FERRUCCIO BUSONI

LETTERA AL FIGLIO RAFFAELLO
SULLA «JUNGE KLASSIZITÄT»



LETTERE RICORDI-UNICOPLI
pp. 467-468

LO SGUARDO LIETO
p. 113


[originale in tedesco]

Berlino, 18.6.1921

Mio caro ragazzo,
come sai, già da più di due anni ho lanciato nel mondo il termine "nuova classicità" profetando che sarebbe divenuto popolare. Mi suona oggi curioso, visto che circola senza che si sappia più chi lo abbia coniato. E così capita di dire che anche Busoni è un seguace della nuova classicità...! Ma ad escogitarlo non occorreva un profeta. Dopo una preoccupantemente lunga serie di esperimenti, di iniziali "secessioni'' - dalle quali controsecessioni e infine sciamanti gruppetti continuarono giù giù a suddividersi - il bisogno d'una completa certezza nello stile ha da farsi sentire.

Ma come in tutto il resto, anche in questo sono stato frainteso; perché la gente s'immagina la classicità come qualcosa che si rifà al passato. Se ne ha la conferma nella pittura, per esempio con la riabilitazione di Ingres, che in se stesso è un maestro, è però uno scoraggiante modello di forme morte (si capisce che esagero un po').
La mia idea (o piuttosto sensazione, necessità personale più che stabile principio) è che nuova classicità significhi compiutezza in duplice senso: come perfezione e come compimento. Conclusione di tentativi precedenti (1). È importante che l'accento venga messo sulla parola "nuova", (2) per distinguere la classicità dal convenzionale classicismo. Ogni mezzo, nuovo o nuovissimo che sia, deve essere accettato e impiegato se è in grado di esprimere qualcosa che non può venir espresso altrimenti; scartare intenzionalmente nuove conquiste valide mi sembra un'insensatezza e un impoverimento. Pari insensatezza e impoverimento si manifesta però nel sistema di tirar fuori un certo modo di esprimersi e di proclamarlo unico, negando validità a ogni altro. Tutto ciò avviene inintenzionalmente nell'artista sincero. Egli cerca di arrivare a quella che gli appare la perfezione secondo le sue proprie concezioni e la sua natura - e l'epoca in cui vive esercita automaticamente la sua influenza - e, nel caso abbia una sua autentica personalità, crede di aver fatto qualcosa di normale, mentre altri ne restano stupiti e sconcertati. Quando ero giovane ci si metteva semmai in guardia dal seguire le tendenze del giorno. Il rimprovero era: questo è troppo "wagneriano", "brahmsiano", "scandinavo". Sii te stesso, più che puoi, e che la forma sia accurata. Oggi posso darti forza solo con queste parole, e non con altre, e meno che mai con i termini tecnici e basilari della tua arte. Ma queste parole hanno validità generale. Voglio ancora citarti un esempio calzante. Quando Cazotte pubblicò il suo "Diable amoureux", (3) vi aggiunse un ulteriore diavoletto sbeffeggiante con le illustrazioni incluse nel volume. Queste incisioni anonime, ma di mano di quel maestro che era Moreau le jeune (4), erano satire degli espressionisti di allora. La differenza tra gli insuperabili disegni seri di Moreau e questi sgorbi contraffatti è stupefacente, eppure lo spirito dell'artista non si smentisce, non si lascia soffocare, e le caricature sono, nonostante tutto, ricche di significato e di forma! La Bibliothèque des Bibliophyles ne fece una riedizione includendo le vecchie illustrazioni (5), ma (spiega l'editore) credette di doverne aggiungere delle nuove (Eaux-fortes di Buhot), (6) che vogliono essere serie e sono spaventosamente "kitsch".- Ciò avvenne nell'anno di grazia 1878. - Voglio dire, le satire goffe, mal disegnate, sono pregevoli; l'accurato, serio Buhot è assolutamente insignificante.
"Ciò dà da pensare" (7) Abbi fiducia, tante buone cose

dal tuo Ferruccio



(1) La parte iniziale di questa lettera, fino a questo punto, è stata pubblicata nella seconda edizione di Wesen und Einheit der Musik di Busoni (cfr. Lo sguardo lieto, cit., p. 113).

(2) Non si dimentichi che Busoni usa sempre il termine "Junge Klassizitàt", cioè, alla lettera, ''giovane classicità''.

(3) Jacques Cazotte, Le Diable amoureux, Napoli e Parigi 1772.

(4) Louis Gabriel Moreau (1739-1805), veramente chiamato l'Ainé (non le jeune).

(5) Il volume usci in una collana intitolata "Petite bibliotèque de luxe". Busoni acquistò questo esemplare nel 1909 (vedi lettera alla moglie del 12.8.1909), e pensò per un momento alla possibilità di trarne un'opera o una pantomima.

(6) Félix-Hilaire Buhot (1847-1898), incisore francese.

(7) "Das gibt zu denken". Citazione dal quarto "tempo" del libretto di Arlecchino.