Marco Pocchiola

Macbeth splendido
alla Opernhaus di Zurigo


Il recente allestimento di «Macbeth», dato alla Opernhaus di Zurigo lo scorso luglio è moderno e a mio parere splendido.
Cantavano nei ruoli principali Paoletta Marrocu (prossima Lady alla Scala), Thomas Hampson e Roberto Scandiuzzi. La regia era di David Pountney, Franz Welser-Most era il direttore d'orchestra.

Il palcoscenico è un luogo estremamente scarno e geometrico, di colore grigiastro, delimitato da una parete curva sul fondo, con la volta incombente squarciata da un'esplosione. Sulla destra c'è un enorme parallelepipedo, che si rivelerà la casa di Macbeth e di sua moglie, e quindi il luogo del male. Sul proscenio un tappeto di erba verde, fino alla buca dell'orchestra. Lady Macbeth è già all'apertura del sipario ferma immobile sulla volta di questo contenitore, immersa nella semi oscurità.
Le streghe sono splendidamente e fortemente caratterizzate. Vestite tutte in toni sul rosso acceso, in abiti del tutto contemporanei, ognuna di esse è presa da una diversa nevrosi, e si muovono come cavallette disperate: c'è la strega che ha la nevrosi della linea, e si misura continuamente la vita con un metro da sarta; c'è la strega che si dà lo smalto alle unghie, c'è quella che legge il giornale, quella che il giornale lo taglia a pezzetti, c'è quella che fa pulizia e quella che cucina, eccetera eccetera. La visione di insieme era a mio parere una meraviglia sul palcoscenico, e la chiave di lettura risulta attualizzata ed ironica.
La Lady (che come detto era in scena già all'apertura del sipario, immersa nella penombra) legge la lettera sulla volta del contenitore, mentre Macbeth, sotto, dentro il contenitore, la lettera la sta scrivendo: ovvero la moglie legge la lettera nel momento stesso in cui questa sta nascendo nella mente del marito.
Sempre in questa posizione, Lady canta la sua prima aria. Per forza di cose, essendo la superficie sulla quale sta impiedi, alta 4 o 5 metri sul livello del palcoscenico, inclinata e senza «sponde», ella deve essere sicura di non cadere (nessun regista vorrebbe sacrificare cotal splendida
figliola, come dirò in seguito): quindi è legata in vita con una corda di sicurezza, ma chi assiste allo spettacolo non lo scopre subito. Complice la capacità scenica di Paoletta Marrocu, la corda diventa da elemento necessario, elemento scenico caratterizzante il personaggio, la cui furia distruttiva a stento è trattenuta legata, e infatti sconfinerà dalla sua casa al mondo circostante. La corda è una sorta di «guinzaglio», che tiene legata la belva. Fantastico!!!
Il Re Duncano entra con la sua corte, seduto su una lettiga. È un individuo ambiguo, dalle fattezze orientali, vestito di lunghe stoffe bianche e color oro. L'ambiguità del Re è legata alla sua diversità, al suo essere straniero ed alla sua equivoca identità sessuale.
Monologo di Macbeth «Mi si affaccia un pugnal»: magnifico Thomas Hampson, che caratterizza in ogni verso il tormento del protagonista. Sulle parole «immobil terra, agli occhi miei sta muta», lentamente si china verso il proscenio, si distende sulla terra, e da questa stringe líerba, in un gesto di disperazione.
Il delitto è compiuto, e la Lady rientra in scena, trascinando lentamente dietro di sé un lungo e luttuoso drappo nero, che pian piano copre in tutta la sua altezza il fondo della scena. Scoperto il delitto, il drappo cade, la scena si inonda di luce gelida, e si scopre il coro, che chiude il primo atto.

Del secondo atto, sono stati a mio parere molto impressionanti il brindisi e l'apparizione dello spettro di Banco. La scena del brindisi: un tavolo lungo e largo, i pochi ospiti seduti a distanza líun dall'altro, il coro intorno. Il tavolo è coperto da un ampio lenzuolo, sul quale la Lady fa scorrere abbondantemente il vino che offre agli invitati. Tra questi è Macduff, accompagnato dalla moglie incinta. Un brivido gelido scorre quando Lady porta le mani al ventre della moglie di Macduff, ovvero verso una creatura che sarà oggetto della furia sterminatrice sua e di Macbeth.
Al momento della prima apparizione di Banco, il lenzuolo bianco cade, e rivela al di sotto uno strato di terra. È nella terra che Macbeth vede lo spettro, ed è la terra che Macbeth rivolta, disperato, durante la seconda apparizione.

La tensione non scende mai, e si arriva alla fine. Scena del sonnambulismo: lady Macbeth è malata, chiusa nel suo spazio-parallelepipedo, immersa nell'oscurità, illuminata da lumi che lei stessa accende, ma la cui luce non dura che lo spazio di pochi secondi. Cantando la scena del sonnambulismo, ella scrive sulle pareti, con un pastello rosso fuoco.
I guerrieri di Malcolm e Macduff attaccano la dimora di Macbeth; questi cerca rifugio nella propria casa-parallelepipedo, dove trova Lady morta, dritta e come cristallizzata contro una parete, quasi parte integrante dello spazio claustrofobico in cui si era chiusa con la propria pazzia. Nemmeno il riposo è dato alle spoglie di una creatura così negativa, e a Macbeth è concessa la vista delle spoglie della moglie: prima di morire trafitto dai colpi delle spade, Macbeth si lancia su di lei, e con lei crolla a terra esanime.
Il parallelepipedo si chiude, rivelando le parole che la Lady aveva scritto sulle pareti: «Nel di della vitt...», reminescenza del momento in cui il disegno distruttivo aveva preso origine.

Mille cose potrei raccontare, di un allestimento denso di immagini di profonda teatralità, che chiede ai cantanti di essere anche grandi attori, che chiede loro lacrime e sudore.
Paoletta Marrocu e Thomas Hampson hanno dato vita ai propri personaggi con doti attoriali splendide, senza risparmio alcuno, e per questo hanno suscitato l'entusiasmo del pubblico.
Dal punto di vista vocale, la Marrocu interpreta una Lady di tutto rispetto: certo, il volume della voce non è grande (anche se sufficiente per la sala della Opernhaus di Zurigo); le note ci sono tutte. Manca un po' a mio parere la capacità di scolpire di forza le note e le parole, in particolare nel canto di agilità, e questo si sente in particolare nella cabaletta del primo atto, o in certi passaggi del brindisi. Riesce bene la scena del sonnambulismo.
Il direttore le lascia il giusto spazio; ad esempio concede che la frase splendida del primo atto «che fosse dal letargo uscito/pria del sonno mortal» venga nervosamente pronunciata dalla Marrocu a fior di labbra (più che cantata), direttamente al proscenio: piccolo dettaglio, magari fuori dalle righe, ma di grande effetto.Talento drammatico da vendere, e fisico asciutto, aspetto reso carismatico da un costume audace (difficilissimo da portare!), nero, con giusti squarci geometrici orizzontali sul seno generoso. Una gioia per la vista!
Altrettanta gioia per la vista (questa volta del gentilsesso) dalla interpretazione di Thomas Hampson, che il regista invecchia nel passaggio dal secondo al terzo atto (mentre la Lady resta giovane). Anche Hampson non ha volume vocale da vendere, e nella scena dell'apparizione di Banco canta un po' troppo sopra le righe, evidentemente trascinato dalla concitazione dei gesti. La dizione italiana è ottima, il timbro forse un po' troppo chiaro.
Al momento dell'aria del quarto atto pare voler dare una magistrale lezione di canto, e assecondato dal direttore interpreta a fior di labbra, chiudendo in piano e guadagnandosi un'ovazione.
Bravo Scandiuzzi, meravigliosamente sicuro di sé e del proprio canto nella parte di Banco. A dir poco imbarazzante la prestazione di Luis Lima (Macduff).
Il direttore Franz Welser-Möst ha condotto con gesto chiarissimo e semplice; sembrava di palpare con mano, dalla parte del pubblico, la sicurezza che con quel gesto doveva essere capace di infondere ai cantanti, ai coristi ed agli orchestrali, sicurezza che deriva dalla consapevole scelta di tempi fisiologici per il canto, così come dal dominio del disegno drammatico.
Conseguenza prima era che l'orchestra non sovrastava mai il palcoscenico (cosa tanto più importante, considerato che i protagonisti non eccedevano in volume). Nel concertato finale del primo atto, viene fatta la scelta di lasciare cantare i protagonisti più avanti rispetto al coro, con il vantaggio di fare uscire abbondantemente le loro voci, senza per questo rinunciare all'effetto «travolgente» di questa splendida chiusura.
Meraviglioso tutto il quarto atto, meraviglioso il modo con cui Welser-Most asseconda ed accompagna il canto, dal colore livido dell'apertura (coro «Patria oppressa») all'introduzione della scena del sonnambulismo, con un malinconico sapore notturno, fino all'effetto liberatorio del gran finale, dove le sonorità ed i ritmi prendono un incedere acceso e deciso.
Sulle ultime note dell'opera, la casa-parallelepipedo in cui sono Macbeth e sua moglie morti, viene fatta ruotare dalle comparse, e le pareti sigillate con un'enorme croce di nastro adesivo nero, quasi a voler confinare ed isolare il male in maniera definitiva dentro quello spazio.
Tutti si raccolgono intorno al nuovo Re; un bambino viene lasciato solo al centro del palcoscenico, mentre una grande saetta rossa scende dall'alto (dallo squarcio presente sulla volta), e si va a posare al centro della corona regale, che il bambino ha deposto a terra. Un messaggio certamente non ottimistico (in contrasto con la «luce» che si libera dall'incedere della parte musicale): il potere è stato ottenuto col sangue e con la guerra, sia pure con la caduta di un tiranno.

Alla fine tanti applausi, con punte di entusiasmo per il direttore e per Hampson.

Marco Pocchiola
Zurigo, 15 luglio 2001

ivana_marco@hotmail.com