Guido Guerrini

Analisi di «Turandot»

[GUERRINI, pp. 305 ss.]

 

La partítura contiene una specie di «Prologo» parlato, detto da Altoum e preso dal Festzug di Goethe. Eccolo:

Dal lontano Oriente, dalle più lontane lontananze, giunge Altoum, un Re della scena. La favola lo ha posto su un trono e lo ha dotato di molto sfarzo e signorilità., Ma, ancor più pomposa di qualsiasi corona o scettro, splende al suo fianco la figlia Turandot. Si dice che il bel coro delle fanciulle abbia i cuori un po' misteriosi, ma questa ha uno spirito altamente sottile e in capo tanti indovinelli, che vari pretendenti se ne dovettero morire.

Dopo una, breve e brillantissima «Introduzione» s'inizia il primo quadro che si svolge sotto le mura di Pechino. Giunge Calaf che apprendeda Bàrak, suo antico aio, la tremenda decisione della terribile Principessa. Incredulo di tanta ferocia, se ne convince assistendo alla scena di dolore della Regina di Samarcanda che, sempre per colpa di Turandot, ha perso il figliolo.
Alla leggerezza, e quasi diremmo alla superficialità della prima scena, fa ottimo contrasto l'entrata di questa Regina, una negra ornata di penne di struzzo, che giunge in portantina, circondata dalle lamentatrici. Il lamento si svolge sopra un tema in antico modo cinese, mentre la negra, con grida disperate, maledice e impreca. Quindi nuovo contrasto, il rapimento dì Calaf alla vista del ritratto di Turandot. Preso dall'incanto di tanta bellezza e come smemorato, non valgono a distoglierlo né le amorose parole di Barak, né la visione del carnefice che viene ad aggiungere alle altre l'ultima testa recisa. Anch'egli andrà a tentare la prova.
Il secondo quadro ci presenta Truffaldino il quale, dopo aver impartito gli ordini ai suoi eunuchi, fa alcune spiritose dissertazioni sui gusti anti-matrimonialì di Turandot, gusti che egli, da buon eunuco, condivide.
La musica ritmata, armonizzata e strumentata in modo ridicolo e quasi, burattinesco, rende con efficace evidenza il carattere pettegolo, presuntuoso e vano della Maschera.
Si passa quindi improvvisamente ad una Marcia Solenne,
ampollosa e tronfia, che accompagna l'entrata dei Dottori e dell'Impertore, a cui tutti fanno salamelecchi comici e grotteschi.
Segue poi uno spiritoso «parlato» fra Altouin, Pantalone e
Tartaglia, e una breve preghiera dell'Imperatore a Confucio
perché lo liberi dal giogo della capricciosissima figliola. -
Ma ecco mene introdotto Calaf, e dopo poche battute di dialogo, nel quale l'Imperatore concede al Principe di serbare l'incognito, s'inizia il quartetto «Calaf-Altoum-Pantalone-Tartaglia», ch'è una delle pagine più ammirevoli e piacevolí dell'opera. Il brano è costituito da due espressioni musicali in antitesi: quella con cui l'Imperatore e i suoi ministri tentano, coi più validi argomenti, di distogliere il Principe dalla sua pazzesca impresa, e quella con cui Callaf proclama con cocciuta fermezza: «Morte o Turandot, o l'una e l'altra io voglio! ».
I due nuclei tematicì, pur rimanendo fissi, vengono presentati sempre sotto vario aspetto,man mano che le esortazioni dei tre saggi si fanno più incalzanti e persuasive; mentre sempre fissa, ma sempre più acuta e vigorosa e scolpita, si fa la negazione del Principe.
Pagina musicale questa ove non sai se più ammirare la genialità inventiva o la perizia contrappuntistica, né ti è dato scorgere dove l'una lasci il posto all'altra.
Sul ritmo di una breve Marcia Trionfale, preceduta da Truffaldino, dagli eunuchi e dalle ancelle, appare al sommo dello scalone Turandot. Altezzosa e superba, ella predice sicura morte a Calaf. A tal predizione fa efficace commento il coretto delle, ancelle, le quali ad ogni minaccia ammoniscono: «Guai! Guai! Guai! ».
Ma Truffaldino suona tre volte il campanello e s'inizia la scena degli Enigmi.
A questa Busoni ha saputo mantenere leggerezza fiabesca dando alla musica un tono quasi indifferente e intercalando con frequenti motti argutí delle Maschere e dei Dottori lo svolgersi della gara. Così che intorno ai due personaggi, che sì címentano, si formano due fazioni: l'una degli eunuchi, che parteggiano per Turandot, l'altra dell'Imperatore e dei suoi ministri, che parteggiano per il Principe. Trovata gustosissima che, pur non togliendo efficacia alla essenzialità della scena, la mantiene fresca, gaia e perfettamente nel carattere dì commedia.
La musica, che durante la esposizione e la spiegazione dell'ultimo enigma è venuta facendosi sempre più seria e concitata, alla felice soluzione del Principe diviene ilare e allegra, poiché tutti esultano al pensiero che finalmente sarà finito l'inutile macello. Ma non ne esulta Turandot che, furente per lo scacco subìto, estrae un pugnale e sta per conficcarselo in seno. Ma viene disarmata e Calaf, generosamente, le propone che sia lei a risolvere a sua volta un indovinello posto da lui: sveli prima dell'alba il suo nome e il suo casato.
A questa nuova proposta ogni allegrezza si spegne; gli animi sono rigettati nell'ansia. E come se dalla generale perplessità sorgessero armonie piene di enigmatico senso di attesa, l'atto si chiude in estatico atteggiamento interrogativo.

Il secondo atto s'inizia con un breve Preludietto quasi pastorale. Quando il sipario si leva mostrando la stanza di Turandot alcune danzatrici svolgono dinanzi a lei una danza di colore pseudo-orientale. Poi, rimasta sola, la Principessa si abbandona a scoraggianti riflessioni. Teme di soccombere nella lotta e, quel ch'è peggio, ha paura di essersi innamorata.
A distoglierla dai suoi tristi pensieri, ecco Truffaldino, accompagnato dalla sua solita Marcetta, che viene a riferirle non essere valse a nulla le sue astuzie per carpire al Principe il suo nome . Entra quindi Altoum che tenta inutilmente di dissuadere la figliola dal suo insano proposito. E finalmente Turandot. rimane sola con la schiava Adelma, la quale le confida di conoscere il nome dell'ignoto Principe (che aveva conosciuto quando era ancora libera), ma di consentire a rivelarlo soltanto a condizione di riavere la propria libertà. In verità ella ama Calaf e spera di toglierlo a Turandot, per serbarlo a sé stessa. E la Principessa cade, nel tranello. (Questo duettino è cosa deliziosa e finissíma, levità, gentilezza ed evidenza di sentimenti).
Un breve «Intermezzo» ci porta di nuovo nella Sala del Trono, ove la Corte è già disposta secondo il rito. Sul lugubre ritmo di una Marcia Funebre, Turandot fa il suo ingresso. Il suo atteggiamento sconsolato e umiliato di persona vinta trae tutti in inganno. Ma ella nasconde una più sottile perfidia. Fissando il Principe in atto di sfida, grida il suo nome: «Calaf, figlio di Timur!». Sorpresa, costernazione, avvilimento generale. Calaf dichiara che vuol partire per la guerra. L'Imperatore è disperato. I ministri non sanno più dove dar del capo; ma Turandot ha in serbo un'ultima sorpresa e stavolta lieta: è innamorata di Calaf e dichiara di volerlo sposare. Gioia generale. Adelma in disparte si consola con un filosofico: «Pazienza me ne troverò un altro!» (quale diversità d'interpretazione psicologica, dal suicidio della povera Liù pucciniana!). Con un elettrizzante finale

Le nozze son vicine
amore e gioia ci porti il nuovo dì!


si chiude gaiamente l'opera.