FERRUCCIO BUSONI

PENSIERI SULL'ESPRESSIONE
NELL'ARCHITETTURA

Frammento

Gedanken über den Ausdruck in der Architektur (Fragment).
B.229, LM.44, R.51. Non pubblicato prima.


Zurigo, primavera 1916

L'architettura lavora a mezzo di forme, in fondo né più né meno di tutte le altre arti. Per un lungo periodo della mia vita sono stato fermo alla tradizionale convinzione che l'architettura lavorasse «esclusivamente» per mezzo di forme.
Partendo da questo punto di vista ho osservato l'architettura e mi sono familiarizzato con la sua distribuzione delle tre dimensioni, le piante, lo sfruttamento dello spazio e la modellatura di porte e finestre, quanto un profano può farlo per osservazioni e conclusioni personali. Mi riuscì anche di superare le limitazioni proprie al profano, nel senso che imparai ad apprezzare e ad ammirare parecchie cose che non mi piacevano, e a scartare ciò che invece compiaceva il mio gusto di nonintenditore. Strada facendo rinnegai anche la preferenza «personale» infondata per uno «stile» come pure, progredendo, quella per i particolari omogenei.
Intanto mi ero maturato come uomo e come artista e nelle cose dell'arte cominciai a potermi fidare piuttosto della mia impressione che del mio giudizio. Da giovane un libro può avermi stancato, perché per me troppo difficile; ora sapevo che un libro che mi annoiava non era un buon libro. Ritrovai la schiettezza della ricezione che è propria dell'infanzia; con la differenza che ora il mio gusto era motivato, diretto e giustificato da tutta una vita.
Fra questi due punti terminali è il periodo in cui la ragione ha da dire di più.
Essa è persuasiva e ingannatrice.
Aiuta a sopraffare il proprio istinto e a tollerare l'impersonalità. Ha sempre in mano buoni motivi per rendere ciechi di fronte allo straordinario.
Appunto in questo periodo mi lasciavo dire docilmente, e dicevo io stesso, che libri, quadri ed edifici i quali mi lasciavano indifferente, erano capolavori del loro genere. Allora il mio gusto non aveva ancora il diritto di sollevarsi con indipendenza contro perfezioni dimostrabili, contro regole applicate.
Passato il periodo dell'analisi, formulai il mio problema dell'architettura così: perché di fronte a due edifici costruiti con altrettanta perfezione e nello stesso stile la mia reazione è diversa, l'uno mi commuove e l'altro mi lascia freddo? A questa domanda che già mi era chiara per la musica la risposta fu: è l'espressione che conta, e alla fin fine decide per ogni opera d'arte. Nella sua più alta potenza ed efficacia, l'architettura è un'arte dell'espressione.
Nella lingua letteraria e nella coscienza del popolo questa risposta era stata raggiunta da tempo.
Tanto letterati quanto gente che non sa nulla d'arte dicono e hanno sempre detto che una cosa ha l'aspetto «misero», «allegro», «malinconico», «imponente»; e in questo non solo il materiale usato per la costruzione conta.
Vorrei distinguere due specie di espressione architettonica. Primo: l'edificio esprime lo scopo a cui è destinato. Secondo: esso irradia una espressione in rapporto all'animo umano.
Un esempio. Se osserviamo due chiese diverse, in tutte e due la destinazione a raccogliere uomini a cerimonie religiose è manifesta. In tutte e due riconosciamo che sono chiese. L'edificio mostra l'espressione (reca il carattere) di una chiesa. Però una di queste ha inoltre un'espressione mondana, l'altra un'espressione raccolta e solenne. Possono essere della stessa grandezza, altrettanto preziose e di stile uguale, eppure dare un'impressione diversa, persino opposta.
Difficilmente potrebbero avere tuttavia le stesse caratteristiche se fossero di epoche e di paesi diversi, perché appunto l'epoca e la nazionalità conferiscono a un edificio la sua espressione in misura massima; a meno che l'edificio non sia volontariamente ricalcato su stili e forme stranieri o di epoche passate.
Se si dà questo caso, l'espressione della costruzione tradisce l'insincerità dell'impresa. Perché nemmeno la più pedantesca sottomissione ai principi del gotico francese farà sorgere in America un edificio che abbia l'espressione di una cattedrale di Chartres. E vediamo come in Francia, dallo sforzo di costruire edifici romani, scaturisse lo stile impero, la cui espressione è assolutamente differente dai suoi modelli. Così l'uva di Borgogna trapiantata sul Reno trasforma il suo colore e il suo gusto.
Ma l'espressione nell'architettura ha effetti ancora più intimi, e può, esprimendoci popolarmente, «parlare al cuore», apparirci familiare, prendere, dar calore, risvegliare simpatia. Imparato a distinguere un giovane da un vecchio, si impara a valutarne l'età sino all'anno esatto. Imparato a distinguere uno spagnolo da un inglese, si cominciano a riconoscere di primo acchito i sottili incroci e le mescolanze di stirpi. Esaurito lo studio dell'età e della stirpe, comincia il desiderio di conoscere il carattere, gli istinti, l'intelligenza e le vicende di un uomo.
Ed ecco ora la chiara cognizione di ciò che sovrasta bellezza e perfezione e curiosità, cioè dell'espressione, che la vita esterna ha portato nell'interno dell'uomo, e che a seconda della natura di ogni persona si fa di nuovo strada verso l'esterno. È innegabile, e si potrebbe dimostrare con mille esempi, che questa espressione è accolta dall'edificio e poi riflessa: attraverso l'anima dell'architetto, o di coloro che vi abitano, o dei destini che vi si sono compiuti attorno.
Di tutto ciò molto è già nella sua struttura, molto si aggiunge dall'esterno, allo stesso modo che un uomo nato intelligente diventa sempre più intelligente attraverso i casi della vita. Si prenda, per esempio, la casa di campagna di un parroco cattolico e la stessa, uguale di grandezza e di materiale, di un mercante arricchito. È l'espressione che le deve rendere differenti.
Sta forse l'espressione, in ultima analisi, nelle linee e nelle proporzioni? Non credo, come l'espressione di un uomo non sta solo nella proporzione delle sue membra.
Quanto dell'espressione di una casa sta in ciò che la circonda! La stessa casa posta in un deserto, sulla spiaggia del mare, in un paesaggio collinoso, non solo acquisterà un aspetto volta a volta differente, ma subirà diverse influenze a seconda delle circostanze diverse, senza che le linee ne siano alterate. A Londra colpisce il fatto che gli edifici di pietra assumono un colore diverso a seconda che siano esposti a mezzogiorno o a settentrione. La stessa colonna appare bianca dal lato meridionale e assolutamente nera dal lato settentrionale, e questo gioco si ripete a ogni cornice, a ogni intelaiatura di finestra, a ogni angolo, a ogni spigolo. Sebbene circostanze esteriori, come appunto colore, illuminazione, materiale ed età modifichino l'espressione, pure non è di essi che in questo momento intendo parlare.
Voglio notare solo di sfuggita la considerazione che l'età provoca realmente un forte effetto d'illusione, in quanto il pittoresco che essa sovrappone inganna sul valore e la bellezza dell'architettura [Perciò Messel (1) ha trattato intenzionalmente le sculture decorative, sul palazzo d'angolo di Wertheim a Berlino, come se fossero smussate dalle intemperie e dal tempo].
La necessità nel costruire è molto importante per l'espressione e non può esser sostituita nemmeno dal più raffinato effetto intenzionale. La cappella laterale di un duomo eventualmente costruita più tardi deve avere un carattere diverso da quello che avrebbe la stessa appendice se fosse stata progettata sin dall'inizio e costruita con l'edificio principale.
Una finestra appare giusta solo se ha il suo scopo dall'interno, e così è irragionevole disporre sulla facciata delle finestre cieche per conservare la simmetria, come amano fare gli italiani. Il tetto ripido è giustificabile in un clima nordico, una soverchia ampiezza della terrazza solo nel mezzogiorno. Altrettanto è fuori posto la merlatura su una pacifica villa, perché la merlatura è il simbolo architettonico della difesa e dell'attacco.
Così la stazione nordoccidentale di Vienna non corrisponde alla prima condizione espressiva, di annunciare cioè il proprio scopo, poiché ha l'aspetto di una fortezza medievale. Ma non le riesce nemmeno di dar l'illusione di una fortezza perché si trova nel bel mezzo di una città, in una pianura, e in posizione attaccabile da ogni lato. Infine la sua origine medievale è insostenibile perché che la stazione debba essere sorta dopo la prima metà del secolo XIX si capisce alla prima occhiata, anche senza sapere che è una stazione, cosa questa che non risulta in nessun modo. Eppure questa costruzione è magistrale, bella, e in parecchi particolari singolare. Ma la sua espressione è assolutamente falsa e l'effetto non è riuscito.
Per continuare le nostre considerazioni con una certa forza persuasiva dobbiamo prescindere per il momento dall'esempio della stazione, perché questa che nell'arte edilizia è l'idea più recente ci offre troppo pochi punti di confronto con opere precedenti. Perciò come punto di partenza vorremmo scegliere la casa d'abitazione, il tempio, e il teatro.

* * *

Per la casa d'abitazione in primo luogo è giusto pretendere che nei suoi rapporti di grandezza si adatti alla statura media dell'uomo e al numero normale dei componenti d'una famiglia. Il moto più naturale dell'uomo è in direzione orizzontale, perciò una casa d'abitazione costruita su piano orizzontale sarà più conforme alla natura che non una costruita in senso verticale. Le torri sorsero dall'intento di trasmettere segnali percepibili o assicurare la vista per la più vasta cerchia possibile. La casa d'abitazione potrebbe essere persino più larga che alta, per tenere per quanto possibile in contatto l'abitatore col pianterreno cui appartiene. Come un libro regola il suo formato secondo la mano che lo regge e l'occhio che scorre le sue superfici e i suoi segni [quello in ottavo è perciò il formato modello] così anche la casa d'abitazione si deve regolare secondo la figura e i movimenti naturali dell'uomo.
La casa d'abitazione è il luogo dove l'uomo passa la massima parte della giornata, dunque dev'essere comoda e «invitante» dall'esterno, affinché chi ci vive ci torni volentieri e i suoi ospiti ci si rechino con fiducia.
Come si può realizzare l'espressione «invitante» nell'edilizia? Per mezzo di costruzioni esterne che conducano alla casa stessa e indichino la via verso l'interno.
L'elemento primordiale che più si presta all'espressione di invito è la porta d'ingresso. Ma una porta, quando è chiusa, fa piuttosto l'effetto di respingere che quello di invitare. Ebbene, bastano alcuni gradini per significare a chi sta fuori un invito a salire e ad avvicinarsi alla porta.
Difatti la scala o la gradinata esterna rappresentano il collegamento organico tra la strada pubblica e l'abitazione privata. In una casa d'abitazione che si trovi in campagna il cancello che porta al giardino davanti alla casa fa le veci dei gradini. Il cancello dev'essere posto preferibilmente di fronte alla porta d'ingresso in linea retta, e si collega con questa per mezzo di un viale. Quest'ultimo è il passaggio dall'indifesa strada maestra al tetto protettore.
In generale possiamo stabilire il principio che ogni occasione offerta di uscire all'aperto e tuttavia rimanere nell'ambito della casa accentua il legame tra interno ed esterno e rafforza l'espressione invitante.
Sapersi attenere al giusto mezzo è qui compito del sentimento e del temperamento: ad aumentare esageratamente il numero degli ambienti all'aperto in una casa d'abitazione, si arriva al tipo del ritrovo pubblico: in questo caso, dalla casa di campagna alla trattoria per gitanti.
Si resta nei limiti, se il cornicione che si sviluppa dalla cornice della porta di ingresso diviene il pavimento di un balcone sovrastante (2). Questa sistemazione non solo imprime un tono soddisfacente alla facciata in modo decisivo, ma dà possibilità all'abitante di rimanere in contatto col prossimo, per esempio di andare simbolicamente incontro a chi torna a casa o all'ospite.
Dare alle parti esterne della casa un'estensione troppo grande porterebbe con sé un corrispondente aumento degli accessi, cosa che diminuisce il senso di tranquillità su cui bisogna poter contare in casa propria.
Fin qui il risultato della costruzione immaginata è una casa più larga che alta, la cui porta d'ingresso è unita alla strada da gradini e sormontata da un balcone, che permette a chi vi abita di fare alcuni passi all'aperto senza lasciare l'abitazione: abbiamo respinto una troppo grande quantità di accessi, per creare una certa garanzia di raccoglimento; con questa disposizione l'abitatore resta sufficientemente in contatto con il pianterreno a lui connaturato. Un ulteriore apporto all'espressione invitante all'esterno equivale a trascurare la garanzia della sicurezza personale; una cura che d'altra parte porta il prudente borghese troppo lontano. Difatti il proprietario di casa di questo tipo fa mettere talvolta alle finestre del pianterreno delle inferriate; disposizione che dobbiamo respingere come contraria all'espressione della libertà.
A questa libertà si dovrebbe dare anche più sfogo nella facciata posteriore, che si presuppone dia su un terreno di proprietà del padrone della casa stessa. Qui dovrebbe dominare la cura di collegare l'edificio con i suoi dintorni con ancor minore riservatezza; bisognerebbe creare una loggia lungo tutta la larghezza della casa, che darebbe a riconoscere la sua appartenenza all'edificio per mezzo di un tetto che partisse da questo.
Il tetto prominente, sostenuto da pilastri, e questi collegati fra di loro da archi, conferirebbero alla casa la conclusione architettonica e l'espressione di comoda libertà.
Per l'eventuale protezione contro il sole bisogna porre alle finestre delle persiane, tinte di un colore che sia a prova d'intemperie. Il legno, in quanto vegetale, è un ulteriore punto di contatto con la natura; un impiego troppo esagerato di questo materiale dà un aspetto contadinesco e toglie il carattere cittadino. La casa d'abitazione qui disegnata, secondi esempi esistenti, porta l'espressione campagnola, invitante, spontanea e raccolta, di buona forma estetica, ed è in realtà il tipo normale di una casa di campagna di buon gusto (3).

(1) Alfred MesseI (185398), ingegnere. La sua opera più famosa sono appunto i magazzini Wertheim di Berlino (1898), che precorsero i tempi per la massima luce recata all'interno dell'edificio a mezzo di pareti costituite da vetrate.
(2) Vedi schizzo n. 1 in fondo a questo volume.
(3) Vedi schizzo n. 2 in fondo a questo volume.