmonies, without losing sight of the cultivation of the subtlest soloistic virtuosity'. The indecisive role of the soloist in the work hence comes as a disappointment. In comparison with the «Piano Concerto», the writing is now more streamlined, textures are clearer and leaner, but the soloist too often plays the self-effacing role of musing commentator and decorator. There is too great a preoccupation with the geometrical problems of piano playing, the outcome of which is a lack of contour and character. This could have been compensated for by the contribution of the orchestra, but, compared with the «Nocturne symphonique», this is for the most part unadventurous and earthbound. The roles of soloist and orchestra are insufficiently defined; the dramatic possibilities of the medium are underexploited. [Antony Beaumont]

***

The unity of the piece remains in question. By force of circumstance, Busoni had to write a major work using many motives, thus having to find other unifying principles than his usually very strict thematic ones. Did he succeed in his expedient of using the outward mold of a concerto form by apparently selecting motives so as to provide both contrast, where necessary, and cohesion, where the themes are similar in intervallic content? Is it reasonable to say that, just as one can arrive at non-tonal content by constant and quickly successive modulation, one can arrive at non-thematic content via a profusion of themes? If the latter, could it have been one of the paths that Busoni was exploring? I suggest below (see «Concertino for piano and orchestra» Op. 54) that this may have been the case, as the piano became for Busoni more and more a vehicle for pure fantasy.
The «Indian Fantasy» is an unaccountably neglected piece. It is easy to listen to and of very moderate length. Those who find the Concerto Op. XXXIX oppressive - and many do, for many reasons - may be interested in discovering the «new music» in this «Fantasy», a blood brother to the early «Concertstück» and to the later «Concertino» Op. 54. [Sitsky, 132]