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Paul Cézanne

Compiuto
Incompiuto

Zurigo 2000


Laureto Rodoni

ELOGIO DELL'INCOMPIUTEZZA

[Articolo pubblicato in forma lievemente ridotta sul
Giornale del Popolo di Lugano/Svizzera l'8 giugno 2000]

La stupefacente mostra allestita al Kunsthaus di Zurigo permette al fruitore di esplorare una delle «officine» più segrete e importanti della storia dell'arte.
Se accade molto raramente che una mostra sia incentrata sul rapporto tra compiutezza e incompiutezza nell'opera d'arte, per la prima volta questo fondamentale discorso estetico e filosofico viene esemplificato con la produzione pittorica di Paul Cézanne, definito da Ernst H. Gombrich il padre dell'arte moderna, poiché ne ha aperto la strada, ne ha iniziato il percorso, additandone, con la sua opera e la sua alta testimonianza d'artista, le nuove possibili direzioni.
Le 85 tele, i 40 acquerelli e i numerosi disegni della mostra provenienti da 67 collezioni pubbliche e private sono di recente approdati al Kunsthaus di Zurigo. Queste opere sono raggruppate in quattro sezioni dedicate ai temi fondamentali che Cézanne ha sviluppato, in maniera sempre diversa e con inesauribile vena, lungo tutto il suo percorso artistico, di solito suddiviso in 4 periodi:
romantico (1859-1871: nei lavori di questi anni confluì l'insegnamento dei suoi maestri: Caravaggio, El Greco, la pittura veneta — Veronese, Tintoretto, Bassano —, Delacroix, Couture, Courbet...);


Crâne et chandelier [1865 - 1867]


Portrait du père [1866]

impressionista (1872-1877: decisivi in questo periodo furono l'amicizia con Pissarro e il soggiorno a Auvers-sur-Oise che avvicinarono Cézanne alla pittura impressionista);


Ritratto di Victor Croquet [1875]



Paysage à Auvers [Studio, 1875]

costruttivo (1878-1887: fase contraddistinta da un controllo formale dell'immagine sempre più rigoroso);


Autoritratto con sfondo rosa



Madame Cézanne [1885 - 1887]

infine sintetico (1888-1906: in esso la ricerca è orientata verso una pittura con proprie leggi di forma, sempre più sganciata dai dati naturali o emotivi).


Casa e alberi [1890-1894]



Meule et citerne sous bois [1892]

Le quattro sezioni ospitano un ampio florilegio di Ritratti, Nature morte, Bagnanti e Paesaggi. La specificità della mostra, concepita da Felix A. Baumann, consiste nel fatto che opere a struttura aperta e con gradi diversi di incompiutezza vengono accostate a opere concluse, permettendo al fruitore di riflettere non solo sul concetto di compiutezza del prodotto artistico in rapporto agli schizzi, ai frammenti, ai dettagli, ma anche sul tormentato cammino di Cézanne verso la sua mèta, quella Terra promessa, che solo nel 1903 riusciva a intravedere: «Mi accadrà come accadde al gran capo degli Ebrei, o vi potrò entrare? Ho fatto qualche progresso. Perché mai così tardi e così a fatica? L'Arte sarà in realtà un sacerdozio che esige dei puri che gli appartengano interamente?»
E per Cézanne l'arte fu veramente una religione, ai cui misteri offerse completa e spesso sofferta devozione. Se la creazione («la réalisation») era per lui rovello, sacrificio ed equivaleva a una metaforica preghiera, l'afasia suscitava invece nel suo animo tristezza, angoscia, a volte anche terrore: afasia intesa unicamente come impossibilità di «réaliser», non come incapacità di concludere ciò che è stato iniziato.
La pertinenza e l'importanza della mostra zurighese è provata da una illuminante osservazione dell'artista stesso contenuta in una lettera alla madre del 1874: «Devo sempre lavorare, non certo per giungere al finito, che suscita l'ammirazione degli imbecilli: questo, che normalmente si apprezza tanto, non è che il risultato d'una abilità d'artigiano, e rende ogni opera inartistica e banale. Non devo cercare di portare a termine se non per il piacere di far cose più vere e più sapienti.»
Come non ricordare, a questo proposito, la preziosa testimonianza del mercante d'arte Ambroise Vollard, di cui Cézanne dipinse un formidabile ritratto nel 1899? In quest'opera della maturità, esposta a Zurigo, il pittore riuscì mirabilmente a conciliare la staticità della figura seduta con la dinamicità dell'intera composizione.

«Chi non l'ha visto dipingere» — scrisse Vollard — «può a fatica immaginare fino a che punto, in certi giorni, il suo lavoro fosse lento e penoso. Nel mio ritratto ci sono, sulla mano, due punti in cui la tela è scoperta. Lo feci notare a Cézanne, che mi rispose: 'Se la mia visita al Louvre, fra poco, avrà buon esito, forse domani troverò il modo giusto di coprire questi spazi bianchi. Cercate di capire... se intervenissi qui a caso, sarei costretto a ricominciare tutto il quadro a partire da questo punto'.»

Si ha spesso l'impressione che questa cosiddetta incompiutezza dipenda dal fatto che a uno stadio ritenuto tradizionalmente intermedio, non concluso, Cézanne avesse già «colto un'armonia tra numerosi rapporti»; armonia che non voleva intaccare 'completando' il dipinto: «le sensazioni colorate che danno la luce sono motivi di astrazione che non mi permettono di coprire la tela né di delimitare i contorni degli oggetti, tanto i limiti sono tenui, delicati» — scrisse nel 1905. Gli spazi non ricoperti divennero così, per la prima volta nella storia dell'arte, una componente estetica di primaria importanza e una folgorante prefigurazione di aspetti dell'arte successiva: la pittura non era più la rappresentazione mimetica della natura, ma qualcosa di autonomo che apriva le porte alla modernità. Da questo punto di vista non sorprende che furono soprattutto i dipinti non finiti a suscitare l'ammirazine (e lo sconcerto!) di Matisse e dei Fauves; di Picasso e dei Cubisti.
Cézanne non raggiunse mai la «Terra promessa» evocata nel 1903: un mese prima della sua morte, il 21 settembre 1906, tornando su questo argomento, il pittore ammise con amarezza il fallimento della propria ricerca («Je cherche en peignant» era il suo motto): «Arriverò alla mèta tanto cercata e per così tanto tempo perseguita? Me lo auguro, ma fin quando non è raggiunta, persiste un vago malessere che non potrà scomparire se non quando avrò raggiunto il porto, cioè quando avrò creato qualcosa che si sviluppa meglio rispetto al passato.» L'equipollenza, nel discorso metaforico cézanniano, di «Terra promessa» e «porto» prova inconfutabilmente che, pur non attribuendo valore negativo all'incompiutezza del singolo quadro, considerava con amarezza l'incompiutezza della sua opera pittorica nella sua totalità. D'altra parte egli era ben consapevole che quel porto non sarebbe mai potuto diventare luogo di stasi creativa e di autocompiacimento e che la sua opera aveva aggiunto «soltanto un anello alla catena» dell'arte universale.
«L'opera d'arte» — scrisse Umberto Eco — «è un infinito raccolto in una definitezza»: portata a termine dall'autore, essa da una parte diviene statica e immobile, dall'altra schiude gli «abissi inscrutabili» di boccioniana memoria, apre cioè «un infinito che s'è fatto intero raccogliendosi in una forma. L'opera perciò ha infiniti aspetti, che non sono soltanto 'parti' o frammenti, perché ciascuno di essi contiene l'opera tutta intera»: un'affermazione che Paul Cézanne avrebbe sicuramente condiviso.
Dei 24 ritratti dedicati a Hortense Fiquet,

modella preferita del pittore, sua compagna dal 1869 e moglie dal 1886, ben 10 sono esposti a Zurigo: dal celeberrimo «Madame Cézanne à la jupe rayée» del 1877 , che folgorò il poeta Rainer Maria Rilke a «Madame Cézanne assise» del 1894: un numero e un arco di tempo sufficienti per cogliere uno dei principali interessi della ricerca artistica di Cézanne: l'essenzialità, la semplificazione delle figure che vengono sempre più modellate plasticamente dal colore: questa estrema concisione formale conferisce solennità e monumentalità alla figura femminile, soprattutto quando il pittore fa uso, per dipingere la veste, del suo leggendario rosso.

Lo stesso discorso può essere esteso alle 13 opere dedicate al tema dei Bagnanti e delle Bagnanti, dipinti nell'arco di ben 33 anni.
Di estremo interesse anche le 5 versioni del ritratto del giardiniere Vallier, non finiti secondo i canoni tradizionali: nell'ottica cézanniana, invece, essi non soltanto sono mirabilmente compiuti, ma anche di sconcertante modernità e coesione estetica.
Una ventina le Nature morte, tra cui la celeberrima Nature morte avec rideau et pichet fleuri. In questa serie Cézanne dà prova di una stupefacente inventiva, attribuendo agli stessi elementi ruoli del tutto diversi, disponendoli sempre in modi diversi e stabilendo di volta in volta nuovi equilibri e nuove armonie di colori.
Molti paesaggi esposti furono dipinti nel suo ultimo atelier dei Lauves, dove Cézanne si ritirò a partire dal 1903. Tra questi spicca Le Jardin des Lauves, un'opera visionaria che preannuncia la pittura astratta: in essa, infatti, non c'è più alcuna traccia di figurazione, tutto si riduce a puro colore che esprime la sostanza delle sensazioni suscitate dalla natura.
Chi contempla un'opera pittorica, a livelli diversi di comprensione, è come se fosse un esecutore della stessa, proprio come un musicista dinanzi a uno spartito, anche se questa 'esecuzione' è tacita e privata e non trova sbocchi nel discorso, nell'articolo o nel saggio. Se dovessi tornare a rivedere questa commovente officina artistica, inizierei l'avventura partendo dall'ultima sala per 'eseguire' di nuovo proprio quest'ultimo, profetico dipinto, il limite estremo a cui è arrivata la sperimentazione cézanniana. Nella convinzione che tutta la produzione precedente confluisce in questo capolavoro: considerato uno schizzo fino a pochi anni fa, esso è invece, paradossalmente, forse il dipinto più compiuto di tutta la produzione del pittore di Aix. «Quand la couleur a sa richesse, la forme a sa plénitude.»